Ce ne sono di più belle

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    Ciao a tutti. Erano anni che non scrivevo, ho ripreso da poco e ho sentito l'esigenza di condividere quello che scrivo con qualcuno che possa magari darmi qualche consiglio e qualche suggerimento.
    Vi lascio i primi due capitoli del "romanzo" che sto scrivendo sperando che vi piaccia.

    Adesso/ora/in questo istante, domenica

    Era una notte fredda e buia…
    No scherzo, mi faceva ridere iniziare così.
    Non so neanche perché ho deciso di raccontare questa storia, forse perché mi sembra così incredibile che magari solo scriverla riuscirà a farla sembrare reale. Non scrivevo da tantissimo tempo, una volta mi piaceva tanto scrivere storie assurde, impossibili, di amori tormentati, con persone irraggiungibili, con persone mai conosciute, idealizzate solo nella mia testa. Ma forse a quei tempi mi sembrava tutto possibile. Quando non conosci qualcosa ci pensi di continuo, lo immagini in mille modi diversi e , ovviamente, alla fine, non è quasi mai come immaginavi. Un altro motivo per il quale ho deciso di raccontarvi questa storia è perché ho da sempre l’assurda convinzione che condividere qualcosa sia sempre un bene. Anche se chi vi sta di fronte può sembrare che non vi ascolti, non è necessariamente così. Vi sarà capitato di ascoltare una brutta storia distrattamente, voi andate avanti con la vostra vita pensando che non vi capiterà mai, poi invece vi capita. Perché capita sempre. E in quel momento sta a voi decidere se aver fatto tesoro di quella storia o fare la stessa cosa sperando in un risultato migliore. Fatto sta che eravate stati avvisati.
    Quindi io vi avviso, leggete la mia storia, mettetela nei cassetti della vostra memoria e fatene buon uso.
    Ah e se vi state domandando perché questo libro si chiami “ce ne sono di più belle”, venite con me a martedì 12 giugno 2018.



    12/06/2018, martedì

    Oggi è il mio compleanno. Il mio trentesimo compleanno, di martedì, che orrore.
    Secondo me tutti i giorni di festa dovrebbero essere di domenica, come la Pasqua. Così il sabato sera puoi festeggiare in un locale ed aspettare la mezzanotte e la domenica fare un pranzo con i familiari. Da questo mi sembra chiaro che questi 30 anni puzzano, tantissimo. Sto andando a lavoro, quando ero piccola il giorno del mio compleanno facevo le trecce o mettevo una fascia nuova, insomma si doveva capire che era il mio compleanno, che ero la festeggiata. Adesso mi guardo allo specchio e vedo il solito riflesso e, come al solito, non mi soddisfa. Perdere quei famosi 3-4 kg non mi farebbe male anche se, ripensando a vecchie foto, va benissimo così. Indosso un abito nero senza maniche degli stivaletti con il tacco largo, fará anche caldo, ma i piedi in mostra non li metto, odio i piedi. Ho il solito trucco sui toni del beige e un filo di abbronzatura, l’altro ieri c’era il sole e mi sono distesa sul lettino fuori al terrazzo tutta la mattina. Che goduria. I miei occhi verdi mi guardano, ci guardiamo per un po', quante cose ci siamo detti in questi anni. Prendo il cellulare dal tavolo, afferro la borsa ed esco prima di farmi tentare dal cassetto del peccato. Lo so che lo avete tutti. Quello dove avete i biscotti e le patatine. Forse a 30 anni dovrei avere un cassetto delle delizie come in sex and the city? Con vibratori e lubrificanti. Ma ci pensate? Prendo l’ascensore ed esco fuori, è una giornata meravigliosa. Altra cosa, il giorno del mio compleanno non deve piovere, la pioggia è una cosa orrenda. Se il giorno del mio matrimonio piovesse non mi sposerei. Giuro. Inizio a passeggiare verso il negozio, lavoro in un negozio di cosmetici di alta profumeria, amo il mio lavoro. Mi guardo intorno mentre il paese prende vita. Vivo qui a Guanaro da più di un anno e ancora mi meraviglio del fatto che ci sia così poco traffico, così poca frenesia. Si trova in Campania, sul mare. “Sono nato a Napoli, perciò mi piace il mare” diceva una canzone di Pino Daniele. Quando in azienda si era liberato un posto in questo paese tutti avrebbero scommesso che mi sarei proposta, nessuno avrebbe scommesso sul fatto che dopo un anno e mezzo sarei stata ancora qui. Arrivo al negozio e saluto le ragazze. Una si chiama Jamila è una meravigliosa ragazza di Capo Verde, ne ho conosciute di donne in vita mia, ma cazzute come lei davvero poche. Adesso le ho messo sotto una ragazza nuova, Sabrina, e come forma lei le nuove arrivate, nessuna. Jamila mi segue nella nostra saletta privata dietro al negozio e noto un caffè e un cioccolatino fondente. “Auguri boss!” mi dice e si siede sul nostro divanetto rosso, ho una fissa per i dettagli rossi, se un posto è stato arredato da me, state certi che c’è qualcosa di rosso. Mangio il cioccolatino, prendo il caffè e mi fumo una sigaretta. “Glielo devo dire alla nuova che è il tuo compleanno?” mi domanda scuotendo la testa, mi scoppia una risata. Adoro Jamila proprio per questo, è come me. “Non dirle niente, alla fine è solo un compleanno” dico alzando le spalle. Vedo la me bambina con la sua fascia nuova in testa guardarmi con disapprovazione. “Va bene, anche perché questa secondo me non ci arriva a settembre” sogghigna, e io le lancio un’occhiataccia mentre esce fuori. Odio dover fare contratti così brevi, so cosa vuol dire lavorare avendo una scadenza sulle spalle. In questo negozio lavorano quattro ragazze. Jamila il venerdì e il sabato lavora anche il pomeriggio, così io sono libera. Gestire quattro donne non è un compito facile, ma diventa ogni giorno più fattibile. Oltretutto qui a Guanaro non è che ci sia questo gran da fare. Faccio un sospiro e tolgo la modalità aereo dal cellulare. Iniziano ad arrivarmi notifiche a raffica, sorrido e inizio ad aprirle. Leggo velocemente i messaggi su whatsapp, do un’occhiata alle storie dove sono stata taggata e prima di vederle tutte squilla il telefono. Mia mamma. “Eki” rispondo sedendomi alla scrivania e accendendo il portatile, la sento ridere. Dirci “Eki” al telefono è un vecchio gioco tra me e lei, quando iniziò ad utilizzare whatsapp ogni volta che mi contattava sbagliava a scrivere e mi scriveva sempre EKI, da allora è diventata un’abitudine chiamarci così. Chiacchieriamo un po’ distrattamente mentre do un’occhiata alle mail sul computer, noto un invito ad un evento. Sospiro e attacco con mia madre. Un tempo eventi di questo tipo mi avrebbero mandata in fibrillazione. Un evento per il lancio di una nuova linea di cosmetici, in un albergo prestigioso di Sorrento, un’ apericena. “Apericena” mormoro infastidita. Che termine idiota. È la nuova frontiera della mancanza di dialogo tra le persone. Un tempo si facevano le cene, ci si sedeva, si parlava, si chiacchierava, ci si raccontava. Andavi alle cene sperando di avere al tavolo i tuoi conoscenti o comunque qualcuno di interessante. Adesso invece si va a queste serate in cui si mangiano stuzzichini e si beve qualcosa chiacchierando distrattamente con tutti. Oltretutto sono convinta che l’inventore di quest’assurdità sia un uomo. Una donna non avrebbe mai inventato una serata che prevedesse stare sui tacchi tutto il tempo e passeggiare in maniera disinvolta tra il tavolo del buffet e il bar. Sospiro di nuovo e inizio a guardare la lista delle cose che mancano e che vanno ordinate. Dopo un paio di ore mi sono messa in pari con tutto quello che c’era da fare, il martedì è una giornata serena dopo la frenesia del lunedì. Il lunedì i centri estetici sono chiusi e tutte le estetiste della zona vengono da noi a dare un’occhiata alle ultime uscite. Oggi pomeriggio Lorenza, avrà un bel da fare sui social con tutte le cose nuove che sono arrivate. Lorenza è il mio orgoglio più grande, le ho insegnato ad usare i social nel migliore dei modi, ha avuto un contratto a tempo indeterminato e quando pubblichiamo qualcosa sui nostri social in pochi giorni la merce va a ruba. Fortunatamente qui a Guanaro non dobbiamo gestire la vendita online. Nonostante compri tantissimo su internet, mi piace l’idea di avere qualcosa di esclusivo. Qualcosa che si può comprare solo in quel determinato negozio. Come quando anni fa per avere una borsa di Marc Jacobs ho fatto il giro di Parigi. Sono passati più di dieci anni, ma mi sembra ieri che giravo per Parigi felice con la mia busta scintillante di Marc Jacobs, ci ho fatto mille fotografie con quella busta. Adesso quella borsa mi arriverebbe a casa in meno di 48 ore. Jamila entra nel negozio e io la guardo, - come sta andando?- domando –stiracchiandomi, lei si accende una sigaretta – bene – mi risponde, la guardo sospettosa, e lei sbuffa
    – Sabrina ha venduto tre confezioni di quella crema costosissima che hai voluto prendere a tutti i costi – sentenzia alzando le spalle, scoppio a ridere. – Lo sapevo che era brava, lo sapevo – esclamo trionfante. Ho conosciuto Sabrina qualche mese fa, mi ha fermata per strada dicendomi che si ricordava di me perché mi aveva vista fare dei video su Youtube. La storia dei video sul web mi fa ancora ridere, sono passati almeno quattro anni dal mio ultimo video e ancora c’è gente che mi contatta chiedendomi quando ritornerò a farli. Ma adesso non saprei cosa raccontare, non avrei neanche il coraggio a trent’anni di mettermi di fronte ad una fotocamera e parlare da sola. – trent’anni – dico alzandomi, Jamila alza distrattamente lo sguardo dal cellulare. A trent’anni non si fanno i video su you tube, a trent’anni si va agli apericena.
     
