Heaven is a place on the Earth

Il paradiso è un posto sulla Terra

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    HEAVEN IS A PLACE ON THE EARTH

    Questa fan fiction è ispirata ad un episodio di Black Mirror, per essere più precisi, al 3x04 ‘Saint Junipero’.
    Essendomi piaciuto davvero tantissimo e avendomi emozionato a dovere,
    ho deciso di riadattarlo a mio modo prendendo come personaggi Bill e Tom Kaulitz (dei Tokio Hotel) dove, in questa FF, non sono fratelli gemelli. Sarà una mini fic composta da non più di 4 o 5 capitoli (ne ho già pronti due)
    Fatta questa breve introduzione, vi lascio al capitolo (:



    Titolo: Heaven is a place on the Earth
    Autore: Serial Killer
    Raitig: PG13
    Genere: Sentimentale/Romantico
    Coppia: Slash Bill/Tom - Tom/Bill
    Trama: Bill, un ragazzo timido e riservato, va spesso in visita in una nota località turistica: Saint Valentine. Una sera, decide di uscire fuori dai ranghi, frequentando così una discoteca molto conosciuta. Sarà lì che incontrerà Tom, un ragazzo estroverso ed abitudinario. Tra i due nascerà un'intensa che andrà oltre la loro immaginazione, oltre il tempo e...qualunque altra cosa.

    1. Saint Valentine


    La musica alta, le luci che proiettavano giochi di colore sulle pareti del locale e sulla gente accalcata in pista intenta a scatenarsi e a ballare fino a tarda sera, uomini e donne sedute al bar assorti tra i propri pensieri sorseggiando un drink e alzando un po’ il gomito. Bill si sentì spaesato e fuori luogo. Non era affatto posto adatto a lui, quello. Come ci era finito lì, tutto solo? Vagava spaesato facendosi largo fra la gente sgomitando e cercando di non farsi colpire sulle costole. La sua intenzione era di arrivare sano e salvo al bar e bere qualcosa in santa pace. Controllò l’orologio, aveva ancora due ore abbondati, prima di andare via.

    «Permesso, mi—mi scus— Permesso!» biascicò, mentre riceveva violente gomitate ai fianchi e copiose calpestate sui piedi. «Vorrei passare. Scusi.» con un gesto automatico, si posizionò gli occhiali larghi e tondi sul naso ed alzò le braccia così che potesse riuscire a fare gli ultimi metri che lo distanziavano dal bar.

    «Ouf! Mio Dio quanta gente viene qui.» pensò ad alta voce sedendosi sullo sgabello, ordinando subito dopo una Coca Cola light con ghiaccio.
    «Niente alcol per te, figliolo?» disse la barista. Era una giovane signora sulla trentina; alta, mora e con le forme al punto giusto. Bill la guardò imbarazzato, abbassando la sguardo. Non era mai stato un tipo socievole a causa della sua tremenda timidezza. Sorrise arrossendo.
    «Non ti ho mai visto da queste parti. Sei nuovo?» domandò la barista, intenzionata a fare conversazione mentre asciugava un boccale di birra. «A dir il vero non sono mai stato qui in questo locale, ma a Saint Valentine sì, diverse volte. È già da qualche anno. Mi piace e…mi fa stare bene. Posso reputarmi un turista abituale.» ammise Bill stringendosi nelle spalle. La barista sorrise in maniera gioviale e gli porse la sua ordinazione.

    «Tutti stanno bene qui a Saint Valentine, ragazzo. È un vero e proprio paradiso terrestre.» Bill annuì e sorrise a sua volta, cominciando a bere la sua Cola. Ruotò su se stesso facendo fare un giro di 180° allo sgabello dimodochè la sua attenzione fosse focalizzata sulla pista da ballo e sulla gran parte delle persone lì presenti. Faceva vagare il proprio sguardo tra la folla, sebbene sapesse di non conoscere nessuno lì. Non aveva molti amici. La musica cominciò a farsi più interessante e involontariamente il piede destro cominciò a battere a ritmo sul pavimento seguito da un lieve movimento della testa. La mano, a sua volta, batteva sulla coscia.

    D’un tratto, mentre era assorto tra i propri pensieri, notò un ragazzo venirgli incontro. Si guardò a destra e a sinistra, spaesato, ma quel tipo sembrava proprio venire nella sua direzione. Si sedette sullo sgabello accanto al suo, pericolosamente vicino, avvolgendogli la spalla con il proprio braccio.

    «Ti prego, non fare domande.» chiese il ragazzo. «Tu assecondami soltanto, mh?»
    «Cos—io non…»
    «Qualunque cosa dica, tu assecondami. Per favore.»

    Bill era confuso e disorientato, cosa voleva quel ragazzo da lui? Solo quando vide avvicinarsi una ragazza bionda ossigenata, con due tette grandi come angurie, occhi da cerbiatto e labbra gonfie tipo canotto, capì. Stava scappando da lei.

