SK-1

Thriller a un amore problematico (che è centrale per la trama)

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  1. CB-PR
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    (ho sbagliato il sottotitolo -_- è stata l'eccitazione del momento)
    ________
    E dopo il mio poema epico fallito, rieccomi in pista con un thriller. Spero che sia perlomeno gradevole. ^___^
    ______________

    sk-cover8phone
    -
    1 – Il “Kassia Esse Kappa Uno” di Nikola Tesla.
    New York, Dicembre 1910.
    Nikola Tesla, illustre scienziato, è nel suo capanno pieno di macchinari, batterie e fulmini danzanti.
    Osserva la sua più recente invenzione, uno speciale telefono a disco e afferma parlando tra sé:
    «La gente lo userà per la pace. In fondo la comunicazione è conoscenza, e la conoscenza è amore …
    Oppure ucciderà per questo pezzo di ferro così complicato». Lo ripone in un cassetto. «Lasciamo che sia il destino a decidere».
    -
    1991: Madonna (la pop-star); “Willy il principe di Bel-Air”; le Polaroid; Tupac;
    Windows 3.0 e i suoi continui e frustranti crash; il blue screen of death
    (la schermata che compare sul monitor di un pc quando avviene un errore di sistema);
    Ctrl+Alt+Canc; i Metallica; “Hook – Capitan Uncino”; le cabine telefoniche a gettoni;
    George Bush senior alla presidenza degli Stati Uniti d’America;
    Qualcuno a Staten Island inizia a scarabocchiare dei graffiti in giallo su nero
    che poi diventeranno il logo del gruppo di rapper Wu-Tang Clan;
    La guerra fredda è attiva ininterrottamente da 44 anni e sembra non avere fine;
    l’eterna concorrenza tra le catene di fast food; i giornali, tutti rigorosamente su carta stampata;
    lo slogan della Coca Cola è “You can’t beat the feeling” (non puoi vincere la voglia).
    “Coca o Pepsi?”; “Dallas”; le repliche di “Magnum P.I.”; la voglia di Gorbačëv.
    L’assolo finale di Van Halen in “Beat it” di Michael Jackson risuona nelle case dei poveri che sognano di diventare ricchi
    e dei ricchi che sognano di diventare ancora più ricchi.