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    Mi pare scritto bene. Molto femminile e... autobiografico?
     
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    Bastiano_M Ti ringrazio. Diciamo un'autobiografia rivisitata :)

    15/06/2018 venerdì

    Se scopro chi ha inventato questi caspita di aperitivi lo denuncio. Sto andando a quel famoso evento. Sono in macchina e sto borbottando da mezz’ora. Ho indossato un abitino verde smeraldo senza spalline, mettere le cose senza spalline aiuta a creare l’illusione ottica di avere la vita più stretta, provare per credere. Ma mi sono accorta solo andando a prendere la macchina nel box che le mie nuove decolletè nude hanno un tacco assassino che mi farà dondolare tutta la sera. Mi stia lontano chi soffre di mal di mare.

    “Non voglio vivere tutte le vite, vedere ogni posto del mondo…”

    Sta cantando Elisa dalla radio, tengo il tempo con le dita sul volante e canticchio sottovoce. Quanto si cambia. Negli ultimi anni ho chiuso una relazione d’amore, relazioni di amicizia e cambiato città. Se me lo avessero detto qualche anno fa, non ci avrei mai creduto. Arrivo alla location e non posso fare a meno di sorridere. Adoro Sorrento. Scendo dalla macchina e mi fermo un attimo a guardare il cielo, c’è una luna piena che sembra quasi di poterla toccare. Nell’aria c’è un leggero odore di fiori e di limoni. Da lontano si sente la musica e un chiacchiericcio piacevole. Mi godo la solitudine per qualche istante e poi vado verso l’entrata maledicendo le mie scarpe. – Inizia lo show - dico sorridendo. Entro nell’albergo e incrocio un paio di volti conosciuti. Mi fermo a parlare con loro. Da qualche anno a questa parte ogni volta che apro il portone di casa o che arrivo a lavoro, o che incontro qualcuno mi dico che sta per iniziare lo show. Un po’ come se ogni volta che interagissi con il mondo salissi su un palcoscenico. Poi le luci si spengono, le tende si chiudono e se ne riparla alla prossima replica. Mentre guardo il panorama mozzafiato e sto per perdermi in vecchi ricordi sento una presenza accanto a me, mi volto e vedo un uomo sulla quarantina, molto alto con i capelli ricci scuri che mi fissa senza dire niente. Gli lancio uno sguardo interrogativo piegando la testa di lato e lui sorride, un sorriso irregolare, accattivante. Mi tende la mano – Roberto – dice, afferro la mano e sorrido – Rossella - - Rossella – ripete lui – quante volte ti sei sentita dire domani è un altro giorno? – scherza appoggiandosi alla ringhiera – troppe – rispondo alzando gli occhi – ma a mia madre piace quel film, forse sperava che fossi come Rossella, ma fossi stata io nei suoi panni sarei morta già nel ritorno a Tara in carrozza – aggiungo , lui scoppia a ridere e io ho un pizzico di fastidio, non faceva così ridere, non amo gli uomini accondiscendenti. Poi mi rimprovero, sono sempre la solita brontolona. Iniziamo a chiacchierare del più e del meno, scopro che lavora in una società che si occupa di pubblicità, che vive a Napoli da solo e che ha vissuto a Milano per tre anni. Non ne parla benissimo e io sono un po’ contrariata, Milano è una città che a me piace molto perché ogni volta che ci vado mi sento viva. – ci hai mai fatto caso che i napoletani hanno un po’ la fissa di parlare necessariamente male di qualsiasi città del nord? – domando - se una città è bella lo è e basta, senza dover necessariamente competere con un’altra, stare sempre lì a difenderla dà la sensazione che forse così bella non è – aggiungo senza dargli la possibilità di rispondere, lui mi scruta per un secondo e poi alza le spalle – hai ragione, un po’ come le donne, se una donna è bella lo è e basta, senza doverla paragonare a nessuno – dice guardandomi fisso negli occhi, sento che sto arrossendo, lui se ne accorge e gli leggo negli occhi un lampo di soddisfazione, mi dice che deve andare a parlare con una persona e mi lascia lì. Io faccio un sorso di champagne e mi addentro nella folla facendo ripartire lo show. A fine serata esco barcollando dall’ albergo prima che la festa finisca, è una cosa che un tempo non mi sarei mai perdonata. Anche quando durante qualche mia festa qualcuno andava via prima della fine la prendevo sul personale, come se fosse indice di noia. Mentre vado verso la macchina vedo Roberto andare verso quella che immagino sia la sua macchina e guardo la mia macchinina rossa e la confronto al suo macchinone nero lucido dall’aria costosa. Un po’ come sono sempre stata io nella vita, piccola e ridicola. Noto che sta per girarsi verso di me e faccio finta spudoratamente di non averlo visto entrando in macchina. Trent’anni suonati e ancora vigliacca. Complimenti. Mentre sono ferma al cancello aspettando che mi aprano per andare via si affianca la macchina di Roberto che abbassa il finestrino e mi fa segno di abbassare anche il mio. Lo guardo interrogativa piegando nuovamente la testa di lato. – Stavo pensando che una donna è bella non solo quando non c’è bisogno di paragonarla a nessuno, ma anche quando ne ha piena consapevolezza e tu non ne hai – dice a voce alta – mi stai dicendo che sono brutta? – domando sorridendo, lui scoppia a ridere – sto dicendo che una donna bella come te dovrebbe averne la consapevolezza e tu non ce l’hai, non capisco il perchè – risponde, io alzo le spalle – non c’è un perché, anche perché ti invito a guardarti intorno ce ne sono di più belle – dico alzando il finestrino e mettendo in moto. Mentre vado via mi batte un po’ il cuore e quando mi metto a letto sono ancora agitata. Ma non per Roberto, figuriamoci. Lui fa riferimento ad un prototipo di uomo che in realtà non esiste, se vuole fare colpo su una donna deve abbassare un altro po’ il target di età. So perché sono agitata. Sorrento, i limoni, i discorsi sulla bellezza. Sospiro mi volto su un fianco e do un’occhiata alle lucine che ho fuori al terrazzo. Adoro le lucine. Mi addormento.












