La setta della giada

Poema

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    LA SETTA DELLA GIADA. Un poema epico fantasy di Francesco Rizzo.
    __________
    se volete leggerlo qui sul forum vi consiglio di usare

    "CTRL e Rotella del mouse" o "CTRL e +" per zoommare e giustificare il testo

    in modo da evitare il muro testuale tanto odiato da noi lettori/lettrici;

    altrimenti potete leggerlo in versione integrale o scaricarlo in formato ebook su

    https://zuraar.wordpress.com/

    _______________
    LA SETTA DELLA GIADA

    di Francesco Rizzo

    Questa è una raccolta di frammenti di due versioni

    che vanno a creare un corpo unico in ordine di successione.

    Il bardo Xevu narrò “La setta della giada” al presente e la cantante Sera la narrò al passato.

    I tre punti di sospensione a inizio rigo indicano un cambio di narratore/narratrice.



    Guerra, rossa terra,

    un mago lancia un urlo,

    sta attaccato con le mani dilaniate sopra a un orlo.

    L’orlo della torre del real palazzo.

    “Se cado io mi ammazzo. Risalire sul terrazzo? O un salto come questo …

    lo farebbe solo un pazzo”. Dopo una lunga e violenta battaglia tra due fari sta arrivando sul terrazzo una marmaglia di templari.

    Lui si getta.



    Tutta l’aria fredda gli fischia nelle orecchie; cade in delle catapecchie, e sotto il vuoto, il mare …

    “Non ci credo, non mi manca neanche un pezzo e sono in me,

    raggiungerò i miei maghi, raggiungo gli altri tre”.

    ATTO 1



    Era notte e tutto era nero. In quattro presero un veliero come il cielo anch’esso nero.
    Sottocoperta un cero. Tutti e quattro col pensiero “Di vivere ancora spero … e vendicarmi in vero”.

    Fiammella traballa fumosa. Caravella scricchiolante, ondosa, va e forse arriverà.

    Van via da una fine tragica su un’imbarcazione magica, vanno via da giusti editti. I loro cuori batton zitti.

    [nota:editto=legge]

    Sono cuor di maghi, di certezze al più un paio, son perduti come aghi in un pagliaio.



    Tal pagliaio, poco a poco, aveva preso fuoco.

    Questo è il fuoco di un agone tra il bastone e lo spadone.

    [nota: agone=lotta]



    Dei templari una legione che dei maghi uccide il nome.

    I quattro adesso stanchi non son maghi bianchi. Magia antica, chi la sfida langue,
    questa è una magia di sangue. Accovacciati incappucciati lor discorron preoccupati,
    son cullati e sballottati da quei lor tremuli fati.

    «Dove stiamo andando sballottati tra onda e onda?».

    «Per lo meno stiamo andando, per lo meno non si affonda».

    «Farò un altro incantesimo, le forze mie non lésino

    [nota: non lesino = non risparmio]

    (la maga chiude gli occhi e si tocca un orecchio)

    … Vedo terre sconosciute, le canzoni tramandate a tal riguardo sono mute».

    «Un demone vermiglio dentro me mi dà consiglio: è gran periglio oltrepassare l’orizzonte e fare un miglio».

    [nota: vermiglio = rossastro; periglio = pericolo]

    «Che dovremmo fare, forse ritornare?

    Vada come vada siamo la setta della giada, rimettiam piede nel regno e ci daranno il fil di spada …
    passeranno al filo noi, taglieranno gole e poi la mia salma assieme a voi sarà pasto d’avvoltoi».

    «Non pensiamo alla città. Chi di noi più la vedrà? Finché non spioverà suonerò col mio sitar.
    La bacchetta in mano loro è sol un po’ di legno. Noi con le scorciatoie, e a volte un po’ d’ingegno, loro senza gioie fanno a gara a chi è più degno».



    Passarono tre ore accucciati sotto pelli, loro ancora adorni dei lor più bei gioielli.

    Tenendosi le mani sfruttarono gli arcani

    e concentrandosi leggeano le intenzioni dell’oceano.

    [leggeano=forma antica di “leggevano”]

    Approdi ‘sì lontani li aspettavano un domani. La più giovane di essi lasciò gli altri genuflessi,
    uscì sul nero ponte mano destra sulla fronte.

    «Niente terra in vista. Il destino, quanto dista?»

    «Spero Dio ci assista”.Scherzò un’altra alle sue spalle, dilatate le pupille nelle iridi sue gialle.

