Aleph - complesso di castrazione -

vietato ai minori di 18 anni

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    ATTENZIONE! ALLA PAGINA 2 C'è IL RACCONTO RICORRETTO (C'ERANO 20 ERRORI). CHE COMINCIA CON UNA GRANDE SCRITTA "ALEPH"
    _________________________________________

    _________________________________________
    Basato su fatti veri.
    Se provate eccitazione anziché paura la colpa è vostra.
    Ho scritto questo racconto solo in funzione apotropaica (scacciare il male),
    non per trarne chissà quale piacere perverso.
    ___________________
    Sequoia National Park – California – 19 Luglio 1996
    «Ragazzini, la storia che ora vi racconterò ha dettagli scabrosi, dettagli tanto raccapriccianti che potrebbero insinuarsi qui … nella vostra testa …».
    Col suo indice, l’anziano toccò la fronte di una delle piccole campeggiatrici stese davanti a lui, e lei si impressionò, sentendo brividi correrle sul dorso delle mani.
    «… proprio qui … nella vostra mente».
    I maschi erano tanto giovani da non cercare nemmeno di sembrare virili.
    Le loro pupille dilatate e le loro bocche semiaperte spiegavano tutto.
    Il vento soffiava forte fuori dalla tenda da campo che racchiudeva il racconto.
    Al di fuori di essa, il racconto avrebbe potuto essere vero.
    Le pareti in tela verde scura della tenda erano le pareti dell’Universo, le sottili pareti della notte.
    Aleph, uno sdentato ragazzino sui nove anni, dagli occhi nocciola e dai ricci corti e castani, alzò la mano come la si alza a scuola per prendere la parola, rimanendo steso, e disse:
    «Mia mamma non vuole che sento le storie di paura».
    L’anziano, sistemandosi il suo cappello da capo scout, gli disse: «Oh, ma qui tua madre non c’è».
    Aleph sussurrò:«Ma secondo me è nascosta qui fuori e ci sente».
    L’anziano disse ad alta voce, quasi cantando:«Signora McAlleeeen! … Mi senteeee?».
    Ci fu un momento di silenzio interrotto da una violenta raffica di vento.
    Anziano:«Visto? Tua madre qui non c’è. Potete stare tranquilli. Adesso devo andare a innaffiare un pino. Torno subito. Non uscite da questa tenda per nessun motivo».
    Sussurri tra i ragazzini.
    «Ha lasciato il marsupio»
    «Dai aprilo»
    «No, aprilo tu»
    «Ok, visto che voi maschi non ce la fate, lo faccio io»
    «La foto di una signorina in costume da bagno, hihihi»
    «Che caramelle strane, non sono lucide, sembrano dei confetti»
    «Mmm però sono buone»
    «Ecco qua. I soliti ingordi»
    «Facciamo una a testa e poi quelle che avanzano le dividiamo di nuovo»
    «Io non le so fare le divisioni … chomp chomp»
    Piccole mani innocenti dalle morbide dita si muovevano furtive tra i sacchi a pelo.
    «Shhh! Sta tornando».
    «Shhh! Dai, rimettete a posto il marsupio».
    L’anziano rientrò gattonando nella tenda e non si accorse di nulla.
    «Allora, dov’eravamo rimasti … ? Coff coff … Questa è una storia per chi crede nei demoni.
    Voi credete nell’esistenza dei demoni?».
    Leena, una ragazzina dai lunghi capelli scuri e dagli occhi neri rispose facendo sì con la testa e dicendo come una maestrina:
    «La mia famiglia è cristiana fin dai tempi dei padri fondatori. Lo siamo sempre stati. È una tradizione di famiglia e nessuno ce la toglierà mai. Sissì».
    Tom, un bambino dai capelli neri pettinati di lato tenne socchiusi i suoi occhi azzurri e disse con un filo di fiato
    : «Mio zio è ateo, e se non lo convertiamo prima che muoia, brucerà per sempre. – il suo viso si imbronciò - io non voglio che bruci per sempre».
    Tom si rannicchiò nel suo sacco a pelo e sentì il suo piccolo cuore accelerare sempre di più. Accelerò fino a lacerarsi.