    «Si può sapere perché scappi da me, Tom? Non c’è più tempo. Io volevo divertirmi ancora!» piagnucolò la ragazza, mettendo il broncio. Le sue labbra parevano ancora più grosse contorte in quella smorfia.
    «Senti emh…»
    «Beth!»
    «Già, sì…Beth. Ascoltami, io ora devo parlare con il mio migliore amico, okay? Ho da fare in questo momento.»
    «Sì, ma…la settimana scorsa hai detto che ci saremmo divertiti.» insisté lei, incrociando le braccia al petto e puntellando per terra il piede, infastidita da quel rifiuto.
    «Beth…» cominciò Tom, abbassando il tono di voce e sporgendosi in avanti. «Il mio amico sta molto male, okay? È malato e…gli resta poco da vivere. Un po’ di compassione.»
    «Sì, mi restano poco più di sei mesi di vita. Vorrei passare quanto più tempo possibile con lui.» intervenne Bill disinvolto e sicuro di sé. Il ragazzo si voltò verso di lui e gli accennò un sorriso di totale gratitudine. La bionda però, parve esserci cascata.
    «D’accordo. Come vuoi. Settimana prossima ti aspetto qui, okay?» e prima che Tom gli desse una risposta, girò i tacchi e si perse tra la folla.
    «Ouf! Dio mio, temevo non se ne andasse più!» sbuffò Tom spalmandosi una mano sul volto, socchiudendo gli occhi e scuotendo il capo.
    «Sembrava che la conoscessi, però.» Bill si sentì leggermente a disagio dopo aver esternato il proprio pensiero.
    «Beh…conoscerla è una parola bella grossa. Ci siamo incontrati la prima volta in un locale…come dire…poco raccomandabile ecco, dove vanno tutti coloro che vogliono semplicemente godersi la vita sballandosi. Tra l’altro, hai visto l’elemento con cui stavamo parlando poco fa.» Bill annuì e prese a bere quell’ultimo sorso della sua bevanda.
    «Scusami se ti ho dato praticamente per morto!» ammise poi il ragazzo, seriamente imbarazzato per quanto avesse detto poco fa. «È stata comunque una bella mossa la tua, complimenti.» si aprì in un sincero sorriso e Bill non poté non notare quanto fosse veramente solare e genuino, quasi ipnotico. Aveva i capelli abbastanza lunghi – probabilmente – raccolti in un codino spettinato. Corporatura media, piuttosto alto e di bella presenza.
    «Sono rimasto semplicemente al gioco. Chiunque l’avrebbe fatto.» disse poi lui sorridendo a sua volta e stringendosi nelle spalle, posando il bicchiere di Cola ormai del tutto vuoto. Il ragazzo restò a fissarlo per qualche istante senza proferire parola. Senza mai smettere di sorridergli allungò la mano, porgendogliela, in attesa che Bill la stringesse.
    «Io mi chiamo Thomas, ma puoi chiamarmi Tom.»

    Senza esitare, Bill gliela strinse con piacere. «Io Wilhelm, ma ti prego…chiamami Bill.» ammise lui. Detestava il suo nome di battesimo. Se avesse potuto l’avrebbe cambiato.

    «Sei nuovo da queste parti, vero? Ehi, Sally! (la barista) due Vodka Lemon per me e il mio amico.»
    «Oh ehm, io sono a posto così, grazie! Non bevo.» Bill scosse il capo e cercò di rifiutare cordialmente la sua proposta. Tom sgranò gli occhi e spalancò la bocca, come se avesse appena visto un fantasma.
    «Cosa cazzo vuol dire: “Non bevo?” certo che devi bere.» corrucciò le sopracciglia e sbuffò dal naso, ripetendo una seconda volta la loro ordinazione che arrivò qualche attimo dopo.

    *

    Bill tossì violentemente quando bevve il primo sorso del primo alcolico della sua vita. Il viso si contorse in una strana espressione indecifrabile. Quel drink era davvero troppo forte per lui.

    «Ow! Non ho mai bevuto niente di più orribile nella mia vita. Ha il sapore…di…sembra spirito!» bofonchiò Bill, schioccando la lingua e lasciando il suo bicchiere praticamente tutto pieno. Scosse il capo. «Per me basta così.»

    Tom, dal proprio canto, non disse nulla. Beveva in silenzio senza mai distogliere lo sguardo da Bill. Lui si sentì impacciato e, timido com’era, si sentì avvampare immediatamente.

    «Che cosa fai?» domandò poi, giocherellando con il bicchiere del drink. Una condensa si era formata sul vetro e alcune goccioline caddero sul bancone. Le asciugò distrattamente con il pollice. Lo sguardo era fisso verso il basso.

    «Nulla, ti sto scrutando.» ammise Tom, poggiando un gomito sul bancone e sorreggendosi il mento con la mano. Bill sbuffò dal naso e sorrise timidamente.
    «Mi sento come se mi stessi analizzando.»
    «Non…non ti sto analizzando. Mi piace il tuo stile. Sei un tipo interessante.»

    Bill deglutì e, involontariamente, afferrò di nuovo il bicchiere colmo e tirò un lungo sorso di drink dalla sua cannuccia, senza alcuna difficoltà.

    «Di dove sei, Bill? Sei nuovo, giusto?»

    Riprese il discorso Tom, scolandosi l’ultimo sorso del suo Vodka Lemon per poi ordinarne un altro identico. Bill, prima di rispondere, si sistemò meglio sullo sgabello imbottito e si grattò la nuca volgendo la propria attenzione da un’altra parte. Osservata distrattamente la gente scatenarsi e divertirsi.