    17/06/2018 domenica

    Sono seduta fuori al terrazzo e guardo il mare in lontananza, riesce sempre a mettermi un senso di pace, a rilassarmi. È mezzogiorno sono sveglia da un paio di ore e sono da un’ora seduta per terra all’ombra. Oggi è una giornata nuvolosa, niente a che vedere con domenica scorsa. Suona il citofono e io non mi muovo. Non ho idea di chi possa essere. Suonano di nuovo e mi alzo, vado a rispondere camminando a piedi nudi per casa. Due pessime abitudini, sedermi per terra e camminare scalza. Mia mamma sarebbe arrabbiatissima se mi vedesse. Rispondo al citofono e apro un po’ sorpresa. È Laura, una delle mie migliori amiche di Napoli, sono un po’ preoccupata mentre aspetto con la porta aperta fissando l’ascensore, che sia successo qualcosa? A volte sono così presa dalla mia vita qua che mi dimentico della mia vita prima di venire qui a Guanaro, prima di andare via da Napoli, prima di andare via da tutto. Si aprono le porte e Laura mi viene incontro, mi abbraccia e io la faccio entrare osservandola. È alta e formosa, ha i capelli neri e gli occhi a mandorla. Un taglio di occhi asiatico sul corpo di una donna mediterranea. Si guarda intorno e sorride. – se mi chiedessero di chi è questa casa soltanto guardandola, saprei senza dubbio che è la tua. Il divano rosso con la stampa della bambina con il palloncino di Banksy e sono sicura che se rimango qui fino a sera spunterà qualche lucina – mi dice sedendosi sul divano, io la osservo e sorrido – che cosa vuoi? – le domando, lei mi guarda severa e io mi accendo una sigaretta - non me ne vado da qui fino a che non mi racconti tutto quello che è successo, non puoi evitarmi per sempre – dice incrociando le braccia, io la guardo senza parlare e lei mi ricambia lo sguardo, poi accavalla le sue lunghe gambe e sorride – fai finta di essere ad un talk show – mi canzona, io le lancio uno sguardo di disapprovazione. Questo è il guaio quando racconti tutto alle tue amiche, che poi ti si ritorce contro. Un tempo le confidai che a volte (spesso) faccio finta di essere intervistata da qualcuno su qualcosa, a volte è qualcosa di vero altre è inventato. Qualche volta (spesso) metto anche su la musica e fingo di vedere qualche video di quelli che fanno vedere alla tv, quelli dove si ripercorrono tutte le tappe della tua vita. Sospiro e mi alzo per preparare un caffè – non ho voglia di parlarne e poi sai già che cosa è successo – dico svitando la macchinetta, riesco a sviare il discorso e a parlare di altro, le racconto della festa di venerdì di Roberto e fingo di essere particolarmente interessata a lui. – ho intenzione di scoprire il suo numero di telefono o qualche social – dico bevendo l’altra metà del caffè che mi ero conservata, mi accendo una sigaretta e Laura si alza, io la seguo fuori al terrazzo e rimaniamo in piedi a guardare il mare, - non mi piace quando mi dici le bugie, lo sai, pensavo che dopo più di un anno ti andasse di parlare con me, ma evidentemente mi sbagliavo, adesso vado via che ho appuntamento con Carola a Sorrento – dice andando verso la porta io la seguo, sto per chiederle come sta Carola, lei sorride – Carola sta bene, ieri era a Sorrento con Simone, il suo nuovo fidanzato, le ho chiesto di intrattenersi così prima passavo da te, poi pranzo con lei – mi dice, io annuisco, non so chi sia Simone, non so più niente, un tempo non sapere le cose era l’unica cosa che mi faceva andare in bestia. Laura mi osserva un altro po’ e poi apre la porta – per le sette saremo a fare un aperitivo, se ci vuoi raggiungere contattami – dice scendendo le scale. Chiudo la porta mi siedo sul divano e sospiro, poi mi alzo vado alla consolle dove tengo tutti i trucchi e il mio enorme specchio, mi guardo e sorrido.
    Prendo il mio cellulare e avvio la registrazione vocale.
    “Qualche anno fa non avrei mai creduto di trovarmi qui, in questo studio televisivo, a parlare della mia vita. Qualche anno fa ero a Napoli, fidanzata da 5 anni con quello che credevo fosse l’amore della mia vita, vivevo a casa con i miei genitori, ma non vedevo l’ora di andare a convivere. Non perché a casa mi trovassi male, ma perché iniziavo a sentire la necessità di avere uno spazio mio, uno spazio dove tornare la sera dopo un’uscita o dove stare insieme evitando un’uscita. Avevo trovato un lavoro che adoravo e stava andando anche abbastanza bene. Decisi che era venuto il momento di cercare casa e finalmente andammo a convivere, non era proprio la casa dei miei sogni, né la zona che avevo sempre sognato, ma andava benissimo. Andava benissimo perché finalmente quel bisogno che sentivo di avere un nuovo spazio dove costruire ricordi di vita era stato soddisfatto. Brutta storia essere fissata con i ricordi, bruttissima. Facemmo un viaggio, viaggiavamo tanto. Viaggiavamo perché io amo viaggiare, lui non proprio, erano tante le cose che non amava fare, troppe.
    Eravamo su questa spiaggia di sabbia bianca finissima, era il tramonto. Lui mi chiese di sposarlo e io quasi stentavo a crederci. Avevo sempre scherzato sul fatto che lui era talmente privo di iniziativa che un giorno avrei dovuto fare la proposta io a lui. E invece lo aveva fatto lui, con i piedi immersi nella mia adorata sabbia bianca e con i nasi bruciati dal sole dei miei amati Caraibi. Iniziò tutta l’organizzazione, finalmente potevo avere il mio giardino di limoni, il mio matrimonio di sabato sera, il mio matrimonio in costiera, il mio matrimonio con le lucine, il mio matrimonio con le canzoni napoletane, il mio matrimonio Anema e Core, il mio matrimonio. Un giorno mentre ero per strada tornando verso casa, vidi una bambina, avrà avuto pochi anni, le cadde l’orsacchiotto che portava in braccio, la mamma lo raccolse e lei iniziò a gridare – è mio, è mio – e la madre subito glielo consegnò, sorrisi e continuai a camminare. Mio, mio. È mio, è mio. Mi fermai. Era tutto mio. Erano i miei sogni, i miei desideri, la mia casa, il mio matrimonio, tutto mio. Non nostro. I miei viaggi, i miei week end, i miei ristoranti preferiti, i miei film del cuore, la mia musica. La mia macchina, la mia posizione preferita, il mio lato del letto, il mio armadio. Mentre passavano i giorni, ormai nella mia testa sentivo soltanto la voce di quella bambina – è mio, è mio -. Era tutto mio? Avevo fatto tutto io? Era la mia relazione o la nostra relazione? Il mio modo di pensare, il mio concetto di libertà, la mia idea di rispetto. Che cosa sarebbe successo se mi fossi fermata? Un po’ come un carillon, che quando smette di suonare devi dargli nuovamente la corda. Senza quella non ripartirebbe. Lui avrebbe fatto ripartire il carillon? Era troppo tardi per provarci, era troppo tardi per pensare. Era troppo tardi? Facemmo una cena con degli amici una settimana prima del matrimonio, durante quella cena un amico nostro disse che la mamma lo aveva obbligato a mandargli delle foto mie vestita da sposa, gli aveva detto che ero una delle ragazze più belle che avesse mai visto e che sarei stata una sposa splendida. Io sorrisi distrattamente, non sono abituata ai complimenti, non ne ho mai ricevuti tantissimi, da lui. Un’altra amica gli fece eco dicendo che anche lei non vedeva l’ora che venisse il giorno del matrimonio perché io avevo il viso più bello e perfetto che conoscesse. Vi giuro che lo dissero da soli, non li avevo pagati. E, a mio avviso, stavano anche esagerando. Entrambi si voltarono verso il mio futuro marito sorridendo e lui rispose – va beh, ce ne sono di più belle -, iniziammo a parlare di altro, ma quella frase riuscì a sostituire la voce della bambina. Adesso sentivo solo la sua voce che diceva che ce ne erano di più belle di me. Mi vennero in mente tutte le volte in cui non mi aveva detto che ero bella, tutte le volte che mi aveva detto che non sarei mai stata magra, tutte le volte che mi aveva raccontato che degli amici gli avevano detto che lui era più bello di me. Non ricordo i giorni successivi, ricordo solo che stavo facendo le valigie per Guanaro e dentro ci avevo messo la partecipazione del nostro matrimonio nel giardino di limoni mai celebrato, anzi, del mio matrimonio. “
    Premo il tasto di pausa, salvo la registrazione e la invio a Laura, poi poso il cellulare. Adesso lo sapete anche voi, sapete cosa è successo. Sapete che sono andata via dalla mia città senza dare tante spiegazioni a nessuno, ad una settimana dal mio matrimonio. Ho ripensato tante volte a come sarebbe stato se non lo avessi fatto, se avessi accettato le cose come stavano. Spesso si tende a guardarsi intorno, vedere quello che c’è e preferire non cambiare la via vecchia per una nuova. Ma nei mesi successivi al mio trasferimento a Guanaro ho sempre pensato di aver preso la scelta giusta nei miei e nei suoi confronti. Lui merita una donna che lo apprezzi per quello che è, che non gli chieda di più. E io merito un uomo che mi travolga, che mi sostenga, che viaggi nella mia stessa direzione. Ho abbandonato la mia comfort zone, ho avuto miliardi di volte la voglia di tornare sui miei passi, ma anche quando mi mettevo a letto e immaginavo come sarebbe stata la mia vita se fossi tornata indietro, sapevo che non sarei stata felice al 100% e so che nessuno lo è sul serio e che la vita non è una favola, ma voglio almeno puntare al 100, sapere di poterci provare. Laura mi manda un messaggio con la localizzazione di dove si trovano e aggiunge che giura che non ci sono limoni. Scoppio a ridere e prendo le chiavi della macchina. Mentre guido mi sento felice, sono contenta di essere riuscita a condividere la storia come era andata, so che quella nota vocale è stata girata sul gruppo che avevamo su whatsapp dal quale io sono uscita un anno e mezzo fa. È ora di rimettere insieme i pezzi e di formare nuovi ricordi. Tanto le cose ti colpiscono lo stesso, un po’ come quando mio padre passava le estati intere sotto all’ombrellone e io mi domandavo come fosse possibile che si abbronzasse anche senza esporsi al sole. E a me stare al sole è sempre piaciuto.
     
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    Una curiosità: l'apparente "frammentarietà" di certi passaggi è una scelta voluta?
    In altri punti apprezzo la prosa elegante.
     
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    Bastiano_M Si, ho cercato di renderlo il più possibile simile ad un racconto/diario.

    22-23/06/2018 venerdì-sabato (avevo bisogno di tempo)

