Il Principe Nascosto

di Agonia.Altrui.Company

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    Quello che hai notato è un dettaglio piuttosto importante :D Posso solo dirti che avevano le loro ragioni.
     
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    CITAZIONE (Agonia.Altrui.Company @ 21/11/2017, 19:30) 
    Grazie per aver letto il capitolo! Come hai giustamente supposto, Ashya crede di avere una possibilità contro il leone, nonostante le pessime condizioni fisiche. La sua sicurezza non è campata per aria, ma si basa sulle sue passate esperienze, che verranno sicuramente rivelate... prima o poi. ^_^

    Sospettavo che ci fosse una motivazione di questo tipo.

    CITAZIONE
    La seconda evasioneiè piaciuta, come anche i due schiavi. Ma, è solo una mia opinione, credo abbiano accettato troppo in fretta di aiutarlo. Essendo schiavi, avrebbero dovuto avere maggior timore per quello che stavano facendo.

    Sull'ipotesi di Aster, potrebbero averlo fatto perché spaventati da lui.
     
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    Sull'ipotesi di Aster, potrebbero averlo fatto perché spaventati da lui.

    A meno che non siano divenuti schiavi da poco e hanno in se ancora delle speranze di cambiamento e/o libertà...
     
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    CAPITOLO 4
    Ashya strappò un lembo di stoffa da una tenda arancione, e lo usò per legare stretto il braccio rotto, così da muoverlo il meno possibile; poi ne strappò un altro pezzo, più ampio, e se lo avvolse attorno alla testa e alle spalle, come una stola.
    Non era molto elegante, o particolarmente elaborato, ma come travestimento poteva bastare.
    Le prime persone che gli capitò di incrociare, lungo i corridoi, furono i servitori, che portavano avanti e indietro grandi vassoi stracolmi di cibo e pesanti brocche d'acqua. Presi com'erano dalle loro faccende, gli lanciarono solo qualche occhiata dubbiosa, di tanto in tanto. Era un buon inizio.
    Più avanzava e più le persone attorno a lui aumentavano, e con loro il rumore e la confusione. Evidentemente stava andando nella direzione giusta.
    Il ragazzo cercava di camminare sempre vicino al muro, per nascondere la scimitarra che aveva con sé; anche se era pericoloso aggirarsi armato per il palazzo del re, stringere le dita attorno alla solida elsa in metallo lo faceva sentire sicuro. Persino invincibile in certi, brevi, momenti. Tuttavia, c'era un forte senso di angoscia e pericolo che era sempre lì, in agguato, pronto ad attanagliare la sua mente. Per combatterlo, Ashya cercò di ricordare quello che aveva provato, tanto tempo prima, quando gli era capitato di affrontare situazioni simili a quella. Cercò di ricordare la sensazione dell'adrenalina che pervadeva il suo corpo, rendendo insignificanti il dolore e la paura; scavò nei propri ricordi, cercando quella forza che sapeva riempirgli il petto, trasformarlo in un guerriero che non conosceva esitazione.
    Tutto questo fu d'aiuto, ma l'ansia non svaniva mai del tutto. A farla riaffiorare era sufficiente un rumore improvviso, lo sguardo di un servo, un soldato che gli passava vicino, impegnato nel suo giro di ronda.
    Finalmente il ragazzo raggiunse il cuore della festa. Era un immenso cortile, nel quale sorgevano diversi padiglioni, pieni di gente. C'era tanta confusione, tanto rumore; odori di ogni tipo, dal profumo delle vivande all'aroma degli incensi, aleggiavano nell'aria. C'era anche il tipico odore dell'oppio, tra loro.
    Le luci delle tantissime torce, che si innalzavano nel giardino su pali di legno, davano a quel luogo un'atmosfera incantata e delirante, come se si trattasse del sogno di un ubriaco.
    I padiglioni era a loro volta incantevoli, tutti diversi tra loro per aspetto e dimensione, ed ognuno pareva un piccolo tempio, con le splendide colonne e i tetti a cupola, verdi e blu, come quelli dei palazzi giù in città.
    Gli ospiti, al loro interno, parlavano, ridevano e gridavano. Tantissimi discorsi che andavano a sovrapporsi gli uni agli altri, distorcendo la melodia prodotta dai suonatori di ud e rabab.
    Se un jinn avesse mai deciso di dare una festa, dentro la sua lampada dorata, sarebbe certamente somigliata a quella.
    Ashya, però, non aveva il tempo di lasciarsi stregare dai febbrili lussi della corte. Doveva trovare la piazza d'armi.
    Rimase fermo in piedi ancora un momento, al limitare del giardino; mosse le dita dei piedi e sentì la piacevole sensazione dei fili d'erba che gli carezzavano la pelle, più umidi e gentili della sabbia. Più vivi e palpitanti.
    Si preparò mentalmente ad addentrarsi nella marmaglia, quasi avesse dovuto attraversare un grande alveare, e si rimise in cammino. Subito la confusione lo circondò, inglobandolo, come una frana che porta via con sé un sassolino.
    Tutto quel baccano gli procurò ben presto una forte emicrania, oltre ad un fastidioso senso di smarrimento. Le persone lo urtavano e spingevano senza alcun riguardo, tanto che il giovane si ritrovò a pensare che, se fino ad allora era passato inosservato, ormai si sentiva addirittura invisibile.
    Utile, certo, ma un po' sconfortante.
    Si fermò un attimo sulla soglia di un padiglione, al centro del quale una giovane ballerina metteva in mostra le sue abilità, nonché buona parte del proprio corpo; mentre si appoggiava ad una colonna, per riprendere fiato, il ragazzo la osservò con una certa curiosità. Era affascinato non tanto dal suo corpo, che pure era splendido, ma dalla sue movenze, fluide come l'acqua. Era difficile dire se si trattasse di un qualche tipo di danza, o se la donna si stesse semplicemente pavoneggiando in mezzo agli ospiti, ma qualunque cosa stesse facendo, la faceva con molta grazia. Anche gli spettatori sembravano gradire e la guardavano ammaliati.
    Guardandosi attorno, il giovane realizzò che in tutti i padiglioni si teneva un piccolo spettacolo: giocolieri, mangiafuoco, lanciatori di coltelli e molte altre attrazioni.
    C'era perfino un acrobata che si dondolava dal soffitto, a testa in giù, appeso ad una miriade di nastri sottili.
    Per ritrovare la concentrazione, e un po' di sollievo, Ashya provò ad alzare lo sguardo verso il cielo, ma il bagliore delle torce aveva creato un soffitto di luce opaca, che nascondeva le stelle.
    Sospirando, continuò ad avanzare, afflito anche da una certa nausea, in quel cortile che iniziò a sembrargli infinito. Si chiese addirittura come facesse il palazzo a racchiudere in sé uno spazio tanto grande.
    Alla fine, comunque, raggiunse il porticato che si trovava all'altro capo del giardino. Fu come svegliarsi da uno strano sogno, e il giovane dovette voltarsi indietro un istante, per assicurarsi di non avere immaginato ogni cosa.