    «Sì. Diciamo che…è la mia prima sera, questa! Non sono mai stato in un posto del genere.»
    «No! Non ci credo! Davvero?» Tom sgranò gli occhi con fare meravigliato. «Allora vieni con me, dobbiamo assolutamente ballare. Coraggio!» scolò d’un fiato l’ennesimo drink ed afferrò il polso di Bill che, inizialmente, oppose un po’ di resistenza.
    «No—io non so—non so come si fa. Non so ballare.» ammise lui, strattonando dal lato opposto.. Tom però non demorse. Gli prese i polsi con entrambe le mani e lo trascinò fino al centro della pista da ballo.
    «Andiamo, divertiti. Tra qualche ora sarà tutto finito! Fa quello che faccio io, okay?» cominciò a ballare a ritmo di musica, muovendo le spalle e scuotendo la testa, socchiudendo gli occhi come se fosse completamente assorto nella canzone. Dal canto suo, Bill, restò impalato guardandosi intorno. Detestava avere gli occhi puntati su di sé.
    «Sciogliti, andiamo! Fa come me. Copiami.» disse Tom prendendo le mani del ragazzo e facendole ondeggiare. Bill sorrise e, seppure in maniera impacciata, cominciò a muovere le gambe a ritmo di musica.
    «Visto? Non è poi così difficile, non trovi?» urlò Tom nel tentativo di sovrastare la musica alta. Bill non rispose ed annuì, strizzando gli occhi e riducendoli a due piccole fessure. Non si era mai sentito così…vivo come ad all’ora. La musica gli rimbombava piacevolmente nelle orecchie e tuonava all’interno del suo petto, come se la musica suonasse proprio dentro di esso. La sentiva scorrere nelle vene, nelle braccia, nelle gambe, in tutto il suo corpo.

    D’un tratto però, ebbe come la sensazione di sentirsi spaesato, perso, come se la sua mente stesse vagando da tutt’altra parte e il suo corpo fosse rimasto lì, come un involucro vuoto. Iniziò a girargli la testa e percepiva su di sé gli occhi di tutti. Scosse il capo e, cercando di farsi spazio, tentò di uscire fuori per prendere un po’ d’aria. Corse verso la porta dell’entrata, travolgendo qualche ragazzo.

    «Ehi! Fa attenzione.» gli urlò dietro un tizio, ma lui non vi prestò minimamente attenzione. Appena fu abbastanza vicino alla porta, vi parò immediatamente le mani davanti e l’aprì. Pioveva a dirotto e, per non bagnarsi, si riparò sotto la tettoia spiovente del locale.

    Ma perché sono venuto qui
    . Pensò Bill tra sé e sé, poggiando la schiena contro il muro e fissando successivamente la luce di un lampione che si accendeva e spegneva ad intermittenza, riponendo successivamente la sua attenzione alla pioggia che veniva giù senza sosta. I piedi erano fradici ed infreddoliti.

    «Fanculo! Le mie scarpe nuove.» imprecò a denti stretti, sedendosi in seguito su una panchina a ridosso del muro. Si perse ancora una volta fra i propri pensieri fin quando, di sorpresa, non vennero interrotti dal cigolio della porta dell’ingresso del locale. Si voltò in quella direzione e notò uscire una figura a lui familiare.
    «Ehi! Perché sei scappato via?» disse Tom proteggendosi dalla pioggia con la sua giacca di pelle e correndogli incontro.
    «Emh…io…non mi sentivo a mio agio lì dentro. Te l’ho detto di non esserne capace.» sbuffò Bill incrociando le braccia al petto. «Ci guardavano tutti e…»
    «E cosa?» lo interruppe Tom, poggiando la mano sul braccio del ragazzo accanto. Bill sussultò. «Guarda che non ti mordo mica, eh?» sbuffò dal naso, arricciandolo un secondo tempo.
    «Non…non è per quello. Ma… sai…due ragazzi che ballano insieme, potrebbe non essere ben visto, non trovi?» probabilmente non era esattamente quello che Bill voleva intendere. Temeva che, un’esternazione del genere avrebbe potuto ferire Tom e, in tutta onestà, non avrebbe mai voluto. Era stato gentile con lui.

    Tom strabuzzò e sgranò gli occhi, spalancando la bocca ed assumendo così un’espressione di pura sorpresa.

    «COSA? In questa città nessuno giudica nessuno. Prontoooo?» scherzò, picchiando leggermente con le nocche la testa di Bill. «Sei al Saint Valentine. Qui tutti sono liberi di fare quello che vogliono. Capita una volta alla settimana questa cosa, figurati se la gente si preoccupa di quello che vede o non vede. Possibile che tu sia così ostile al divertimento?»

    Bill sospirò amareggiato; Tom non aveva tutti i torti.

