RACCONTI EDITATI.

[Contest: Dall'Argomento al Racconto]

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  1. Lucciolavagabonda
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    1° turno: vincitore Chelepo con

    "Cacciatori di mostri."

    «Sentiamo quello che ne pensa la gente, Jack?».
    «Ok… ma giusto per farci una risata sopra, Carl» rispose questi quando finì di lucidare le armi che coprivano il tavolo del salotto; prese il telecomando e accese il televisore.

    «Ma lasciamo la parola all’illustre ospite di questa sera, appena giunto dall’osservatorio di Arecibo, dove è situato il più potente radiotelescopio del pianeta» cominciò l’avvenente annunciatrice del telegiornale serale; «ecco a voi il dottor Noble!» proseguì, mentre le telecamere dello studio inquadravano a lungo l'uomo in modo da fargli ottenere la maggior attenzione possibile.
    «Per chi non lo conoscesse, il dottor Noble è attualmente il più grande luminare nell’ambito dell’astronomia e, poche settimane or sono, ha fatto una scoperta incredibile, di cui parleremo oggi» continuò, emozionata; «prego, dottor Noble!» concluse, rivolgendosi verso l’ospite.
    «Un caldo saluto a voi tutti: sono molto felice di poter essere qui, stasera. Non vedrete l’ora che i trambusti originatisi in queste ultime settimane siano chiariti, immagino. Mi avvarrò dell’ausilio di un proiettore, così da farvi comprendere meglio»; afferrò il telecomando che aveva davanti e avviò la presentazione: su uno schermo, alle sue spalle, comparse un’immagine animata del sistema solare, che ne ritraeva i pianeti intenti nella rivoluzione attorno al Sole.
    «Questo è il sistema solare» cominciò, «e questa è la Terra» continuò indicando il piccolo pianeta blu; premette un bottone: «Questa linea che è appena comparsa è la sua orbita, ovvero la traiettoria che il nostro pianeta segue ogni anno» precisò.
    «Dieci giorni fa, dall’osservatorio di Arecibo è stato avvistato uno strano fenomeno: nello spazio, lungo la linea, si è cominciata a formare un’enorme nube» proseguì, mentre sullo schermo le parole si trasformavano in video, «la sostanza di cui è composta è ancora sconosciuta» ammise.
    «Stando ai calcoli effettuati, la Terra impatterà questa nube fra quarantatre ore e venti minuti>>, continuò dando una fugace occhiata all’orologio da polso; <<ciò che noi vedremo, da quaggiù, sarà un’enorme massa che si avvicinerà progressivamente sino a raggiungerci.
    La Terra impiegherà quindici minuti ad attraversarla, durante i quali ci troveremo immersi in una fitta nebbia. Poiché non conosciamo la natura di questa nube, ciò che consigliamo è di rinchiudersi in casa a partire dalle ore dodici di dopodomani e rimanerci fino a tarda serata, quando tutto sarà finito.>>

    «Mah!» esclamò Carl quando spense la tv; Jack rise, «Andiamo a dirglielo noi di cosa si tratta?» scherzò, ironico.
    «Sì, certo… “ora presentiamo a tutti quanti Jack Norton, venuto qui a dirci la vera natura di quella nube” continuò giocosamente Carl, provando a imitare l’annunciatrice, mentre riempiva delle borracce con dell’acqua santa, ”Allora Jack, di cosa si tratta?»
    «”Bella annunciatrice, deve sapere che noi stiamo puntando dritti dritti verso un conglomerato di magia pura!”» lo prese in giro, imitandolo «”e, come tutti immagineranno, una volta che la magia toccherà la superficie terrestre, ogni mostro e creatura demoniaca presenti sulla Terra verranno fuori e cercheranno di assorbirla!”».
    Jack rise di gusto, «già, ma non dimentichiamo di rassicurarli: “finché ci saremo noi, non avrete nulla di cui preoccuparvi”» aggiunse; prese a manciate dei proiettili d’argento con i quali caricò una Magnum.
    «Già…» rispose Carl, «alla fine, si tratta solo di un’altra giornata di merda, per noi» disse, malinconico.
    «Io credo che dopodomani sarà più della serie “o la va o la spacca”» disse Jack.
    «Sì… forse hai ragione» ammise Carl, «però, finalmente, avremo modo di piantare qualche proiettile nel cranio del loro fottuto capo. Quando tutti i mostri usciranno allegramente per le strade, lasceranno indifeso il loro creatore e noi lo andremo a trovare».
    «Spero solo che gli abitanti diano ascolto alla tv e si chiudano in casa>> commentò Jack, «perché da mezzogiorno di dopodomani, le strade non saranno più un luogo sicuro».
    «Ecco qua, finito!» disse Jack quando issò un sacco di sale grosso sul tavolo completando l’arsenale; «dovrebbe esserci tutto» concluse.
    «Carichiamo ogni cosa sul furgone» dissero in coro.
    «Ora non ci resta che aspettare» aggiunse Carl.

