Scrittori della Notte: liberi di scrivere

Votes taken by Pavone Bianco

  1. .
    ti ringrazio per la lettura e il commento, Milly :) creare questa atmosfera creepy era nel mio intento.

    CITAZIONE
    Forse un piccolo disclaimer sarebbe stato utile, se non altro per prepararmi psicologicamente.

    mea culpa. Chiedo venia :D mi è proprio sfuggito di mettere un avviso per i lettori sensibili.
  2. .
    Ciao, benvenuta :D
  3. .
    Ahahahahah nono, sono seguite le avventure di Camillo e la sua amichetta, solo che non ho abbastanza tempo di lasciare un commento per bene XD
  4. .
    Molto simpatico XD la lettura è scorrevole e le scene molto chiare nonostante non si sappia il contesto nel quale sia ambientata la storia o i personaggi.

    Sarei curiosa di sapere se Lady Gandal riuscirà a riavere la propria folta chioma come prima!
  5. .
    CITAZIONE
    Strano, io in molti libri che ho letto ho trovato questa impostazione, e ho sempre saputo si facesse così

    Ahan? Credo sia più una forma estetica anche. Però mi informerò :)

    CITAZIONE
    Grazie, la metafora finale poi è ciò che dà il senso a tutto il racconto, mi fa piacere che abbia funzionato

    Figurati, è un piacere!
  6. .
    Il linguaggio arcaico e la forma particolare in cui dividi i versi, incuriosisce parecchio. Bisogna rileggere varie volte, per giungere all'immagine che vuoi trasmettere.

    Mi è piaciuta :D
  7. .
    CITAZIONE
    Ho smesso di giocare
    per correre e tremare.

    L'ho inteso come una crescita, maturazione. Passaggio tra l'infanzia e l'età adulta.

    Il primo verso, però temo di non averlo capito. Cosa intendi con "i popoli del mare"?
  8. .
    CITAZIONE
    La lettura infonde fantasia, che si potrebbe definire un superpotere

    Quoto ;)
  9. .
    CITAZIONE
    io rido, ma rido.

    Bello il verso finale, come per dire che in ogni caso io rido, di fronte alla vita e alle cose negative o positive che siano.

    Mi è piaciuto.
  10. .
    Una poesia che sembra essere quasi sospesa in una bolla surreale, in chiave fiabesca. Il linguaggio semplice che hai usato la rende ancora meglio, visto il contesto.

    Piccolo appunto:
    CITAZIONE
    chiara con un ombrello nero ,

    aveva degli occhi di smeraldo ,

    prima delle virgole non ci va lo spazio ;)
  11. .
    Benvenuto Gulp :)
  12. .
    CITAZIONE
    Qualche osservazione: alcuni errori di battitura di poco conto e alcune volte si fa confusione tra una ragazza e l'altra leggendo; prova a staccare i pezzi, magari è di più facile comprensione.

    Grazie per gli appunti, appena riesco a metterci mani rileggerò e cercherò di correggere sicuramente ;)

    CITAZIONE
    Ho solo una domanda: da chi scappwla ragazza mora all'inizio del racconto?

    La sua sembra una fuga mentre in realtà sta solo cercando la seconda donna. Diciamo che è reso apposta in questo modo poco chiaro, per confondere il lettore almeno all'inizio XD

    Ci si legge in giro!!
  13. .
    Avviso: sconsigliato ai lettori sensibili per la presenza di scene forti.

    Ho scritto questo testo d'estate, ma ho trovato solo ora l'ispirazione di sistemarlo per bene e di postarlo.

    Buona lettura, fatemi sapere cosa ne pensate!