    E poi il buio.
    In quel momento nessuno si accorse di nulla.
    Se ne andò così. Silenzioso.
    L’anziano disse:«Che crediate in Dio o meno, questa storia è vera»
    Aleph: «È vera nel senso che ci sono dei video e delle foto?».
    L’anziano tentennò: «Ehm, non servono le prove. Devi crederci e basta. È per questo che si chiama fede. Non ha bisogno di dimostrazioni».
    Aleph:«E i miracoli, allora? Quelli sono dimostrazioni. Cioè, lo sarebbero se fossero veri … Ahia, la testa, che male. Mi fa male l’occhio … e tutta la testa. Ahia».
    Aleph si accovacciò in posizione fetale sul suo sacco a pelo e l’anziano gli disse con tono solenne:
    «Questo è il Signore che ti punisce. Cambia idea e come per magia il dolore passerà».
    Aleph disse subito:«Ci credo! Ci credo!».
    L’autosuggestione, potenziata dall’effetto delle pillole, gli fece passare il dolore.
    Aleph:«Ma allora è vero!».
    L’anziano:«Ma certo che è vero. Ne dubitavi?».
    Un tuono lontano fece tremare la terra.
    L’anziano continuò:«Si dice che nei luoghi di perversione, come Sodoma, Gomorra e Las Vegas, vaghi spesso un demone che ha la missione di salvare i peccatori dal proprio istinto sessuale. Il demone castratore. A volte è esso in persona a tagliare il pisellino o la farfallina con la sua spada ardente affilata, a volte manda un serpente bianco a tranciare l’organo scelto con un morso. Un morso secco … zac!».
    Tutti i bambini iniziarono a sentire gli effetti delle pillole. Aleph ne aveva mangiate due.
    L’anziano continuò:«Se non siete sposati e avete voglia di giocare col vostro membro, non fatelo oppure potreste … Ahhh!».
    Un serpentello bianco sbucò fuori da un sacco a pelo e gli morse il pene.
    L’anziano si alzò di scatto storcendo la tenda e rompendo per sbaglio una torcia appesa lì dentro.
    La tenda restò così immersa nel buio totale.
    I bambini terrorizzati e impasticcati ebbero ognuno un’esperienza diversa.
    Aleph ebbe una visione di Dio in costume da bagno che gli disse:
    «Tranquillo. Se non penserai mai al sesso il mio serpente non ti morderà».
    Leena si sentì immersa in un sacco pieno di serpenti che la mordevano dappertutto.
    Gli altri, rivolti con la testa verso est, intravidero una potente torcia attraverso la tenda e la scambiarono per la spada del demone. In realtà era solo un giovane, anch’egli capo scout, di nome Matt.
    Matt si avvicinò sentendo le urla dell’anziano, aprì la tenda illuminandone l’interno con la sua torcia e disse:«Howard! Che succede?».
    Le parole di Matt vennero velocemente reinterpretate dai bambini, che videro una spada fiammeggiante al posto della torcia e un’aureola al posto del suo cappello. Aleph lo sentì dire:
    «Il mio serpente punirà anche voi se non rispetterete la parola del Signore».
    Dodici ragazzini erano nella tenda. Tutti morirono d’infarto, tranne cinque.
    Immaginate di essere impressionabili come dei bambini e per di più drogati da un potente psicofarmaco per adulti. Negli anni ’90 gli psicofarmaci non erano sicuri come oggi. Per non creare preconcetti nei confronti degli psicofarmaci daremo al farmaco di Howard un nome fittizio: Vilnina.
    I cinque sopravvissuti (Aleph, Leena, Jeff, Emma e Tasha) scapparono ognuno in una direzione diversa perdendosi nel bosco.
    Matt era leggermente fatto, aveva rubato una delle pillole di Howard qualche ora prima, così riuscì solo a urlare:«Ci sono gli animali feroci nel bosco!».
    Nelle povere menti dei ragazzini la frase suonò come:«I miei animali feroci vi daranno la caccia per gioco».

