Candore Scarlatto

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    Buonasera scrittori! Sono tornata a scrivere dopo diverso tempo, con questo progetto che avevo in cantina da mesi ormai, e che finalmente sono riuscita a concludere. Ve lo propongo, spero possa essere di gradimento.
    Sono impaziente di sapere cosa ne pensate dello stile, ritmo della narrazionee del contenuto in sè :)


    Avviso: sconsiglio il testo ai lettori sensibili, per la presenza di contenuti e scene forti.

    Candore Scarlatto



    "Quanto può spingersi un essere umano per proteggere ciò che ama più della propria miserabile vita? E se questa immensità di amore finisse per contorcersi e travolgere la persona stessa spingendola oltre il limbo della ragione e portandola agli estremi atti di pazzia?"


    Bianco. Bianco ovunque: i fiocchi di neve creavano uno strato spesso e gelido, che ricopriva ogni superficie esposta sotto quel cielo aperto. Immense distese di puro candore.
    Stava nevicando da diverso tempo ormai.
    Trovava che la neve fosse incredibile; ogni suo fiocco era così gelido nonostante al tempo stesso, si trovasse un cuore di pura sofficità e delicatezza. In quel preciso istante, proprio mentre stava percorrendo a passi lenti e strascicati il marciapiede sul quale ormai si erano formati diversi centimetri di quella coltre bianca, il pensiero che gli attraversò la mente e che ci rimase per molto tempo, fu il fatto che si sentiva proprio come uno di quei semplici fiocchetti di neve. In balia di un cielo grigio che era in grado di farli trasportare ovunque. Si sentiva l’animo freddo anche se al tempo stesso, sapeva di avere ancora un cuore puro e candido.
    Nonostante le sue mani, le sue braccia e i suoi vestiti fossero imbrattati di sangue.
    Cercava di allontanarsi da quel corpo che si stava lasciando alle spalle, al più presto ma le sue gambe non gli obbedivano più e ogni passo era sempre più difficile da fare rispetto al precedente. Si fermò con lo sguardo assorto in qualche punto lontano e si lasciò cadere in avanti, le ginocchia affondarono dolcemente nella neve.
    Prese una manciata di neve in una mano e la strinse a pugno, comprimendola tra le dita. Il mucchietto compresso si tinse di rosa. Cominciò poi a spalmarlo sul viso, partendo dalla fronte, scese poi sulle palpebre degli occhi chiari, e infine socchiudendo la bocca, ne incastrò una manciata tra le labbra.
    Si guardò intorno. Bianco. Null’altro che bianco. Dappertutto e ovunque.
    Improvvisamente sembrò destarsi dallo stato di trance in cui sembrava essersi assortito e si voltò verso la direzione da cui era arrivato. L’espressione vigile.
    Il suo sguardo seguì le impronte dei passi che aveva lasciato dietro di sè. Stavano già cominciando a cancellarsi e non essere più visibili. Sospirò profondamente, e il gelo sembrò annidarsi nei polmoni.
    I suoi vestiti logori e sporchi non trattenevano per niente il freddo, e questo ormai aveva cominciato ad aleggiare pure nelle sue membra. I piedi non sembravano più essere attaccati alle sue caviglie, ma staccati e buttati in qualche punto lontano, non li sentiva più.
    Si mise una mano all’altezza del petto. Sentì battere l’unica cosa che in quel momento lo stava riscaldando: il suo cuore candido. Prese altra neve e se la posò proprio lì, dove lo sentiva rimbombare più forte. La felpa sgualcita che aveva addosso si bagnò più di quanto non lo fosse già.
    Prese a tossire, piegandosi su se stesso. Si accovacciò rannicchiandosi nella neve, raccogliendo le ginocchia al petto mentre chiudeva gli occhi. C’era solo lui e nessun’altro.
    Solo dopo qualche istante, invece, si ricordò improvvisamente che non era affatto solo.
    Il pensiero di lei gli attraversò fulmineo la testa facendogli aprire gli occhi di scatto.
    Doveva tornare indietro e raggiungerla. Non poteva perderla proprio ora, lei che era il suo opposto: candida esteriormente ma il ghiaccio che le si era insidiato dentro sembrava essersi creato di mille e mille anni addietro. Si era insinuato e lentamente ci aveva fatto le radici, facendola diventare sempre più distaccata e indifferente. Era rimasta sempre chiusa nel suo piccolo mondo, senza degnarlo mai di uno sguardo.
    Nonostante ciò, lui dal canto suo, aveva cercato di sciogliere invano quel cuore, per tutto quel tempo.
    Si fece forza maledicendosi per la propria stupidità. Era stato stupido a voler a scappare.
    Di certo lui non era un codardo e non scappava.