    È venerdì sera, sono in macchina diretta verso il Marlin, un locale che frequento spesso con le mie colleghe. Da domenica scorsa sono cambiate un po’ di cose. Quando ho raggiunto Laura e Carola all’aperitivo ho scoperto che c’erano anche le altre mie amiche. Tutte. Federica, Anna, Giordana e Silvia. Avevano già sentito la registrazione vocale che avevo mandato a Laura. Ci siamo sedute a fare un aperitivo e poi ci siamo spostate a cena. Insieme. Come una volta. Come quando avevo messo un meraviglioso smalto costoso su delle unghie rovinate. Ci avete mai provato? Non fatelo. L’unghia non appare mai veramente bella, lo smalto si sbecca subito, le unghie si spezzano e poi fa male. So che è una metafora stupida, ma a mio parere rende l’idea. La cosa migliore è tagliare tutto, mettere uno smalto trasparente e aspettare che tutto si sani e ricresca. Le mie amiche sono ritornate a Napoli, sono rientrata nel nostro gruppo su whatsapp e ci siamo lasciate con la promessa che ci saremmo riviste in città. Non so quando potrò mantenere la promessa, preferisco non pensarci, sono arrivata a destinazione. Il Marlin è un locale molto gettonato da queste parti, è ben frequentato, si mangia benissimo e ad un certo orario c’è musica dal vivo. Mi piace molto. Quando entro nel parcheggio intravedo Jamila che sta parlando con il proprietario, Giovanni, ci riserva sempre il tavolo migliore, quello di fronte al palco. Ho sempre pensato che dove si trova il tavolo è molto importante in una cena. Come Bogart in Sabrina, quando per andare a cena con Audrey prenota un tavolo per due nell’angolo. I tavoli nell’angolo sono romantici, sono per quando hai voglia di avere il tuo posto riservato, dove ti sembra di poter parlare di tutto, dove creare nuovi ricordi. Sospiro scuotendo la testa. Neanche a trent’anni ho imparato che queste cose sono solo nella mia testa e non nella testa degli altri. Forse solo in quella degli sceneggiatori e degli scrittori. Dovrei cercarmi un’artista. Esco dalla macchina e vado verso Jamila proprio quando Giovanni sta rientrando nel locale. Jamila indossa una camicia bianca senza maniche che mette in risalto la sua carnagione, le ho insegnato io a vestirsi bene, dovrebbe pagarmi. Quando l’ho conosciuta andava in giro per locali con oscene scarpe con il plateau e top glitterati. Da brividi. Ci salutiamo e io mi accendo una sigaretta. Jamila guarda il mio vestito, devo dire che stasera sono proprio contenta del mio outfit. Indosso un abito corto rosa cipria e dei sandali assassini oro rosa. Li ho messi perché in genere quando tutti iniziano a ballare noi siamo al tavolo a finire di bere la terza bottiglia di vino rosso. – sei figa- dice sorridendomi – oh grazie, anche tu sei bella stasera- ricambio soffiando una nuvola di fumo verso l’alto – davvero? – domanda guardandosi la camicia – sto bene? - mi chiede, annuisco mentre vedo arrivare Sabrina, l’ho invitata io ovviamente, fosse stato per Jamila non l’avrebbe mai invitata. Ma io sono dell’opinione che la solidarietà femminile esista, deve esistere e quindi ho insistito affinché avessimo un momento piacevole con Sabrina anche fuori dal lavoro. Sabrina è molto carina. Non è una bellezza mozzafiato, ma ha degli enormi occhi castani color cioccolato, vien voglia di mangiarli. Ha indossato un pantalone nero e una camicia nera trasparente. Sexy ma formale, brava Sabrina. Così si fa, mi sarei vestita così anche io alla prima cena con due colleghe di lavoro. Meglio non strafare, io sono il suo capo e Jamila non ha mai nascosto la sua antipatia per lei. Appena ci raggiunge entriamo dentro e ci sediamo al nostro tavolo. – wow che bel posto – esclama Sabrina sedendosi – ringrazia gli occhi dolci che fa Jamila al proprietario – dico, Jamila mi fulmina con lo sguardo e io sorrido innocentemente – Gli occhi dolci? Non credevo che Jamila ne fosse capace – scherza Sabrina, io scoppio a ridere, Jamila la guarda e poi scoppia a ridere anche lei – se avessi fatto così dal primo giorno, saremmo state amiche subito - - lo sareste state – aggiungo io, Sabrina sorride compiaciuta e io mi rilasso. La serata scorre piacevolmente, parliamo del più e del meno, per lo più parla Jamila raccontando mille aneddoti che conosco già ma che ascolto divertita, come quando riguardi un film che hai già visto mille volte. Non so voi ma questo è un altro mio problema, rivedo i film che mi piacciono mille volte e rileggo i libri che mi hanno colpito altrettante volte. Mi piace coglierne le sfumature. Con Jamila è più divertente perché ogni volta aggiunge un dettaglio nuovo alle storie. Come gli spettacoli teatrali, nessuna replica è uguale ad un’altra, nonostante la storia sia sempre la stessa. Inizia la musica dal vivo proprio quando arriva la nostra terza bottiglia di vino. Qualcuno si alza per andare a ballare e io mi appoggio allo schienale della sedia, rilassata. La band di stasera è un disastro, suonano malissimo e il cantante è davvero pessimo. Ci guardiamo tra di noi ed iniziamo a ridere. Conosco chi manda le band al locale, si chiama Nicola e in genere non ne sbaglia una, si vanta di conoscere tutti i musicisti migliori e devo dire che tutte le serate nelle quali lui si occupava della musica, sono state un successo. Non vedo l’ora di contattarlo domani per prenderlo in giro. Arriva Giovanni al nostro tavolo e va in direzione di Jamila – sta andando tutto bene? – le chiede poggiando la mano sullo schienale della sua sedia – si bene, solo la musica stasera è terribile, hai toppato – sogghigna – come? – chiede lui avvicinando l’orecchio – la musica stasera fa schifo – grida lei sovrastando i rumori – guarda che lui non c’entra niente – mi intrometto io – non è lui che si occupa della musica – aggiungo ad alta voce, lui fa il giro del tavolo e mi viene vicino – non ho capito scusa che hai detto? - mi domanda sospettoso, io alzo gli occhi e lo vedo per la prima volta in faccia, lo conosco da mesi ma non lo avevo mai guardato, ha degli occhi scuri luccicanti, non rispondo subito alla domanda e lui mi incalza – che cosa hai detto? Che non ne capisco di musica? – chiede infastidito dal mio silenzio, io sorrido – guarda io ti dico cosa ho detto ma fossi in te mi calmerei perché non hai sentito le mie parole - lui continua a fissarmi e io sorrido –Jamila stava facendo una critica alla band musicale e io le ho detto che non sei tu che ti occupi della musica, quindi ti ho difeso – dico alzando le spalle, lui sbatte le palpebre un paio di volte preso in contropiede e poi mi fissa nuovamente – io sono calma e tranquilla, ma ti consiglio di sentire bene cosa dicono le persone prima di prendertela così – dico bevendo un sorso di vino – si forse hai ragione, ma tu calma e tranquilla non mi sembri proprio – sbotta e va via, io continuo a bere il mio vino e mi metto all’ascolto dell’ennesimo racconto di Jamila. Sono un po’ distratta, come ho fatto a non vedere mai Giovanni? Non l’ho mai guardato in faccia. Quanta gente non ho guardato in faccia? Non mi ero mai accorta dei suoi occhi scuri e del suo sorriso furbo. Ci alziamo per andare al bancone del bar dato che la pista si sta affollando abbastanza, Jamila e Sabrina vanno a ballare con due ragazzi e io mi accomodo su uno sgabello e fumo la sigaretta elettronica, me la porto sempre dietro nei posti dove non posso fumare. – tu non vai a ballare? – mi chiede Giovanni appoggiandosi al bancone, il mio cuore ha un sussulto e io sono seriamente confusa. – No, non sono bravissima a ballare, evito di fare brutte figure – rispondo mentendo, adoro ballare –come ti chiami? – domanda – Rossella – rispondo - Rossella – ripete lui – ti capita spesso di intrometterti nelle conversazioni degli altri? – chiede scherzando – molto spesso- rispondo drizzando le spalle pomposamente – ti piace fare la paladina della giustizia – dice alzando un sopracciglio – non mi piace quando si dicono cose inesatte – sbotto – e immagino che invece le cose esatte le dici tu – mi provoca, io annuisco e lui sorride - vieni spesso qui? Non ti ho mai vista – mi dice, io tiro una boccata dalla mia sigaretta elettronica e sorrido – vengo spesso qui, ma è strano che tu non mi abbia vista, sono una che si vede – scherzo indicando la mia pancia. Scherzo sul mio peso da quando ho memoria. È una sorta di autodifesa, per la serie se volevate prendermi in giro inizio io così non è più divertente. Lui mi guarda serio e alza le spalle – non fa ridere questa battuta – mi dice e il sorriso mi si gela sulle labbra – sono un’amica di Jamila, lei l’avrai vista– dico alzando le sopracciglia, lui annuisce sorridendo – fai la spiritosa – asserisce sedendosi su uno sgabello accanto al mio, in quel momento arriva Roberto, quello conosciuto all’apericena di lavoro. È più bello che mai, alto, scuro, ha una camicia bianca che gli aderisce sul corpo. Molto sexy. – Ehi Rossella O’hara – grida sventolando la mano, scuoto la testa rassegnata. Molto sexy e molto cretino. – Come stai? – mi chiede venendomi incontro – è la prima volta che vengo qui, tu ci vieni spesso? – mi chiede scuotendo un po’ il ghiaccio del suo cocktail – molto spesso – rispondo
    - vieni a fare strage di cuori – scherza lui – si e no, ci sono persone che non mi notano neanche – rispondo guardando sott’occhio Giovanni che sorride divertito – non ti notano neanche? – esclama Roberto guardandomi nella scollatura – Eh già. Te lo ricordi no? Ce ne sono di più belle – dico alzando le spalle
    – ti presento Giovanni, il proprietario del locale – aggiungo voltandomi verso Giovanni, gli guardo le mani mentre stringe quella di Roberto, molto belle, mai viste. Roberto sorride calorosamente e gli dà una spintarella – questo locale non è ben frequentato se ci sono uomini che non notano la mia bella Rossella, mi tocca offrirle da bere per tirarla su – scherza ordinando due Negroni , odio quel cocktail – offro io ad entrambi – dice in direzione del cameriere che annuisce – Vi auguro buona serata il lavoro mi chiama – esclama scendendo dallo sgabello, stringe la mano di Roberto e noto che è visibilmente più basso di lui. Mai piaciuti gli uomini bassi, mai. Mi sorride e fa per andarsene, poi torna indietro dando un’occhiata a Roberto che è tutto preso dalla preparazione del cocktail manco stessero facendo un esperimento scientifico – mi dispiace dirti che qualche volta anche tu dici cose inesatte – dice avvicinandosi al mio orecchio – non ce ne sono di più belle di te – aggiunge e va via, sparendo tra la folla. Rimango senza fiato per un po’, poi Roberto mi passa il Negroni e io inizio a berlo forsennatamente. Cosa è appena successo?