    La Richmond Terrace quel giorno era completamente libera; la loro meta, il Bayonne Bridge, ovvero il ponte che segnava il confine di New Jersey e New York, era un centinaio di metri davanti a loro.
    «Eccoci>> annunciò Carl quando accostò poco prima dell’imboccatura del ponte; i due uscirono.
    «Sarà buio, là sotto» commentò Jack, «l’ideale per i troll. Ci serviranno le torce a raggi ultravioletti e gli occhiali con le lenti di prisma>> aggiunse.
    «Dannati troll>> esclamò Carl, indossando i ridicoli occhiali, «odio dover portare questi affari per riuscire a vederli. Perché non possiamo semplicemente portarci dietro un bambino?».
    Jack rise di gusto, «già… sarebbe comodo essere in compagnia di qualcuno che può vederli ad occhio nudo>>.
    Sopra di loro, come annunciato, la grande massa si stava avvicinando al pianeta.
    «È enorme» disse Carl; «chissà nel Medioevo come avranno fatto a scacciare la magia dalla Terra» si chiese.
    «Sarà meglio entrare ora: se restiamo qui, fra pochi minuti non vedremo più niente» constatò Jack; prese delle sacche dal furgone e scese sotto il ponte, seguito da Carl.
    Sotto di esso, una piccola porta sembrava condurre nelle fogne: entrarono.
    Si ritrovarono in un ampio locale quadrato, buio e umido.
    «Troll» si lamentò Carl quando sentì il familiare tanfo; storse il naso.
    «Che facciamo?» domandò Jack, «li lasciamo uscire e poi ci dirigiamo dal loro capo, oppure prima li ammazziamo?».
    «Prima li ammazziamo… che domande!» esclamò per tutta risposta Carl.
    «Bene».
    «Bene!» ripeté l’altro.
    «Prepariamo qualche trappola» consigliò Jack mentre cominciava a montare dei fari agli angoli del locale.
    Dal tunnel che partiva dall’altro lato della stanza cominciarono a levarsi latrati e lamenti; «Arrivano» convennero.
    Furono i troll i primi ad entrare nel locale; ruggirono non appena fiutarono l’odore di Carl e Jack, che arretrarono.
    «Quanto rumore che fate!» li apostrofò Carl, provocandoli; i troll cominciarono ad avvicinarsi a grandi balzi.
    Solo quando si trovarono a pochi metri da loro Jack accese i fari: la luce a raggi ultravioletti pietrificò i quattro più vicini, mentre gli altri arretrarono, gridando di dolore.
    Carl andò verso di loro con una torcia a mano, finendo il lavoro.
    «Quasi mi dispiace» ammise, << Grandi e grossi, ma basta così poco per ammazzarli»; presero le sacche e si avviarono verso le gallerie davanti a loro.

    I licantropi che trovarono nel groviglio di tunnel furono più ostici da eliminare: agili e scattanti, essi potevano muoversi senza difficoltà anche lungo pareti e soffitti.
    Però non potevano certo battere in velocità una mitragliatrice caricata a proiettili d’argento.
    «C’è poco movimento, oggi» commentò Carl, annoiato.
    Solitamente, mostri e creature infestavano quei tunnel in gran quantità e non si faceva in tempo a mettervi piede che si veniva assaliti da decine di quegli esseri ripugnanti.
    Tranne per i giganti di montagna: quelli preferivano la solitudine.
    «Sono tutti a godersi il panorama di fuori>> pensò Jack.
    I tunnel scendevano in profondità nel terreno e presto i mattoni e il cemento sparirono, lasciando posto a semplici gallerie.
    I segni di unghie sulle pareti suggerivano fossero state scavate a mano.
    Dopo circa duecento metri, la galleria si apriva in un ampio spazio; un anfratto sotterraneo illuminato qua e là da alcune torce.
    Una massa informe prendeva posto al centro del locale: una creatura esile, minuta e boccheggiante, costretta a rimanere collegata ad enormi macchinari; si spaventò quando li vide.
    «Voi!» esclamò, tossendo; «non avete onore!» gridò.
    «avete aspettato il momento in cui il mio esercito è lontano, e ora venite ad ammazzarmi mentre sono senza difese... carogne!» inveì.
    «Oh, povero» disse Carl, «forse dovevi immaginarlo?» chiese; lasciò le sacche a terra ed estrasse una pistola.
    Si avvicinò.
    Il mostro rise di gusto, «non pensiate sarà così facile» aggiunse; «vieni, mia creatura prediletta!» urlò con quanto più fiato aveva in gola.
    Carl e Jack si irrigidirono, quando sentirono l’ululato rimbombare nel locale, seguito da un rumore che si faceva sempre più vicino.
    «Non è un licantropo, questo» notò Carl, agitato; «sta’ attento Jack».
    Un tunnel davanti a loro sfavillò di una luce rossastra, mentre il mostro usciva dal suo rifugio.
    « È un Cerbero!» gridò Carl, spaventato: non avevano mai avuto a che fare con una creatura di quel livello, e le poche informazioni che avevano in proposito venivano da vecchi libri.
    Le tre teste infuocate della bestia erano erette e pronte all’attacco.
    Si fiondò contro Jack, che lo schivò per poco; gli sparò una raffica di proiettili nel corpo, senza provocare però alcun danno.
    «Jack, lo si uccide con un pugnale di rame!» gridò Carl, indicando le sacche; «tienilo impegnato!» continuò.
    Cominciò a correre verso le sacche, mentre il Cerbero si voltava, tornando all’attacco su Jack.
    Fu più veloce questa volta, e Jack non riuscì a evitare la zampa della creatura, che gli squarciò il petto: gridò di dolore e ruzzolò lontano.
    Nel frattempo Carl aveva raggiunto le sacche e brandiva il pugnale, con il quale si diresse verso la belva; Jack si rialzò a fatica e gli sparò alle zampe.
    L'essere arrancò per un momento, il tempo necessario affinché Carl lo raggiungesse; abbassò il pugnale con quanta più forza possibile.
    Il Cerbero si divincolò e schivò il pugnale; si gettò contro Carl e gli azzannò la gola.
    Il sangue cominciò a schizzare ovunque, mentre la belva stringeva le fauci.
    «Carl!» gridò Jack, fiondandosi sulla bestia e cominciando a colpirla.
    «Non ti preoccupare…» biascicò l’uomo; radunò le ultime forze e piantò il pugnale nel ventre del mostro, che urlò di dolore.
    Il Cerbero ricadde di schiena, mentre il suo corpo cominciava a sgretolarsi; pochi secondi dopo, della belva non rimaneva che un pugno di cenere.
    Carl era a terra, immobile in una pozza di sangue.
    «Merda!» esclamò Jack, «Carl, forza… non fare il codardo, tirati su!» continuò, mentre lo scuoteva: il corpo dell’amico era pesante.
    «Non fare tante scene» bofonchiò la creatura, «io vedo morire i miei figli ogni giorno, a causa vostra».
    Jack si voltò e gli lanciò uno sguardo furente; si alzò e gli si avvicinò, con la pistola puntata davanti a sé.
    «Non abbiamo forse tutti diritto di sopravvivere?» domandò la creatura, «umani e, come li chiamate voi, mostri?».
    «Credo di sì» rispose Jack, «ma io non sono qui per fare la cosa giusta per tutti… chiamala sopravvivenza» disse; premette il grilletto.
    Si avviò verso il tunnel che l’avrebbe riportato fuori; «Già… alla fine, si tratta solo di un’altra giornata di merda, per noi».
    «C’è umidità, in questa grotta>> notò asciugandosi gli occhi. E uscì.