    «È solo che…la mia famiglia non mi ha mai permesso niente di tutto questo. Sono sempre stato soggetto alle loro decisioni. Credo che, nella mia vita, non ne abbia mai presa una per conto mio, e questa cosa ti assicuro che mi logora.» quella sua confessione gli procurò una fitta dolorante allo stomaco e al cuore ma, dall’altra parte, lo fece sentire più libero; come se si fosse svuotato da un peso che si portava dietro da anni. Era davvero bello parlare con Tom.
    «Appunto! Sai quanto manca a mezzanotte? Meno di un’ora… vuoi davvero perdere tempo qui ad autocommiserarti? Magari potremmo…» inaspettatamente, la mano di Tom si poggiò sulla coscia del ragazzo, facendosi strada sempre più verso l’interno, proprio lì dove un forte calore trovava il suo habitat. Bill tremò a quel contatto così imprevisto. Il panico lo assalì e fu costretto ad alzarsi.
    «Io no—non posso farlo.» balbettò scuotendo la testa e facendo gesti vacui con le mani.
    «Perché non puoi? Cosa te lo impedisce? Non vuoi venire a letto con me?» rispose secco Tom.
    «Io…non ho mai fatto una cosa del genere. Cioè…non…non posso.» l’ansia continuava ad assalirlo, così prese a torturarsi le mani, facendo vagare lo sguardo da una parte all’altra pur di non incrociarlo con quello di Tom. Si sentì esageratamente in imbarazzo.
    «Qui nessuno ti giudicherà, Bill. Possiamo andare a casa mia…»
    «Sono…sono fidanzato, Tom. La mia ragazza si chiama Valerie e…non posso farlo.»

    L’espressione di Tom si incupì misteriosamente, come se fosse davvero rimasto deluso da quell’esternazione. Solitamente, lui era una persona che, in un modo o nell’altro, riusciva sempre ad ottenere ciò che voleva ma, questa volta, non accadde.

    «Ti privi di troppe cose, straniero. Non dovresti farlo. Se sei qui, è solo per un motivo, e tu sai qual è.»
    «Mi dispiace veramente tanto, Tom. Io… Sei davvero tanto carino ma…»
    «Non preoccuparti.» rispose secco, interrompendolo ancora una volta. Bill si sentì tremendamente in colpa per avergli risposo in quella maniera e, per giunta, gli aveva mentito spudoratamente. Lui non aveva una ragazza, né tanto meno ne aveva mai avuta una nella sua vita.
    «Tom, io…»
    «Tranquillo, va tutto bene. Ho capito.» sorrise forzatamente, non distogliendo mai lo sguardo dal ragazzo di fronte a lui. Bill sospirò pesantemente e, amareggiato, lo salutò porgendogli la mano.
    «Devo andare adesso.»

    Tom storse il naso e guardò verso l’alto.

    «Con questo tempo dubito che tu riesca ad arrivare lontano.» lo schernì, ammiccando.
    «Non abito molto lontano da qui. Devo andare.»
    «D’accordo!» si strinse nelle spalle e lo salutò ancora una volta con una stretta di mano. Immediatamente dopo essersi allontanato da lui, Bill si chiese se l’avrebbe incontrato la settimana dopo.

    *

    continua...


    Note autrice: questo è il mio primo capitolo, il secondo lo posterò qualora la FF dovesse interessarvi. Sono molto propensa a postare anche perchè mi piacerebbe avere pareri altrui. Questa FF si trova anche su EFP. Fatemi sapere cosa ne pensate. Critiche e commenti sono ben accetti.

    Edited by Serial Killer - 15/12/2017, 16:30
     
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    La musica alta, le luci che proiettavano giochi di colore sulle pareti del locale e sulla gente accalcata in pista intenta a scatenarsi e a ballare fino a tarda sera, uomini e donne sedute al bar assorti tra i propri pensieri sorseggiando un drink e alzando un po’ il gomito, Bill si sentì spaesato e fuori luogo

    Ci vuole il punto prima dell'ultima frase.

    CITAZIONE
    Come ci era finito lì? Tutto solo?

    Il primo punto interrogativo levalo e mettici una virgola.

    CITAZIONE
    mentre riceveva violente frustate di capelli sul viso

    Ma quanto lunghi hanno questi i capelli? XD

    CITAZIONE
    «Non ti ho mai visto da queste parti. Sei nuovo?» la barista era intenta a fare conversazione. Era concentrata ad asciugare un boccale di birra.

    Questa frase non è tanto chiara.

    Forse è meglio: «Non ti ho mai visto da queste parti. Sei nuovo?» domandò la barista, intenzionata a fare conversazione mentre asciugava un boccale di birra.

    CITAZIONE
    Il ragazzo vi voltò

    *Si voltò

    A parte quanto segnalato, in linea di massimo l'ho trovato scritto bene. Certo, dovresti stare un po' più attenta quando vai capo.

    La storia in sé parte in modo curioso. L'incontro tra i due, specialmente. Si evince che la questione non è finita lì.
     
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    grazie mille.. adesso provvederò a modificare il tutto (:
     
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    Questa fan fiction è ispirata ad un episodio di Black Mirror, per essere più precisi, al 3x04 ‘Saint Junipero’.
    Essendomi piaciuto davvero tantissimo e avendomi emozionato a dovere,
    ho deciso di riadattarlo a mio modo prendendo come personaggi Bill e Tom Kaulitz (dei Tokio Hotel) dove, in questa FF, non sono fratelli gemelli. Sarà una mini fic composta da non più di 4 o 5 capitoli (ne ho già pronti due)
    Fatta questa breve introduzione, vi lascio al capitolo (:



    Titolo: Heaven is a place on the Earth
    Autore: Serial Killer
    Raitig: PG13
    Genere: Sentimentale/Romantico
    Coppia: Slash Bill/Tom - Tom/Bill
    Trama: Bill, un ragazzo timido e riservato, va spesso in visita in una nota località turistica: Saint Valentine. Una sera, decide di uscire fuori dai ranghi, frequentando così una discoteca molto conosciuta. Sarà lì che incontrerà Tom, un ragazzo estroverso ed abitudinario. Tra i due nascerà un'intensa che andrà oltre la loro immaginazione, oltre il tempo e...qualunque altra cosa.