    «Ci colpisca con un fulmine, il Sommo pusillanime! Le templari sono asine, han demenza senza un argine»

    «Guarda avanti, forse è un’isola!»

    «Sarà invece una nuvola?»

    «La speranza non si appisola. Evochiamo una canicola?»

    «Ho poche forze, temo. O poter blasfemo, ti rievocheremo per avere un ciel sereno»

    La sua anima fu il mezzo, ne perse appena un pezzo,
    sibilò un sussurro e del cielo un pezzo nero tetro e cupo rese azzurro.

    «A gente troppo pia né potere né magia»

    «Ma ai templari ora il tepore in queste fredde ore riscalda il loro cuore, e noi dentro si muore»



    Intanto i focolari scoppiettanti dei templari scaldavan loro i petti nei notturni lupanari.

    (Templare valvassino):«Tante le bevute, rosse donne sconosciute, soldi, dadi e due battute fanno salda la salute».

    «Beltà rare, quale lusso, ora fammi un bell’inchino, perché tu sei plebea e io sono valvassino»

    (Plebea):«Lo farei da quale lato?»

    «Ogni lato è l’appropriato»

    Con il ventre s’agitava con movenze sue contorte ma in quel mentre chi bussava?
    Chi bussava così forte?

    (Templare valvassino):«A quest’ora c’è il vassallo?! Che riserbo dia al mio fallo!»

    (Vassallo):«In quest’orgia io non c’ero, e dormivo se io c’ero. Ma un veliero tutto nero prese il largo oggi invero.
    Rintana il tuo tizzone, è questa la missione. E adesso, presto, aria. Sei ancora in missionaria?»

    Così andò su un galeone con un rosso suo flacone, un flacone non di vino, ma un intruglio clandestino.

    (Templare valvassino):«Mari neri e rigidi, alle mani ho freddi lividi.
    Se unisci le tue mani nella posa del candore, non sai ben se stai pregando o combattendo il tuo rigore»

    (Compagno templare):«Noi li prenderemo, e in men che non si dica torneremo al lupanare dalla rossa nostra amica»

    Dal gran porto di Ankh-Batòra sul vermiglio dell’aurora già riflesso nelle acque sorse il Sole, nacque e tacque.



    Già riflesso sugli scudi, sui templari visi rudi forte infonde la speranza nella ciurma che ora avanza.



    Ma una parte più turchese di quel cielo tutto rosso lasciò lui alquanto scosso che per poco non si arrese.

    «Se lontano all’orizzonte i quattro uniscono i talenti forse imbrigliano li venti, forse siamo troppo lenti.
    Come può solo un gruppetto senza lode e senza affetto fare squarci sopra al tetto … del mondo ‘sì perfetto?»

    «Non ti vengano i magoni. Quella setta di stregoni volerà come soffioni, sarà carne da cannoni»

    (Voce grave):«Farò spazio nel tuo cuore con pensieri di terrore, tu non bere la pozione, non ti dare protezione».

    (Templare):«Chi ha parlato? Chi è celato?».

    (Voce grave):«Parlo dentro la tua mente, guarda intorno, vedrai niente».

    E così quel bel templare iniziò lì a sorseggiare, e l’anima pian piano si fece borseggiare.

    «Da qui devo sloggiare – pensò un demone nell’Ade – se si devono incontrare starò meglio in quel templare».



    I quattro della giada avvistarono una rada, una calma insenatura rigogliosa di natura.

    (Mago):«Io sarò saziato di pescato e abbeverato soltanto dalla pioggia finché un giorno,
    riposato, non cambio la mia foggia. Un po’ di riposo e poi oso».

    (Maga inesperta):«Puoi farlo ma è rischioso, non diventerai mostruoso?».

    (Mago):«Pelle a squame e corna more, per me sarà un onore.
    Tanto siamo ricercati in tutti e tre i ducati. Forte il demone dormiente si rivolta nel mio ventre.
    Un solo imperativo, attaccare, e farlo sempre».

    _

    Lenta è la trasformazione, e un galeone dei templari è ad un tiro di cannone.

    (Templare valvassino):«Ma cosa sta facendo quell’altra nostra nave? Dobbiamo stare uniti. Andar da soli è grave!».

    (Compagno templare):«Siamo in movimento, ma in modo troppo lento. Sulle loro vele sta soffiando molto vento».