    Sera del 17 Agosto 1991 a Central Park, New York.
    Ci sono circa 20°. Vento scarso, mutevole.
    Fa un po’ troppo caldo per una giovane agente del KGB che non ha avuto tempo di acclimatarsi.
    L’aria condizionata polare dell’aereo non ha aiutato. Lei è atterrata alle 15:00
    e ha passato il pomeriggio in un palazzo fatiscente del Queens.
    Poi, a Central Park, ha ricevuto da una signora anziana una valigetta. Niente domande.
    La luna si nasconde dietro le nubi di quella sera. La ragazza cammina cercando di evitare le luci della città.
    I suoi occhi azzurri possono rapirti, interrogarti o minacciarti, in base alle esigenze del partito.
    Una foglia cade sui suoi capelli corti neri e lei reprime uno scatto.
    Se sei addestrata a reagire a qualsiasi evenienza sei anche addestrata a non reagire se non necessario.
    “Fa’ che non sia una bomba”. Soppesa la sua valigetta grigia con la mano destra senza fermarsi
    e senza scuotere troppo il contenuto della valigetta. Lei esce dal buio dei cespugli e si dirige a Sud-Est;
    arriva sulla 5th avenue, una delle vie che costeggiano il parco.
    La donna scivola tra due station wagon parcheggiate e non si accorge che
    un’auto a luci spente sta arrivando dalla sua sinistra.
    Sente il rumore del motore appena in tempo e balza all’indietro.
    La macchina passa in una folata d’aria violenta. Lei si ritrova tra le due station wagon.
    Per il contraccolpo la valigetta emette il tipico tintinnio di …
    “Un telefono a disco combinatore? Di certo non può essere un campanello da bicicletta o da reception”.
    [Nota: i telefoni più comuni nel 1991 non erano a disco, ma erano a multifrequenza, cioè con tasti separati.
    Ogni tasto emetteva un tono particolare]
    “Forza, ancora una decina di metri. Ti sei già guardata attorno. Smettila di guardarti attorno come una ladra”.
    Suono del silenzio nero. C’è un’interruzione di corrente e i lampioni di tutta la zona attorno a lei si spengono.
    La città trattiene il respiro.
    Si sente, lontano, un incidente d’auto.
    Lei vorrebbe correre senza essere vista e scaricare lo stress in qualche falcata liberatoria,
    ma poi pensa che verrebbe investita dalla prima auto di passaggio
    o che avrebbe urtato per sbaglio la valigetta contro qualcuno o qualcosa, rovesciandone il contenuto.
    Lei non sa nemmeno se la valigetta è ben chiusa.
    Da Central Park a Long Island sono 5 km, ponte di Queensboro compreso.
    “Long Island è l’isola che comprende il Queens, Brooklyn, la zona dell’aeroporto John F. Kennedy e altre manifestazioni del demone del capitalismo”.
    Lei pensa e parla perfettamente in american english, ma per non complicarsi la vita non ha parlato dal momento del decollo.
    E pensa. La mancanza di contatti umani può portare alla pazzia.
    Lei ha un attimo di panico che le scorre dalle gambe al viso.
    Se vi sembra esagerato provate a pensare la situazione al contrario.
    Un’agente della CIA a Mosca, nella bocca del leone. Lei estrae una piccola torcia da una tasca e si fa strada nel buio.
    L’agente dice veloce a voce bassa «Vànkamas», ovvero una parola che non ha senso in alcuna lingua.
    All’istante si immagina nella Madrepatria, tra pelli d’orso, ghiacci amici,
    odore di stroganoff in padella e bandiere rosse sventolanti orgogliose.
    Tutto più reale della realtà. Una vacanza premio di cinque secondi offerta gentilmente dal suo ipnologo.
    Lei conosce altre manovre di auto-condizionamento e sa che è meglio non abusarne.
    La sua concentrazione è scandita dal rumore dei suoi tacchi bassi sull’asfalto.
    Lei arriva al ponte Queensboro e ne imbocca il passaggio pedonale sul lato destro concepito per metà come pista ciclabile.
    Si sente seguita, si volta, punta la torcia e vede che un signore asiatico in abiti leggeri chiari la sta seguendo.
    Lei gli punta la torcia agli occhi e il signore, con tono educato le dice:«Salve. Anche lei va a Long Island?
    Lo sa, lei è l’unica con una torcia qui in giro». E lei, reattiva e posata risponde:«Ma sì, le faccio strada, mi segua».
    Lei ha entrambe le mani occupate. Valigetta e torcia. Sente che l’uomo si tiene a debita distanza e non parla.
    Lei pensa:“Già, che stupida, non mi ha vista. Altrimenti avrebbe già attaccato bottone”.
    Lei chiede con simpatia:«Allora, mi dica, hanno lasciato a piedi anche lei?».
    E l’uomo:«Ah ah, no. Volevo fare un po’ di corsetta, ma con questo black out non va bene. Sto rincasando. Lei è della zona?».