    Lungo tutto il perimetro, sotto i colonnati che circondavano lo spiazzo rettangolare, erano stati disposti tappeti, sofà e montagne di cuscini. Su di essi sedevano e conversavano diverse persone dall'aria sofisticata: si trattava sicuramente delle figure più influenti del palazzo.
    Ashya rimase in disparte ad osservare la situazione; l'atmosfera, lì nella piazza d'armi, era completamente diversa rispetto a quella del banchetto nel giardino, era più sobria ed elegante.
    Per come era abbigliato il ragazzo, sarebbe stato impossibile passare inosservato in un simile contesto.
    Del leone non c'era ancora traccia, ma in mezzo alla piazza era stato fissato un grande anello di ferro, come quelli usati per ormeggiare le imbarcazioni.
    Il giovane lasciò correre lo sguardo sugli ospiti e, senza troppa fatica, riuscì ad individuare il sovrano. Anche questa volta, l'uomo indossava un grosso turbante, che lo faceva risaltare tra gli altri nobili e cortigiani; aveva addosso talmente tanti gioielli che probabilmente non sarebbe riuscito ad alzarsi in piedi, senza prima toglierne qualcuno. Aveva attorno delle bellissime servitrici che provvedevano a tutti i suoi bisogni. Quella scena ricordò ad Ashya la prima impressione che aveva avuto guardando il re, quella di un grosso bambino annoiato.
    Lì vicino era seduto l'ambasciatore di Seripaz, anche lui inconfondibile con addosso quegli strani abiti tipici del suo paese; sembravano stretti e scomodi, tanto diversi dagli ampi vestiti che cingevano i corpi degli abitanti di Pathbahea, proteggendoli dal caldo feroce di quella terra.
    Seripaz, ricordò il ragazzo, non solo era un luogo più freddo, ma anche molto meno fertile: un grande impero, che si estendeva per migliaia di chilometri su una steppa arida e crudele. I suoi abitanti sembravano essere stati temprati da quel clima, che ne aveva fatto un popolo di grandi guerrieri. Eppure, quel paese era guidato da una donna. Lo era sempre stato. Questo voleva la legge di Seripaz.
    Ad Ashya era sempre sembrata una scelta interessante e ben ponderata; trovava che le donne avessero una abilità strategica, una certa astuzia che agli uomini invece mancava. Era come nella fiaba della volpe che sedeva in testa al leone, suggerendogli ogni volta la decisione più saggia da prendere.
    L'ambasciatore, comunque, non sembrava né un leone né una volpe: era un uomo alto e magro, dall'aspetto vigile. Se avesse dovuto paragonarlo ad un animale, il ragazzo avrebbe senz'altro scelto un rapace.
    Il giovane cercò di rimanere concentrato. Si guardò attorno ancora una volta, chiedendosi chi fosse il guerriero destinato ad esibirsi quella notte. Aveva pensato a Kveri, ma il primo cavaliere se ne stava comodamente seduto tra gli invitati, poco distante dal sovrano; niente, nel suo atteggiamento o nel suo vestiario, lasciava presagire che l'uomo avesse in programma di battersi contro un belva selvatica.
    In quel momento, uno strano brusio attraversò il pubblico, un coro di voci sorprese e affascinate. Era arrivato il momento.