    (Templare valvassino):«Oh grandioso, davvero perfetto. Per Maria!
    Ma non sanno che si attacca quando finisce l’effetto della magia?».

    Quei templari, gli avventati, ammararono scialuppe. Uno dai capelli rossi lì sbarcò e il silenzio ruppe.

    (Templare avventato):«Gli altri vostri son defunti, e in estrema unzione unti. Io sono cavaliere voi anime nere.
    In ogni caso tra due sere non avrete acqua da bere».

    (Mago):«Ho sempre qualche trucco. La vedi la mia foggia? L’acqua noi l’avremo evocando una gran pioggia».

    (Templare avventato):«Il tuo orgoglio è vivido, ma qui attorno non c’è alcuno a cui rubare lo spirito.
    Ci sono solo scogli, sassi e piante e niente più».

    (Mago, soddisfatto):«Oh, ma ci sei tu …».
    Il mago si scaglia come un maglio e il templare avventato con la spada a doppio taglio gli manca la testa,
    gli mozza una gamba, e il mago feroce ricambia.

    (Mago):«Ma che peccato, è già morto dissanguato. Rimane solo la scorza. Dentro non ha più forza».

    Egli si muta, e in umana forma, osserva il gruppo templare che al galeone ritorna.

    (Templare spaventato, una volta salito a bordo):«È una bestia che a tutti ci miete. Faremo in altro modo,
    li sfianchiamo con la sete».



    Passano giorni e l’acqua manca. La caravella nera, creatura viva, è stanca.
    Le serve un sacro lumino o, ancor meglio, sangue di bambino.

    Ai quattro rimane una sola magia, che forse per loro è l’unica via …

    Il più fiero di loro mette la mente al lavoro.

    [ Il mago più fiero di loro è Vànkamas. Ha la pelle abbronzata, capelli lunghi fino alle spalle neri
    con numerosi capelli bianchi. È di altezza medio alta, fisico asciutto leggermente muscoloso,
    barba e baffi corti dello stesso colore dei capelli. Ha un naso aquilino,occhi bluastri, voce grave,
    labbra poco pronunciate, un neo sulla guancia sinistra
    e un tatuaggio fatto da mano non umana sull’avambraccio destro.
    Ha un vistoso pomo d’Adamo e sopracciglia folte grigie.
    Veste di abiti scuri e al momento indossa un’armatura leggera di cuoio borchiato nera.]





    E qualche ora dopo intrappolato come un topo, sull’isola isolato, fu preso appisolato.
    Lo scudo con la croce ebbe in testa in modo atroce. (Templare avveduto):«Forza, legalo, veloce. Ben fatto, lui non nuoce».



    Da quell’incantatore … il demone bramava … di uscire con furore.
    Non riusciva, non si alzava.
    Troppo tempo nel torpore, troppo tempo dentro al mago.

    (Voce grave):«Solo in questo corpo vago, intrappolato in questo cuore.
    Eppure la pozione … dovea facilitare la mia entrata nel templare. Devo solo pazientare».



    Di pranzo era già ora e tornati ad Ankh-Batòra, gli acclamati paladini percorrevano scalini.



    Il tono inquisitorio usato dal templare scuote l’oratorio che una grande cella pare.

    Stanze scure sottoterra. Uno schiaffo al mago sferra.

    «In nome del tuo re, dove sono gli altri tre? Sulla spiaggia niente orme. Loro assunsero altre forme?».

    Nel taschino sul suo petto …

    «Forse ci hanno già scoperto”… diceva uno di loro che sbirciò da dietro a un foro.
    Egli vide grande acrédine e un ferro rosso ardente che fumando andò radente sul dannato trio gemente.

    (Templare):«Ustioni benedette, fate puro questo immondo, mentre il ferro caldo affondo in questo mago inverecondo».

    Furon grida raggelanti dai minuscoli maghetti, le sentirono gli insetti e pregustarono banchetti.

    (Templare):«Ora dimmi, ‘ché sei solo, ora dimmi, come stai?».

    (Mago Vànkamas):«Per davvero così solo non lo sono stato mai».

    (Templare):«Ti rinchiudo nella buca. Speravi di fuggire? Ma ruga dopo ruga ti solcano le ire.
    Uscirà la verità dalla tua bocca prima o poi e vada come vada sarai pasto d’avvoltoi».