    Il giorno dopo mi sveglio con un mal di testa lancinante, quel Negroni è stato proprio il colpo finale di una serata già abbastanza alcolica. Prendo il cellulare e scorro i messaggi, Jamila mi avvisa che al negozio è tutto okay, le mie amiche mi avvisano delle loro novità del venerdì sera e Roberto mi ha scritto un messaggio “Buonanotte, domani è un altro giorno” leggo, scoppio a ridere e mi alzo dal letto, evidentemente ieri devo avergli dato il mio numero, scommetto che non deve essere stato così difficile estrapolarmelo. Mi vesto e vado a prendere un caffè al bar accanto al negozio, non mi ha mai creato problemi sedermi ad un tavolo da sola, non ho mai capito le persone che hanno bisogno necessariamente di compagnia per fare qualcosa. Certo se la compagnia è giusta è piacevole, ma se non lo è tanto vale stare da soli. Ho fatto i migliori giri nei musei da sola. Mi accendo una sigaretta e volgo il viso verso il sole chiudendo gli occhi, poi il mio cuore ha un sussulto e li riapro immediatamente. Giovanni. Da quando mi sono svegliata sentivo la sensazione che fosse successo qualcosa ieri sera, ma non ricordavo cosa. Certo non lo ricordavo perché non è successo niente. Niente di eclatante insomma, richiudo gli occhi e vedo distintamente i suoi occhi scuri. Mi abbandono sulla sedia quando squilla il cellulare, un numero che non conosco – pronto? – domando chiudendo di nuovo gli occhi – ho preferito telefonarti invece di mandarti un messaggio su whatsapp, avevo paura di non scrivere le parole esatte e beccarmi un richiamo – dice la voce di Giovanni, sorrido e mi metto dritta sulla sedia – forse mi sarei concentrata più sul fatto che non ricordo di averti dato il mio numero – dico tamburellando nervosamente le dita sul tavolino – si lo so, me lo ha dato il tuo amico Reth – scherza – Roberto ti ha dato il mio numero? - - Ieri quando siete andate via lui è rimasto nel locale e io gli ho chiesto se avesse il tuo numero così avrei potuto telefonarti per aiutarmi ad organizzare un evento dato che conosci tante persone – dice, io rimango in silenzio per un po’. Mi ha chiamata per aiutarlo ad organizzare un evento? Prima mi dice che non mi ha mai notata, poi vuole organizzare un evento. Questo è cretino.
    – Che tipo di evento? – chiedo – un evento per stasera – risponde – Stasera? – domando sbalordita – e come si organizza un evento per stasera, quante persone sono? – aggiungo – due – risponde – io e te, andiamo a fare un sopralluogo in un ristorante molto carino, così mi dici cosa ne pensi – dice, io sorrido – faccio così paura che non hai il coraggio di chiedermi di uscire? – scherzo prendendo un sorso di caffè – no, volevo soltanto farti credere per un po’ che ti avessi chiamata per lavoro e non per uscire con te – dice e io scoppio a ridere – non ci sei riuscito – esclamo, lo sento sorridere – che tipo di evento? – dice imitando la mia voce, io scuoto la testa – mandami la posizione di dove abiti ti vengo a prendere stasera alle 21.00 – e attacca, senza farmi replicare. E se avessi avuto un impegno? E se avessi voluto rifiutare? No eh?
    Vedo Jamila chiudere il negozio per la pausa pranzo e venirmi incontro, si siede accanto a me e ordina uno spritz – non ne hai abbastanza dopo ieri sera? – le chiedo sorridendo, lei scuote la testa - non ne ho mai abbastanza – scherza, io le sorrido poi la guardo per un po’ in silenzio, le darà fastidio il mio appuntamento di stasera con Giovanni? E se la prendesse male? Lei non mi ha mai detto chiaramente che le piaceva Giovanni, ma lei non parla mai chiaramente. Ecco perché preferisco non avere a che fare con nessuno, mi scocciano i problemi. Arriva lo spritz, lei fa un sorso e mi guarda, poi il suo sguardo si fa sospettoso – c’è qualcosa che vuoi dirmi? – mi domanda, io sospiro e prendo nota di non frequentare mai troppo le persone perché poi imparano a conoscermi – ho un appuntamento stasera – confesso prendendo un sorso dal suo spritz – con chi? – mi chiede, io mi accendo una sigaretta – con Giovanni – rispondo tirando una boccata, alzo gli occhi e la vedo sorridermi – non ci credo! – esclama stupita – sei arrabbiata? – domando, lei sorride e alza le spalle – non sono arrabbiata, sono invidiosa – risponde girando la cannuccia nel bicchiere, io la guardo interrogativa e lei appoggia i piedi su una sedia libera, l’ammonisco con lo sguardo – non accetto ammonizioni da una che si frega il ragazzo che mi piace – dice incrociando le braccia, poi scoppia a ridere – no sto scherzando, sono invidiosa perché gli giro intorno da mesi – spiega – e non solo io – aggiunge – che vuol dire non solo io? – indago – allora ti piace! – esclama indicandomi, e io sorrido colpevole, finisce il suo spritz e mi guarda – hai il mio permesso per uscirci, a patto che mi racconterai tutto, non come le solite volte che non mi racconti mai niente, voglio tutti i dettagli, me lo merito – sentenzia mettendosi le mani sui fianchi – va bene – concedo sventolando la mano in segno di saluto, lei si gira di spalle teatralmente e va via sculettando. La guardo allontanarsi, avessi io quel sedere. Camminerei sempre lentamente, solo per la soddisfazione di farmi ammirare ed invidiare il fondoschiena. Mando la posizione di casa mia a Giovanni su whatsapp, lui visualizza e non mi risponde. Rimango a guardare per un po’ la sua foto profilo. È una foto in cui indossa una giacca grigia, degli occhiali da sole e accenna un timido sorriso alla fotocamera. Si vede che non gli piacciono le foto. Controllo la mia per sicurezza e provo a guardarla come se non mi conoscessi. Lo avete mai fatto? A volte guardo le mie foto e provo a guardarle come se fossi un estraneo, inutile dire che non penso mai cose positive. Poso il cellulare affranta, ce ne sono di più belle.

    Mentre sto tornando a casa rifletto sul fatto che effettivamente non ho mai raccontato niente a Jamila dei miei appuntamenti. È vero che sono una che non ama raccontare i dettagli delle cose, ma in questo caso in questo anno e mezzo non le ho raccontato niente perché non c’era molto da raccontare. Ho frequentato un po’ di persone a caso, un po’ per perdere tempo, un po’ perché mi attraevano fisicamente, ma niente di davvero rilevante.
    Quando sono a casa mi siedo sul mio divano rosso e inizia ad invadermi una terribile sensazione. Panico. Che cosa mi metto stasera?

    Alle 21:00 precise il mio telefono squilla per qualche secondo e poi smette. Io mi guardo nello specchio. Ho indossato dei pantaloni neri a sigaretta, dei tacchi assassini nude e una camicia bianca di seta che lascia intravedere il mio nuovo reggiseno beige di pizzo. L’ho comprato mesi fa, mi sembrava l’occasione giusta. Ma adesso che mi guardo forse la mia idea di look sexy ma non troppo non mi convince più. Troppo tardi. Afferro la mia borsetta rossa, di quella sono sicura. Della borsa sono sempre sicura. Nell’ascensore do un’occhiata al mio trucco, semplice e senza rossetto. Senza strafare. Non so neanche dove andiamo. Nella mia scorsa relazione sapevo sempre dove andavamo perché organizzavo io e prenotavo io. Era una cosa che detestavo, ma adesso forse mi sarebbe piaciuto, almeno avrei saputo se il mio look andava bene o no. Esco dal portone e lui è appoggiato alla macchina, indossa un completo giacca e pantalone blu scuro e una camicia bianca con i primi bottoni slacciati. Per gli uomini è sempre tutto così semplice. Maledetti. – C’è bisogno che accenda un faro sulla mia testa mentre mi avvicino o pensi di riuscire a vedermi senza segnali luminosi? – domando ad alta voce mentre mi avvicino, lui mi sorride e scuote la testa - non me la farai passare mai vero? - mi chiede mentre gli arrivo vicino – mai – confermo sorridendo – ciao – dico quando gli sono di fronte, lui mi guarda per un attimo senza parlare – ciao – risponde sorridendomi – posso farmi perdonare aprendoti lo sportello della macchina? – mi chiede, mi incammino verso lo sportello del passeggero e lui mi segue con lo sguardo, aumento il passo, avessi avuto il sedere di Jamila sarei andata più lentamente – non c’è bisogno che tu faccia cose che non ti va di fare solo per farti perdonare – dico aprendo lo sportello, lui alza gli occhi al cielo ed entriamo in macchina. Appena mette in moto parte una canzone di Pino Daniele, sorrido – non ti aspettavi che avessi gusti musicali decenti? – sogghigna guardandomi in tralice, scuoto la testa – l’altra sera ti stavo difendendo non ho mai detto che non ne capisci niente di musica – spiego nuovamente sospirando, lui non mi risponde e io inizio a canticchiare la canzone.