    Editing a cura di JSTJart, revisione Lucciolavagabonda.
     
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  3. Lucciolavagabonda
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    2° Turno: vincitore The Aster con

    "GRAPPO."

    Quando aprii gli occhi per la prima volta, vidi mia mamma guardarmi in modo strano. Non so come, ma ero consapevole che lei era la mia mamma, anche se non l'avevo mai vista.
    Alzai il musetto per sentire il suo odore: sapeva di buono.
    C'erano altri come me accanto, tutti piccoli. Alcuni avevano ancora gli occhi chiusi e muovevano il musetto all'insù cercando il profumo di mamma; cominciai a imitarli, ma già sapevo qual era il suo odore.
    «Mamma!»
    Provai ad avvicinarmi a lei, ma non riuscivo ad andare avanti: non sapevo ancora come muovermi. Anche gli altri avevano cominciato ad aprire gli occhi e, come me, si sforzavano per raggiungerla, ma volevo essere io il primo a farlo. Però non credevo bastasse muovere il musetto per riuscirci.
    «Mamma! Mamma! Come faccio a venire da te?»
    «Muovi le zampe in avanti.»
    «Zampe? Che cosa sono?»
    «Quelle quattro cosette che hai sotto la pancia.»
    Abbassai la testolina e le vidi: quattro strani oggetti che stavano sotto di me, due davanti e due dietro, formate da altre tre parti rotonde alla fine.
    «Mamma! Mamma! A che servono?»
    «A muoverti, saltare, correre e tanto altro.»
    «Saltare e correre? Che vuol dire?»
    «Lo capirai più avanti, cucciolo mio, per adesso prova a muoverti.»
    «Voglio venire da te.»
    «Allora fallo.»
    «E come?»
    «Pensa di volerti muovere e allo stesso tempo pensa alle tue zampe: il tuo corpicino farà il resto.»
    Feci come mamma aveva detto e le mie zampe iniziarono lentamente a muoversi in avanti, ma caddi spesso a terra prima di capire che dovevo muovere una zampa alla volta.
    Quando finalmente riuscii a raggiungere mamma, fui così felice che non m'importò degli altri piccoli che, come me, si erano avvicinati a lei.
    «Mamma! Mamma! Chi sono?»
    «Sono gli altri miei cuccioli, i tuoi fratelli e le tue sorelle.»
    Guardai quei sette piccoli con occhi curiosi: non capivo cosa volessero dire le parole dette da mamma, ma dentro di me sapevo che dovevo voler loro bene. Piano piano erano riusciti ad avvicinarsi a mamma. Lei ci guardava con la bocca sollevata un po' in alto, così le chiesi cosa stesse facendo.
    «Perché tieni la bocca così, mamma?»
    «Per sorridere.»
    «Sorridere?»
    «Vuol dire che sono felice.»
    «E perché sei felice mamma?»
    «Perché siete nati voi.»
    Mamma ci accarezzò le guance col naso. Credo sia per quello che anche noi sollevammo la bocca come aveva fatto lei: eravamo felici. Però vidi che i miei fratelli e le mie sorelle, oltre a imitare mamma, muovevano velocemente la strana piccola zampa che avevano sul sederino.
    «Mamma! Mamma! Perché muovono quella zampa così?»
    «Quella non è una zampa cucciolo mio, ma una coda. Fanno così perché sono felici.»
    «Una coda?»
    «Sì, ce l'hai anche tu, e la stai muovendo esattamente come loro.»
    Girai la testolina per riuscire a vederla. Mamma aveva ragione, ce l'avevo anch'io e la stavo agitando velocemente. Il movimento che faceva, tuttavia, risvegliava dentro di me l'istinto di morderla: cominciai a girare su me stesso.
    «Ti prendo! Ti prendo! Ti prendo!»
    Ma, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a raggiungerla con i denti, era troppo lontana. Mi girava la testa, non riuscivo a reggermi sulle zampette. Caddi per terra seguito dai miei fratelli e le mie sorelle, che avevano copiato quello che avevo fatto io.
    Dall'alto, mamma ci guardava e ci sorrideva.
    «Adesso basta giocare, piccoli. Su, è ora di dormire.»
    «Dormire?»
    Mamma ci prese uno a uno nella sua bocca e ci poggiò dentro un oggetto rotondo marrone, con dentro qualcosa di blu e molto morbido.
    «Che cos'è, mamma?»
    «Una cuccia.»
    Comincia a camminare in tondo e, ogni volta, le zampette sprofondavano, ma era una bella sensazione. Poi mi accorsi che gli altri erano stesi nella cuccia con gli occhi chiusi e non si muovevano.
    «Mamma, che è successo?»
    «Stanno dormendo, e dovresti farlo anche tu.»
    «E come?»
    «Poggia le zampe sul cuscino e ritirale verso di te, poi chiudi gli occhi.»
    «Cuscino?»
    «È l'oggetto morbido su cui ti ho appoggiato.»
    Ancora una volta, feci come aveva detto mamma. Dopo aver chiuso gli occhi provai una strana sensazione, una forza che mi trascinava via contro la mia volontà, ma allo stesso tempo tanto bella e rilassante.
    L'ultima cosa che sentii fu la voce di mamma che ci augurava di fare dei bei sogni… ma cos'erano i sogni?