    2. Home Sweet Home


    Una settimana dopo

    Era di nuovo lì; in quel posto dove tutto era cominciato. Aveva fatto ritorno in quel locale, e non sapeva nemmeno lui il vero motivo del perché l’avesse fatto. Quali erano le sue intenzioni? La risposta però la conosceva davvero molto bene. Era lui. Era Tom. Da quando era tornato, non aveva fatto altro che pensarlo e, soprattutto, a ciò che gli aveva detto quella sera.

    Faceva freddo. Il tempo era grigio e sul ciglio delle strade, c’era della neve accumulata, sporca. Si stringeva nelle spalle e camminava a grandi passi cercando di riscaldarsi. Si sfregò le mani gelide e soffiò aria calda. Il locale non era molto distante.

    E se non ci fosse? Se non dovessi trovarlo?

    Si domandò Bill, torturandosi le mani arrossate per il freddo. Le strinse forte a pugno e, quando arrivò alla porta, prese un bel respiro, facendosi coraggio ed entrò. Questa volta la musica era più leggera, soft, quasi piacevole osò pensare. La temperatura era decisamente più gradevole rispetto all’ambiente esterno; ma preferì ugualmente tenere su il giaccone pesante.

    Il suo cuore batteva all’impazzata, cercandolo disperatamente con lo sguardo. Faceva vagare gli occhi da una parte all’altra del locale, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.

    Ti prego fa che ci sia. Fa che sia venuto.

    Continuava a pensare tra sé e sé, cominciando ad agitarsi e a perdere le speranze. Perché non riusciva a trovarlo? Perché non c’era? Ma, soprattutto, perché lo stava cercando così disperatamente? Cosa voleva dirgli, in realtà?

    Solo quando cominciò ad abbandonare le proprie aspettative, lo vide. In lontananza. Stava chiacchierando con una ragazza. Il cuore di Bill cominciò a palpitare talmente tanto forte che temette di sfondargli il torace. Deglutì con nervosismo e, per placare l’ansia, decise di prendersi qualcosa da bere.

    «Ehi Bill! Bentornato, caro. Cosa vuoi bere?» chiese la barista – di cui Bill non ricordava affatto il nome – Lui annuì e chiese un Martini con ghiaccio. Aveva bisogno di un alcolico per tranquillizzarsi o, in alternativa, riscaldarsi. In entrambi i casi ne sentiva la necessità. La barista tornò qualche minuto dopo con il suo drink.

    «Senti…posso farti una domanda?» chiese poi Bill prendendo coraggio. Voleva sapere. Lo voleva assolutamente. La donna annuì e sfoggiò un sorriso cordiale.

    «Chi è quella ragazza che sta parlando con Tom?.» se il suo cuore avesse potuto battere ancora più forte, di sicuro l’avrebbe fatto. La donna sorrise beffarda, facendogli l’occhiolino.

    «Perché non glielo chiedi tu stesso?»

    Bill scosse il capo e riprese a bere dalla cannuccia il suo drink. Fece roteare di 180° lo sgabello imbottito, dimodoché potesse avere la piena visuale di Tom e la ragazza misteriosa. Perché tanto interesse verso di lei? Lui e Tom non avevano assolutamente condiviso nulla. Eppure provava una strana sensazione. Una fitta dolorosa allo stomaco. Cos’era? Gelosia forse?

    Durante tutto il tempo, non distolse nemmeno una volta lo sguardo da lui, sino a quando, finalmente, Tom non si accorse che lo stava osservando. I loro sguardi si incrociarono e lui si sentì letteralmente morire. Ora l’attenzione di Tom non era più focalizzata sulla ragazza, ma su di lui. Gli sorrise e, con un gesto del capo, lo invitò ad andare fuori dal locale.

    Bill quasi non si strozzò. Tossì e posò il bicchiere semi vuoto sul bancone.

    «Non credo ce ne sia più il bisogno.» aggiunse poi, rivolgendosi alla barista con un sorriso smagliante. Vide Tom alzarsi e, qualche attimo dopo, lo raggiunse.

    Quando varcò la soglia dell’entrata, nevicava ancora. Vide Tom seduto sulla panchina del loro primo incontro intento a fumarsi una sigaretta, assorto nei propri pensieri. Bill prese coraggio e gli si avvicinò lentamente, stringendosi nelle spalle e saltellando da un piede all’altro nel tentativo di riscaldarsi. Aveva il cuore in gola e lo stomaco gli faceva ancora dannatamente male. Solo quando gli fu abbastanza vicino provò a parlargli.

    «Non…non ho idea di come si faccia.» la voce gli tremò, ma non era affatto per il freddo. Tom rivolse lentamente la propria attenzione a lui e soffiò dalla bocca il fumo della sigaretta.

    «Fare cosa?» domandò lui confuso tentando di mantenere un tono freddo e distante senza però riuscirci per davvero. Sapeva a cosa si stesse riferendo.

    Bill sospirò e roteò gli occhi.