    Nel buio rischiarato appena dalla Luna oltre l’alto fogliame, Aleph andò a sbattere contro un pino e svenne. Fu raggiunto da Matt che lo portò in salvo, o meglio, portò in salvo il suo corpo, mentre la mente del piccolo veniva distorta da sensazioni impossibili da raccontare.
    Per gli altri il destino fu diverso.
    I passetti veloci dei bambini si sparpagliarono per la foresta. C’era solo natura selvaggia nel raggio di 20km. Le ali scure di un gufo si delinearono in contrasto con la Luna davanti agli occhi di Leena.
    La Luna, fissa nel cielo, sembrava seguirli a ogni falcata. E più cercavano di sfuggire alla Luna, più essa sembrava inseguirli.
    Al campo, Matt sparò un bengala di segnalazione per avvisare le guardie forestali.
    «Il demone! - urlò Leena, vedendo la propria ombra apparire nell’alone rosso creato dal bengala alle sue spalle –
    Signor demone non farmi del male! – disse piangendo mentre correva –
    Non ho fatto niente, non ho fatto niente di niente. –
    In quel momento si convinse totalmente e irremovibilmente di essere la migliore cristiana del mondo.
    Una bambina pura.
    E disse, prima timidamente, poi con sempre maggiore sicurezza –
    Io andrò in paradiso. Io sì! Andrò in paradiso! –
    Aprì le braccia, guardò verso l’alto e sentì la sua anima sgusciare via dal suo corpo raggiungendo il cielo.
    Un cielo bianco e terso, oltre le stelle, oltre la cappa insopportabile della notte.
    Un cielo in cui i suoi antenati la stavano aspettando. In quel momento svenne.
    Aveva solo creduto di urlare. In realtà la sua bocca era chiusa e tremante, e le sue frasi erano state solo pensate.
    Matt giunse nelle vicinanze correndo. Era a cinque metri da Leena e non si accorse della sua presenza. Lei era finita in un anfratto tra due massi imponenti e umidi, illuminati per un attimo dalla torcia di Matt ed era perfettamente immobile tra di essi.
    -
    Jeff era un caso particolare.
    Si dice che chi ha i capelli rossi non abbia l’anima.
    Si dice che i mancini siano in qualche modo sbagliati.
    Jeff era mancino e aveva i capelli rossi, tagliati corti.
    La sua maestra gli diceva sempre:«Usa la destra. La sinistra è la mano sbagliata, è la mano del diavolo».
    Lui cercò istintivamente di correre verso un posto alto, su una collina, per scappare dal demone castratore poiché, notoriamente, l’inferno è in basso e il paradiso è in alto.
    Ma lui pensava di non meritare il paradiso, poiché gli avevano insegnato di essere una persona profondamente sbagliata.
    “La mia mano è la mano del diavolo … la mano del diavolo”. Si ritrovò a ripetere lo stesso pensiero ossessivamente mentre sudava freddo.
    Guardò la sua mano sinistra e la vide trasformarsi in un arto demoniaco rosso ricoperto di scaglie. Ogni dito era un artiglio nero.
    La guardò con paura, la percepì dotata di vita propria. La mano si avvicinò alla sua faccia. Jeff cercò di controllarla, ma era come addormentata.
    La mano gli afferrò il collo e iniziò a stringerlo con la forza di un adulto.
    -
    Vicino alla tenda dove tutto iniziò, Aleph tremava in preda a forti convulsioni. Matt cercò di svegliarlo scuotendolo, poi schiaffeggiandolo, poi, in mancanza d’altro, prese un tizzone ardente da un falò lì vicino e gli bruciò la mano per mezzo secondo.
    Nella sua mente Aleph interpretò l’ustione come un segno del destino. Ebbe l’impressione di varcare la porta dell’inferno.
    Una creatura fatta di ossa attaccate l’una sull’altra alla rinfusa gli urlò con una risata agghiacciante:«Benvenuto, Aleph! Ah, sì! Mettiti comodo, rimarrai qui per tanto tempo».
    Aleph:«Tu non puoi essere vero! Tu non esisti!».
    Demone d’ossa:«Ah davvero? E allora come mai sono qui accanto a te?».
    Migliaia di braccia spuntarono dal terreno rosso scuro e trascinarono Aleph giù verso una valle di lacrime.
    Demone d’ossa:«Guarda qui, Aleph, è una bella donna vestita. Ora si spoglierà pian piano e io sarò qui a controllare che il tuo uccellino non si alzi. Sei pronto?».
    Un fantasma dalle sembianze della popstar Madonna si dimenava su un piedistallo di diamante, lanciando pezzi dei suoi jeans verso Aleph.
    Ma Aleph non era molto attratto dai sederi.
    Demone d’ossa:«Uhm … stai superando la prova, ma bene, bravo».
    Madonna guardò Aleph negli occhi e si strappò la maglietta, mostrando di non avere indosso il suo reggiseno.
    Aleph si sentì pervaso da un’ondata di calore e lussuria per la prima volta e il suo membro si alzò.
    Demone d’ossa:«Ah ha! Eccolo qua il nostro peccatore. Madonna, tagliali il fallo, ma fai con comodo».