    Degli strani suoni mi fecero aprire gli occhi, così mi alzai dal cuscino, tremante, perché non ero abituato a camminarci sopra. I miei fratelli e le mie sorelle avevano ancora gli occhi chiusi e non si muovevano.
    «Ti sei svegliato presto.»
    Mamma era nella stessa posizione in cui l'avevo lasciata prima che tutto quel buio mi portasse via. Però non stava più sorridendo, e dagli occhi le stava uscendo qualcosa di trasparente, come dell'acqua.
    «Mamma, non sei più felice?»
    Lei non rispose, mi guardava stranamente e ogni volta i suoi occhi tremavano quando l'acqua usciva.
    Non mi piaceva vederla così, perciò mi avvicinai al bordo della cuccia per uscire. C'era un muro marrone che non mi faceva passare, e io volevo andare da mamma.
    Forse avrei dovuto fare una delle cose che le mie zampette mi permettevano. Correre? No, sarei andato a sbattere il musetto sul muro; allora saltare, ma come?
    Mentre lo pensavo, le zampe posteriori mi spinsero in avanti e allo stesso tempo mi sollevarono quel poco che bastava, ma non riuscii a oltrepassare del tutto il muro. Metà del mio corpicino era fuori, ma l'altra era rimasta dentro, e non riuscivo ad avanzare.
    «Ma che fai?»
    Fui molto felice di vedere mamma sorridere, anche se l'acqua continuava a uscirle dagli occhi.
    «Volevo venire da te.»
    Mi prese con la bocca e mi portò via dalla cuccia, mettendomi vicino a sé. Si distese a terra e mi osservò. La mia coda si mosse da sola non appena toccai terra.
    «Mamma, perché ti esce acqua dagli occhi?»
    Stava per rispondermi, quando un animale gigantesco si avvicinò a noi velocemente. Era strano, si reggeva su due zampe: la sua pelliccia era di colori diversi e svolazzava quando si muoveva.
    Quell'animale mi fece molta paura, così tanta che dovetti nascondermi dietro mamma. Lei, invece, non ne era per niente spaventata. Anzi, sembrava fosse contenta della sua presenza.
    La zampa destra dell'animale che non poggiava a terra toccò molte volte la testa di mamma. È strano, ma ebbi l'impressione che stesse cercando di bloccare l'uscita dell'acqua.
    Non capivo il suo abbaiare ma, da come mamma stava attenta, qualcosa mi diceva che lei, invece, poteva farlo.
    L'animale guardò la cuccia dove stavano i miei fratelli e le mie sorelle, e di nascosto riuscii a vedere la sua bocca farsi come quella della mamma quando è felice. Stava sorridendo, ma non capivo perché. Ebbi paura che volesse mangiarci: forse per questo gli occhi di mamma facevano uscire l'acqua.
    «Mamma, ho paura.»
    Il mio abbaiare fece voltare l'animale verso di me, che si accorse della mia presenza e si avvicinò lentamente. Pensai di scappare, ma mamma mi rassicurò.
    «Non ti farà nulla, non aver paura.»
    Infatti non mi fece nulla, e si limitò a guardarmi e a sorridere.
    Che strano animale, come il suo odore. Mi avvicinò una delle sue zampe, ma non mi toccò. Era divisa in cinque parti, e l'animale ne chiuse quattro lasciando aperta solo la seconda.
    La mosse a destra, a sinistra, a destra, a sinistra, a destra, a sinistra, a destra, a sinistra, a destra, a sinistra, a destra... quando smise di muoversi, io non riuscii a tenere ferma la testolina e continuai a girarla come se lui stesse continuando.
    Non so perché, ma mi sentivo preso in giro.
    Dopo aver passato ancora una volta la zampa sulla testa di mamma, l'animale se ne andò.
    «Mamma! Che cos'era?»
    «La mia scimmia, si chiama Ryck»
    «Scimmia? È un animale?»
    «Sì e no. Ci sono tante scimmie, ma questa specie particolare è molto diversa dalle altre: loro sanno fare delle strane cose, che gli altri animali non riescono a fare.»
    «Perché si trova qui?»
    «Il luogo in cui ci troviamo è la sua cuccia, lui ci vive con la sua compagna e i suoi cuccioli; si è preso cura di me fin da quando ero piccola.»
    «Piccola? Come me?»
    «Sì.»
    «Perché si è preso cura di te?»
    «Perché mi vuole bene.»
    «Anch'io ti voglio bene.»
    Mamma sorrise e mi passò il muso sulla guancia.
    «Lo so cucciolo, lo so.»
    «Mamma.»
    «Sì?»
    «Che significa Ryck?»
    «È il nome della mia scimmia.»
    «Nome?»
    «Queste scimmie lo usano per distinguersi fra loro.»
    Mamma si sedette a terra.
    «Molto presto avrai anche tu una tua scimmia, che ti assegnerà un nome.»
    «E poi?»
    «Vivrai con lui o lei.»
    «E tu?»
    «Io devo restare con la mia scimmia: diventa triste quando non ci sono.»
    «Vuol dire che non potrò stare con te, i miei fratelli e le mie sorelle?»
    «No, anche loro andranno via con una scimmia.»
    «Ma così non ci sarà più nessuno di noi con te.»
    Forse cominciavo a capire perché usciva acqua dagli occhi di mamma.
    «Cucciolo mio, anche se non staremo nella stessa cuccia, questo non vuol dire che non ci potremo vedere.»
    «Davvero?»
    «Sì»
    Mamma mi prese con la bocca e mi riportò alla nostra cuccia, mettendomi ancora sul cuscino e dicendomi di tornare a dormire. Io obbedii, ma prima c'era una cosa che volevo sapere.
    «Mamma, ce l'hai anche tu un nome?»
    «Sì, Ryck me ne ha dato uno.»
    «E quale?»
    «Non ha importanza.»
    «Perché?»
    «Perché per te sarò sempre e solo la tua mamma.»