    Campo di Papaveri



    Una macchia scura delineata sull’orizzonte. Si muoveva velocemente, correndo e schivando ostacoli come se sapesse a memoria quelle terre brulle e aride.
    La figura si fermò improvvisamente sul limitare di un campo squadrato e irregolare, inseminato di grano, incorniciato su un lato da una fila di alberi vecchi dai mille rami, mentre l’altro lato era costeggiato da un canale a secco pieno di erbacce e piante rinsecchite dalla temperatura alta della stagione.
    Il fiato reso veloce non dalla paura ma dall’adrenalina. Trasse un profondo respiro che le inondò le membra del rovente calore estivo, questo le fece arrossire le guance dalla pelle delicata.
    Gli occhi vispi e scuri come la terra sui cui correva in quella cocente giornata di luglio, si muovevano frenetici in tutte le direzioni possibili alla ricerca di una possibile via di fuga. Con un movimento infastidito spostò una ciocca di capelli castani che le finiva sulla guancia e sull’occhio sinistro, e la sistemò dietro l’orecchio. Il ciuffo della frangia ormai troppo cresciuto, rimaneva appiccicato sulla fronte spaziosa in una patina di sudore, mentre piccole gocce le imperlavano il viso e il collo; le ciocche più lunghe dei capelli, sporche e unte cadevano invece, scompigliate sul collo e sulle spalle esili.
    Il sole si stagliava alto nel cielo durante le sue ore più calde. La ragazza ipotizzò che doveva essere passato poco più di mezzogiorno. Non poteva essere lontana dal punto in cui era scappata.
    Si portò le mani sui fianchi sinuosi e inspirò rumorosamente per l’ennesima volta, ruotò su sé stessa cercando di orientarsi al meglio senza particolari risultati. Le spalle scosse da leggeri tremiti.
    Ricominciò a correre: doveva trovarla.
    Il vestito di cotone leggero, sporco di terra e fango le svolazzava largo sulle gambe piene di lividi, finendo con l’orlo all’altezza delle ginocchia graffiate. Si fermò d’un tratto e decise di entrare direttamente nel campo. Creando un percorso improvvisato per attraversarlo, avrebbe impiegato del tempo che non aveva correndoci intorno.
    Spostò le ruvide spighe secche del grano con ampi movimenti della mano, talvolta anche graffiandosi con gli steli secchi. L’attenzione vigile a cogliere ogni minimo movimento alle proprie spalle.
    Si fermò colta da improvviso lampo di stupore, un luccichio di sorpresa le balenò negli occhi. Allungò la propria mano dalle dita sottili per sfiorare delicatamente i petali di un mucchio di papaveri che si ergevano dalla terra ruvida, mentre affiancavano le spighe di grano quasi sfidando il loro giallo dorato con il proprio rosso intenso. Schiuse le labbra secche che reclamavano acqua da troppo tempo, e si accovacciò di fronte ai fiori scarlatti.
    Per la prima volta da tempo immemore ricordò casa. L’unica che avesse mai avuto. Quei petali rossi appena schiusi da un tenero bocciolo, le riportarono alla mente il dolce tocco della donna che si era presa cura di lei quando non c’era nessuno farlo. Nonna. Un timido bacio lasciato sulla fronte, una carezza offuscata e dimenticata sotto le macerie della memoria. Abbassò le lunghe ciglia nere congiungendo le palpebre; tutto l’ambiente circostante si tinse di una sfumatura calda di color arancione e rosso tiepido.
    Un fruscio poco distante la riportò alla realtà. Aprì gli occhi, doveva andarsene da quel posto. Spostò ancora i capelli annodandoli dietro la nuca in una crocchia temporanea e continuò la propria ricerca in quel campo di grano costellato da macchioline rosse di papaveri. Ormai era riuscita ad attraversarlo interamente ma nonostante ciò, non era stata in grado di vedere nulla; non la trovava.
    Stava uscendo completamente dal campo raggiungendo il bordo nel quale era infossato il canale rimasto secco nella stagione calda, quando scorse di sfuggita un leggero movimento in un angolo alle proprie spalle, in cui il grano si faceva più fitto. Ritornò indietro, lentamente calpestando di nuovo le spighe già piegate al suo passaggio precedente, i polpacci nudi ormai completamente graffiati da queste.
    Rimase pietrificata ad osservare quella figura accovacciata nel vano tentativo di trovare un nascondiglio, forse per ripararsi da qualcuno. L’aveva trovata.
    Le si avvicinò a passi lenti e cauti. Tutta la fretta era finita, sfumata nell’etere. Aveva smesso di cercare, finalmente. La sagoma in quel momento rannicchiata su se stessa, alzò di poco il capo quando sentì il fruscio delle piante di frumento muoversi, i capelli chiarissimi di questa riflesse i raggi infuocati del sole rendendola di un biondo ancora più luminescente; una volta resasi conto di chi si trovava di fronte rimase immobile, gli occhi e la bocca bloccati in un’espressione di terrore. Le sue corde vocali emisero un suono strozzato incapaci di riprodurre qualunque tipo di parola.
    Cominciò a spostarsi all’indietro con movimenti frenetici strisciando con le gambe nel vano tentativo di fuggire, indietreggiò più che poteva finché non riscontrò la sporgenza del terriccio secco che le bloccò del tutto il movimento a ritroso.
    Gli occhi dalle iridi scure erano immobili sulla figura che aveva di fronte, era paralizzata. Questa sembrava messa in soggezione mentre continuava a fissarla sua volta. Alzò la vista e la guardò in viso, rimanendo per degli attimi indefiniti con gli sguardi incatenati uno nell’altro. Con la differenza che il primo era alla stregua del terrificato mentre l’altro, si faceva via via più trionfante. Sì, l’aveva proprio trovata.
    Le tese la mano, in una gentilezza quasi rassicurante. La donna stesa per terra si strinse le braccia al petto, quasi cercando di allontanarle il più possibile dalle sue sgrinfie; si rannicchiò su sé stessa, mentre il vestito strappato in molti punti svelava la pelle arrossata e sporca delle gambe e dei fianchi. Le braccia nude riportavano graffi ed escoriazioni di vecchie ferita ancora non rimarginate.
    Erano due donne dalle anime quasi simili racchiuse in quei corpi martoriati, entrambe giovani, ferite e in una corsa continua. Seguì un silenzio rumoroso, nella testa, nel cuore e nell’aria circostante.
    La mora si avvicinò ulteriormente a quella accovacciata nel terriccio secco. Le si inginocchiò di fronte mentre un respiro leggero le fuoriusciva dalle labbra.