    Era povero, certo: non aveva un soldo in tasca ma non era tra quelli che scappavano.
    Aveva cominciato a nevicare più forte in quel momento, ma non gli importava niente di quella neve che gli sferzava sul viso e sulle braccia ossute. Era come se non esistesse niente di ciò che lo circondava, perché lui, in quel momento, aveva un obiettivo soltanto. Si mise di nuovo in piedi, le articolazioni della ginocchia scricchiolarono sotto il peso del suo corpo.
    Percorse di nuovo il sentiero da cui era venuto.
    Gli sembrò un’eternità prima di riuscire a raggiungere il posto dove l’aveva lasciata riposare. Ah, la sua dolce metà.
    Notò con una strana curiosità come l’unica traccia del suo sangue fosse rimasta solamente sul proprio corpo e da nessun’altra parte. Un sorriso gli si increspò sulle labbra, pensando a come tutta quella magnificenza di bianco fosse dalla sua parte. Stava coprendo tutto quanto con una cura meticolosa.
    Nascondeva il suo peccato più grande.
    Continuò ad avanzare, un passo alla volta. Con una lentezza che via via si faceva sempre più insopportabile.
    La vide come una visione effimera, qualche metro poco lontano. Dolcemente stesa per terra in tutta la sua bellezza e fragilità, in tutto il suo puro candore. Un sottile velo di neve aveva cominciato a crearsi sulle sue spalle immobili e lungo il suo profilo disteso, coprendo la sua pelle di porcellana con la brina ghiacciata. Solo una volta vicino, riuscì a notare la spessa macchia di sangue che si era formato attorno alla vita della donna fino a scendere lungo le gambe. Quel tipo di alone denso e scuro per il quale ci sarebbero volute diverse ore di nevicata per arrivare ad essere coperto completamente. Del tempo che lui non aveva.
    Era distesa di lato, in una posizione fetale con le ginocchia raccolte al petto, le caviglie erano intrecciate l’una nell’altra. La schiena completamente esposta. Il viso era coperto dalle braccia che circondavano la testa affondata nella neve.
    Non un singolo strato di tessuto che le coprisse qualche centimetro di pelle.
    Lui le cadde di fronte, prostrandosi dinanzi a quella pura forma di arte racchiusa nel corpo di donna.
    SI avvicinò e si mise a qualche centimetro dalla sua faccia nascosta. Spostò le braccia irrigidite scoprendo il suo bellissimo e innocente viso.
    Quegli occhi chiusi che non avrebbero più mostrato il loro colore al mondo, alcuni fiocchetti posati tra le ciglia lunghe e folte sigillavano le palpebre abbassate. La bocca gli ricordava un bocciolo di rosa appena sbocciato, fresco e in attesa. Avvicinandosi, le posò un bacio sulle labbra socchiuse. Erano gelide come il marmo ma non gli erano mai sembrate così dolci e invitanti come in quel momento.
    Si scostò di qualche millimetro, percorrendo con la punta dell’indice i lineamenti fini e graziosi del suo viso. Gli sembrava quasi intrappolata in un fiaba magica, una di quelle dove la principessa si sarebbe potuta ridestare solo con un bacio. Ma non stava funzionando. Forse la loro fiaba era diversa da tutte le altre.
    Le appoggiò le mani sulle spalle e con uno sforzo non indifferente cercò di rivoltarla completamente verso il cielo. La sua folta chioma nero pece le cadeva inondando il seno nudo, coprendolo come meglio poteva. Lui scostò uno ad uno le ciocche, fermandole dietro le sue orecchie e le spalle. Soltanto dopo, la ammirò nel pieno della sua più pura belleza carnale. Non l’aveva mai vista a quella poca distanza prima d’ora. Non seppe dire quanto tempo rimase lì, ad osservarla. Anche il freddo sembrava non esistere più, il solo calore del suo immenso amore platonico li stava riscaldando entrambi.
    Le prese delicatamente le ginocchia ancora accostate al busto e guidò le gambe lungo il suo corpo, distendendole davanti a loro. Il ventre sporco di sangue scuro rimase esposto nell’etere grigio.
    Con l’indice, lentamente, cominciò con estrema cura a tracciare righe immaginarie sulla sua pelle, chinato accanto al suo corpo rigido e senza un singolo velo, se non quella leggera brina di gelo che cominciava a crearsi sui punti più esposti.
    Tutto il suo corpo denudato stava rigido e immobile alla mercè di quell’immenso cielo e di lui. L’uomo dal canto suo, non si sarebbe mai permesso di rovinare quella pelle così delicata. Nemmeno un graffio si sarebbe azzardato a riportarle. Sarebbe stato come rovinare una rosa appena schiusa; un vero peccato. Ma lui in fondo, era un peccatore.