    La ragazza è in forte disagio: deve illuminare il marciapiede davanti a sé e non può vedere il linguaggio del corpo dell’uomo, così si concentra sulla sua voce. Lui:«Comunque io sono Anthony Nguyen, ma puoi chiamarmi solo Nguyen … ehm, cioè, Anthony, cioè Tony».
    Secondo lei il tono di lui è sinceramente imbarazzato, così lei abbassa la guardia, pensa che egli non sia un agente
    e gli dice:«Jane Mir. Piacere e … oh no». Il signore chiede subito:«Qualche problema?».
    E lei, fintamente dispiaciuta:«La fede. Faccio luce. La vede? Dev’essere qui per terra. L’avevo qualche attimo fa».
    E lui, con un tono che le sembra sincero:«Facciamo qualche passo indietro. Sarà per terra».
    E lei:«Ah, che stupida. Ce l’avevo al dito». Tutta quella messa in scena solo per dirgli “Sono sposata. Evitiamo la conversazione”.
    I due attraversano il passaggio pedonale del ponte senza dire una parola.
    Arrivano su Long Island e le luci della città si riaccendono oltre le travi di metallo del ponte.
    Nguyen svolta a sinistra, supera Jane, o qualunque sia il suo nome, e la saluta con un breve «Buonasera».
    Jane spegne la torcia, se la rimette in tasca e inizia a camminare veloce, in automatico, verso Est.
    Ricorda le parole del suo capo:«Assomigli a Jane Mir, figlia di Mark Mir e Nora Mir, proprietari di vari palazzi nel Queens.
    Una volta nel Queens nessuno ti importunerà. La somiglianza con Jane, di notte, sarà perfetta».
    Lei cammina e ricorda.
    Per qualche oscuro motivo il suo ipnologo ha chiesto al suo capo che, anche in caso di successo,
    lei sia incarcerata per un anno al suo ritorno in U.R.S.S. .
    Il pensiero di dover scegliere tra una prigionia lunga e una breve per qualche assurdo motivo la calma.
    Lei arriva nel Queens, uno dei quartieri più malfamati di New York.
    Si rifugia in un vicolo scarsamente illuminato e va accanto a un cassonetto della spazzatura.
    Prende una caramella dalla sua tasca, la scarta, se la porta alla bocca e la ingoia.
    Ricorda le parole del suo istruttore «Il farmaco presente nella caramella è un siero creato per proteggere dagli effetti del crack.
    Dura mezz’ora a stomaco vuoto.
    La ingoierai solo in prossimità del luogo d’incontro, che come sai è un ritrovo di drogati.
    Ci siamo assicurati che il crack che gira da quelle parti sia di potenza dimezzata rispetto al normale».
    Lei esce dal vicolo, si avvicina a un palazzone scuro e sente il ripetersi di coppie di accordi di pianola tipico del reggae.
    All’entrata, che è un piccolo portone di compensato e cartone distrutto,
    le si avvicina un ragazzone di colore dai capelli corti con una maglietta bianca e dei jeans chiari.
    Lui le dice preoccupato con accento giamaicano:«Ehi, ma è già il giorno dell’affitto?
    Te li porto tra massimo tre giorni, garantito, signorina Mir».
    E lei, scostante:«Oggi è il 17. L’affitto si paga l’1. Fammi entrare, e buona serata».
    Il ragazzo si mette una mano sulla fronte, guarda verso il basso e rifiata.
    Lei sente odore di marijuana provenire dal portone, trattiene il fiato ed entra.
    Ordina al suo corpo di rilassarsi, per risparmiare ossigeno, e alla sua mente di svegliarsi.
    Alcune lampade giallastre illuminano il luogo. Una scalinata davanti a lei porta in alto.
    Alla sinistra di lei c’è una stanza buia e alla sua destra una stanza illuminata.
    Lei va a destra e imbocca un lungo corridoio senza finestre illuminato da un neon traballante bluastro attaccato alla parete destra.
    Il corridoio è davvero lungo, più di quanto ha immaginato.
    Un ragazzo bianco, alto e dai capelli rossi lunghi e crespi sbuca quatto da una coperta lercia e le afferra la valigetta.
    Lui fa l’errore di rimanere accovacciato, lasciando la sua testa nel raggio di movimento delle gambe di lei.
    Lei reagisce d’istinto, gli da una ginocchiata sul mento e glielo rompe. Lui mugugna e lascia la presa.
    Un barbone davanti a lei alla fine del corridoio, le dice con voce roca:«Ehi, lascia stare Slinky boy».
    Lei avvicina il volto al neon e il barbone le dice dispiaciuto:«Ah, signorina Mir. Prego, passi pure».
    Il barbone si rifugia in un bagno lì vicino e lei passa oltre continuando per il corridoio.
    I polmoni le bruciano e lei decide di respirare.
    Odore di plastica bruciata e urina nel pulviscolo polveroso in sospensione.
    “Il farmaco, una volta che il tuo corpo avrà fumi di crack in circolo,
    ti avviserà dandoti un senso di freddo alle mani e alle tempie. Niente di invalidante comunque.
    Sarai operativa al 100%”.
    Lei si sente le mani fredde.