    «Ti chiedo solo di non rendermi più difficili le cose, okay? Cerca di venirmi incontro. Sai a cosa mi riferisco. Vorrei che tu mi aiutassi a capire.» l’ansia lo assaliva; lo avvolgeva come il freddo pungete che, quella sera, attanagliava tutta la città di Saint Valentine. A quel punto, Tom gettò il mozzicone della sigaretta a terra e lo spense sotto la punta delle scarpe, avvicinandosi pericolosamente a Bill. Inclinò la testa di un lato e, con la mano, carezzò dolcemente la guancia del ragazzo. Gli sfiorò delicatamente lo zigomo, portando successivamente il dito vicino le labbra. Bill chiuse gli occhi e fremette a quel contatto così inaspettatamente piacevole. Soffiò in silenzio l’aria dal naso e premette più forte sul palmo della mano di Tom per accentuare maggiormente quella sensazione.

    «Vuoi che prenda la mia macchina?» bisbigliò Tom, carezzandogli con il pollice lo zigomo pronunciato. Bill non rispose ma annuì, certo della sua scelta.

    «Perfetto.» il volto di Tom si illuminò con un sorriso ampiamente contento. Anche lui, come Bill, durante tutta la settimana, non aveva fatto altro che pensare se l’avrebbe mai rivisto. C’era una sorta d’intensa fra i due. Un’attrazione inimmaginabile. Ma perché questo? A cos’era dovuto?

    Bill non si porse il problema. Sapeva solo di voler passare del tempo con lui. Molto tempo con lui.

    «Scusami se sono scappato la scorsa settimana. Ero…io ero…»

    Tom non gli diede il tempo di finire la frase. Lo zittì ponendo un dito sulle labbra.

    «Sh! Conta il fatto che tu adesso sia qui e che abbia cambiato idea. Adesso sta’ zitto e seguimi.»

    *

    Tom accese l’aria calda per sbrinare i finestrini e, con i tergicristalli tentò di spazzare via la nave che continuava a scendere copiosa su Saint Valentine.

    «Non ho mai visto tanta neve qui in città. Sono anni che vengo e non ne ho mai vista così. Dico sul serio.» esternò Tom, stringendosi nelle spalle ed aumentando la temperatura dell’aria.

    «Da quanto tempo vieni qui?» Bill soffiò sulle proprie mani tentando di riscaldarsele e, contemporaneamente, le metteva vicino il bocchettone dell’aria.

    «Da un bel po’ di tempo. Mi piace questo posto, mi fa sentire…vivo. Sono in cerca di avventure e, Saint Valentine, ne dà proprio tante. Diciamo che sono un turista…esattamente come te. Ci verrò fin quando questa città avrà da offrirmi qualcosa; dopodiché, taglierò la corda.» sorrise al ragazzo e strizzò l’occhio, masticando il chewing gum e facendolo scoppiettare leggermente.

    Bill ricambiò il sorriso – sebbene fosse meno convinto rispetto a quello di Tom – la sua esternazione l’aveva decisamente spaventato. Tom sarebbe potuto andar via da un momento all’altro? Cosa poteva aspettarsi da lui? Se si fosse legato emotivamente e non sarebbe stato ricambiato?

    Ma…un momento. Forse sto correndo un po’ troppo.

    Pensò tra sé e sé il ragazzo, non proferendo più alcuna parola fin quando Tom non gli pose una domanda.

    «Tu perché sei qui?»

    Bill rabbrividì e deglutì rumorosamente. Non gliel’avevano mai chiesto così esplicitamente. Già, perché lui era lì? Perché ci tornava tanto spesso? Scrollò le spalle. Non sapeva nemmeno lui il motivo ben preciso.

    «Semplicemente perché mi piace.» mentì. Tom lo aggrottò le sopracciglia e schiccò la lingua.

    «Andiamo, Bill. Tutti hanno una motivazione. La tua qual è?»

    Sospirò amareggiato e scosse il capo.

    «Beh…i miei genitori mi hanno sempre impedito di fare qualunque cosa, in passato. Probabilmente, la mia timidezza e le mie insicurezze, sono scaturite proprio per questo. Non ho rancore nei loro confronti…però sono stato troppo tempo sotto ad una campana di vetro e…se ne sono accorti troppo tardi.» la voce gli morì in gola ed inspirò con il naso. Il labbro inferiore cominciò a tremargli e le lacrime a bagnare i suoi occhi.

    «Ehi, ehi! Smettila di fare così. Non volevo farti piangere. Mi dispiace.» Tom si sentì tremendamente in colpa e, alla prima piazzola di sosta, fermò la macchina. «Mi dispiace, qualunque cosa ti sia successa. Siamo qui per un motivo, ricordi? Una volta alla settimana abbiamo la possibilità di venire in questo posto, senza pensieri negativi, senza avere rancori del passato. Il passato qui non esiste, Bill. Capisci? Tu sei qui, ora. Non importa chi tu sia fuori al di fuori di questo cazzo di posto…» Tom posò delicatamente una mano sulla coscia del ragazzo e gliela strinse dolcemente. Bill, a quel contatto, sussultò.

    «Non divorarti l’anima, Bill. Quel che stato è stato, e non possiamo farci proprio un bel niente. Anche io ho i miei rimpianti e ho addosso le conseguenze di una vita condotta in malo modo. Ma guardami adesso…sono come nuovo, come se niente fosse successo. Lo sei anche tu.»