    I soldati portarono il leone sino al centro della piazza e lì lo assicurarono all'anello di ferro. Il pubblico, tutto attorno, aveva abbassato la voce, così che i discorsi dei cortigiani si riducessero a dei sussuri. Lo spettacolo stava per avere inizio.
    La belva iniziò a muoversi lentamente, con circospezione, testando la lunghezza della catena che la imprigionava; essa avrà misurato all'incirca quindici metri, ed era chiaramente pensata per lasciare al leone grande libertà di movimento, pur proteggendo l'incolumità degli spettatori.
    Il pubblico osservava l'animale con curiosità e ammirazione; quello, invece, restituiva loro uno sguardo calmo ed elequente. Lo sguardo del re delle creature, che non ha paura nemmeno dell'essere umano. Girò per tre volte attorno all'anello, lungo la circonferenza in cui la catena lo costringeva; poi si fermò, si mise seduto, alzò le fauci al cielo e lanciò un ruggito terrificante, che riecheggiò fin nei meandri più profondi del palazzo. I cortigiani lanciarono, in risposta a quel grido, una cascata di applausi.
    La distanza tra loro e il leone li faceva sentire al sicuro, protetti. Dal loro punto di vista, quello era uno spettacolo come gli altri: così come non avrebbaro mai immaginato di essere morsi da una ballerina, o da un musicista, allo stesso modo il pensiero di essere sbranati da quella belva non li sfiorava nemmeno.
    Poi, tutto a un tratto, gli applausi cessarono e il silenzio invase la piazza d'armi.
    Qualcuno si stava avvicinando all'animale. Era appena un ragazzo, che non dimostrava più di quindici o sedici anni, e pareva un mendicante, non un guerriero. Sotto lo sguardo attonito del pubblico, quello entrò lentamente nel raggio d'azione della belva e sollevò una scimitarra davanti a sé.
    Il leone lo guardò per un momento, poi si sollevò da terra; persino lui sembrava stupito nel trovarsi davanti un simile avversario.
    Ad Ashya tremarono le ginocchia, davanti all'imponente mole dell'animale, però sorrise: sentiva una certa empatia per quella creatura. I due, in un certo senso, erano compagni di sventure, entrambi trascinati a palazzo contro la propria volontà e costretti a fare i conti con i capricci della corte.
    Il sorriso abbandonò il volto del giovane, soffocato da un improvviso dispiacere; quel dispiacere che venne a sua volta cancellato dalla paura, quando il leone iniziò a muoversi verso di lui.
    Ashya si mise in guardia, allargando le gambe per acquisire maggiore stabilità; impugnava la scimitarra soltanto con la mano destra, perchè il braccio sinistro era del tutto inutilizzabile.
    Forse non del tutto, pensò: avrebbe potuto sacrificarlo per evitare che la belva gli azzannasse la gola. Tuttavia, sperava di non dover ricorrere ad un metodo tanto drastico.
    Il primo attacco del leone fu, più che altro, un modo per testare il suo avversario; balzò verso il ragazzo, ma quello riuscì a scansarsi facilmente, e si affrettò a mettere qualche passo di distanza tra sé e la bestia. Sentiva il proprio cuore battere freneticamente nel petto, il suono che arrivava alla gola e alle orecchie, mescolandosi all'applauso del pubblico.
    I due avversari si guardarono l'un l'altro, immobili. Sebbene il giovane non avesse intimorito il leone, ne aveva quantomeno suscitato la curiosità. Dal canto suo, Ashya era invece piuttosto scoraggiato: era la prima volta che vedeva un leone di Narubia, e dovette ammettere che si trattava di una creatura impressionante. Era più grosso di un comune leone, più muscoloso; pareva un toro sotto mentite spoglie. Nonostante questo, i movimenti dell'animale conservavano tutta la loro agilità felina.
    Il giovane deglutì, cercando di tenere a freno la paura che lo attanagliava; aveva pensato che non appena si fosse trovato di fronte al leone, la familiare sensazione della battaglia lo avrebbe investito come un'onda. Non era accaduto.
    Solo perchè impugnava una spada e fronteggiava un leone, non era tornato ad essere un guerriero.
    Anche la belva sembrava averlo capito e, acquisita sicurezza, si lanciò di nuovo all'attacco. Anche questa volta l'altro riuscì a schivarla, ma potè quasi udire il sibilo degli artigli che fendevano l'aria, vicino a lui. Molto, molto vicino a lui.
    Stavolta l'animale non gli diede tregua: atterrò sul pavimento lastricato, gli artigli che stridettero rumorosamente, e in un istante era già balzato di nuovo verso la sua preda.
    Ashya, preso alla sprovvista, si gettò a terra e rotolò alle spalle del leone, dove si rimise svelto in piedi.