    Non capivo il perché di tutte quelle scimmie che ci guardavano. I miei fratelli e le mie sorelle erano alquanto nervosi, come me del resto. Mamma ci stava accanto e ci rassicurava, ma la presenza di quegli animali ci spaventava ugualmente.
    Alcuni si avvicinarono a noi, ci toccavano la testolina, le zampette e la schiena. Ci sollevavano grazie alle loro zampe piatte e poi ci rimettevano a terra. Dopo un po' vidi i miei fratelli e le mie sorelle tranquillizzarsi e iniziare a giocare con le scimmie, ma a me facevano ancora paura.
    Quando quegli animali presero alcuni di noi e li portarono via, gli occhi di mamma si riempirono d'acqua.
    «Mamma, dove vanno?»
    «Adesso andranno a vivere con le loro scimmie.»
    Mamma abbassò la testa, ma non per guardarmi. Non voleva vedere i miei fratelli e le mie sorelle che venivano portati via.
    «Non fare così, mamma. Non mi piace.»
    Qualcosa mi toccò la schiena. Corsi via e mi nascosi dietro mamma, mentre la scimmia che mi aveva spaventato non si mosse: era alta, ma non come le altre. Sembrava più giovane, e non sorrideva.
    «Non nasconderti cucciolo mio, lui ti ha scelto.»
    «Non voglio andare!»
    «Non lo voglio anch'io, ma non puoi restare qui.»
    «No, voglio rimanere con te!»
    Mamma si allontanò da me, lasciandomi esposto; tuttavia la scimmia non fece nulla. Forse voleva che fossi io ad andare da lui.
    «Non lo farò!»
    Corsi via passando sotto uno strano albero con le zampe, evitando le scimmie che cercavano di fermarmi, poi, quando capii che non riuscivo ad andare avanti perché mi stavano sollevando in aria, mi arresi.
    La scimmia che mi aveva scelto era riuscita a catturarmi, e mi teneva dalla pelliccia di dietro, facendomi male. Gli altri animali gli abbagliavano contro, forse per questo mi mise dentro uno strano cuscino con dei quadrati.
    «No, non voglio! Mamma! Mamma!»
    Mamma mi osservava allontanarmi senza dire nulla, ma sapevo che stava soffrendo, perché la sua scimmia le passò la zampa sulla testa, così che lei smettesse di far cadere l'acqua dagli occhi.