    Quelle parole erano così sincere e piene di energia positiva che, come per magia, Bill non avvertì più quel peso enorme che lo stava distruggendo dnetro. Si sentì leggero, contento, genuinamente felice. Era davvero strano il modo in cui Tom lo facesse sentire. Lo rendeva contento come nessuno mai era riuscito prima d’ora. Sentiva che, con lui, c’era una sorta di affinità. Non poteva sbagliarsi. Non voleva sbagliarsi.

    Gli sorrise in maniera smagliante ed onesta.

    «Grazie. Davvero, Tom. Grazie.»

    Tom schioccò la lingua e mosse le spalle.

    «Nah, non ringraziarmi per qualcosa che non ho ancora fatto. Ora ripartiamo, al prossimo isolato c’è casa mia.»

    *

    Tom prese la chiave sotto lo zerbino facendosi luce con la torcia del cellulare per poi puntarla sulla serratura della porta. Il vento gelido soffiava imperterrito e piccoli fiocchi di neve cominciarono a scendere copiosi sulle loro teste.

    «Cazzo, mi si sono gelate le palle!» esordì Tom saltellando da un piede all’altro mentre le mani gli tremavano per via del freddo. Bill, dal canto suo, si era chiuso a riccio, avvolgendosi il busto con le braccia e strofinandole con le mani.

    «Io non sento più i piedi. Forza, sbrigati ad aprire. Non ce la faccio più.»

    Finalmente, dopo vari tentativi, Tom riuscì ad aprire e in un batter d’occhio, entrambi furono dentro. Era incredibile la differenza di temperatura. La casa di Tom era piacevolmente calda ed accogliente sebbene, a primo impatto, a Bill parve decisamente più piccola della sua. Era situata su un unico piano.

    «Beh, casa dolce casa!»

    Appena entranti, Tom accese il lume posto sul comò accanto al camino e una tenue luce illuminò l’ingresso. Era un monolocale ben tenuto e curato e, questo particolare, piacque molto a Bill. C’era un divano sito davanti al camino, un tavolo con due sedie, una piccola cucina e un bagno. Bill si guardò attorno e notò che mancava qualcosa. Tom sorrise guardando la sua espressione e, come se gli avesse letto nel pensiero, rispose alla sua domanda.

    «Vedi quell’armadio laggiù? Quello in realtà è un letto matrimoniale maledettamente comodo. A volte vengo qui anche solo per dormire lì sopra.»

    Bill sorrise in maniera decisamente imbarazzata. Scrollò le spalle e continuò a guardarsi attorno. «Hai davvero una bella dimora, Tom. Mi piace davvero tanto. È calda ed accogliente.»

    Tom si grattò il capo e lo ringraziò. Si avvicinò al caminetto e si sedette sulle punte dei piedi. «Ti farebbe piacere se lo accendessi, Bill?»

    Il ragazzo non rispose, annuì e si strofinò nuovamente le mani sulle braccia per riscaldarsi, seppure non facesse poi così freddo come all’esterno; fu piuttosto un gesto automatico.

    Cominciò a rovistare tra la legna accatastata accanto al camino e a sistemarla all’interno formando una sottospecie di piramide. Mise i ramoscelli più piccoli sotto e via via, sempre più grandi. Prese l’accendino da dentro la tasca posteriore dei suoi jeans ed accese il fuoco.

    «Non stare lì impalato come uno stoccafisso.» disse Tom ridendo, guardando leggermente dietro le sue spalle notando Bill in piedi, fermo come un palo, dietro di lui. Era palesemente a disagio. «Siedi sul divano, mi trasmetti ansia se stai così.» continuò a ridere e facendo leva sulle ginocchia si alzò in piedi, sbattendo le mani sui jeans per pulirle dalla fuliggine.

    Bill fece come gli era stato detto e si sedette rigido sul divano. Non era affatto a proprio agio in quella situazione; sapeva che sarebbe accaduto qualcosa e il suo cuore cominciò a palpitare talmente forte da sentirlo rimbombare nelle orecchie e nel petto come quando si ascolta la musica a tutto volume o come quando si è ad un concerto. Deglutì rumorosamente e prese a fissare il fuoco che, man mano, cominciò ad attizzarsi sempre di più. Il calore che emanava era gradevole sulla pelle e sui vestiti e lo scoppiettare della legna umida aveva un qualcosa di ipnotico e di magico.

    Tom si avvicinò cauto a lui e si sedette accanto. Le loro gambe si sfiorarono a malapena e Bill fremette.

    «Cosa c’è?» chiese il ragazzo notando l’imbarazzo dall’altra parte. Bill non rispose e si strinse nelle spalle, respirando pesantemente.

    «Non mi sono mai trovato in questa situazione; mai nella mia vita e non ho la più pallida idea di come comportarmi.» ammise, sentendosi doppiamente in difficoltà. Tom, dal proprio canto, provò in tutti i modi di farlo sentire a casa sua e, delicatamente, gli sfiorò con due dita la spalla sinistra. Bill restò immobile e socchiuse gli occhi. Quel contatto gli provocò una serie di scariche elettriche lungo tutto il corpo. Una sensazione maledettamente bella. Notando la sua reazione, Tom decise di approfondire di più quel tocco e, dolcemente, fece scivolare le dita lungo il braccio. Un tocco impercettibile, innocente, leggero. La mano si andò a posare sulla coscia e restò lì, immobile, in attesa di una reazione dall’altra parte. Il suo cuore continuava a palpitare assurdamente ma non oppose alcuna resistenza.