    Con le dita ormai era arrivato a sfiorare l’addome per poi scendere ancora più giù, verso il basso ventre. Studiò interminabili attimi la ferita. Portava un taglio profondo dai lembi squarciati. Un unico taglio verticale, che andava da un fianco all’altro, semplice e letale.
    Le sue dita scesero ancora di poco, seguendo la direzione dell’interno delle cosce, una rotta immaginaria di cui solo loro conoscevano l’orientamento. Vi sostarono qualche istante per godere meglio il sapore della pelle e poi continuarono nella propria discesa verso gli incavi delle ginocchia.
    Si protese ulteriormente su di lei, abbassandosi. Le cinse il corpo tra le proprie braccia, stringendolo a sè in modo vigoroso. Non aveva più nessuna intenzione di separarsene.
    Le posò una mano sul ventre, proprio sopra la fresca cicatrice del taglio che riportava.
    Posò il naso sulla sua guancia e inspirò profondamente, immaginando di quale profumi fosse stata portatrice un tempo. Osservava le guance dalla pelle liscia che avevano ormai assunto il pallore della morte, nonostante solo poche ore prima erano di un colorito roseo e vivace.
    Rigettò il respiro caldo sulla sua bocca schiusa, come per trasmettergli quegli ultimi spiragli di vitalità e ossigeno. Rimase a divorarla con il suo sguardo affamato, saziandosi.
    In quel momento pensava a come fosse tutto così straordinario, a quanto fosse potente la forza dell’amore. Non gli importavano le circostanze, ora erano insieme. Era tutto ciò che contava. Pensava a come fosse incredibile che il suo più grande amore avesse esalato il suo ultimo respiro proprio tra le sue braccia. Quante notti insonni aveva passato sognando di ritrovarsi a quella minima distanza tra i loro corpi. Rise mentre calde lacrime cominciarono a rigargli il viso. Il suo più grande desiderio si era avverato, era convinto che tutto ciò era avvenuto solo grazie alla purezza e innocenza del proprio amore che provava per lei, i suoi sentimenti avevano vinto su tutto il resto. Il mucchietto di semplici fiori che le lasciava sempre sull’ingresso di casa, ogni sera. Pure quando lei rientrava con quel ragazzo. Ma non aveva più importanza perché adesso, aveva tutto quel ghiaccio che li avrebbe resi immortali nella sua morsa glaciale, intrappolando lui e la sua vivida passione per lei in un momento eterno e senza fine.
    Gli occhi si posarono sulla sua lunga chioma che in quel momento le stava cadendo morbidamente attorno al corpo, come una nuvola scura e protettiva, gli rammentarono in un battito la prima volta che avevano attirato la sua attenzione.
    Ricordarono come erano stati incapaci di staccarsi da quei capelli neri, per poi scendere lungo il suo corpo sinuoso avvolto in un vestito giallo. Non era riuscito a vederla in volto quella prima volta. Gli stava dando le spalle mentre rideva, parlando con il ragazzo che camminava accanto a lei. Si stavano allontanando a passo lento, quasi senza fretta.
    Ad un certo punto lei era scoppiata in una fragorosa risata per qualcosa che lui le aveva sussurrato all’orecchio. Il suono della sua voce cristallina che arrivò alle sue orecchie come un rimbombo dalla lontananza, gli aveva fatto saltare un battito del cuore.
    Lo sguardo aveva seguito la sua figura finché non scomparvero entrambi in un punto lontano, dietro l’angolo della via.
    Come destandosi da una dolce vision dal quale aveva avuto un brusco ritorno alla realtà, i suoi occhi erano poi tornati a fissare la ciotola davanti a lui. Quel giorno aveva ricevuto poco rispetto al solito: aveva cambiato posto sistemando il suo cartoncino fradicio sotto il portico poco accanto all’entrata del supermercato. E si ringraziò perché ne era valsa la pena; quella notte avrebbe cercato di dormire con la pancia più vuota del solito, ma la visione di quella donna senza volto valeva tutti gli spiccioli del mondo. La sua lunga chioma morbida che le cadeva sulle spalle come un mantello, e il suono cristallino della sua risalta che anche dopo ore aveva continuato a risuonare nell’orecchio riscaldando gli interni di quel cuore che ormai si stava congelando.
    Un piccolo fiocco che si posò sulla punta del naso della donna tra le sue braccia, lo riportò alla realtà da quel flashback. Con la punta del proprio indice lo tolse via in fretta, come se fosse stato un granello di polvere che stava macchiando un oggetto prezioso di cui lui stava avendo cura.
    Cominciò lentamente a coricarsi, sulla neve gelida, con il corpo inerme stretto ancora tra le proprie braccia.
    La mano cominciò a percorre i suoi centimetri di pelle, nuovamente. Ne avrebbe memorizzato ogni minima curva, senza stancarsene.
    Questa volta le dita sostarono sul taglio orizzontale. Al tatto, ricordarono il modo deciso in cui avevano tenuto la lama metallica nella mano, dal bordo sdentato e affilato, quando questa aveva cominciato ad affondare nella carne morbida del ventre, fino ad andare diversi centimentri in profondità e solo dopo, con forza aveva cominciato a seguire una linea precisa e dritta incidendo la pelle mentre fresco sangue aveva cominciato ad uscire a fiotti, disegnando fiori scarlatti sul ventre, colorando il pube e le cosce, fino ad arrivare a coprire interamente le gambe.
    La mano poi aveva posato la lama, e aveva cominciato a sfiorare il bordo accaldato della ferita con le proprie dita. L’apertura era delle dimensioni giuste: era abbastanza grande da riuscire a far entrare un arto.
    Dopo qualche istante di esitazione, le dita erano entrate con forza violando quella carne ancora calda. Non erano mai state invitate. Avevano qualcosa da cercare nel ventre di lei. E poco dopo lo avevano trovato: un involucro molliccio e sferico di medie dimensioni, avvolto in veli viscidi e scivolosi.
    Un feto.
    Una piccola creatura che stava crescendo nella pancia di quella donna che invece, doveva essere sua soltanto. La mano aveva rovistato per qualche altro minuto, in quel bacino di rosso scarlatto, finché finalmente era riuscita ad avere una presa salda intorno all’embrione ed era riuscita ad estrarlo dal corpo senza vita che lo teneva in grembo; il posto dove stava crescendo ma ormai non sarebbe stato più possibile. L’altra mano solo a quel punto, aveva preso di nuovo la lama e aveva tagliato ogni connessione con l’utero nel quale era stato ospitato.
    Solo in quel momento era riuscito ad estrarre completamente quella piccola creatura che stava assumendo le sembianze umane, e osservarla all’aria aperta. Chissà se il suo piccolo cuoricino stava ancora battendo in quel grumo di pelle e cartilagine, si chiede quando fosse stato il momento in cui aveva cessato definitivamente i battiti. Le sue dita si scordano della crudeltà appena commessa, accorgendosi improvvisamente della fragilità di quel piccolo essere, ma si ricordarono anche di come quello fosse il frutto di un altro uomo. Quell’uomo che non aveva il diritto di aver seminato dentro la sua amata. Gli venne voglia di stritolare e schiacciare quello che sembrava avere le dimensioni di un topo indifeso, solo con la differenza di vere braccia e gambe ben distinte dal resto del corpicino. Si stava già formando.
    Non ne ebbe il coraggio. Lui, non era un uomo crudele. Stava solo proteggendo ciò che doveva essere suo; e quel futuro nascituro non lo era.
    Le dita quindi lo lasciarono semplicemente cadere con disgusto per terra, questo toccò il pavimento facendo un leggero tonfo, finendo per rotolare nella pozza di sangue che si era formata ai loro piedi. Aveva quindi stretto il corpo inerme della ragazza tra le braccia, e lo aveva trascinato verso il corridoio che ricordava portare verso il bagno.
    Una volta dentro, lo riversò nella vasca e aveva cominciato a lavarla con cura, cercando di lavare ogni traccia di sangue dal suo corpo, cercando di pulire con accuratezza la sua ferita. Ma sotto l’acqua scrosciante, ogni cosa cominciava a tingersi di rosso. Lui stesso compreso.