    ...
    ___________
    commentate numerosi e numerose :ph34r:

    Edited by CB-PR - 23/3/2018, 16:46
     
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    nel suo capanno pieno di macchinari,

    Che ne pensi di sostituire "pieno" con "ricolmo"?

    CITAZIONE
    “Coca o Pepsi?”;

    Pepsi. :D

    Come inizio non c'è male. Però, visto che la protagonista iniziale è del KGB io l'avrei fatta più fredda nelle emozioni. È solo una mia opinione comunque.

    Non mi è chiaro a cosa le serve effettivamente quel farmaco che ha preso. Cioè, tu lo spieghi, ma non vedo come questo possa esserle utile. Forse lo scoprirò più avanti :D
     
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    Se non ho capito male quel farmaco serve come "antidoto" contro il fumo passivo... o almeno così mi pare di capire. Non sapevo nemmeno che il crack si fumasse. XD

    Per quanto riguarda il post, l'ho trovato piuttosto coinvolgente, anche se molto "denso": ci sono tantissime informazioni e già parecchi personaggi in azione fin dall'inizio.

    PS. “Coca o Pepsi?” ---> per quanto ne so, la differenza tra le due dovrebbe essere che la Pepsi è più zuccherata della Coca Cola. Questo, a grandi linee, ne renderebbe il sapore della Pepsi più gradevole di quello della Coca Cola se a temperatura di frigo ma più sgradevole se a temperatura ambiente.
     
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  4. CB-PR
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    oggi sono di buonumore :) :) ^__^
    La trama di questo thriller è già completa. Devo "solo" sviluppare...
     
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  5. CB-PR
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    2 – Il giudice-aquila
    Alla fine del corridoio c’è una porta blindata verde scura. Lei si convince di un pensiero:
    “Se questo è un tranello c’è di sicuro un agente della CIA oltre questa porta, con una pistola puntata verso di me”.
    In questo momento le cose che sembrano non avere senso hanno perfettamente senso per lei.
    Lei estrae una pistola nera con silenziatore, poi, colpita da un’idea migliore, la rimette in tasca e va nel bagno. Ci trova il barbone, gli si avvicina e gli sussurra:
    «Vuoi farti cinque dollari facili facili?». Il barbone le fa cenno di sì con la testa e lei:«Bene.
    Esci fuori da qui e apri quella porta blindata. Shhh…». Lei si mette all’uscita del bagno a spiare cosa succede nel corridoio.
    Il barbone si avvicina alla porta in metallo, gira la maniglia, apre. Lui ha il buio davanti a sé.
    Lei sente degli spari silenziati e lo vede cadere, bucherellato al torace, sul pavimento del corridoio.
    Lei fa una stima della posizione da cui sono venuti i colpi, si sporge scattante dal bagno e spara tre colpi.
    Sente il rumore di un corpo che cade a terra.
    Per ogni agente della CIA ucciso e confermato, il Cremlino le ha promesso otto milioni di rubli. Lei pensa:
    “E se ce ne fosse un altro sarebbero sedici milioni”.
    In quel momento lei sente dei passi alle sue spalle, si volta,
    spara e vede un uomo molto somigliante al barbone cadere morto per terra, di faccia.
    Lei entra nella stanza consapevole del fatto che al massimo tre agenti possono essere, o essere stati, lì nel palazzo.
    “Non più di tre. Stanotte è la vigilia dell’operazione X.A.D.E. . Gli operativi saranno di sicuro tutti a dormire”.
    Passa attimi a origliare nel silenzio.
    La stanza è illuminata dalla luce di un lampione che filtra attraverso una finestra talmente sporca da essere praticamente inutile.
    Appena un filo di luce giallastra illumina una troppo piccola porzione di pavimento.
    La stanza è un ampio salone con quattro colonne in cemento e un divano lercio a due posti.
    Non contiene altro. Lei accende la torcia e dice «Devo entrare o non entrare?»,
    che è una frase segreta alla quale nessun agente del KGB è autorizzato a rispondere.
    Quindi la risposta giusta per tale parola è il silenzio. Una voce di donna le risponde da dietro al divano:
    «Serpico sette spacca, o forse non si chiama così. Comunque è un bel pezzo»
    che come parola d’ordine prestabilita va bene per quell’occasione, ma non per quella frase.
    “Serpico sette spacca …” dovrebbe essere preceduta da “Hai sentito l’ultimo dei Wu-gang clan?”.
    La giovane agente del KGB rimane zitta e spara un colpo per trapassare il divano.
    Lei vede delle scintille bianche provenire dal punto d’impatto e sente il tipico rumore di un proiettile
    che rimbalza contro una superficie metallica. Un istante dopo sente un dolore bruciante allo stinco sinistro.
    Il proiettile le è rimbalzato contro. “Qualcuno deve aver ficcato un pannello di metallo nello schienale del divano”.
    Jane si accascia cercando di mantenere la mira salda.
    L’agente della CIA si sporge dal lato destro del divano e spara a Jane cinque colpi silenziati.
    Non ne va a segno nemmeno uno. Jane spara e la centra in fronte; si sente come la ragazza più fortunata del mondo.
    Rifiata soddisfatta prima di essere assalita dal dolore allo stinco.
    In quel momento il vento in città cambia direzione e i vapori di crack del piano di sotto attraversano il corridoio
    e arrivano nella stanza dove Jane è a terra.
    Lei sente i lontani accordi della musica reggae diventare rumori ripetitivi e lugubri di pianoforte a coda.
    Dalla porta blindata aperta lei vede un uomo in giacca e cravatta nere e occhiali da sole a goccia entrare, lo spara.
    Ne arriva un altro più alto. Morto con un proiettile in fronte. Un altro agente muscoloso.
    Stecchito. Dopo il quindicesimo agente morto lei crede di aver finito i suoi colpi e non spara più.
    Non entra più nessuno. Lei pensa incredula:“Aspetta un attimo.
    Non è così che vanno le cose. Occhiali da sole di notte? Quindici agenti che arrivano uno dopo l’altro come morti viventi?
    Ho capito. Il farmaco nella caramella è scaduto. È l’unica ipotesi sensata. Devo essere …”.
    In quel momento lei visualizza il suo ipnologo, il dottor Vasiliev, al centro della stanza, cinto da un alone luminescente biancastro.
    Nella mente di lei il dottore le dice:«Benvenuta nella sezione “ultima spiaggia” del programma ipnotico “Ipno 1991”.
    Se lei sta visualizzando questa conversazione significa che la sua mente è temporaneamente sotto l’effetto
    di una droga pesante o di un tentativo di ipnosi da parte di agenti ostili. Si calmi. È un ordine».
    La voce di Vasiliev poi cambia diventando più lenta.
    Lei sente:«Deve solo scegliere se morire adesso o passare il resto della vita in isolamento».
    E Vasiliev prorompe in una risata che diventa grave, sempre più grave.
    Le suona come un pianoforte a coda triste che ridacchia. Jane dice terrorizzata:«Vànkamas! Vànkamas!».
    E la voce di Vasiliev le fa:«Oh ma quei trucchetti non funzionano qui. Tu adesso sei nel mio regno.
    Solo giurando fedeltà all’aquila degli Stati Uniti ne uscirai viva e libera».
    Negli occhi di lei Vasiliev si trasforma in un giudice dalla testa di aquila.
    Ci sono solo lei, la valigetta, il giudice aquila e la pistola.
    Lei punta la sua pistola verso il giudice. Vasiliev l’aquila le dice con tono di sfida:
    «Hai ancora colpi? Vediamo se sai contare. Dovresti essere sicura di quanti colpi hai nel caricatore».
    E lei, speranzosa, risponde:«Li ho finiti».
    Vasiliev:«Allora dimostralo facendo fuoco sulla tua testa e uscirai da questa esercitazione.
    Solo allora potrai continuare la missione. Questa è un’esercitazione». Jane si punta la pistola alla tempia e preme il grilletto.
    Il suo cadavere si accascia in una posizione innaturale.
    La ferita sulla sua tempia viene cauterizzata all’istante dal calore del proiettile, quindi non esce sangue.
    Lei non ha mai attraversato quel corridoio. Il farmaco anti crack in circolo nel suo sangue è scaduto da un anno.