    Agitò davanti a sé la scimitarra, costringendo l'animale ad arretrare appena, ma quellò piegò le zampe anteriori, chinandosi fino a portare il muso radente al suolo. Si stava preparando a spiccare un nuovo salto.
    Il ragazzo cercò invano di prevederene la traiettoria. Il leone, con un movimento rapido e improvviso, si portò sulla sinistra dell'avversario e lo attaccò da lì. Il giovane si scansò all'ultimo, riuscendo a farsi scudo con il braccio ferito. Il danno fu abbastanza grave, e doloroso, ma almeno non era stato ferito al fianco.
    I cortigiani applaudirono entusiasti. La vista del sangue sembrava averli esaltati.
    L'animale si fermò un momento per leccarsi la zampa, proprio in mezzo agli artigli, dove il pelo si era tinto di rosso; mentre compiva quel gesto, la belva pareva quasi compiaciuta.
    Ashya ne approfittò per allontanarsi di qualche passo; era dolorante, spaventato e provava perfino una vaga indignazione.
    Il pubblico, tutto attorno, incitava il leone ad attaccare, azzannare, sbranare; sembravano un branco di iene. Quegli sciocchi cortigiani non avevano idea di chi fosse il ragazzo, non sapevano quali prove fosse stato costretto a superare.
    Ashya si stupì, dopo tanto tempo, nel provare rabbia verso altri esseri umani, ma subito cercò di trasformare quel sentimento in una nuova determinazione: strinse i denti, ripetendo a sé stesso che mai e poi mai un semplice leone avrebbe potuto sconfiggerlo.
    Fu lui ad attaccare.
    Si gettò verso l'animale, la spada davanti a sé, come arma e scudo.
    Se la belva ne fu sorpresa, di certo non lo diede a vedere: si scansò senza fatica e si portò rapida alle spalle del giovane.
    Lui menò un fendente, usando la forza del colpo per voltarsi, prima che il leone avesse modo di azzannarlo. Si era spettato che la scimitarra si abbattesse con forza sul muso della bestia, ma quella era balzata indietro, coprendo in un solo salto cinque passi di distanza; la lama, così, aveva semplicemente sfiorato il muso dell'animale, disegnandovi una sottile linea rossa.
    Il pubblico, nel frattempo, era ammutolito, lasciando che la piazza d'armi venisse divorata dal silenzio.
    Il leone agitava la coda con movimenti nervosi, isterici, come un grosso gatto impaziente, che ancora non era riuscito a catturare il piccolo sorcio.
    Il ragazzo cercò ancora una volta di analizzare la situazione con fredda lucidità, come se la sua vita non fosse appesa ad un filo sottile. Il leone era più forte di lui, più veloce ed aveva un gran numero di zanne e artigli nel proprio arsenale. Ashya aveva soltanto una spada, troppo lunga e pesante per il suo esile braccio.
    Eppure, non sarebbe stato sconfitto.
    All'improvviso spalancò gli occhi. Eccola. Il suo respiro si era fatto più regolare, così come i battiti del cuore. Eccola. Il dolore al braccio era sopportabile. La paura era sopportabile. Quell'intera situazione era, all'improvviso, diventata sopportabile, normale. Eccola!
    La sensazione che aveva disperatamente cercato di ricordare si era impossessata di lui poco a poco ed ora invadeva ogni anfratto del suo essere.
    Il giovane si mise diritto, gonfiò il petto e soppesò la scimitarra, che ora gli pareva più leggera e familiare.
    Il leone dovette percepire il cambiamento, perchè anche lui cambiò il proprio assetto; mise in mostra le bianche zanne e si preparò ad attaccare di nuovo, questa volta per uccidere.
    Ashya prese un respiro profondo e fissò gli occhi in quelli dell'animale, tentando nuovamente di leggerne le intenzioni. Adesso, era come se potesse vederle: era tutto tutto lì, scritto nello sguardo del leone, ogni movimento, pensiero, azione.
    Il felino si lanciò verso di lui, ma il ragazzo si scansò; afferrò la chioma dell'animale con la mano sinistra, ignorando le atroci fitte che gli attraversarono il braccio e, con la destra, affondò la spada nel fianco della belva, proprio in mezzo a due costole.
    La lama penetrò la carne a fatica, come se la pelle del leone fosse fatta di cuoio.
    L'animale, accecato dal dolore, si dimenò con forza; Ashya lasciò la presa sull'elsa e si allontanò di qualche passo. Guardò la bestia arrancare per qualche metro e poi lasciarsi cadere al suolo, con un tonfo sordo. Sollevò appena la testa, per lanciare un ultimo ruggito, carico del suo disperato orgoglio di re delle bestie.
    In una qualunque altra situazione, il ragazzo avrebbe trovato straziante quella scena; ma in quel momento suscitò in lui soltanto un debole sollievo. Aveva vinto.
    Gli applausi del pubblico gli caddero addosso come pioggia, incapaci di lenire il dolore e l'amarezza.
     