    «Dove sono?»
    Dopo che la scimmia mi fece uscire dal cuscino, mi portò dentro una cuccia molto grande, dove c'erano altre cucce che, per me, erano grandi, ma per la scimmia sembravano perfette.
    C'erano un sacco di cose là dentro: due scatole enormi marroni, un muro bianco diviso in tre parti che si apriva e si chiudeva quando la scimmia usava le zampe e lo tirava, un grandissimo cuscino lungo più della scimmia, un cerchio bianco in alto, dove usciva della luce e lo stesso albero con le zampe che vidi nella cuccia della scimmia di mamma.
    «Mamma...»
    Mi sentii male pensando a lei, senza di noi. Cominciò a uscirmi dell'acqua dagli occhi, così capii cosa mamma stesse passando.
    La scimmia tirò fuori dal muro bianco qualcosa di nero; un oggetto simile a quello che lui aveva sulle zampe basse. Mi prese per la pelliccia, stavolta senza farmi male, e mi ci infilò dentro. Era morbido, ma non come un cuscino, e non ci entravo tutto.
    Per questo mi tirò fuori guardandomi in modo strano.
    Provai a parlargli.
    «Qual è il tuo nome?»
    Non mi rispose, così ritentai.
    «Perché non sorridi?»
    M’ignorò e mi posò su quell'enorme cuscino che avevo visto prima, poi si mise a cercare qualcosa in una delle scatole marroni. Mi spaventai molto quando vidi che sulle zampe teneva delle pellicce, pensai volesse togliermi anche la mia.
    Corsi sul cuscino per scappare via, ma arrivai alla fine e vidi che ero molto in alto e non potevo proseguire. Iniziai a tremare.
    Intanto la scimmia aveva preso un quadrato marrone e ci stava infilando dentro le pellicce, poi si voltò verso di me e mi prese con le zampe.
    «No! No! Lasciami! Mamma! Mamma!»
    Per quanto gli abbaiassi, lui non mi lasciò andare. Lo fece solo per mettermi sopra quelle pellicce. Ma appena le toccai con le zampette, capii che erano diverse dalla mia. Guardandole meglio, vidi che erano uguali alla pelliccia colorata della scimmia.
    «Sono tue?»
    Non capivo come mai lui avesse tutte quelle pellicce e perché poteva togliersele. Osservando dove ero sistemato, intuii che quel quadrato marrone era la mia nuova cuccia. Lui l'aveva fatta per me.
    La scimmia mise una zampa in avanti e chiuse le sue quattro parti lasciandone libera solo una.
    «No! Stavolta non ci casco!»
    Mi sbagliai, la scimmia non si mosse come aveva fatto quell'altra con me. Invece usò quella parte della sua zampa per accarezzarmi dolcemente la guancia, come faceva mamma col muso: mi piaceva molto.
    La scimmia non mi voleva fare del male, voleva prendersi cura di me, proprio come mamma aveva detto. Ma allora perché non sorrideva?
    Mentre mi toccava la guancia, dell'acqua iniziò a uscirgli dagli occhi.
    «Ho capito, sei triste. Per questo non sorridi.»
    Come mamma, non mi piacque vedere così nemmeno lui e volevo farlo smettere, ma come? Non potevo certo accarezzargli la testa con le zampette. Forse potevo usare qualcos'altro.
    Uscii della cuccia che mi aveva preparato e mi avvicinai a lui, cercando poi di salire sulle sue zampe senza riuscirci: era troppo alto. Vedendomi, lui mi sollevò e mi portò vicino alla testa per guardarmi meglio. Mi abbaiò qualcosa, ma non capii; come aveva detto mamma, col tempo ci sarei riuscito.
    Mi sporsi in avanti e tirai fuori la lingua. La sua acqua non era buona, aveva un brutto sapore, ma continuai lo stesso.
    Fui felice di averlo fatto, perché dopo che la scimmia mi riportò nella cuccia, la vidi finalmente sorridere.

    È passato molto tempo da quando fui portato via da mamma, ma alla fine sono contento di stare qui. Ho iniziato a comprendere l'abbaiare della mia scimmia. Mi ci è voluto un po', ma ne è valsa la pena.
    Ho capito che il suo nome è Allen… mi piace molto come suona questa parola, ma non so perché continuo a chiamarlo solo scimmia. Forse è per quello che mi disse mamma quando le avevo chiesto il suo nome e lei mi aveva risposto che non era importante, perché sarebbe sempre stata solo e soltanto la mia mamma. Credo che valga la stessa cosa per scimmia, lui sarà sempre e solo la mia scimmia.
    Invece il nome che scimmia mi ha dato ancora non mi convince: Grappo, perché secondo lui mi aggrappo a qualunque cosa sia alta.
    Mi piace arrampicarmi sulle cose, è vero, ma che c'è di male? Mi serve come allenamento per quando voglio arrampicarmi su scimmia, perché è molto cresciuta, come me, del resto.
    Adesso le scatole che porta sulle zampe basse non riescono più a contenermi, e ogni tanto mi diverto a mordicchiarle o a spingerle col muso.
    Io e scimmia andiamo molto d'accordo, mi sento felice quando sono con lui e mi diverto. Mi porta sempre a spasso e a giocare dove c'è tanta erba, alberi e scoiattoli.
    Mi piace inseguire gli scoiattoli… non che voglia far loro del male, mi piace solo inseguirli. Quando non possiamo uscire perché dall'alto cade tanta acqua, scimmia resta nella cuccia e gioca con me tutto il tempo.
    Mi piacciono le cose che fa scimmia per farmi divertire, come quando si mette a quattro zampe di fronte a me e cerca di imitare il mio abbaiare, ma non ci riesce mai. E poi mi dà tante cose con cui giocare, come l'osso che suona, il mio preferito, e la cosa tonda che lui chiama palla. Quando scimmia la lancia, sento le mie zampe muoversi d'istinto per andare a prenderla e riportargliela.
    Quando lo faccio, scimmia mi sorride e mi accarezza la testa con la sua zampa.
    Voglio tanto bene a scimmia.
    Spesso mi porta a trovare mamma: lei è sempre felice di vedermi, e se per caso c'è anche uno dei miei fratelli o delle mie sorelle, ci mettiamo tutti a giocare davanti a lei per farla sorridere.
    Mamma dice che è molto orgogliosa di me, perché sono riuscito a rendere felice la mia scimmia e a farla sorridere di nuovo.
    Perché c'era un motivo se scimmia era sempre triste e non sorrideva, almeno fino a quando non mi ha preso con sé: lui aveva perso la sua mamma.