    Aleph si sentì bloccato dalle mani spuntate dal terreno che lo afferrarono per braccia e gambe, curvando la sua schiena all’indietro e lasciando il suo fallo ben in vista.
    Madonna sorrise compiaciuta avvicinandosi ad Aleph strisciando sull’aria e dicendogli:«Zac zac zac … quando avrò finito con te rimarrai bello piatto e pulito».
    Aleph urlò:«Nooooooo!».
    Madonna prese un coltello seghettato e segò via il suo fallo.
    Aleph pianse, e nel mondo reale le lacrime scendevano sul suo volto immobile.
    -
    Emma e Tasha, afroamericane, dalle sottili treccine lunghe fino alle spalle, si tenevano per mano mentre correvano a perdifiato. Emma aveva meno resistenza di Tasha, e così cadde esausta per terra. Erano a trecento metri dalle tende.
    Tasha si voltò e disse ad Emma:«Non fermarti!».
    Emma:«Non ce la faccio più».
    La foresta si incurvò attorno ad Emma. Rami, cespugli e terreno erano tutti un vorticare impazzito di sensazioni negative.
    Tasha:«Forse ci lascerà stare se promettiamo di essere caste e pure per sempre».
    Emma urlò:«Siamo brave e faremo le brave!».
    Una voce profonda e distorta rispose nella mente di Emma:«E per quanto tempo?».
    Emma:«Per quanto tempo, dici? Per sempre! Per semprissimo! Sempre!».
    Tasha:«Con chi parli?».
    Emma vide un demone fatto di fuoco avvicinarsi a lei. Era il bengala sparato da Matt; era atterrato vicino a loro due.
    Demone di fuoco:«Avanti, ecco la mia spada. Prendila e taglia la farfallina della tua amica».
    Emma:«No! Fallo tu! È il tuo compito. È il compito che Dio ti ha dato! Non posso farlo io al posto tuo».
    Demone di fuoco:«E allora la taglierò a te».
    Emma si protesse istintivamente le parti intime e disse in fretta e furia:«No no! Lo faccio. Lo faccio io».
    Il demone di fuoco diede la sua spada ad Emma e lei la scagliò in mezzo alle gambe di Tasha, che non mosse un dito.
    Emma:«Ma non senti dolore?».
    Tasha:«Dolore? No … dovrei?».
    Ma poi Tasha si concentrò sulla parola “dolore” così tanto che iniziò a sentire una fitta all’ombelico.
    Era tanto giovane e inesperta da non sapere nemmeno la posizione esatta dei suoi genitali.
    Tasha si premette le mani sull’ombelico e disse:
    «Mi pento! Il poster di Chris O’Donnel vestito da Robin lo tolgo appena torno a casa, promesso!».
    -
    In quel momento i genitori di Aleph, Leena, Jeff, Emma, Tasha e degli altri sette che erano morti nella tenda, stavano in piedi davanti a un ricco buffet nel salone del padre di Tasha, al pianoterra di una bella casa alla periferia di Las Vegas.
    Padre di Tasha:«Che benedizione l’aria condizionata. Ma come facevamo senza?».
    Madre di Tasha:«Chissà come stanno i bambini».
    Padre di Tasha:«Non preoccuparti, staranno bene tra tutti quegli alberi, sai che fresco …».
    Madre di Tasha:«Non mi riferivo a quello. Parlavo in generale, se sono al sicuro, ecco».
    Il padre di Tasha le prese dolcemente l’avambraccio e le disse infondendole sicurezza:
    «Tranquilla, sta andando tutto bene. Godiamoci questo momento finché dura. Dici sempre che hai bisogno di staccare. Tasha se la caverà. Dopodomani arriverà qui con l’autobus e sarà come se non se ne fosse mai andata».
    Il padre di Tom, un ricco costruttore, aveva in mano due flute di champagne. Ne passò uno a sua moglie, la madre di Tom, e notò che lei non si sentiva bene. Era sbiancata in viso.
    La madre di Tom si sistemo i lunghi capelli, grigi come i suoi occhi, e disse:«Oh dio, ma come facciamo stare qui a festeggiare mentre i nostri figli sono in chissà quale bosco … ci sono lupi, orsi, o magari un maniaco. Sono solo dei bambini … - le cadde una lacrima - … come abbiamo fatto a mandarli in campeggio?».
    Padre di Tom:«Adesso puoi fare due cose. Telefonare all’organizzatore del campeggio e interrompere la vacanza di Tom rovinandogli l’estate, oppure distrarti. Andiamo al casinò?».
    Il padre di Tom si mise in piedi su un grosso cubo di legno porta libri, fece tintinnare il suo anello sul suo flute richiamando l’attenzione dei presenti, e disse:
    «Signori e signore … casinò! Si va tutti al Luxor! Mi raccomando, puntate poco e con furbizia».
    Più di uno dei presenti esulto:«Uoohoo!». Qualcuno fischiò in segno di approvazione.
    -
    Al Sequoia National Park, Matt aprì la tenda dove Howard era stato morso dal serpente. Fuori dalla tenda Howard si stringeva il pene per evitare di sanguinare e cambiava mano ogni tanto per non stancarsi troppo le dita. L’ambulanza sarebbe arrivata nel giro di un’ora su un sentiero lì vicino.
    Matt:«Siamo fottuti … non so come sia potuto succedere ma siamo fottuti». Si voltò verso Howard e gli disse:«Dovrai allo sceriffo un sacco di spiegazioni».