    “Tu dimmi quando, quando, non guardarmi adesso amore sono stanco, perché penso al futuro… “

    Quanto mi ha stancata pensare al futuro, mi ha stancata fisicamente e psicologicamente per poi ritrovarmi con un pugno di mosche. Ho la mania di organizzare e programmare tutto, una mania che è arrivata alle stelle negli ultimi anni dato che non avevo una persona al mio fianco che mi aiutasse nelle cose, o sulla quale poter fare affidamento. Mi sono sempre chiesta come sarei in un’altra relazione, se riuscirei ad essere una donna più serena, meno agitata, meno stizzita. – A che pensi? – mi chiede, mi giro a guardarlo, ci penso per un attimo, lui si ferma nel traffico e mi guarda e il mio cuore ha un sussulto, un ennesimo sussulto, sempre lo stesso – a niente – rispondo, lui mi guarda un altro po’ e poi riparte.

    “Per me tu resti un mito, anche se hai trasgredito e ci ho creduto sempre, all’arcobaleno… “

    Canticchio poi mi volto verso di lui – tu ci credi all’arcobaleno? – domando senza pensare, lui scoppia a ridere – certo che ci credo – risponde – dico nel senso ci credi che alla fine dell’arcobaleno ci sia un pentolone con monete d’oro, quella storia lì – spiego, lui ci pensa per un attimo – non vedo perché non dovrei crederci – mi risponde infine – tu ci credi? – chiede, io alzo le spalle – io credo a tutto, a babbo natale, ai folletti, alle fate e alla magia – rispondo - e agli uomini che ti dicono che più belle di te non ce ne sono? – domanda fermandosi ad un semaforo, mi guarda e io scuoto la testa – no a quelli no – rispondo, scatta il verde e lui riparte senza rispondermi. Arriviamo ad un ristorante che non avevo mai visto, ha un’entrata piccolissima, quasi nascosta, stringo gli occhi per leggere il nome “La Serra “. Scendiamo dall’auto, lui mi precede camminando verso l’entrata, lo guardo camminare e mi sento un po’ agitata, come al solito ho per un attimo il pensiero di scappare via, solo per un attimo. Entriamo dentro, un uomo che immagino essere il proprietario lo saluta, scambiano quattro chiacchiere – lei è Rossella – dice indicandomi, io stringo la mano all’uomo che si chiama Luca, poi ci allontaniamo – vieni spesso qua? – domando mentre ci incamminiamo in un corridoio – non spessissimo, ma mi piace la magia – dice sorridendo, io lo guardo interrogativa, sto per chiedergli quale magia quando giriamo l’angolo ed entriamo in un’enorme serra, tutta illuminata da mille lucine, sembra di essere entrati in un mondo fatato, potrebbe essere tranquillamente la casina di Campanellino di Peter Pan. Se Campanellino fosse stata gigantesca insomma. Mi guardo intorno meravigliata poi mi accorgo che lui mi sta guardando divertito – speravo ti piacesse – si compiace facendomi strada tra i tavoli, ci accomodiamo ad un tavolino rotondo di ferro battuto in un angolo della serra. Sembra tutto perfetto direte voi. A me tutta questa perfezione sta iniziando a terrorizzarmi. Non esistono queste cose. Non esistono le persone che ti dicono che non ce ne sono di più belle, che ascoltano Pino Daniele in macchina e prenotano un tavolino in un angolo di un ristorante con le lucine. Non esistono. Ci sediamo e siamo molto vicini, il tavolino è piccolo, perfetto per una coppia. Noto che lui mi sta studiando – mi guardi troppo per i miei gusti – dico prendendo il menù, lui mi imita e sospira – chi me lo ha fatto fare di invitare una come te a cena – dice aprendo il menù, lo guardo – una come me? – chiedo alzando un sopracciglio – una come te – ripete lui tranquillamente scorrendo le pietanze sul menù, gli tolgo il menù dalle mani, lui alza gli occhi divertito – una come me, come? – domando di nuovo, lui si riprende il menù e mi guarda – una che pensa di dire solo cose giuste – risponde versandosi dell’acqua, io non rispondo, lui mi guarda – se ti guardo è perché mi piace guardarti – spiega tranquillamente alzando le spalle, arriva il cameriere ed iniziamo ad ordinare, quando va via mi appoggio allo schienale della sedia e mi guardo intorno – è bellissimo questo posto – dico sinceramente – si piace molto anche a me, mi piace guardare la reazione delle persone quando entrano in questo ristorante – mi dice guardandosi intorno anche lui, io annuisco e poi poggio i gomiti sul tavolo fissandolo – allora – esordisco, lui mi imita e mi guarda – allora – ripete fissandomi con i suoi luccicanti occhi scuri che sono sicura non mi faranno avere vita facile – come mai hai deciso di portare a cena fuori una come me? – domando, lui accenna un sorriso – dopo che ci siamo incontrati ho pensato a te tutta la notte, io conosco tante persone nel locale ogni sera, ma il fatto che non avessi mai notato una donna come te mi aveva fatto riflettere, ti ho osservata tutta la sera chiacchierare con quell’uomo, parlare con le tue amiche, muovere la testa seguendo il tempo della musica e poi ho capito, tu non vuoi essere notata, non è la tua intenzione principale – spiega – e mi sono chiesto la motivazione, non ti va di essere notata o non credi di avere il potenziale per poterlo essere? A un certo punto della serata mi sono accorto che ci stavo pensando troppo e quindi ho chiesto il tuo numero – aggiunge poggiando il mento sulle mani – quindi sei venuto a toglierti un interrogativo – dico appoggiandomi allo schienale della sedia – uno sfizio tuo personale - , lui scuote la testa – la risposta l’ho avuta quando hai girato intorno alla macchina alla velocità della luce, non credi di avere il potenziale – mi dice mentre arrivano gli antipasti, io inizio a riempirmi il piatto infastidita, non mi piace questa conversazione, avrei voluto fare come faccio sempre, parlare del mio lavoro, fare la civetta tutta la serata, ciarlare sulla mia vita meravigliosa e di quanto mi piaccia Guanaro e addio. Lui inizia a mangiare e io lo imito, è tutto buonissimo, bevo un sorso di vino, due per sicurezza, sento il mio corpo iniziare a rilassarsi un po’ – tu invece come mai hai accettato di uscire con uno come me? – mi chiede posando la forchetta nel piatto, io incrocio le braccia – diciamo che non mi hai lasciato tanta scelta – scherzo e lui sorride colpevole – ma – aggiungo – a differenza tua voglio essere sincera, ti ho trovato interessante e mi sono detta che forse valeva la pena conoscerti – dico sinceramente – forse – ripete lui – forse – ribatto io – il motivo per il quale ti ho invitata a cena non avresti dovuto chiedermelo, te l’ho già detto ieri sera – dice sorridendomi, io mi sento arrossire, lui se ne accorge e si alza – andiamo a fumare una sigaretta? – mi chiede, io mi alzo e lo seguo fuori dalla serra, in un piccolo giardino con mille lucine accese, tavolini alti in ferro battuto e sgabelli con cuscini bianchi imbottiti, mi siedo e lui rimane in piedi di fronte a me appoggiandosi al tavolino. Ogni volta che siamo troppo vicini sento sempre un’elettricità nell’aria che a tratti è quasi insopportabile, quasi fastidiosa. Mi accendo la sigaretta e si alza un po’ di vento, mi piace il vento, mi fa sempre venire in mente Mary Poppins.
    “Vento dall’est, la nebbia è là, qualcosa di strano fra poco accadrà”
    Che sia stato il vento dall’est a portarmi Giovanni? Me lo immagino andare via volando con un ombrello aperto – hai pensato a qualcosa di divertente? - mi domanda curioso, io sorrido – si – rispondo sinceramente – ma non ho intenzione di dirti cosa – aggiungo prima che possa chiedermelo, segue qualche istante di silenzio – è simpatico quel Roberto – dice, io lo guardo indagatoria e lui ride – davvero! – esclama alzando le mani – certo non credo che possa essere il tuo tipo, ma sembra simpatico - - ah sentiamo perché tu sai quale potrebbe essere il mio tipo? – chiedo soffiando fuori una nuvola di fumo – non Roberto – risponde, io sorrido – non Roberto – ripeto, mi siedo meglio sullo sgabello, mi avvicino al tavolo per poggiarci un braccio sopra in maniera da avere un po’ di equilibrio, maledetto sgabello. Nello spostarmi mi avvicino particolarmente a lui, lo guardo e noto che muove nervosamente la gamba destra, ho un lampo di soddisfazione – sei nervoso? – domando, lui ride – non vedevi l’ora eh? – risponde divertito, poi si fa serio – si in realtà mi innervosisci abbastanza – dice guardandomi negli occhi, io ricambio lo sguardo senza parlare, mi accorgo di stare trattenendo il fiato – andiamo dentro – dico alla fine alzandomi dallo sgabello e avviandomi verso la porta, lo sento seguirmi e questa volta rallento il passo, lui mi sorpassa – adesso non serve andare lentamente – dice aprendomi la porta, entro in sala non prima di avergli lanciato un’occhiataccia. La serata passa in maniera piacevole, iniziamo a parlare di lavoro, lui mi racconta com’è gestire un locale, di come ha iniziato, di come all’inizio il Marlin fosse un posto abbandonato e che vorrebbe fare un salto di qualità aprendosi un ristorante. – Non trovo mai il posto giusto, l’idea giusta – dice posando la forchetta sul piatto, io gli sorrido – sono sicura che ci riuscirai a trovare il posto giusto, forse non lo vuoi veramente – dico con sincerità, lui mi guarda per un po’ senza parlare e poi sorride – hai ragione, mi dà un fastidio tremendo dirtelo ma hai ragione – confessa allargando le braccia, io alzo le spalle – fino a che non sarai convinto al cento per cento di lanciarti in questa avventura del ristorante le idee non ti verranno mai e nessun posto andrà bene, non sono io che sono intelligente, è legge non scritta – dico, lui annuisce – adesso dovremmo parlare di te – mi dice sfregandosi le mani, io scoppio a ridere e guardo i nostri piatti vuoti – siamo arrivati al dolce, la cena è finita – rispondo togliendomi il fazzoletto dalle ginocchia e posandolo sul tavolo, lui scuote la testa – va bene – dice alzandosi, io mi alzo e lo seguo, mentre si ferma a chiacchierare con Luca il proprietario guardo un altro po’ la serra, è davvero magnifica. Dà l’impressione di essere in un posto fuori dal mondo, dove non può mai succedere nulla di brutto. Sento lo sguardo di Giovanni addosso, mi giro incrocio i suoi occhi e ci incamminiamo verso l’uscita. Mentre le luci si spengono man mano che usciamo sento la magia svanire, quando siamo fuori nel buio del parcheggio ho la stessa sensazione di quando ti svegli da un bel sogno e quello che vedi è solo il soffitto un po’ crepato di camera tua. Entriamo in macchina e questa volta lui spegne lo stereo, lo guardo interrogativa e lui alza le spalle – mi andava di chiacchierare un altro po’ – spiega guidando nel silenzio – di cosa vuoi parlare? – gli domando girandomi verso di lui sul sedile, lui mi guarda – di quello che vuoi – mi risponde inclinando un po’ la testa di lato – quando ero piccola mi piaceva incontrare gli altri bambini e raccontare che vivevo in una villa enorme con la piscina – inizio a dire senza pensare - inventarmi storie assurde sulla mia vita insomma, poi un giorno al mare mentre parlavo della mia finta villa a una bambina che mi ascoltava con gli occhi spalancati arrivò sua sorella più grande che capì che stavo dicendo solo bugie e iniziò a parlare della loro casa, che aveva tre piscine e due campi da golf, ci rimasi malissimo – dico ridendo, lui scoppia a ridere scuotendo la testa – da allora ho un rapporto strano con le bugie, non le sopporto, non amo dirle e non amo sentirle, è una delle cose che odio di più, preferisco che mi si racconti una cosa che magari non mi piacerà piuttosto che sentire una bugia - aggiungo – si questo lo avevo capito – mi dice fermandosi sotto casa mia, io lo guardo – da cosa? – chiedo – non lo so, si vede dagli occhi che sei una persona vera, che non ami le cose finte, una che guarda quelle lucine come le hai guardate tu, non mi sembra una persona che può dire delle bugie – risponde – poi hai il naso piccolo, le bugie allungano il naso – aggiunge, io annuisco seria – assolutamente, dovrebbero rendere illegale la chirurgia plastica, altrimenti uno non si accorge se una persona è bugiarda o no – scherzo prendendo la borsa – sono stato bene stasera, davvero – mi dice guardandomi negli occhi, ricambio lo sguardo sguazzando per qualche istante in quel mare nero luccicante – anche io, davvero – rispondo aprendo lo sportello, faccio il giro della macchina e mi avvio verso il portone un po’ di corsa dato il vento, sento il finestrino abbassarsi e mi volto – quando ci rivediamo? – mi chiede, io alzo gli occhi al cielo – non lo so – rispondo allargando le braccia nel vento, lui sorride e io mi volto verso il portone – quando c’è questo vento dall’est tutto è possibile – mi grida lui dalla macchina, io mi fermo un attimo, poi infilo la chiave nel portone ed entro nell’androne nel palazzo mentre sento la macchina ripartire. Il vento dall’est, pure il vento dall’est. Non è possibile, questo è uno stalker, come quella serie tv di netflix, dove c’è quel pazzo che studia tutte le cose che ti piacciono per conquistarti e quando poi le cose vanno male ti ammazza. Entro in casa, scalcio via le scarpe, mi siedo fuori al terrazzo e accendo una sigaretta pensierosa. Guardo la sigaretta bruciare, mi piace il rumore che fa. Questa serata mi è sembrata quasi fuori dal mondo, non so se è stato lui, il posto, io. Esattamente come un sogno, come quando ti forzi a riaddormentarti sperando di beccare di nuovo quella magia, ma non ci riesci più. Spengo la sigaretta e vado a letto, chiudo gli occhi e inizio a contare le pecore, lo so che non ci credete che funzioni, non ci credevo neanche io, ma se mi concentro sulle pecore mi addormento quasi subito.
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    Dici che hai un rapporto strano con le bugie... anche io.
    Dici che ami Milano... anche io (ci ho pure vissuto e lavorato).