    Senza lasciarle il tempo di reagire chiuse le proprie mani attorno al suo collo dalla pelle candida e bianca come il latte, stringendo le dita con vigore e rabbia mentre quest’ultima le afferrava i polsi cercandolo di allentare la sua presa ferrea; riuscì solo a graffiare la pelle. Cominciò a gorgogliare cercando di inalare più aria possibile ma l’ossigeno che le arrivava ai polmoni si riduceva via via sempre più in minor quantità. La testa sembrava sul punto per esploderle quando improvvisamente ritrovò il respiro e la gola libera da quelle mani, annaspò cercando di inalare tutto l’ossigeno che le era venuto a mancare ritrovandosi senza forze, stremata. Le spalle e il petto si alzavano e si abbassavano ancora ad un ritmo irregolare. -Dov’è?- Chiese tremante con voce rotta.
    La mora ignorando la sua domanda si scostò di poco e con un movimento lento estrasse un coltellino appuntito dal taschino del proprio vestito leggero. Lo rigirò tra le sue fragili dita di porcellana. La lama rifletté un raggio di sole, la donna seguì la direzione di questo e notò con stupore che si era andato a posare sui delicati petali di un tulipano rosso brillante. Lo interpretò come un segnale.

    "Piccoli papaveri, piccole fiamme d'inferno,

    Non fate male?

    Guizzate qua e là. Non vi posso toccare.

    Metto le mani tra le fiamme. Non bruciano.

    E mi estenua il guardarvi così guizzanti,
    Rosso grinzoso e vivo, come la pelle di una bocca.