    Aveva lavato e sfregato, inginocchiato di fronte la vasca. Smettendo soltanto quando era rimasto solo pelle candida e pulita, nessuna traccia di sangue coagulato era rimasta sul quel corpo, di nuovo puro. Solo suo.
    Solo allora si era alzato, e cercando la camera matrimoniale si era diretto verso il letto, e nonostante il pensiero di lei su quel materasso con qualcuno gli rivoltava le interiora, si avvicinò e tirò via la trapunta. Precipitandosi poi fuori dalla stanza di nuovo e ritornando al bagno.
    Ci aveva avvolto il suo corpo con estrema cura e se lo era sistemato su una spalla, cingendo le sue gambe con un braccio. Si era poi, diretto verso l’esterno dove stava imperversando una forte bufera, incurante del macello che si era lasciando alle spalle. Aveva camminato e camminato, prendendo le direzioni più disparate, fin quando non si accorse di essere giunto al limitare di un campo innevato. Lo aveva attraversato, senza seguire una linea ben precisa, e non riuscendo più a reggersi in piedi, alla fine aveva deciso di posare il corpo avvolto che portava in spalla. Lo mise sulla neve, che sotto il peso, affondò leggermente. si era liberato della trapunta che nascondeva quel corpo.
    Se l'era ritrovata così, nuda tra proprie braccia, come mai avrebbe pensato potesse succedere.
    In quel momento la neve aveva cominciato ad imperversare impetuosa e fu soltanto una fredda ventata a ridestare l’uomo da quello che erano stati gli avvenimenti delle poche ore precedenti.
    Posò la guancia sul suo seno indurito dal freddo, il corpo si stava immobilizzando. In una metamorfosi con un pezzo di marmo, ora nemmeno il tempo avrebbe potuta scalfirla. Quella neve e quel ghiaccio l’avrebbero resa eterna, come solo lei meritava di essere.
    Immaginò per un istante che piega avrebbero potuto assumere le sue labbra, se avesse provato a pronunciare il suo nome, che cadenza avrebbe assunto le vocali, e la durezza di alcune consonanti, la lingua che avrebbe accarezzato il palato scontrandosi un poco con i denti.
    Non lo avrebbe mai saputo.
    La sua mente andava abbandonando la ragione, non riusciva più a pensare razionalmente. Un solo pensiero lucido era rimasto, in mezzo a tanto buio. La preziosa ed unica volta in cui i loro sguardi si erano incrociati, un istante prima che lui le avesse posato la mano sulla bocca per reprimere il suo urlo, mentre con l’altra le aveva stretto un fazzoletto imbevuto nel cloroformio. E l’aveva stretta a sè, finchè non era caduta in un sonno profondo. E solo allora aveva cominciato la propria opera, destinata a fare quella donna sua per sempre.