    Per quanto il tipo di storia che racconti non sia la mia tazza di tè, la narrazione è di lettura abbastanza piacevole, anche se a tratti un po' caotica.
     
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    Venerdì 29/06/2018

    È passata quasi una settimana da quando sono uscita con Giovanni e di lui nessuna traccia. Ho anche pensato di contattarlo io, ma ogni volta mi sono frenata. Tutta la giornata di domenica ogni volta che lo vedevo online su whatsapp ero convinta che stesse per contattarmi invece non lo ha mai fatto. Così quando lunedì sono scesa a lavoro ho raccontato a Jamila che la serata era andata abbastanza bene, ma niente di che. Lei mi è sembrata un mix tra dispiaciuta per me e contenta per lei, non la biasimo. Stasera dovremmo andare al Marlin per il compleanno di Lorenza e io sono seduta nel mio piccolo ufficio con la testa tra le mani pensando a come poter evitare di andarci. Mi alzo e cammino nervosamente per i pochi metri quadrati della stanza. Ero convinta che la serata fosse andata bene, non dico che mi aspettavo i fuochi d’artificio, forse sì, non lo so. Di sicuro non mi aspettavo il nulla cosmico. Magari gli è successo qualcosa, forse ha avuto un problema e per questo non mi ha contattata. E se ha avuto un problema stasera non ci sarà e io non ho motivo di preoccuparmi.
    La sera mentre mi guardo nello specchio non so cosa sperare, di sicuro prevale la speranza che lui non ci sia. Anche perché dovrei fingere che sia tutto okay, perché è così che fanno le persone adulte, in fondo ci siamo visti una sera, non dovevamo necessariamente risentirci. No? Mi guardo allo specchio e mi viene da ridere. Ho indossato un abito di ecopelle nera, il classico look squallido che urla “se mi vede, saprà quello che si è perso”, mi stringe terribilmente, ma pazienza.
    Arrivo al Marlin e maledico la mia agitazione, ho fatto tardi perché mi ha chiamata mia mamma mentre stavo uscendo e non sono riuscita a liberarmi. L’ultima cosa che volevo era entrare da sola e raggiungere il tavolo dove ci saranno le ragazze, drizzo le spalle e sospiro andando spedita verso l’entrata. – Troppa importanza – mi sussurro entrando nel locale. Stasera c’è il pieno, più si avvicina l’estate più la costiera viene presa di assalto, soprattutto nei week end. Vado dritta verso il tavolo passando davanti al bar – Rossella! – mi chiama qualcuno alle mie spalle, mi giro e c’è Roberto appoggiato al bancone, gli sorrido e vado verso di lui – hai intenzione di far venire un infarto a qualcuno? – mi domanda mettendosi una mano sul petto, rido sinceramente, Roberto è adorabile – ogni tanto mi piace mettermi in tiro – rispondo timidamente facendo spallucce – come mai già sei qui? – chiedo – sono a cena con degli amici – risponde indicando un tavolo accanto a quello dove Jamila si sta sbracciando per chiamarmi – bene allora siamo vicini – dico indicando il mio tavolo, lui annuisce e ci avviamo insieme verso i nostri tavoli, prima di andare al mio Roberto mi presenta ai suoi amici e in quell’istante sento la voce di Giovanni – … più tardi basta che dici alla cameriera di far uscire la torta, l’ho già fatta mettere in frigorifero – sta spiegando, finisco di presentarmi agli amici di Roberto e mi accomodo al posto vuoto accanto a Lorenza – auguri – le dico abbracciandola forte, lei ricambia l’abbraccio e mi sorride – grazie, 28 anni – dice scuotendo la testa – aspetta di arrivare ai 30 e mi dici – rispondo sorridendo, mi verso un bicchiere di vino rosso sentendomi gli occhi di Giovanni addosso, Jamila gli sta parlando, non ho idea di cosa stia dicendo, bevo un sorso di vino e prendo la sigaretta elettronica dalla borsa – non puoi fumare qui dentro – mi dice Giovanni, alzo gli occhi e sento la solita esplosione nello stomaco, lo guardo interrogativa – nuove regole – aggiunge alzando una mano in segno di scusa, io sorrido educatamente poso la sigaretta elettronica, mi alzo e vado verso l’uscita, una volta fuori mi accendo una sigaretta e tiro un paio di boccate. – Non si può fumare neanche qui fuori – dice la voce di Giovanni alla mia destra, io mi giro a guardarlo e gli soffio il fumo sul viso, lui sorride – addirittura sei entrata senza salutarmi – mi dice sventolandosi la mano davanti al viso per far andare via il fumo – non ti avevo visto – rispondo soffiandogli nuovamente il fumo sul viso, lui finge di tossire – scusami, sarà il vento dall’est, prova a metterti ad ovest – dico indicandogli la mia sinistra – sei arrabbiata – dice alzando le spalle – non sono arrabbiata – esclamo stizzita – non era una domanda – dice lui mettendosi di fronte a me, lo guardo fisso negli occhi senza rispondergli – non mi sono fatto sentire perché ho avuto degli impegni – inizia a dirmi, alzo la mano per fermarlo – non devi darmi nessuna spiegazione – dico mettendogli la mano sul petto – non sono arrabbiata – ripeto e faccio per andarmene lui mi prende per il polso e io mi volto guardandolo interrogativa – hai ragione a fare così, te lo dico sinceramente, ma è complicato – mi dice alzando le spalle, io libero il polso dalla sua stretta e gli lancio un altro sorriso smagliante – hai fatto bene a non farti sentire se doveva essere complicato – dico, poi entro nel locale e mi dirigo al mio tavolo. La serata passa abbastanza serena, beviamo più del solito e quando inizia la musica non riesco ad evitare di ballare, si alzano per ballare anche Roberto e gli amici e per un po’ balliamo tutti insieme. Poi Giovanni passa tra di noi e mi fa segno di seguirlo, per un attimo valuto l’ipotesi di far finta di non averlo visto, ma poi decido di andargli dietro. Va diretto verso un angolo del locale dove c’è una piccola scrivania che non avevo mai visto quasi attaccata al bancone del bar, dei fogli ed un computer, immagino sia il suo piccolo ufficio, un posto da dove può controllare tutta la situazione. Si gira di scatto per guardarmi e per un attimo ho la terribile sensazione che stia per dirmi – perché mi hai seguito? - invece mi sorride e ordina due cocktail, sono un po’ frastornata, ho bevuto un po’ troppo ma quando mi porge il drink inizio a berlo un po’ nervosamente, faccio per prendere la sigaretta dalla borsa poi lo guardo – posso fumare? – domando sarcastica, lui sorride divertito sedendosi su uno sgabello – puoi fare quello che vuoi – mi dice guardandomi, io alzo il sopracciglio sarcasticamente e prendo la sigaretta elettronica dalla borsa, lui mi guarda insistentemente, io alzo nuovamente il sopracciglio questa volta in maniera interrogativa – non puoi vestirti così e pretendere che non ti si guardi – dice continuando a guardarmi, seriamente, senza sorridere, così seriamente che per un attimo mi si blocca il respiro, guardo verso il locale – figo questo posticino – dico facendo girare la cannuccia nel drink, lui segue il mio sguardo e annuisce – è il mio posto nel mondo, da qui vedo tutto e tutti, ma