    Una bocca da poco insanguinata.
    Sanguinarie damine!

    Ci sono fumi che non posso toccare.

    Dove sono le vostre schifose capsule oppiate?

    Ah se potessi sanguinare, o dormire! -

    Potesse la mia bocca sposarsi a una ferita così!

    O a me in questa capsula di vetro filtrasse il vostro liquore,

    Stordente e riposante. Ma senza,

    Senza colore."



    Muovendosi a carponi si fece di nuovo vicina alla bionda, questa si portò istintivamente le mani al proprio viso dai tratti delicati. Le prese quella sinistra e gliela scostò rudemente, facendole voltare il viso verso il proprio in modo da poterla vedere in faccia, mentre fissava quegli occhi cristalli che andavano riempendosi di lacrime. Codarda. Le bloccò il mento circondando la mascella ben delineata nel palmo della propria mano libera, mentre con un movimento lento e calcolato le incise una guancia pallida con un profondo taglio che partiva da poco sotto l’occhio sinistro fino a scendere dritta lungo il mento. Non aveva più fretta, voleva giocare.
    La ferita non fece nemmeno in tempo a sgorgare sangue che un’altra, parallela alla prima fu segnata sotto l’occhio destro. La donna emise un verso strozzato mentre alzava le braccia sul viso per difendersi ma raggiungendo scarsi risultati.
    -Questo era il percorso che hanno fatto le mie lacrime quando stavo in piedi- mormorò l’altra con voce roca.
    Seguì poi un taglio che iniziava dall’angolo dell’occhio e proseguiva verso l’orecchio, -E questa, è la direzione che seguivano la notte, quando ero distesa da sola nel nostro letto- continuò sul lato opposto.
    La bionda cercò di alzarsi da terra emettendo urla di dolore e frustrazione, mentre cercava di sfuggire dalla sua presa con gli occhi che si ritrovavano inondati di lacrime e gocce di sangue.
    La ragazza armata la spintonò con violenza a terra, facendole sbattere la testa contro un piccolo masso di terra arida e le salì sul ventre a cavalcioni, portando le sue braccia sotto le proprie ginocchia in modo da bloccarle qualunque movimento con queste. Poteva agire senza distrazioni adesso, un sorriso dopo moltissimo tempo sembrò affacciarsi sulle sue labbra carnose ma in quel momento, seccate dall’afa. I capelli scuri le caddero come una cascata scura sulle spalle, sciogliendosi. Non se ne curò affatto.
    La figura serrata a terra cominciò ad emettere grida stridule e addolorate, la ragazza le prese il colletto del vestito e lo tirò con forza lacerandolo in una pezza, lo appallottolò e dopo averle preso ancora una volta il mento nella propria mano quasi ficcando l’unghia del pollice nella ferita sulla guancia, glielo fece aprire con forza mentre le ficcava lo straccio in bocca, impossibilitandole qualunque emissione di rumore. Le urla si fecero ovattate e poco distinte, bloccate dalla stoffa. Le passò poi una mano sulla gota dalla quale fuoriusciva sangue in modo copioso. Si imbrattò le dita del liquido denso poi gliele strofinò sull’intera faccia, tingendolo di rosso intenso. Un viso macabro. Gli occhi di lei rimanevano sbarrati dal terrore e dal dolore.
    Avvicinò il proprio viso al suo, soffiandole piano sulla bocca. -Ho venerato ogni centimetro del tuo corpo. Prima che mi tradissi.-
    Le contornò con decisione le labbra un tempo morbide e voluttuose con la punta del proprio coltellino, senza andare molto a fondo, giusto con la punta. Piccole gocce scarlatte si affacciarono sul bordo della cute, impazienti di uscire. -Queste, labbra che hanno baciato labbra che non era mie.-
    La donna a terra cercò di lottare divincolando le spalle dalla sua morsa ferrea, provando ancora una volta di liberare le mani bloccate lungo i propri fianchi. Quella sopra di lei intanto, cominciò a disegnare intricati ghirigori con la lama affilata del coltellino, incidendo la pelle del mento e scendendo verso la base del collo, per passare su un seno rimasto scoperto dallo strappo del vestito. Più scendeva e più la lama intagliava lembi di pelle andando a conficcarsi con una maggiore profondità.
    Urla smozzate e attutite non furono ascoltate da anima viva in quel caldo pomeriggio estivo.
    -Questo collo, petto, guance. Erano miei prima che li offrissi a qualcun’altro.-
    Il busto della giovane donna ormai imbrattato di sangue, continuava ancora a dimenarsi tra le ginocchia della ragazza che in quel momento cominciava a cantare una dolce cantilena ma che rimaneva intrappolata nella bocca senza fuoriuscirne, forse una ninna nanna.