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    Alla fine il combattimento contro il leone c'è stato e il leone ha fatto una brutta fine! Mi dispiace per lui, ma è meglio rinunciare al leone che al protagonista! sono curiosa di vedere cosa succederà adesso.
     
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    Anche a me è dispiaciuto tanto per il leone :( Ho sofferto mentre scrivevo.
     
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    I padiglioni era a loro volta incantevoli

    *Erano.

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    Seripaz, ricordò il ragazzo, non solo era un luogo più freddo, ma anche molto meno fertile:

    usa solo "poco fertile", senza quel molto meno.

    Il combattimento col leone è stato molto belklo, e ben descritto anche. Sono riuscito ad immaginarmi ogni sequenza :D

    Mi incuriosisce la "sensazione" di cui parla Ashya alla fine. Potrebbe essere la scarica di adrenalina, oppure un qualche potere che si attiva in lui in determinate situazioni.
     
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    Grazie dei suggerimenti. Sono molto felice che il combattimento con il leone ti sia piaciuto, perchè scriverlo è stato davvero impegnativo :D
     
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    CAPITOLO 5
    Con la coda dell'occhio, Ashya vide i soldati farsi largo tra il pubblico. Stavano arrivando. C'era poco tempo.
    Il modo in cui i problemi continuavano a susseguirsi stava iniziando a diventare problematico.
    I cortigiani, nel mentre, avevano ripreso a conversare tra loro e parevano soddisfatti dello svago che gli era stato offerto; tuttavia, non spettava a loro decidere se lo spettacolo fosse finito.
    Il ragazzo era lì per dimostrare qualcosa, e non erano certo le sue doti di guerriero.
    Senza perdere tempo si inginocchiò accanto al leone, il cui petto si alzava lentamente, seguendo il ritmo di un respiro sempre più debole; per prima cosa, estrasse la spada con un rapido gesto, che fece gemere la povera bestia. Poi, mise le mani sulla ferita, un profondo squarcio da cui il sangue sgorgava copioso. Forse aveva spinto la lama troppo a fondo, ma poteva ancora farcela.
    Almeno, era questo che pensava.
    In quel momento una grande spada si abbattè sul collo del leone, che venne percosso da un ultimo spasmo e poi rimase fermo, perfettamente immobile, i muscoli tesi e rigidi. I suoi occhi, nei quali si erano specchiati chissà quali vasti paesaggi, si fecero vitrei, come se vi fosse calata sopra un'opaca palpebra di nebbia.
    La bestia era morta, non c'era alcun dubbio in proposito.
    Ashya non si aspettava nulla di simile e rimase completamente attonito. Sollevò gli occhi sgranati fino a incontrare la figura dell'uomo che aveva messo fine alla vita dell'animale: il boia non era altri che il primo cavaliere, con la sua armatura d'acciaio e lo sguardo, forse, ancora più duro.
    Il suo mantello nero sembrava uno splendido cielo notturno, mentre la luce delle torce si rifletteva sulle pietre che vi erano cucite sopra. Non si trattava di un semplice mantello, ma di un vero e proprio simbolo; poteva essere indossato soltanto dal più valoroso dei cavalieri e passava di generazione in generazione.
    Una leggenda diceva che, molti anni prima, il sovrano di Wawaru avesse attaccato Pathbahea soltanto per poter regalare quel mantello alla propria consorte.
    Kveri si chinò sull'animale, la lunga treccia che ricadde sulla carcassa, e gli sussurrò alcune parole nella lingua dei nomadi, parole di conforto e brevi preghiere.
    Il ragazzo era atterrito. Sentì tutta la stanchezza e il dolore piombargli addosso, pesanti come macigni. Aveva fallito.
    Lasciò vagare lo sguardo attorno a sé, mentre il mondo iniziava a sembrargli sfocato, indistinto; rimase fermo così, in ginocchio, mentre le lacrime gli rigavano le guance e il sangue gli scorreva lungo il braccio ferito. Qualcuno, poi, gli arrivò alle spalle e lo sollevò di peso.
    Mentre veniva trascinato via dalla piazza d'armi, Ashya cercò gli occhi del sovrano; ma quello era intento a parlare con l'ambasciatore di Seripaz e non sembrava prestare la minima attenzione al giovane. Forse non lo aveva nemmeno riconosciuto.
    Il ragazzo sorrise amaramente.



    Ashya venne condotto in una grande stanza, invasa dall'oscurità.
    Durante il tragitto, l'idea di opporre resistenza non lo aveva neppure sfiorato; non ne aveva le forze, ridotto com'era.
    Qualcuno accese delle torce e il ragazzo guardò stancamente ciò che lo circondava: innumerevoli lembi di stoffa pendevano dalle travi del soffitto, creando una sorta di labirinto.
    Si trattava di amache.
    Il giovane rimase perplesso. Si voltò verso la guardia che lo aveva scortato fin lì, un uomo sulla quarantina dall'espressione severa, ma quello abbandonò la stanza senza dargli alcuna spiegazione.
    Rimasto solo, Ashya barcollò e si lasciò cadere a terra.
    Per un istante, il desiderio di chiudere semplicemente gli occhi e addormentarsi proprio lì, sul freddo pavimento, attraversò la sua mente; alla fine, però, quella piccola parte di lui a cui non piaceva arrendersi prevalse. Il ragazzo sapeva che addormentarsi in quelle condizioni avrebbe significato non risvegliarsi più.
    -Forza.- mormorò piano, con voce tremante -Forza!-
    Trattenendo il fiato per lo sforzo e il dolore, riuscì a trascinarsi fino al muro e si mise seduto, proprio accanto alla porta.
    Provò a rialzarsi in piedi, soltanto per curiosità, e constatò di non esserne in grado. Allora spostò la propria attenzione sul braccio sinistro che, rotto e lacerato, aveva un aspetto davvero poco gradevole; lui rimosse con cura i brandelli di stoffa che vi erano rimasti attaccati, cercando di trattenere le grida che avrebbe voluto lanciare ogni volta che il tessuto si staccava dalla carne viva. Poi si tolse di dosso la stola, usò la mano destra e i propri denti per strapparla, ricavandone strisce sottili. A quel punto, con movimenti lenti e impacciati, mi mise a medicarsi le ferite.
    Quando ebbe finito, dopo un considerevole numero di minuti, si ritrovò ansante e madido di sudore, incapace di muovere un solo dito.
    Appoggiò la testa al muro, sollevando lo sguardo sulle amache che pendevano immobili davanti a lui; sarebbero sicuramente state un giaciglio migliore, se solo avesse potuto raggiungerle.
    Il ragazzo prese un paio di respiri profondi e sentì le costole scricchiolare in modo sinistro. Avrebbe voluto mantenersi lucido, ma la stanchezza e il silenzio erano suoi nemici, lo incoraggiavano a lasciarsi andare, a concedersi il meritato riposo.
    Forse, non era poi una cattiva idea: nello stato in cui si trovava, non avrebbe saputo difendersi nemmeno restando sveglio; quindi, tanto valeva riposarsi un poco e valutare la situazione al suo risveglio.
    Tese allora l'orecchio ai lontani suoni della festa, che parevano una ninnananna stonata, perchè lo accompagnassero nel sonno.
    Il resto della notte Ashya lo passò in uno stato di semi-incoscienza, simile al dormiveglia. Una dopo l'altra, tante persone entrarono nella stanza; lui non riusciva a vederle, ma poteva sentire i loro passi stanchi, mentre ognuna di loro raggiungeva la propria amaca. In qualche modo, piuttosto indistinto, il giovane riusciva anche a percepire l'attenzione che quegli individui gli rivolgevano, attenuata dall'impellente bisogno di dormire.
    Proprio come il ragazzo aveva supposto, quel luogo era una sorta di alloggio dedicato ai servi, che vi stavano facendo ritorno dopo le lunghe ore di lavoro a cui la festa li aveva costretti.
    Sembrava che gli eventi avessero preso una piega imprevista.