    Howard fece mente locale. Si vedeva già dietro le sbarre fino alla fine della sua vita. Non gli rimaneva tanto da vivere. Così disse a Matt:«Prova con la respirazione bocca a bocca. Massaggio cardiaco e robe del genere».
    Matt iniziò a provare a rianimare Tom.
    Approfittando della distrazione di Matt, Howard andò dietro a un cespuglio e di proposito lasciò andare la presa, iniziando a morire dissanguato.
    -
    3 ore dopo.
    Sceriffo Payton:«Allora, ripetimelo Rogan, che cos’abbiamo qui?».
    Vicesceriffo Rogan:«Sette bambini morti in questa tenda, apparentemente senza segni di violenza, e un capo scout anziano morto dissanguato dietro a questo cespuglio a causa di un serpente che lo ha morso nella zona pelvica, a quanto dice il capo scout Matt Sullivan».
    Sceriffo Payton:«Sai che significa questo?».
    Vicesceriffo Rogan:«Che dovrà dirlo alle …».
    Sceriffo Payton:«Alle famiglie. Sette famiglie, se gli altri sono ancora vivi. Ma che cazzo».
    In quel momento tre agenti perlustravano la zona in cerca degli altri cinque.
    Il vicesceriffo Rogan si avvicinò illuminando i corpi senza vita con una torcia e dopo una breve ispezione disse:«Pillole. Ce ne saranno una ventina in questo marsupio, sono sfuse nella tasca superiore».
    Sceriffo Payton:«Impossibile che sia droga. Il vecchio ci sarebbe rimasto secco. Ne rompo una, vediamo … potrei sbagliarmi, ma questa è Vilnina. Ha un tipico odore, simile a quello della cannella. Mio cugino ne prende una quando sta male, ma veramente male».
    Payton si guardò intorno e decise:«Rogan, perquisisci la tenda di quel tizio, Matt. Sono sicuro che non c’entra niente, ma almeno così ti fai le ossa. In questi campeggi la gente crede di essere fuori dalla civiltà, fuori da ogni forma di controllo».
    Matt era in piedi, tra la tenda della tragedia e la sua. Vedendo Rogan avvicinarsi alla sua tenda incrociò le braccia e sospirò preoccupato.
    Rogan:«Capo, venga qui, ce ne sono delle altre».
    Matt si gettò per terra stendendosi urlando:«Mi arrendo! Mi arrendo! Non oppongo resistenza!».
    Payton estrasse il suo manganello e lo sbatté con forza sulla nuca di Matt.
    -
    A mezzanotte e un minuto del 20 luglio 1996, la madre del piccolo Tom, Venice Thompson, varcò la grande entrata della piramide del casinò Luxor, triste in viso.
    Suo marito le chiese:«Hai voglia di un poker?».
    Venice continuava a pensare a suo figlio e, dopo aver creato un elenco mentale di dieci possibili incidenti che potevano succedere in campeggio, si ritrovò seduta a un tavolo da poker.
    Le mani passarono via come acqua. Venice arrivò a un gruzzolo di 100.000$.
    Ultima mano. Heads up con un barbuto signore del Kentucky.
    Lei aveva un 2 e un 7: la mano più scarsa in assoluto. A terra il croupier scoprì un altro 2 e un altro 7.
    Venice puntò, e il suo avversario vide. A terra il croupier scoprì un asso.
    Il tizio del Kentucky puntò tutto, poiché aveva in totale tre assi: uno a terra e due in mano.
    Venice si distrasse pensando al suo Tom e vide, puntando tutto a sua volta. Alla fine della partita Venice si ritrovò con un poker di 7.
    Il signore del Kentucky non disse niente, si alzò dal tavolo lasciando tutte le sue fiche e camminò rapido verso la sua stanza d’albergo sempre all’interno del Luxor. Andò in bagno, si fece una rapida doccia e pensò che non aveva più un soldo. Aveva risparmiato una vita intera per darsi al poker e poi era stato battuto da un 7 contro due assi. Si tagliò le vene con un rasoio da barbiere e pensò:“Finalmente”.
    -
    Venice non riuscì a sentirsi felice, mentre tutti i genitori dei campeggiatori LDC del Sequoia National Park facevano baldoria attorno a lei.
    «Lo hai sbancato! Ma che mossa azzardata! Sei pazza! Un 2 e un 7! Adesso ti puoi togliere qualche sfizio. Che vorresti fare?».
    Venice guardò suo marito negli occhi e disse:«Voglio mio figlio».
    Suo marito la guardò negli occhi e capì.
    -
    I coniugi Thompson salutarono gli altri e guidarono per 400km nell’arco di 4 ore fino ad arrivare alla baita degli organizzatori LDC, a 20km di distanza dalla tenda dove giaceva il corpo di Tom, assieme agli altri sei.
    Erano le cinque di mattina, iniziava ad albeggiare.
    Esausti, i Thompson si addormentarono in macchina.
    -
    Dopo qualche ora, il vicesceriffo Rogan bussò al finestrino sul lato di Venice Thompson. Lei si svegliò e dopo qualche secondo di disorientamento gli chiese:«Siamo parcheggiati in divieto di sosta? Abbiamo fatto qualcosa di male, agente?».
    «No – rispose triste il vicesceriffo – non avete fatto niente di male».