    (Mago Vànkamas):«Tenetemi in ostaggio, per poi mercanteggiare».
    Il suo piano disperato lì si andava a tratteggiare



    ma agli occhi dei demòni la sua anima è più cara se è l’anima di un mago

    (Demone nell’Ade):«… e quindi è molto rara, giacché non ne son rimasti.
    Quei tre andranno in una bara. Toccando i giusti tasti noi rischiamo, riempiremo, di poteri ‘sì nefasti il mago ultimo terreno».

    Fiamme filano furenti, fiere forzano ruggenti nella gola di quel mago la longevità di un drago.

    Con spirito longevo il mago regge il grande affanno. Non gli resta da giocarsi più nemmeno un solo inganno.

    Attraverso gli anni e i regni nella cella assieme ai ragni, porterà del tempo i segni,

    barba lunga, non ha impegni.



    Le fazioni dei templari si squartarono a vicenda in centotré giri solari.

    «Mai nessuno che mi appenda?».

    Ciò si chiese il grande mago diventato ormai leggenda. Fu trovato come un ago.

    «Non son tipo che si arrenda».



    Il vessillo della chiesa é strappato dallo scorrere dei secoli, del tempo, e una nuova luce è accesa:
    un mondo di mercanti, di realismo e saltimbanchi. Niente maghi neri o bianchi, chi ricorda più li santi?

    «Nella cella c’è qualcuno?». Sussurrava una ragazza

    (Mago):«Sono anni che digiuno, la mia mente è resa pazza. Nelle ossa adesso assidero».

    (Ragazza):«Tranquillo prigioniero perché adesso io ti libero».

    (Mago):«E a me non pare vero».

    [ La ragazza si chiama Ktimbrah. Ha la pelle liscia e pallida, capelli biondi a chignon.
    È di altezza media, fisico magro e poco sviluppato, Ha un naso poco pronunciato,occhi verdi,
    voce timida, labbra appena pronunciate segnate da una cicatrice sul prolabio, ha sopracciglia fine.
    Veste di abiti grigi e al momento indossa una camicia e una gonna lunga.]



    Così, un passo dopo l’altro, fuori dai recessi bui…

    «Troppo bello sembra il mondo per far presa su di lui
    – pensava quel demonio che albergava nel suo petto e pensò –
    Arriverà il momento, per adesso zitto aspetto».



    Di Ankh-Batòra le vestigia son rimaste, e il mago pigia sul terreno stanchi passi sulla via piena di sassi.

    «Passerà il tuo sguardo truce» al mago dice la ragazza.

    «Son vissuto senza luce» le risponde e poi stramazza.



    La ragazza a tarda sera s’improvvisa ‘spedaliera. Una benda sulla fronte, un po’ d’acqua dalla fonte.



    (Mago):«Dove sono? Chi sei tu?»

    (Ragazza):«All’osteria del gallo blu. Ti salvai, mi riconosci? I tuoi muscoli son mosci.
    Quindi bada, resta fermo, sopravvivi a quest’inverno».

    (Mago):«Sol parlare è un grande affanno. Qual è il numero dell’anno?».

    (Ragazza):«Sta’ tranquillo, adesso sei nel seicentotrentasei».

    (Mago):«Tutto questo tempo fermo, chi darà la forza a me? Quando mi hanno incarcerato era l’anno trentatré».

    (Ragazza):«Per tre anni che hai passato, di sicuro sarà stato solo un piccolo reato,
    quindi ciò che è stato è stato. Tu finisti in quale modo dentro al carcere remoto?».

    (Mago):“Non ha capito niente, forse beve dell’assenzio. Ma io non spiego niente, è meglio fare del silenzio”.

    Perché all’epoca nessuno aveva come sua dimora la città che, un tempo grande, chiamavano Ankh-Batòra.
    Tralasciato aveva un secolo, un secolo d’insonnia, lo omise, emise un rantolo.

    (Mago):«Il tuo viso è uno spettacolo».

    (Ragazza):«Sicuro come tutti, sei come gli altri empi, ma hai un accento non usuale, un accento d’altri tempi».
    ...

    Edited by CB-PR - 28/2/2018, 19:47
     
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    È una storia interessante. Mi incuriosisce come l'hai scritto, c'è un motivo?
     
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    -L'ho scritto in versi perché ho sempre avuto l'hobby del rap.
    -Ho scelto l'ambientazione medieval fantasy perché mi piace la serie di videogiochi "Dragon Age" (dialoghi bellissimi. Si vede che ci sono degli scrittori seri alle spalle).
     
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    aggiornata con correzioni varie e un capitoletto in più.
     