    Edited by CB-PR - 24/3/2018, 14:10
     
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    Potresti andare a capo ogni tanto, così come il testo è pesante alla vista.

    Questo aggiornamento l'ho trovato un po' confusionario. Cioè, non sono riuscito a capire se quello che è successo sia stato vero o era stotto ipinosi o altra roba del genere.

    E poi, dubito che il sangue non esca se ci si spara alla testa.
     
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  7. CB-PR
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    ma non è colpa mia. è il forum che è formattato male. io non posso aggiustare ogni volta gli a capo per ogni post. scusate, ma esistono community di scrittori che hanno già risolto questo problema da tempo.

    riguardo all'ipnosi sì hai ragione devo spiegare meglio che cosa è stato reale e cosa no.

    hai ragione sul sanguinamento. aggiusto.

    ____________
    Jane si punta la pistola alla tempia e preme il grilletto.
    Il suo cadavere si accascia in una posizione innaturale.
    La ferita sulla sua tempia fa sgorgare sangue sul pavimento del corridoio.
    Lei ha solo pensato di entrare in quella stanza.
    Riassumendo, è entrata in quel corridoio del Queens,
    ha respirato crack, il farmaco non l’ha protetta e, a causa delle allucinazioni, lei si è suicidata.
    Il farmaco anti crack in circolo nel suo sangue è scaduto da un anno.
     