    La mattina seguente, quando Ashya aprì gli occhi, trovò una donna davanti a sé. Era una donna alta e robusta, con un viso grazioso che, un tempo, doveva essere stato molto bello.
    -Ti serve un dottore?- gli domandò lei, scrutandolo dall'alto. La sua voce sembrava preoccupata, ma tradiva anche una certa fretta.
    Il ragazzo, per un momento, rimase zitto a fissarla, sorpreso dalla domanda; gli venne quasi da ridere.
    -No, davvero.- rispose infine, regalandole un piccolo sorriso.
    La donna annuì, anche se parve conservare un certo scetticismo.
    -Allora sbrigati.- gli intimò, con un cenno del capo.
    Il giovane si rimise in piedi, non senza fatica, e si guardò attorno, nella stanza che era tornata ad essere deserta. Le amache vuote oscillavano appena, sospinte dalla leggera brezza che entrava dalle piccole finestre.
    -Per di qua.- lo invitò la donna, affacciandosi da oltre l'uscio -Fai in fretta.-
    Lui la seguì fuori, nel corridoio. In quel momento, il palazzo era molto tranquillo e vi regnava un'atmosfera quasi solenne. La luce del sole suggeriva che fosse ormai tarda mattina.
    Ashya spostò lo sguardo sulla sua guida, che avanzava spedita davanti a lui; la donna indossava una tunica bianca, lunga fino alle ginocchia, senza maniche. Sulle braccia, forti e abbronzate, portava diversi bracciali, sottili e dalla fattura molto semplice.
    I due arrivarono alla loro meta, una grande stanza dalle pareti rivestite in legno. Nel pavimento si aprivano diverse vasche in pietra, ognuna di forma circolare; accanto ad ogni vasca c'era una pompa manuale e, in un angolo del locale, erano stati accatastati diversi secchi. Era chiaramente una sala da bagno.
    L'aria era umida e un poco stantia, ma la stanza era molto pulita e non c'era la minima traccia di muffa.
    A quel punto la donna tese le braccia verso di lui, come se si aspettasse qualcosa, e il ragazzo la guardò senza capire.
    -I tuoi vestisti.- disse lei -Sono luridi.-
    Ashya si levò le braghe e la donna le prese in consegna, poi gli fece un cenno in direzione delle vasche.
    -Hai soltanto dieci minuti.- lo avvertì -Cerca di darti una ripulita.-
    Il giovane la guardò lasciare la stanza assieme ai suoi pantaloni, gli unici che possedeva, e in qualche modo intuì che non li avrebbe più rivisti. Un po' gli dispiaceva: li aveva indossati tanto a lungo che era arrivato a considerarli dei compagni d'avventura, quasi una parte di sé.
    Il ragazzo scelse una vasca e iniziò a riempirla; era solo nella stanza, gli unici suoni che sentiva erano il cigolio della pompa e il rumore prodotto dall'acqua mentre risaliva le tubature e sgorgava dal rubinetto. Il palazzo sembrava piuttosto antico, quindi era improbabile i suoi costruttori possedessero tali nozioni di ingegneria idraulica: la sala da bagno doveva essere stata ristrutturata in tempi recenti.
    Infine, Ashya si immerse nella vasca.
    L'acqua tiepida che che avvolgeva il suo corpo era per lui una sensazione estranea, ma anche piuttosto piacevole; immerse il viso, fino quasi agli occhi, e dischiuse appena le labbra, creando piccole bolle che salivano svelte verso la superficie.
    Si lavò la pelle con gesti vigorosi, cercando di rimuovere ogni traccia di sangue rappreso. Tentò persino di districare i capelli, ma quelli ormai erano un caso perso: la sabbia e il sudore di anni interi li avevano trasformati in un groviglio invincibile.
    Quando ebbe finito di lavarsi, si dedicò al braccio sinistro: disfò lentamente la medicazione di fortuna, ormai imbevuta di sangue, e controllò ciò che vi era sotto. Le ferite inferte dal leone, per quanto fossero profonde, si erano quasi rimarginate del tutto, ma le fratture avrebbero avuto bisogno di più tempo; infatti era sufficiente che il giovane provasse a muovere le dita, perchè acute fitte di dolore gli risalissero fino alla spalla. Oltre a questo, la pelle aveva ancora un colorito livido e poco rassicurante.
    Sistemato anche il braccio, Ashya si alzò in piedi e osservò il proprio operato, sorridendo soddisfatto. Non ricordava di essere mai stato tanto pulito.
    Con un sospiro, iniziò a testare il fondo della vasca con le piante dei piedi, finchè non trovò la piastrella semovente; si chinò a sollevarla e guardò l'acqua sporca scendere lungo lo scarico.
    A quel punto, si concesse un momento per pensare.
    Gli era stata risparmiata la vita. Bene.
    Non era stato rinchiuso in cella. Ottimo.
    Inoltre, al di là delle sue più rosee aspettative, sembrava gli stessero offrendo la possibilità di lavorare a palazzo. Perfetto.
    La pena che il giovane aveva provato per il leone non scomparve, così come non scomparve il fallimento, ma essi vennero alleggeriti dall'incredibile risultato ottenuto. Lavorare nel castello, infatti, significava avere la possibilità di raccogliere infinite informazioni. Ebbe la sensazione che il fantomatico principe fosse, improvvisamente, molto vicino.
    Fu proprio allora che la servitrice rientrò nella stanza.
    Guardò il ragazzo con attenzione, controllando che avesse svolto un lavoro decente; corrugò appena la fronte quando i suoi occhi si soffermarono sul braccio leso, ma alla fine annuì.
    -Vestiti.- gli ordinò, porgendogli un fagotto di stoffa bianca e un paio di sandali di paglia intrecciata.