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    [VECCHIO POST SBAGLIATO]
    L’arcangelo dal rosso inferno sale in paradiso / «Perché indossi quella maschera dorata sul tuo viso?» / Gli chiese un di lui pari, / con toni quasi amari. / Anche gli angeli non son per forza tra di loro cari. /
    «Osservi monti e mari? Osservi umani vari?» / «Non badare alla mia maschera, / non sono tuoi affari». /
    Il paradiso terso da un gran suono viene immerso, / il Sommo dice agli angeli:«È quello l’universo, / preparatevi a partire, / ci sono nuove mire, / un mondo inesplorato in cui dilagano le ire»./
    Ogni santo al male è avverso. / Di angeli un raduno, / verso un universo / e sui cieli di Ankh-Bathòra ne rimase solo uno. /
    Senza la maschera / al Sommo lui è dinnanzi / «Come regno questo mondo? / È un gran peso e io sprofondo» / «Gli umani sopra a questo mondo son docili manzi; / da solo in questo cielo / da solo basti e avanzi»./
    Partono a migliaia verso un cielo sconosciuto. / Lo spirito malvagio nella maschera è astuto. / L’angelo rimane solo sopra a un piedistallo / e lo spirito sopito si fa zitto nel metallo./
    Se in cielo della spedizione squillano le trombe / giù in terra ad Ankh-Bathòra / già fremono le tombe. /
    L’equilibrio o meglio equilibrismo, porterà caduta; / tra il bene e il male il ritmo è reso una canzone muta. / Il Sommo e gli altri alati ora scompaiono in un lampo / e l’arcangelo è da solo / in un nuvoloso campo. / La maschera dorata se indossata non dà scampo.


    Edited by CB-PR - 21/6/2017, 20:52
     
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    Tempo di guerra?
     
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    quasi.. zum zum..
     
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    ma forse vi davano fastidio le barre? (gli slash)
     
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    Forse sarebbe stato meglio dare più spazio e spezzare.
     
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    Gli occhi suoi bluastri tentennando come astri
    per un attimo scordarono quei giorni ‘sì nefasti.
    «Sguardo fisso, a cosa pensi? Stai perdendo forse i sensi?
    Bevi l’acqua, mangia un poco, ti risveglio con gli incensi»
    Un fil di fumo si contorse nella stanza dell’ostello, due belli attimi trascorse
    «Sento forse un violoncello?».
    «È mia madre al pianterreno, suona il canto dell’inverno,
    è una versione personale, ci riscalda dall’interno»
    Il mago all’avambraccio avea una cosa unica,
    il tatuaggio di una musica, una bella scritta runica.
    Attese con pazienza la fine della festa, la serata era già andata
    e il mago zoppicante scese per la scalinata;
    il legno marcio era curvato e con intralcio, affaticato, il posseduto dal demonio
    riscaldò la voce sua suadente come un bel favonio
    «Che ne dici di suonare questa musica diversa? Io vorrei che la suonassi prima ch’essa vada persa»

    Intanto si fa tardi, la barda dà due sguardi, al disegno delle note,
    e il suo archetto lancia nella stanza suoni a mo’ di dardi.
    Il sangue vecchio e nero ridiventa in lui carminio risvegliando l’abominio della voglia d’assassinio, …
    e l’artista ebbe un sentore, sentì come un malore
    «Queste note dentro al cuore danno un senso di terrore.
    Note malinconiche. Sono forse esotiche?»
    “La mia forza si moltiplica per tre, forse è nato nuovamente un forsennato dentro me”
    … Pensa zitto lui, mentre illumina di rosso tutti i suoi recessi bui.
    Ma da fuori non si vede, che del demone è la sede, e quel mago sogghignando è rinnovato nella “fede”.

    Intanto, giù all’inferno nevicava quell’inverno ed ogni fiocco per volere del Divino era uno stocco.
    Lentamente si infilzavano quei fiocchi, e zampillavano le vene dei dannati, a malapena a tal tortura abituati.
    Alcuni di loro per non viver la tortura avevan fatto coi corpi un’ammucchiata a mo’ di mura.
    Ma sotto stavano essi, protetti da quei plessi, i demòni riparati erano sempre loro stessi.
    I dannati dentro al mucchio li aiutavano giacché ignoranti ormai ne avevano scordato anche il perché.
    Schiavi nella vita e schiavi nella morte, infilzati nelle facce e nelle dita ormai contorte.
    «Quel mago sta da solo senza servi e senza aiuti. In lui il male spicca il volo, ma è in un popolo di arguti».
    Al riparo dagli stocchi, in una maschera d’oro, con i suoi stessi occhi vedevano loro:
    «Un popolo d’arguti danno aiuti l’uno all’altro, e se comanda il più scaltro,
    sa usar tutto il suo acume per il bene comune.
    Né aguzzini né lacchè, niente eroi e niente ladri, gli uomini di un tempo si vendevano le madri».
    4