nessuno vede me – spiega appoggiandosi al bancone, un ragazzo si alza dallo sgabello accanto al suo e mi siedo. Per un po’ rimaniamo in silenzio a guardare le persone, osservo una ragazza che sta litigando con un ragazzo e inizio a domandarmi cosa possa essere successo – chissà cosa è successo – dice Giovanni, mi volto, non mi ero accorta che era sceso dallo sgabello e adesso mi è davanti, con un braccio appoggiato al bancone, pericolosamente vicino. Poso il drink e mi volto nuovamente verso di lui, faccio una nuotata nei suoi occhi prima di sorridere sarcastica – non avevi detto che era complicato? – chiedo – e non dirmi che è colpa del vestito perché ti rovescio il drink addosso – aggiungo, lui scoppia a ridere e io sorrido mio malgrado, è troppo vicino, riesco a vedere un piccolo taglio sul sopracciglio – non c’entra niente il vestito – mi risponde tornando serio – il problema sei tu – aggiunge, per un attimo sto pensando di rispondergli, ma sento la sua mano sul mio viso e poi dietro al mio collo, mi guarda negli occhi e scorgo un lampo che mi fa quasi paura. Poi mi bacia e io mi sento svenire, mi bacia come mai nessuno mi aveva baciata prima. La sua barba sfrega prepotentemente sul mio mento, la sua mano stringe dolorosamente il mio collo e io non riesco a pensare niente, voglio solo che non finisca. Poi lui si stacca da me e mi guarda così intensamente che mi sento quasi distaccata dal mio corpo, poggia la fronte alla mia e sospira – sei un problema enorme – dice mettendomi le mani sui fianchi, io non riesco a rispondergli, gli prendo le mani e gliele metto nelle tasche della giacca, prendo fiato e mi alzo dallo sgabello, afferro la borsa e lo lascio lì, con le mani in tasca. Vado a salutare le ragazze, faccio nuovamente gli auguri a Lorenza, ascolto distrattamente il racconto di Jamila su un ragazzo appena incontrato nel locale e vado via, il locale è quasi vuoto e Giovanni non c’è, sarà fuggito sulla sua macchina complicata, nella sua casa complicata. In macchina mi siedo e mi sfioro le labbra che mi bruciano maledettamente, mi accendo una sigaretta e metto in moto. Il vento della notte mi soffia sul viso come un lenitivo, parcheggio la macchina e vado verso il portone, quasi non credo ai miei occhi quando scorgo Giovanni appoggiato al muro che sta fumando una sigaretta, ho un tuffo al cuore talmente forte che mi viene quasi da vomitare. Appena mi vede accenna un sorriso, io apro il portone – non si può fumare qui – dico guardandolo, lui mi soffia il fumo sul viso e io sorrido – posso salire? – mi chiede spegnendo la sigaretta, io annuisco – puoi fare quello che vuoi – dico sarcastica lasciandolo entrare, prendiamo l’ascensore e regna un silenzio insopportabile. Il cuore mi batte così forte che ho quasi paura che si senta. Non avrei dovuto farlo salire, non avrei dovuto. Sono una cretina, magari mi è venuto a spiegare cosa c’è di così complicato e io davvero non ho proprio voglia di sentire nulla. Usciamo dall’ascensore, apro la porta di casa e non riesco ad accendere la luce che lui già mi sta baciando, spalle conto la porta, mi cadono le chiavi di mano. Okay, è chiaro che non è salito per parlare. Mi morde il labbro e io sento chiaramente il mio corpo abbandonarmi, non ho mai provato niente del genere, mai.


    La mattina dopo mi sveglio, ma non ho il coraggio di aprire gli occhi. Non ci credo che sia successo davvero, non mi do mai queste possibilità, queste cose creano complicazioni e io non le voglio. Ma in fondo lui mi ha detto che è tutto complicato, quindi magari la cosa è finita qui e basta. Magari è già andato via. Mi vergogno quasi a sperarlo. Si può essere così vigliacche? – Guarda che si vede che sei sveglia – sento dire da lontano, ho un sussulto e apro gli occhi. Giovanni è lì, appoggiato allo stipite del balcone che dà sul terrazzino, non riesco a capire se mi sta sorridendo o meno, c’è troppo sole, troppo sole. Prendo una maglia oversize (di quelle che ci mettiamo quando siamo in casa e non vogliamo sentire niente che ci stringa) dalla sedia accanto al letto e me la infilo, poi mi alzo e vado verso la cucina. – Vuoi un caffè? – domando prendendo la macchinetta, non mi risponde, mi volto e intravedo la sua sagoma nell’ombra, è uscito fuori al terrazzo. Preparo il caffè e poggio le due tazzine con le margherite sul mio piccolo adorato tavolino di legno inondato dal sole, troppo sole. Lui, che si stava godendo il calore ad occhi chiusi, li riapre quando sente la mia sedia grattare sul pavimento. Mi siedo e inizio a sorseggiare il mio caffè, lui prende il suo e io lo guardo sott’occhio. È vestito, da quanto tempo è sveglio? Mi sento quasi in imbarazzo ad essergli di fronte con questa maglia gigantesca che mi scivola continuamente su una spalla e la faccia tutta stropicciata. Mi passo le mani sotto agli occhi per essere sicura di non avere residui di mascara. Mi guardo le mani, pulite, bene. Rialzo gli occhi e vedo che mi sta osservando, prendo una sigaretta e la accendo, poi lo guardo, non so cosa dire. Sento un enorme disagio, il sole è troppo forte, mi bruciano gli occhi, il cuore mi batte forsennato. Tiro una boccata di sigaretta e gli lancio uno sguardo interrogativo, lui mi sorride e io prendo fiato, mi sembra quasi un permesso per parlare. – Da quanto sei sveglio? – gli chiedo, ho la voce roca, molto sexy Rossella, complimenti – da una mezz’ora, questo terrazzo è meraviglioso – mi risponde a bassa voce, ha le labbra gonfie, ho un flashback di stanotte, lo scaccio immediatamente – potevi svegliarmi – dico alzando le spalle, lui scuote la testa sorridendo – e perdermi la possibilità di guardarti mentre stai zitta? – scherza, io sorrido, lui sospira e io lo guardo negli occhi – che cosa c’è? – domando, lui mi rimanda lo sguardo e per un attimo mi trovo a sperare che non mi risponda, non lo voglio sapere cosa c’è che non va, non lo voglio proprio sapere – nulla – risponde lui dopo qualche secondo, si alza e si stiracchia leggermente – adesso vado – dice andando verso la stanza, si ferma, si abbassa verso di me e mi dà un bacio, con le labbra gonfie, calde di sole e che sanno di caffè – donne più belle di te, anche di prima mattina, non ce ne sono – mi dice baciandomi il naso, io abbasso gli occhi e lo sento andare dentro, prendere qualcosa, aprire la porta e andare via. Mi accendo un’altra sigaretta e guardo verso il mare, stamattina non riesce a rilassarmi. Decido di andare a fare una doccia, fa caldo, c’è troppo sole, troppo sole.
     
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    Letto la prima parte, interessante direi, forte la riflessione sulle apericene, non ci avevo mai pensato. La componente autobiografica funziona e anche se è rivisitata è credibile ^_^
     
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    Finalmente un nuovo capitolo! Bello :) .
     
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