    La punta in metallo rifece il percorso a ritroso e si fermò sulle spalle di lei, la cantilena si interruppe e con un deciso colpo lacerò la carne poco sopra il bicipite andando verso il gomito. Lacrime e sangue che colava in un unico miscuglio permeato di terrore. Ormai il sangue perso le aveva fatto abbandonare quasi tutte le forze. -Braccia che hanno stretto altre braccia.-
    Un nuovo profondo taglio cominciava ad aprirsi partendo dal petto fino a scendere verso le costole, lacerando la pelle. Le fece ritornare un’improvvisa forza in unico dolore: mosse le ginocchia cercando di colpire la schiena della donna sopra di lei per scostarla, ma questa spostò il peso sul suo bacino impedendole in questo modo, anche di muovere le cosce.
    Con il respiro affannoso, le prese un lembo del vestito lacerato e lo spaccò completamente sul davanti. I raggi del sole si posarono dolcemente su tutta quella nudità violata, del petto ferito, dei fianchi stanchi e del ventre schiacciato sotto il peso di una creatura che era uguale a lei. Ansimò in lamenti addolorati, incapace di versare altre lacrime. La giovane donna armata però non era ancora stanca di quello spettacolo angosciante.
    Cominciò a reciderle il ventre. Macchie di rosso porpora si ingrandirono a vista d’occhio come piccoli fiori pronti a bocciare, si allargarono andando a tingere la pelle circostante per poi colare lungo i fianchi sinuosi. La ragazza bionda cominciò a desiderare la morte, non avendo più le forze di ribellarsi, tutto quel soffrire stava diventando insopportabile. Voleva semplicemente chiudere gli occhi e abbandonare quel corpo ormai martoriato.
    Ma quelle ferite non erano abbastanza per portarla ad esalare il suo ultimo respiro. Erano inflitte appositamente per farle patire le pene dell’inferno senza una via di scampo, quando lei desiderava solo accogliere la morte morte morte morte morte morte.
    Accarezzò con le proprie unghie il bordo delle sue ferite, dapprima gentilmente poi con una rabbia sempre più crescente finché non arrivò ad affondare direttamente le dita nella carne lacerata. La ragazza si accasciò completamente al suolo dopo un grido acuto, priva di sensi. L’altra le diede delle sberle, colpendola sul viso e sulla testa per riportarla ad aprire gli occhi, funzionò. Riaprì gli occhi per richiuderli all’istante, accecata dal sole, loro unico spettatore. Mugugnò qualcosa con la bocca ancora ovattata da quel pezzo di stoffa sgualcito. Poi incrociò ancora una volta quello sguardo scuro, quasi senza fondo e vide le sue mani tinte di sangue, il suo sangue. E tutto il male, la prese in pieno come una grande ondata di dolore. Affondandola e facendola annegare in una volta sola. E ancora, respirava. Resistere non sarebbe servito a niente.
    Voleva smettere di respirare.
    Poi d’un tratto la ragazza si alzò, e il peso di un mondo sembrò sollevarsi dal su corpo. Le agguantò una caviglia, a cui erano legati i laccetti dei sandali in pelle che indossava in quel momento. Cominciò a trascinarla in mezzo al campo, fino a quando improvvisamente non si fermò. Le tolse il sandalo scoprendo la pelle del piede, piccolo e delicato nonostante fosse sporco di terriccio e polvere. Le incise le dita dei piedi, quasi tagliandoli di netto finché non rimasero che dei piccoli moncherini sghembi mentre la bionda urlando, divincolava la gamba per sfuggire alla sua presa. Era troppo debole. Le lasciò andare la gamba solo dopo aver conficcato il taglierino nella palma del piede creando un taglio che la percorreva in tutta la sua lunghezza -questi piedi che ti hanno portato da lui-, glielo lasciò cadere a terra con un finto sbuffo annoiato.
    Ritornò verso il suo capo.
    Le si accovacciò di fronte e infilandole una mano per i capelli biondi impasticciati di sangue la rinchiuse a pugno, mentre cominciava a trascinarla fuori dal campo, con la schiena e le gambe che strascicavano sulla terra e in mezzo alle spighe ruvide. Il corpo lasciava una scia di sangue fresco dietro di se, macchiando in modo indelebile. Quasi sfidando quei papaveri e il loro essere così dannatamente rossi. Il biondo del grano era macchiato dai papaveri.
    Era ancora viva. Testarda.
    Si diresse verso il bordo del campo, vicino al piccolo canale essiccato. Un tanfo pesante cominciò a scorticarle le narici. Erano esattamente nel punto giusto.