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  8. CB-PR
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    3 - Addio KGB
    Avvengono sconvolgimenti in U.R.S.S. . Grandina e soffia vento di cambiamenti.
    Alcuni analisti del KGB prevedono addirittura lo scioglimento dell’unione dei suoi stati.
    Qualcuno dovrebbe occuparsi di Jane,
    ma il suo faldone personale viene perduto in una concitata risistemazione di documenti ad opera di un tale Anton Brobov.
    Brobov non dorme da 48 ore e ha un vuoto di attenzione.
    Cinque secondi in cui tutta la vita di Jane viene cancellata dall’esistenza.
    Un faldone dentro a un altro faldone. L’incubo di ogni archivista.
    Non c’è più tempo per cercare. Il KGB deve chiudersi a riccio o assistere impotente la propria disfatta.
    Al Cremlino ogni agente è preoccupato a rendersi indispensabile in un’ipotetica nuova divisione dei servizi segreti russi.
    Più di un agente, dietro porte chiuse, preleva documenti importanti per fare bella figura in futuro, sotto altri capi.
    «Brobov!». Brobov si sistema gli occhiali in cellulosa neri dalle spesse lenti e si mette sull’attenti restando seduto.
    «Brobov. Passami il faldone del caso SK-1». Brobov:«Sì, subito».
    L’archivista assonnato cerca, ricerca, fa delle orecchie ad alcuni faldoni già esaminati per scartarli.
    Il faldone di Jane e del caso SK-1 è dentro a un faldone che tratta della pulitura di fucili da caccia ormai in disuso,
    intitolato “Pulitura A.F. e manutenzione ordinaria”. Brobov:«Allora … Pulitura A.F. … no.
    Servizi igienici e spese mensili. no». «Insomma, Brobov! SK-1. C’è o non c’è?».
    L’archivista spalanca la bocca rimanendo ammutolito. Ci sono 570 metri quadri di archivi,
    che si sviluppano per un’altezza di 5 metri. «Brobov, voglio il faldone sulla mia scrivania entro tre ore, anzi due, anzi … si sbrighi!».
    Brobov sarà pure assonnato, ma è certo di una cosa:
    “La Madre Russia crollerà prima che il faldone SK-1 verrà trovato … me ne starò qui buono buono a far finta di cercare.
    Per quello che mi pagano ho lavorato anche troppo. Dubito che quando la Patria crollerà mi pagheranno gli straordinari”.
     
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    Capitolo corto, di certo è un intermezzo per la prossima fase della storia.
     