    Io e scimmia non abitiamo più nella sua vecchia cuccia, e adesso ci siamo spostati in un'altra poco lontana da dove abita mamma. Mi piace un sacco questa nuova cuccia, perché ha anche dell'erba fuori dove posso andare a correre e un albero dove si siede scimmia a prendere il fresco e a guardare quello che lui chiama libro.
    Sono molto felice, anche perché adesso siamo solo io e lui, e a me piace stare solo con lui a giocare.
    Però c'è una cosa che mi dà fastidio.
    Da qualche giorno viene a trovarci un'altra scimmia: il suo nome è Cloe, e già dal nome non mi piace. Lei e scimmia passano molto tempo insieme, ma non mi lasciano mai da solo. Anzi, Cloe cerca sempre di giocare con me, ma io non voglio che lo faccia.
    «Io gioco solo con scimmia!»
    Scimmia mi abbaia contro quando evito le zampe di Cloe, ma non posso farci niente, lei non mi piace. Perché ogni volta che la vede, scimmia sorride in modo strano e si comporta da... da... non so da cosa, ma è comunque strano. Cloe non mi piace, solo io posso far sorridere veramente scimmia.

    Sto mangiando la pappa che scimmia mi ha messo nella ciotola, quando sento lui e Cloe abbaiare molto forte. Non capisco perché lo fanno, così vado a vedere.
    Sono uno di fronte all'altra, il viso rosso e le zampe che si muovono in maniera strana. Cloe ha l'acqua che le esce dagli occhi, mentre scimmia sembra arrabbiato per qualcosa.
    Rimango in disparte a osservare, non mi piace vederla in quel modo, ma forse è la volta buona che ci togliamo Cloe dalle zampe, così da tornare a essere solo noi due.
    Dopo un ultimo guaito, Cloe corre via ed esce dalla cuccia; scimmia invece si siede sull'albero con le zampe e rimane in silenzio.
    «Scimmia?»
    Dell'acqua comincia a uscirgli dagli occhi: non è felice, e a me questo non piace.
    «Cos'hai?»
    Non abbaia nulla, continua a piangere in silenzio. Forse perché Cloe se n'è andata? Sì, deve essere così. Scimmia vuole bene a Cloe, come io ne voglio a lui, a mamma, ai miei fratelli e alle mie sorelle. Decido di farla tornare, di cercarla.
    Giro per tutta la cuccia, ma non la trovo da nessuna parte. Passando per l'uscita, vedo in alto un quadrato con dentro Cloe e scimmia.
    «Ecco dov'eri finita.»
    Mi arrampico per riuscire a prendere il quadrato… non è difficile: in fondo io sono Grappo, quindi mi aggrappo.
    Dopo essere sceso, cerco in tutti i modi di convincere Cloe a uscire da quel quadrato e a tornare da scimmia, ma lei m’ignora. Allora decido di portare il quadrato da scimmia: forse lui è in grado di farla uscire.
    Quando mi vede arrivare, si volta a guardarmi, poi nota quello che ho in bocca. Lo prende e si mette a guardarlo.
    «Falla uscire, così fai andare via l'acqua.»
    Scimmia sorride e mi accarezza la testa, poi posa a terra il quadrato e corre via. Io riprendo il quadrato in bocca e lo inseguo.
    «Fimmia, affeffami.»
    Usciamo entrambi dalla cuccia, Cloe è sotto l'albero di scimmia e continua a togliersi l'acqua dagli occhi. Scimmia si avvicina lentamente porgendole una zampa. Mi sembra che Cloe non sappia cosa fare, ma alla fine lei gliela stringe con la sua e scimmia se la porta molto vicina a sé.
    L'acqua esce lo stesso dagli occhi di Cloe, però adesso sta anche sorridendo, così come scimmia: sono entrambi felici.
    Mi avvicino a loro e poso il quadrato a terra, non capendo come lei abbia fatto a uscirne. Scimmia mi vede e mi prende fra le zampe, mettendomi davanti a Cloe. Lui le abbaia qualcosa, ma riesco a capire solo le parole «... merito suo.»
    Non so cosa voglia dire, ma quando scimmia le parla, Cloe mi avvicina una zampa e inizia ad accarezzarmi. Io la lascio fare, perché mi sbagliavo su di lei, entrambi possiamo rendere scimmia felice.

    Sono giorni che nella nostra cuccia c'è un via vai di scimmie, inoltre le loro facce non mi piacciono, fanno dei sorrisi strani quando mi guardano.
    Scimmia non è più come prima: è da molto che non mi porta a spasso e non gioca più con me. Se ne sta sempre sopra il grande cuscino e non si muove da lì. Per vederlo devo arrampicarmi e avvicinarmi a lui.
    Il suo viso è strano, ma sorride sempre quando mi vede e mi accarezza la testa con la zampa.
    Cloe resta con noi quando le altre scimmie se ne vanno; anche lei mi sorride in modo strano, e i suoi occhi sono sempre umidi, come se l'acqua fosse sempre pronta per uscire.
    «Ma che succede? Cos'hai, scimmia?»