    La tunica era un po' troppo larga e faceva sembrare il ragazzo ancora più magro e minuto. Indossare i sandali era fastidioso e scomodo, perchè la loro fattura era grezza e graffiava i piedi; ma lui continuò a seguire la donna, restando in silenzio.
    Avrebbe voluto farle tante domande, ma la freddezza di lei lo scoraggiava. Mentre procedevano lungo i corridoi, il giovane si sentiva nervoso, spaesato, non aveva la minima idea di quali mansioni avrebbe dovuto svolgere. Non aveva mai lavorato come servitore, tantomeno in un palazzo. Sia chiaro, però, che la sua determinazione non vacillò nemmeno per un istante.
    La donna condusse Ashya alle cucine e lì lo lasciò, senza dilungarsi in alcun tipo di spiegazione. Subito il ragazzo venne travolto dal ritmo frenetico che ragnava in quel luogo: decine di servitori lavoravano di buona lena, per preparare il cibo che avrebbe sfamato l'intero castello; l'aria era pesante, satura di odori, per esempio quello del pesce, della carne, o l'aroma intenso delle spezie. Inoltre, faceva un caldo tremendo.
    Il senso di smarrimento che il giovane aveva provato fino ad allora non era nulla, rispettò a quello che provò lì in mezzo, in quell'oceano di mani indaffarate. Qualcuno lo urtò, qualcuno gli impartì degli ordini, qualcuno lo insultò, persino; in qualche modo, si ritrovò con un piccolo coltello e un enorme cesto di patate da sbucciare.
    Si guardò intorno, in cerca di un posto dove sistemarsi. Gli sarebbe andata bene qualunque cosa, pur di togliersi da lì, dal centro della stanza, dove sembrava fosse d'intralcio a tutti. Scelse un angolo tranquillo, protetto da grandi casse di frutta; si mise seduto e iniziò a lavorare.
    Man mano che pelava i tuberi, Ashya ne mangiava la buccia. Non ricordava nemmeno l'ultima volta in cui aveva sentito quel sapore. Sorrise: sembrava proprio che quello fosse il suo giorno fortunato.
    Mentre le sue mani lavoravano, lo sguardo del ragazzo vagava per le cucine; la sua mente aveva già stabilito che, per cavarsela in quell'ambiente tanto nuovo ed ostile, la cosa migliore da fare era imparare a mimetizzarsi. Così osservava gli altri servitori, i loro atteggiamenti, i gesti, cercando di imparare quanto più poteva.
    Riuscì presto ad identificare il capocuoco, un uomo grassottello che dava ordini, sbraitava e faceva poco altro. La sua larga faccia era rossa come il fuoco, probabilmente a causa dei tanti anni che doveva aver passato ad abbronzarsi sopra i braceri.
    I servi correvano attorno a lui come formiche operaie, intenti ad eseguire le sue direttive, o forse ad ignorarle. Difficile capirlo.
    Il ritmo di lavoro, già alquanto frenetico, sembrava aumentare col passare del tempo, probabilmente in vista dell'ora di pranzo. Il posto assomigliava sempre di più ad una giungla, e la cosa più incredibile era pensare che quello spettacolo si ripetesse ogni mattina.
    Comunque, tutto quel trambusto non dava alcun fastidio ad Ashya. Lui, che era abituato al silenzio e alla pace del grande deserto, non poteva che rimanere affascinato da tanta vita, da tanto rumore. Si domandò, per un istante, dove fosse nascosto il principe, se tutto quel baccano potesse giungere alle sue orecchie. O, forse, era tenuto nascosto in un luogo solitario e silenzioso, per evitare che la sua malattia peggiorasse?
    Mentre rimuginava su questo ed altro, il ragazzo aveva le guance piene di cibo ed era proprio buffo, sembrava uno scoiattolo.
    -Le patate!- gridò qualcuno, in quel momento -Chi doveva occuparsi delle patate?!-
    -Ah!- fece lui, strappato ai suoi pensieri, e per poco non si strozzò.