    Il mago lascia la taverna, porta seco [seco=con sé] una lanterna.
    Rinnovato nella fede sulla neve lui procede. Dalla maschera dorata una voce è sussurrata.
    «Forza, avanti, mago, insisti, nuovamente falli tristi»
    «Furbamente da stregone fo una nuova religione, e che un gran senso di colpa
    li corroda nella polpa»
    «La pazienza ormai è poca – fa il demonio a voce roca – è un’impresa da un millennio,
    come erigere un gran regno, quindi andremo sul sicuro,
    per corrompere il più degno mostra a tutti l’oro puro vai, corrompi, lascia il segno».

    Sentì ciò e si incamminò, per le lande già imbiancate in viaggio sulla spessa coltre,
    per i colli, i monti ed oltre.
    Passò un giorno e a tarda sera entrò dentro a una miniera
    che era stata abbandonata in un’epoca passata.
    Nel suo profondo corso la tana fece un orso e in un rigagnolo ipogeo c’era il corpo di un plebeo.
    La bestia mandò un rùglio e le membra di quel mago gli mandò tutte in subbuglio.
    Lui mandò uno strillo, e il demone dall’Ade ad egli disse:
    «Sta’ tranquillo, tranquillo mago mio permettimi di agire e da qui in poi comando io.
    Metto a frutto la tua ira rilassati ed ammira».
    [nota: ipogeo = sotterraneo; ruglio = rumore animalesco]
    Si flesse come un arco. Vibrava ogni suo marchio e, non alto di una spanna più di prima,
    sembrava che occupasse tutto il varco.
    Esplose ogni suo nervo ed all’orso, da possente, parve quasi d’esser cervo.
    Un balzo ed i suoi artigli lasciarono una buca. Il suo visitatore si aggrappò sulla sua nuca.
    Affondò voracemente i suoi canini come lui fosse inebriato da cento e passa vini.
    Morso dopo morso, sorso dopo sorso non rimase che l’involucro morente di quell’orso.
    Si spense soffocata la sua iride bruna mentre il luogo fu inondato da una soffice bruma.
    Il tempo del demonio fu scandito da una nacchera, egli usciva dal suo posto di comando nella maschera
    «Allora, com’è andata?» Chiese uno dei dannati, e già nel mucchio tutti quanti si sentirono rinati.
    «Ti ho visto dimenarti, ti ho visto indaffarato»
    «Ti direi di dileguarti, ma stai dove sei stato, giacché in questo apparato solo qui son riparato».
    E lì sentì un boato seguito da un risucchio «Cos’è mai questo apparato? Cos’è questo umano mucchio?»
    La voce di un arcangelo tuonò nell’aldilà, e i demoni nel mucchio a dire «Tutti via di qua!»
    E l’angelo luminescente disse alle platee
    :«Ho da cantare perle di idee. Tuono, come fulgori in mente
    e gli elementi mi percuotono da fuori e anche da dentro
    mentre voi da dover patire non sentite niente
    e per questo agli inferi entro fui e son vincente.
    Cos’è questa mascherata?».
    Una goccia del suo sangue angelico, una era dannata
    e la maschera dorata fu dall’angelo afferrata.
    «Tu inferiore resta senza. Da questo tuo accessorio trarrò forse conoscenza.
    – disse in tono inquisitorio –
    Questi sono tempi duri e bisogna ricercare soluzioni nei meandri molto oscuri».
    La maschera lo attrasse e si elevò per mano sua sulle vaste e informi masse.
    Nonostante la sua mano fosse fulgida e gigante nel prenderla tremò. E fu febbricitante.
    ...

    Edited by CB-PR - 20/2/2018, 11:03
     
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  14. Correttoredibozzeperromanzi
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    ho spezzato e formattato
     
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    Mi pare più leggero in questo modo. Ben fatto :D

    La storia mi piace come va avanti.
     
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14 replies since 15/5/2016, 16:17   250 views
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