    "Pose le labbra Estate sul nudo seno della terra,

    e lasciò in un papavero la sua impronta infuocata:

    esso sorse dall'erba come alito di fuoco,

    e il vento lo gonfiò come fiamma danzante."



    La abbandonò inerme per un istante e si avvicinò al bordo della fossa che si creava nel letto del canale senza acqua; riusciva a distinguere la figura immobile che giaceva sul fondo di questa. Era un corpo.
    Senza vita. Proprio dove lo aveva lasciato.
    Accovacciandosi riusciva perfino a vederlo: buttato di lato si intravedeva qualche tratto del suo viso tumefatto e rovinato dalla morte. Il naso sporgente su quel viso dalla pelle rinsecchita e dura, una cavità oculare resa vuota dalla mancanza dell’occhio.
    Attorno al corpo ronzavano rumorose uno sciame di mosche carne e vespe, attratte dall’odore della morte, guardando più attentamente intravide delle formiche e altri insetti di medie dimensioni che brulicavano sul quel petto un tempo muscoloso per poi infilarsi all’interno di diverse spaccature sullo stomaco, e infine scendevano lungo le gambe nude e pelose. L’odore che emetteva quel corpo era nauseabondo ma sapeva maledettamente di vittoria.
    Si concesse il secondo sorriso di quella giornata. Non avrebbe sorriso mai più.
    Riportò la propria attenzione sulla ragazza distesa a qualche metro da lei. -Ti ho portata dal tuo amore. Perché non mi ringrazi, puttana?-
    Questa la guardò con uno sguardo assente e vacuo mentre abbassava e alzava il petto faticosamente. Stava mormorando qualcosa. Le tolse lo straccio dalla bocca, finalmente liberandola. Stava cercando di dire qualcosa ma si ritrovava la lingua impasticciata e le corde vocali incapaci di riprodurre alcun suono di senso compiuto.
    Dopo averla guardata per qualche altro interminabile istante la prese per le braccia ferite e la avvicinò al bordo del canale. La spintonò energicamente giù lungo la discesa, la ragazza fece qualche ruzzolo prima di finire esattamente addosso al cadavere in decomposizione, quasi finendo tra le sue braccia immobili tra troppo tempo. La ragazza cominciò a gridare con quel poco fiato che le rimaneva in corpo mentre cercava di spostarsi in tentativi resi inutili per lo spazio angustiante e le pareti scivolose della canalina. Tutto quel movimento non fece altro che risvegliare lo sciame assopito degli insetti che cominciarono a svolazzare con maggiore intensità, andandosi a posare sulla sua pelle nuda attratti dal sangue fresco che aveva ripreso a coagulare lento dalle ferite.
    -Ubi tu Caius, ego Caia: dove tu o Gaio, sei, lì io, Gaia, sarò.- Sussurrò, mentre guardava quei due corpi che si dimenavano in una macabra danza sul filo della morte, diversi tra di loro solo per il fatto che uno, batteva ancora di vita mentre l'altro, aveva smesso di farlo da un pezzo.