    Ma tu che stai, perché rimani?
    Un altro inverno tornerà domani
    cadrà altra neve a consolare i campi
    cadrà altra neve sui camposanti.

    DE ANDRÉ



    Edited by Pavone Bianco - 4/8/2019, 21:21
     
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    L'ho trovato molto creepy e, seppure di per sé sua molto travolgente, un po' troppo forte per il mio stomaco.

    Forse un piccolo disclaimer sarebbe stato utile, se non altro per prepararmi psicologicamente. ;)
     
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    ti ringrazio per la lettura e il commento, Milly :) creare questa atmosfera creepy era nel mio intento.

    CITAZIONE
    Forse un piccolo disclaimer sarebbe stato utile, se non altro per prepararmi psicologicamente.

    mea culpa. Chiedo venia :D mi è proprio sfuggito di mettere un avviso per i lettori sensibili.
     
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    Qual è il sogno di una nave? Navigare o arrivare in porto?

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    La narrazione scorre fluida e la nebbia di follia di cui tutto il racconto è permeato tiene incollati allo schermo. Come ha detto Milly, è molto creepy, ma mi è piaciuto.
     
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    MI HAI SCOMPIGLIATO I CAPELLIIIII!!!

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    Correggerei un po' di punteggiatura, ma ho trovato molto bello il contrasto tra forma barocca e contenuto di follia (sembra la narrazione della mente malata di un feminicida)
     
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    Ti ringrazio, Noor!
     
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