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  10. CB-PR
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    4 – Rags to riches.
    Il barbone che Jane ha visto nel corridoio è reale. Si chiama Jesus Grime e non crede in Dio.
    Lui non ha mai visto la TV in vita sua e non riconosce i rumori degli spari silenziati come tali.
    Zip Zip.
    Fa capolino dal bagno e a tentoni entra nella sala con le colonne e il divano.
    Conosce bene quel posto e a tentoni fa scattare un interruttore e così accende un lungo neon giallastro sul soffitto.
    Vede la valigetta e la toglie dalle mani di Jane.
    Agita tale contenitore e decide che dev’essere di valore:“Se tintinna così varrà dai 5 ai 5000 dollari”.
    La prende e scappa veloce. Scappa come un vento intriso di metamfetamina.
    Le gambe gli pulsano, il cuore gli batte a mille. Conosce la zona come le sue tasche bucate.
    Sposta un pannello d’amianto rivelando un buco in un muro ed entra nel palazzo accanto.
    Ricorda vagamente di un banco dei pegni 20 km più a Est, verso East Meadow.
    Si convince che col suo immenso carisma potrà facilmente vendere il contenuto della valigetta “Qualunque sia”
    senza che gli si facciano troppe domande. Appena fuori dal Queens costeggia la Grand Central Parkway,
    un vialone molto più alberato di quanto si possa immaginare per una zona di New York.
    Si ferma e pensa:“Un barbone che cammina con una 24 ore di notte?”.
    Dall’altro lato del viale vede il suo spacciatore, un albino che si fa chiamare Motowel.
    Passano poche macchine. Jesus attraversa la strada correndo con la schiena arcuata in avanti.
    Motowel si mette la mano destra in tasca e Jesus capisce che sta per estrarre la sua Walther PP.
    Jesus si ferma sul marciapiede a 4 metri da Motowel, si guarda attorno.
    Nessun testimone. Jesus gli dice di fretta ma senza sembrare minaccioso:«No! No! Ho un regalo. È una … un …».
    I due si appartano dietro a un albero. Jesus poggia la valigetta sull’erba umida e la apre.
    Sul viale passa una volante della polizia con due poliziotti che non si accorgono di niente.
    Jesus apre la valigetta e sbuffa verso il basso. Motowel si spazientisce:«E allora?».
    Jesus:«No, niente. Ti ho portato questo telefono antico. Varrà un panino?».
    Un “panino” per loro è una dose. Motowel inarca le sopracciglia e fa:
    «Ho un cugino che è fissato con le cose antiche. Da’ qua.
    Se vale qualcosa, domani sera ti faccio sapere. Stesso posto, stessa ora».
    Jesus si sente felice di aver parlato con qualcuno per qualche secondo e va via dicendo:
    «Dalle stalle alle stelle, baby!».
    -
    Mattina del 18 Agosto 1991. Staten Island, New York.
    Internamente la casa di Motowel è dipinta totalmente di nero
    perché non vada perso nemmeno un granello di cocaina o di chissà cos’altro.
    Suo cugino Moten gli assomiglia molto. Sono tutti e due in canottiera e jeans corti su un divano nero.
    Moten attacca il Kassia SK-1 alla presa telefonica del salone tramite un filo lungo una ventina di centimetri.
    Tutte le persone al telefono nella zona di New York sentono in quel momento
    uno strano fischio lungo due secondi nella loro cornetta.
    Moten e Motowel non lo sentono.
    Moten dice a Motowel: «Tow, scommetto che non funziona.
    Tutto ciò che Jesus tocca diventa merda. Garantito». Motowel gli fa:
    «Cugino, chiama … huff … che ne so. Chiama la pizzeria Cludo».
    Moten mette una penna biro nel foro corrispondente al numero 5 e gira, poi 5, 5, 6 …
    e, finito il numero, sente una voce squillante a bassissima qualità audio dire:
    «La vuole con o senza sottaceti?». Moten:«Ma che caxxo dici? Ancora non ti ho chiesto niente. Idiota».
    Voce del Cludo:«Va bene, siamo lì da voi tra 5 minuti».
    Moten sbrocca:«Cosa?! Voi non venite qui! Anzi. Venite che vi apriamo il xxlo.
    Tutta Staten Island a pistole spianate. Ma guarda questo idiota».
    Motowel si gratta le tempie e dice:«Forse non funziona. Lasciami fare».
    E compone il numero di un barbiere lì vicino. Motowel:« … Non squilla».
    Passa qualche secondo in attesa e poi dice:
    «Cugino. Siamo al quarto piano, giusto? Bene. Vediamo se questo coso è buono almeno per fare canestro».
    Così stacca il filo, apre una finestra verso Est,
    si sporge da essa col Sole negli occhi e lancia il Kassia SK-1 in un bidone dell’immondizia.
    Centro su un materasso bucherellato. Il congegno non si rompe.
    In quello stesso istante Nikola Tesla si rivolta nella tomba.
     