    Dopo aver lavorato in cucina, Ashya dovette cimentarsi con il bucato. Fu un'impresa decisamente più ardua: il ragazzo non aveva mai fatto nulla di simile e non sapeva come comportarsi con le macchie insistenti, o con il sapone che non faceva altro che sfuggirgli dalle mani, viscido come un rospo.
    Durante il pomeriggio, la corte sembrava essersi svegliata e il giovane aveva visto diversi nobili attraversare i corridoi, cinti nelle loro vesti eleganti e sontuose, degne dei principi e le principesse raffigurati nei libri di fiabe.
    Verso sera, esaurite le sue mansioni presso il lavatoio, Ashya aveva avuto un secondo assaggio del lavoro nelle cucine.
    La giornata, che sembrava essere stata la più lunga della sua vita, era finalmente giunta al termine; tornato negli alloggi dei servitori, il ragazzo si era appoggiato al muro, per poi lasciarsi scivolare fino terra, traendo un lungo sospiro.
    Chiuse gli occhi e per un lungo momento ascoltò soltanto i silenziosi lamenti del suo corpo. Quando sollevò di nuovo le palpebre, si accorse che qualcuno gli aveva appoggiato accanto un'amaca color sabbia, pulita e ben piegata.
    Il giovane alzò lo sguardo verso le travi del soffitto, piuttosto basse, quasi a portata di mano; però, sapeva di non avere le forze di appendere l'amaca, così la dispiegò e la usò come coperta.
    Scivolò lentamente in un sonno profondo e privo di sogni.
     
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  10. Jackie Blaise
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    Sembra essere un buon lavoro,
    anche se personalmente non ci vedo nulla di così "sbalorditivo" nei romanzi, perché ..boh, lo trovo un genere che non varia , resta sempre sullo stesso stile , il che rende ogni romanzo uguale ad un altro , ma questo è un mio pensiero..(poi il fantasy o roba simile) ..vabbe sorvoliamo!! In ogni caso sembra un romanzo.. :D
    Interpreta a modo tuo xD

    Yoh!!

    Jackie Blaise
     
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    ...oh, è questo che stiamo facendo?

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    Il tuo commento mi ha lasciato piuttosto basita, soprattutto perchè non aveva alcuna pertinenza specifica con il mio racconto. Sembra un romanzo perchè, beh, è proprio quello che dovrebbe essere, altrimenti non si troverebbe nella sezione intitolata "I Nostri Romanzi". In ogni caso mi è sembrato abbastanza insensato, come commento :D
    Interpreta a modo tuo.
     
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    Penso che intendesse dire che, non avendo conoscenze specifiche in materia in quanto di solito è un genere che preferisce evitare perché lo trova monotono, ha l'impressione che si tratti di un buon lavoro.

    Mia interpretazione, almeno, anche se l' "interpreta a modo tuo" rende più ampie le possibilità di interpretazione.
     
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  13. Jackie Blaise
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    CITAZIONE (Milly Sunshine @ 5/12/2017, 22:50) 
    Penso che intendesse dire che, non avendo conoscenze specifiche in materia in quanto di solito è un genere che preferisce evitare perché lo trova monotono, ha l'impressione che si tratti di un buon lavoro.

    Mia interpretazione, almeno, anche se l' "interpreta a modo tuo" rende più ampie le possibilità di interpretazione.

    Mh..no , é esattamente ciò che avrei voluto fare intendere..wiushibidú..

    -J.B.
     
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    ...oh, è questo che stiamo facendo?

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    D'accordo, ma anche in questo caso il commento non mi è stato molto d'aiuto, non mi ha fornito suggerimenti o pareri sul mio racconto. Jakie Blaise, capisco che i romanzi non possano piacere a tutti, ma questa non è la discussione più adatta per farcelo sapere. Voglio dire, visto che i romanzi non sono il tuo genere, avresti potuto commentare altri lavori, magari nella sezione Poesie o Racconti. Ieri sono stata scortese anche perchè non mi è piaciuto il modo in cui hai espresso la tua opinione.
    CITAZIONE
    (poi il fantasy o roba simile)

    Questa frase, per esempio, suona piuttosto maleducata, soprattutto in una discussione dove viene trattato proprio un romanzo fantasy :D
     
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  15. Jackie Blaise
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    Ma che c entra , hai interpretato male .. Ma poi perché soffermarsi su sta cosa ?

    Senti , ho detto che é un buon lavoro , per chi piace il genere , ma dato che io non m interesso ne di leggere ne di scrivere romanzi non posso esprimere un giudizio adeguato .. OK?

    Senza offese .
    È uno scambio di opinioni.

    -j.B.-

    P.s. Poi a me i fantasy non piacciono ..come te lo devo dire in tono educato ?

    P.p.s. scherzo !!

    :D :D
     
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190 replies since 9/11/2017, 21:52   1677 views
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