    Edited by CB-PR - 4/9/2017, 01:30
     
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    Accidenti che storia cruda. Nel complesso è scritta bene, ed il cambio di scena coi genitori spezza perfettamente.
     
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    La forma che usi per scrivere i dialoghi è un po' particolare, ti consiglio di rivederla un attimo ^_^

    Come storia in sé è forte soprattutto per le sensazioni che trasmettono i vari personaggi!
     
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    Quando si scrive qualcosa è difficile guardare la propria opera oggettivamente, per questo non ho capito in che modo i dialoghi vanno rivisti. Punteggiatura? Self insertion? Altro?
     
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    per questo non ho capito in che modo i dialoghi vanno rivisti.

    Ti consiglio di dare un'occhiata a questo topic per chiarirti le idee sui dialoghi, è davvero molto utile ^_^
    https://scrittoridellanotte.forumcommunity.net/?t=41395948
     
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    Storia davvero inquietante e affascinante, complimenti.
    A parte qualche problemino coi dialoghi, descrivi molto bene la situazione e gli stati d'animo dei personaggi, e la spaccatura delle vicende figli/genitori è gestita egregiamente.
    Complimenti, mi è piaciuta molto! :)

    P.S.: quanto ringrazio mia madre di avermi mandato sempre al centro estivo ricreativo da piccolo piuttosto che in campeggio. XD
     
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  9. CB-PR
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    ehe. Grazie dei commenti, che sono una ventata di autostima :)
    Fa poche visualizzazioni questo racconto, visto che l'ho pubblicato settimane fa mi aspettavo di più.
    Ma è anche vero che è un periodo estivo in cui le persone vanno poco sui forum.
    Non avevo mai scritto un horror.
    L'autunno porterà consiglio...
     
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    Daje tempo XD
     
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    La storia è molto interessante, molto cruda, e descrivi davvero bene le sensazioni dei personaggi.
    Lo stacco figli-genitori è davvero ben fatto.
     