    Quel tocco, così, si approfondì un po’ di più e la sua mano andò a stringere la coscia esile ed allenata di Bill. Cominciò a massaggiarla e a toccarla e, pian piano, si avvicinò sempre più ad una parte proibita.

    «Mi dai il permesso di baciarti?» ansimò Tom vicino l’orecchio, lambendo sensualmente il lobo. Bill si lasciò sfuggire un gemito e, senza proferir parola, annuì. Fu a quel punto che Tom, con una certa dimestichezza ed esperienza, ruotò il volto di Bill nella sua direzione e lo baciò. Un bacio profondo e, in un certo senso, violento. Si spinse contro di lui con tutta la forza che aveva. Restò quasi senza fiato, ma non aveva alcuna intenzione di staccarsi da lui. Era tutto così perfetto e voluto. Lo desiderava con ogni sua particella. Aveva sognato quel momento da quando lo aveva incontrato una settimana prima e, finalmente, era suo.

    Cominciò a tastare la pelle bollente da sotto il maglione, stringendo e carezzando ogni centimetro. Bill si contorceva ad ogni tocco, lasciandosi sfuggire sussulti e parole sconnesse.

    «Ti piace?» gemette Tom tra le sue labbra, abbracciandolo. Bill non rispose, si strinse ancora di più fra le sue braccia sicure. Era sorprendentemente piacevole la sensazione che provava. Possibile che, in così poco tempo, era come se si sentisse a casa?

    «Voglio fare l’amore con te, Bill.»

    *

    Il respiro era ancora affannato ed esausto, il cuore tamburellava ad un ritmo sfrenato ed irregolare, il letto sfatto e disordinato, l’aria pensate; ma gli occhi di Bill dicevano tutto. Erano fissi su quelli del ragazzo sdraiato accanto a lui e, viceversa, Tom era concentrato sui suoi. Un sorriso dolce e solare illuminava il volto angelico del ragazzo il cui sguardo perso, parlava senza esprimersi. Non smetteva un attimo di scrutare ogni centimetro del suo corpo in cerca di imperfezioni le quali, ovviamente, non trovò.

    «Ehi!» sussurrò Tom, carezzandogli la fronte imperlata di sudore, scostandogli qualche ciocca di capelli.

    «Ehi!» sorrise Bill, accoccolandosi contro il cuscino, poggiando le mani sulla guancia. «È stato bello, non credi?» sussurrò timido. Non aveva la piena certezza che fosse piaciuto anche a Tom. Lui era inesperto, mentre Tom non lo era affatto.

    «Si, è stato bello.» ammise poi, sorridendo leggermente e stendendosi supino, guardando il soffitto, perso nei propri pensieri. Bill sollevò il capo e lo sorresse con la mano destra. Continuando sempre ad osservarlo, gli domandò cosa fosse successo, se stesse bene. Lui scrollò le spalle e gli rivolse nuovamente la propria attenzione. «Guarda un po’, mancano cinque minuti a mezzanotte. Non è affatto giusto tutto questo.» ammise con rammarico, sospirando rumorosamente.

    Bill deglutì. Certo che non era giusto. Non lo era per niente. Avevano sempre poche ore da passare in quel posto e per giunta, avrebbero dovuto aspettare una settimana per poterci ritortare.

    «Lo so…non è bello ma…pensa se non avessimo potuto farlo. Non sarebbe stato peggio?»

    Tom si strinse ancora nelle spalle e scosse la testa.

    «Probabilmente sarebbe stato meglio da un parte, sai? Perlomeno potevamo accettare il nostro destino, anziché vivere in questo…tu come lo definiresti?»

    Bill trattenne il fiato. Non aveva la benché minima idea di come definire Saint Valentine. Sicuramente un posto speciale, magico…diverso.

    «Non lo so, Tom. Proprio non saprei dirtelo. Posso assicurarti però che questo posto riesce a dare speranza a moltissima gente. Io ho trovato qui il mio piccolo posto nel paradiso.» le guance gli divennero rosse e si morse lievemente il labbro inferiore.

    «Mi stai dicendo, quindi, che il Paradiso è un posto sulla Terra, per te?»

    Bill annuì, convinto e deciso del proprio pensiero. Gli piaceva davvero molto quell’idea di Paradiso che si era creato, specie se, in quel posto, c’era Tom assieme a lui.

    «Manca un minuto…» Il battito del cuore gli accelerò e, senza esitazione, prese la mano di Bill ed intrecciò le dita con le proprie. I loro occhi tornarono a cercarsi, a ricorrersi. Nessuno dei due voleva andare via. Non così presto. Non ora che stavano insieme.

    «Ci vediamo tra una settimana.» disse Bill baciandogli la fronte.

    «Ti aspetterò lì.»
     
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    Vedo che Bill si è finalmente deciso a rompere il guscio, ma ho la netta sensazione che fra una settimana accadrà qualcosa di inaspettato.
     
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    Il capitolo 3 è in scrittura
     
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