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  11. CB-PR
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    5 – Ipotesi su oggetto ignoto.
    60 minuti dopo (ore 11:44).
    300 km a Sud-Ovest di New York, nel lungo edificio che ospita la CIA a Langley, Washington.
    Alcune figure nell’ombra sono in una sala in cui vengono proiettate foto sgranate dello studio di Nikola Tesla.
    Una barra nera con testo bianco in sovraimpressione recita “12/12/1910”.
    (Voce grave):«E così dovremmo trovare quel telefono a disco lì nell’angolo sotto al tavolo?».
    (Voce giovanile e insicura):«Ehm, veramente non siamo sicuri che sia proprio quello.
    Il nostro contatto a New York ci dice che Eleanor Almore, un’anziana signora,
    è andata a Central Park e ha venduto un telefono simile a una ragazza di cui è riuscita a notare solo due dettagli:
    altezza media e capelli corti neri».
    (Voce grave) :«Accento?».
    (Voce giovanile e insicura):«Non ce l’ha detto. Inserisco il vivavoce».
    La porta si apre nella stanza buia e trapela un riflesso di luce al neon.
    Una donna entra nella stanza, chiude la porta e dice in fretta:«Chiudete la conversazione».
    Si sente il tipico rumore di una cornetta telefonica che viene riattaccata.
    (Donna):«Questa operazione non è autorizzata.
    Un telefono che può intercettare qualsiasi chiamata?! Inventato nel 1910?!
    Il mito di Nikola Tesla fa ancora presa, eh?».
    (Voce grave):«Propongo di creare una semplice trappola.
    Facciamo credere ai russi che ci sarà una chiamata molto importante,
    diffondiamo una finta informazione e vediamo se ci cascano.
    Se hanno veramente il telefono SK-1, e se tale SK-1 funziona manderanno qualcuno in missione in luogo e ora stabiliti».
    (Donna):«Forse non avete capito. I nostri migliori scienziati ci garantiscono che l’SK-1 è una storia da universitari.
    Una di quelle cose che i professori mettono in giro per motivare gli studenti e gasarli».
    (Voce giovanile insicura):«Ma chi andrebbe mai a comprare un telefono a disco di sera a Central Park?».
    (Donna):«Qualcuno che ha la fissa dell’antiquariato, o meglio, del “vecchiariato”».
    (ore 14:56)
    La donna di Langley corre per un corridoio della sede della CIA e spalanca una della tante porte
    che conduce a un ufficio organizzato in box di compensato bianchi.
    «Signori, questa mattina tutti i telefoni di New York hanno emesso uno strano fischio di due secondi.
    Una donna di altezza media, capelli corti neri è stata trovata morta in un palazzo del Queens.
    Nello stomaco le hanno trovato una sostanza che il coroner ha definito come, e cito
    “dotata di un odore mai sentito, e io ne ho sentiti tanti, di odori in trent’anni di carriera”».
    La donna si mette al centro della stanza e dice con tono leonino:
    «Troviamo quel telefono. Si chiama “Kassia SK-1” e a quanto ne sappiamo ha la scritta “SK-1”
    impressa al centro del disco combinatore».
    (ore 15:20)
    Tutti i negozi di antiquariato e i mercatini di Long Island vengono invasi
    da signori e signore che fanno domande tenendo in mano fotocopie di un disegno a matita che raffigura l’SK-1.
    Voci contrastanti si rincorrono.
    Testimone 1:«Forse l’ho visto, ma io non riesco a pensare in fretta. Ho bisogno di sedermi.
    Forse sicuramente l’ho visto un telefono così».
    Testimone 2 (un anziano jamaicano):«Un telefono così brutto? Sarà finito in qualche discarica».
    Testimone 3 (un ragazzo di origini francesi):«Conosco un tizio che per 200$ ve lo ricostruisce uguale.
    Una copia perfetta. È veramente un artista. Sta nel Queens».
    Il ragazzo non fa a tempo a finire di dire “Queens” che viene fissato da due agenti in giacca e cravatta nere.
    Agente 1: :«E che cosa ne sai del Queens? Eri lì ieri notte?».
    Testimone 3:«Ehm, no. Cioè sì. Ovvio che sì, voi sapete tutto.
    Ma io non ho fumato, stavo lì solo per bere e magari avrò respirato per sbaglio. Sì, fumo passivo, ecco».
    Testimone 2:«Di-sca-ri-ca. Ve lo dico io».
    Testimone 1:«Ma sì! Ero giovane e il telefono aveva una targhetta di metallo sulla cornetta. Diceva proprio “Winston SM-4!”».
    Gli agenti della CIA lì presenti si guardano esasperati.
    Gli ordini tra CIA, FBI e NYPD si accavallano e si contrastano:
    «Ci sono 374.260 persone in USA che si chiamano “S.K.”»
    «La scritta “S.K” è su molti palazzi di Long Island. Che sia una specie di sadico scherzo di qualche pazzoide?»
    «Si vede che non siete di New York, ragazzi.
    Esse Kappa è la tag di un graffitaro del Queens. Le scritte Esse Kappa sono lì da anni.
    Fatevi un po’ di cultura da strada prima di sparare teorie assurde. Passo e chiudo».
     
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    Ero giovane e il telefono

    Era giovame...

    Ora sappiamo cosa può fare questo telefono. Certo che Tesla ne tirava fuori sempre qualcuna , eh? XD
     
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  13. CB-PR
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    È difficile capire che cosa si sta scrivendo, specie se non si è un professionista.
    Il mio punto di vista è sicuramente diverso dal vostro, quindi...
    --Dovendo dare 3 o 4 aggettivi a questo inizio di romanzo quali gli dareste?--
     
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    Direi che dovresti concentrarti sul creare una linea diretta della trama tra un capitolo e l'altro, senza creare confusione. In alcuni punti, come già ti avevo detto nel commento precedente, chi legge si perde.
     
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    Mi sono messa in pari con gli aggiornamenti e ci sono state diverse novità. Per quanto, in ogni capitolo, siano stati introdotti dei personaggi diversi, parte dei quali non hanno interagito gli uni con gli altri, mi sembra che sia stata una buona intuizione per fare andare avanti la trama in modo scorrevole. Andando avanti con la stesura, mi sembra anche che il testo stia diventando più scorrevole rispetto all'inizio.
     
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22 replies since 20/3/2018, 16:24   162 views
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