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  12. CB-PR
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    21 luglio 1996, ore 10:00, cimitero di Woodlawn, Las Vegas.
    Jeff, Emma e Tasha fissavano il vuoto oltre le piccole bare dei loro amichetti.
    L’invidia era malcelata negli occhi dei genitori dei sette passati a miglior vita.
    I bambini sopravvissuti dovevano aver fatto qualcosa di male.
    Il cielo nuvoloso e le statue degli angeli non aiutavano.
    Il prete ridusse il discorso all’osso. Sapeva che in certi casi i parenti delle vittime tendevano a diventare atei nel giro di poco tempo.
    Le bare scesero lentamente nella terra polverosa.
    Aleph e Leena erano ricoverati al Mountain View Hospital, 16km a est del cimitero, ancora persi dentro se stessi.
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    10 dicembre 2005, ore 19:09, Paradise Road, Paradise.
    Leena era diventata maggiorenne solo sulla carta.
    Pensò alla sua prima bocciatura, poi alla seconda, e alla terza.
    Dopo le prime due volte non ti sorprendi più quando leggi “non ammessa” sulla bacheca scolastica.
    “Fede e ragione non vanno mai insieme”.
    Camminava con passo incerto su un marciapiede lungo la trafficata Paradise Road, poco a sud di Las Vegas, cercando di ricordare la missione divina che gli angeli le avevano dato nel 1996 durante il suo coma.
    Brandelli di scene luminescenti, voci bianche sovrapposte l’una sull’altra.
    Aver visto il paradiso è qualcosa da raccontare a pochi eletti.
    Come un angelo caduto dal cielo, aveva visto la vetta dell’Universo e poi era precipitata nel suo letto d’ospedale. La realtà le stava male addosso come una felpa grigia fatta di spine.
    Riviveva quel momento nei dettagli mentre passeggiava verso nord come un cadavere.
    Ma sulla Paradise Road, quella sera, gli aerei in decollo dal vicino aeroporto McCarran sembravano messaggeri divini, con le loro luci bianche intermittenti.
    Leena si inginocchiò guardandoli scorrere oltre le fronde delle palme.
    Sussurrò verso di essi come ad un confessionale: «Che cosa devo fare?».
    Un barbone a due passi da lei la vide assorta, si avvicinò alle sue spalle, le sfilò 30 dollari dalla borsetta e iniziò a correre via, con le gambe anchilosate; attraversò la strada e sentì un camion inchiodare ad alta velocità. Troppo tardi. Fu investito in pieno.
    Lei non se ne accorse.
    Aveva sempre l’espressione di una bambina a cui avevano appena rubato il gelato.
    «Datemi solo un segno». Sollevò la sua mano destra cercando un contatto, un qualche tipo di conforto.
    Un vento fresco e polveroso le portò un vortice di volantini verdi tutti uguali che le girarono attorno.
    Uno di essi le arrivò in mano e lei lo prese.
    Sul davanti c’erano foto e indirizzo del Wynn Resort e Country Club, sulla Las Vegas Strip, la via principale dei casinò più rinomati.
    Sul retro, c’erano foto e indirizzo della Guardian Angel Cathedral, a pochi passi dall’imponente Wynn.
    La chiesa ricordava vagamente una grossa tenda, con la sua struttura a forma di “A”.
    C’era anche una mappa della zona. Leena era sempre stata una frana con l’orientamento, ma il suo subconscio si orientava benissimo.
    Una bambina fatta di luce atterrò silenziosamente davanti a lei e disse: «Ihihih… prendimi».
    Leena si fece forza ma non riuscì a correre e disse concitata: «Aspetta».
    Passo dopo passo, angolo dopo angolo, arrivò sulla strada che divideva l’area del casinò Wynn dalla cattedrale. La bambina si moltiplicò in due ed entrò nei due edifici.
    “Piccola chiesa o enorme casinò? Chiesa o casinò …”. Leena si bloccò e iniziò a tremare per l’indecisione.
    Un aereo lontano sorvolò la cattedrale, dal punto di vista di lei. Si sentì sollevata. Senza un segno non ce l’avrebbe mai fatta.
    Attraversò il parcheggio della cattedrale come un’ingegnera attraversa l’entrata di un’azienda che l’ha implorata di accettare un lavoro.
    Sentiva di essere la persona giusta nel posto giusto e che niente l’avrebbe fermata. Davanti alla porta d’entrata, una voce nella sua testa le disse:
    “Piccolo particolare: nella Chiesa cattolica le donne possono diventare al massimo suore”.
    Si fermò. Era un oltraggio. Ma forse, sentendola parlare in nome degli angeli, il vescovo avrebbe fatto un’eccezione.
    Entrò.
    Piccoli altoparlanti sul soffitto diffondevano un sottofondo rilassante di organo a canne. Aria condizionata. Lei non vide nessuno.
    Da dietro al pulpito si alzò una ragazza asiatica vestita con un saio bianco, dai capelli neri corti raccolti in un codino. Le funzioni del giorno erano finite da un paio di ore. Guardò Leena stupita e disse:
    «Salve, desidera?».
    Leena chiese candidamente:«Perché le donne non possono farsi prete nella chiesa cattolica?».
    La ragazza si coprì la testa con un velo bianco e rispose senza scomporsi:
    «Ci sono varie chiese in cui si può diventare prete essendo donna».
    Leena si lamentò:«Ma non nella Chiesa cattolica. Non nella più importante. C’è forse qualche requisito speciale? Perché io credo di averlo. Parlo con i piani superiori».
    La ragazza dal saio bianco la guardò con sospetto. Era in ritardo a un appuntamento e rispose:
    «Può parlare col vescovo se vuole. Apra la porta alla sua destra e percorra il corridoio fino alla fine. Bussi. Se nessuno le risponde vuol dire che non è il momento opportuno. Adesso vado, buonasera»
    Il corridoio era buio. Alla fine di esso si vedeva uno spiraglio di luce trapelare da sotto la porta dello studio del vescovo.
    Leena sporse in avanti il suo braccio destro per bussare, ma prima di farlo rimase in attesa origliando.
    Sentì ripetuti click di mouse e sentì una voce maschile bofonchiare:«No, nove, porca Eva».
    Lei bussò. Il vescovo uscì dalla sua partita di poker online, spense lo schermo del PC e disse:«Avanti».
    Leena aprì la porta e vide lo studio. Controsoffitto illuminato, varie palme da appartamento, pavimento in marmo bianco.
    Il vescovo era un afroamericano slanciato, più bello di quanto lei si sarebbe aspettata. Il subconscio di lei corresse subito la situazione facendolo apparire brutto e sdentato. “Così va molto meglio” pensò lei.
    Leena:«Salve, mi chiamo Leena Lewis, e sono venuta qui seguendo le indicazioni dei volantini. Me li hanno dati gli angeli, e non dico metaforicamente o per esagerare. Me li hanno dati gli angeli. Io ci parlo ogni giorno».
    Il vescovo si prese il mento con indice e pollice e disse scettico:«Che cosa?». Fece una breve pausa per pensare e poi disse senza alcun trasporto:«Allora dimostramelo».
    Leena vide la bambina fatta di luce scendere dal soffitto spiegando un paio d’ali trasparenti.
    La bambina si rivolse al vescovo e disse:
    «Solo chi è puro mi vede».
    Leena si riempì di autostima e disse al vescovo:«La vede?».
    Vescovo:«Non vedo niente in particolare. Pensi che ci sia un angelo qui?».
    La bambina di luce prese la mano di Leena e le disse:«Non è puro … uuuh che vergogna».
    Leena le chiese:«Che cosa devo fare?».
    Bambina di luce:«Ci sono telecamere in questa chiesa. Invitalo a uscire e convertilo alla castità. Allora mi potrà vedere. Altrimenti conducilo al purgatorio. La morte è solo un passaggio».
     
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    Bello, si prospetta molto interessante.
    Solo una piccola cosa, in alcuni punti mi sembri abusare un po' del narratore onnisciente, come quando parli del barbone investito, non è un problema, ma forse allontana un po' troppo dalla testa della protagonista.
    Per il resto mi piace questa ragazza che crede di poter parlare con gli angeli.
     
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  14. CB-PR
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    Grazie Bardo, ne faccio tesoro e lo metto nei miei appunti.
    Qui piove. Fa molto atmosfera da scrittore.
     
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    Leena ha ancora delle allucinazioni per via della tragedia che l'ha colpita. Ci saranno conseguenze.
     
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