    "Dormi sepolto in un campo di grano,

    non è la rosa non è il tulipano

    che ti fan veglia dall'ombra dei fossi,

    ma sono mille papaveri rossi."

  14. .
    Hey, benvenuta su SN!!

    Ryuk *____*

    Non so perchè, ma ho l'impressione andremo d'accorto io e te, Serial Killer ehehehe :B):
  15. .
    Il titolo è del tutto casuale. O forse racchiude tutta l'essenza di questa strana poesia. Dipende dai punti di vista :)


    BOCCIA DI VETRO.



    Quando torni?

    Cieco, guardati intorno
    zoppo, giri in tondo
    cadi, mentre tocchi fondo
    Alle spalle, stesso sfondo
    malinconia nella testa, sottofondo.

    Ricordi
    quell'oblio di incubi travestiti
    da sogni che parevano infiniti

    Siedi
    Su esili bordi
    di distorti contorni

    Pensi

    com'è stato
    combattere per qualcosa
    che non valeva la pena l'esser salvato
    lottare e aver perso solo fiato

    Guarda
    il tenersi in tasca un rimpianto
    di qualche pezzetto di cuore infranto
    andato in frantumi, schiantato e schiacciato;

    Saluta
    qualcuno andato e mai tornato
    qualcun altro trovato, e poi rimasto.

    Chiedi
    se per quel sorriso nascosto
    se per la felicità racchiusa in un attimo
    se per quel piccolo e indeciso battito
    ne sia valsa la pena.

    Rifaremo tutto?

    Noi,
    Anime in pena
    pensieri fuori vena
    emozioni in cancrena

    Siamo soli, e morti
    scongiurando le nostre sorti
    fingevamo di fare i forti
    quando eravamo fragili, come pochi.

    Perchè non torni?


    ----
    So che non ha una forma particolare ma ci sto lavorando ;) per quando riguardo la musicalità e le rima, cosa mi dite?


    Nuova versione modificata in alcuni versi:
    VETRO.


    Quando torni?

    Cieco, guardati intorno
    zoppo, giri in tondo
    cadi, mentre tocchi fondo
    Alle spalle, stesso sfondo
    malinconia in sottofondo.

    Ricordi
    quell'oblio di incubi travestiti
    da sogni che parevano infiniti
    Frammenti di solitudine Indefiniti
    Tutti quei viaggi, finiti.

    Siedi
    Su esili bordi
    di distorti contorni
    Di sguardi contorti
    Di pensieri morti

    Pensi
    com'è stato
    combattere per qualcosa
    che non valeva la pena l'esser salvato
    lottare e aver perso solo fiato

    Guarda
    il tenersi in tasca un rimpianto
    di qualche pezzetto di cuore infranto
    andato in frantumi, schiantato e schiacciato;

    Saluta
    qualcuno andato
    e mai tornato
    qualcun altro trovato
    e poi rimasto.

    Chiedi
    se per quel sorriso nascosto
    se per la felicità racchiusa in un attimo
    se per quel piccolo e indeciso battito
    Ci sia ancora posto.

    Rifaremo tutto?

    Noi,
    Anime in pena
    pensieri fuori vena
    emozioni in cancrena
    Solitudini di cantilena

    Siamo soli, e siam morti
    scongiurando le nostre sorti
    fingevamo di fare i forti
    quando eravamo fragili, come pochi.

    Perchè non torni?


    Edited by Pavone Bianco - 22/5/2017, 15:29
234 replies since 11/1/2013
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