    Mamma è venuta a trovarmi assieme alla sua scimmia, e sono molto felice che ci sia, forse lei mi può dire cos'ha scimmia. No, niente forse: lei è la mia mamma, lei sa sempre come aiutarmi.
    «Mamma, scimmia non si comporta più come prima.»
    «Lo so, cucciolo mio.»
    «Perché?»
    Mamma rimane in silenzio, mi guarda con aria triste.
    «Mamma?»
    «Cucciolo, la tua scimmia...»
    «Cos'ha Allen?»
    «Sta morendo.»
    Delle zampe mi sollevano, Cloe mi prende in braccio e mi porta via.
    «Morendo? Che significa mamma?»
    «Va dalla tua scimmia, cucciolo mio. Adesso, ha bisogno di te più che mai.»
    Cloe mi porta nella cuccia dove c’è il grande cuscino con scimmia sopra. Altre scimmie sono lì e dai loro occhi esce dell'acqua. Mi domando il perché, che cosa significhi tutto questo.
    Mamma ha detto che la mia scimmia sta morendo, che ha bisogno di me, ma cosa significa?
    Cloe mi mette accanto alla testa di scimmia, io non capisco perché lui non si giri a guardarmi.
    «Scimmia?»
    Lui solleva leggermente la zampa: credo che voglia accarezzarmi come al solito, ma non riesce a raggiungermi. Così sono io ad avvicinarmi.
    «Scimmia, che cos'hai? Ti senti triste?»
    In risposta al mio abbaiare, lui sorride e mi gratta la testa facendomi un po' di solletico.
    «Scimmia, mamma ha detto che stai morendo, è una brutta cosa?»
    Lui mi abbaia qualcosa. Mi avvicino di nuovo alla sua testa per sentire meglio, e stavolta mi guarda in faccia.
    «Grazie Grappo... ti voglio bene.»
    Qualcosa non va.
    «Anch'io ti voglio bene scimmia, ma cosa… »
    Qualcuno mi allontana da lui: è Ryck, la scimmia di mamma. Tra le sue zampe riesco a vedere Cloe versare molta acqua su Allen, la mia scimmia. I suoi guaiti sono orribili.
    «Perché scimmia non si muove più?»

    Non mi piace la nuova cuccia di scimmia, anche se c'è tanta erba e ci sono gli alberi.
    Non capisco perché l'hanno messo sotto la terra, dove io non posso raggiungerlo, neanche scavando. Mamma mi ha detto che questo significa morire, non ci si muove più, non si parla, non si sorride.
    Non è giusto.
    Mamma ha detto che Allen era come la sua mamma, per questo è morto.
    Non è giusto.
    Adesso è Cloe che si occupa di me, che mi porta a spasso. Ma ho smesso di inseguire gli scoiattoli.
    Non è giusto.
    Lei mi prepara anche la pappa, ma anche se la mia pancia abbaia, io non mangio, non ci riesco.
    Non è giusto.
    Perché scimmia non è più qui a giocare con me?
    Non è giusto.
    Mi manca tanto scimmia...

    Vengo sempre sulla nuova cuccia di scimmia, anche da solo.
    Quando non mi vede, Cloe viene sempre a cercarmi qui, e quando mi trova seduto sulla cuccia di scimmia, comincia a far uscire acqua dagli occhi e mi accarezza per farmi smettere.
    Ma io non ci riesco.

    Sono tornato ancora una volta su questa cuccia, dove non posso raggiungere la mia scimmia.
    Ho tanto freddo e fame, non mangio bene da molti giorni, nonostante Cloe si sforzi per farmelo fare. Io mangio quel poco che basta per farla stare tranquilla, ma mi sento debole.
    Mi si chiudono gli occhi, sento una forza che mi vuole portare via.
    Io mi lascio trascinare, sperando che questa forza mi accompagni dove si trova scimmia.

    Apro gli occhi, mi trovo in un luogo molto strano, bianco dappertutto, ma ci sono anche molti alberi e legni che spuntano dal terreno e tante scimmie, e anche tantissimi animali.
    Qualcuno mi accarezza la testa.
    «Scimmia!»
    Io gli salto addosso e inizio a leccarlo in faccia.
    «Scimmia! Scimmia! Scimmia!»
    Non la smetto più, anche perché la sua risata mi fa stare molto bene.
    Sento dei passi che si avvicinano: è un'altra scimmia ci osserva sorridente. Assomiglia molto alla mia: le abbaio contro.
    «Chi sei?»
    Scimmia si alza e abbaia anche lui, ma è a me che si rivolge, e riesco a capire benissimo quello che dice.
    «È la mia mamma.»
    Guardo quella scimmia e scodinzolo, poi mi arrampico su uno dei legni che escono da terra e saluto felice la mamma di scimmia.
    «Ciao, io sono Grappo!»

    Editing a cura di Chelepo; revisione Lucciolavagabonda.
     
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  4. Lucciolavagabonda
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    Terzo turno: vincitore Pegaso09 con

    "Ingredienti"

    Lucia giunse saltellando alla porta di casa. Moriva di fame.
    Bussò due volte, come faceva tutti i giorni, e attese che la mamma arrivasse ad aprire. La mamma aprì presto.
    “Ciao”.
    “Ciao mamma…” la mamma era di nuovo triste, glielo leggeva negli occhi. Doveva tirarla su e distrarla dai problemi come sapeva fare solo lei. Scagliò lo zainetto rosa sul divano e le si presentò di fronte con un sorriso luminoso.
    “Mamma… fusilli ai gamberetti!”
    “No Lucia.. pensavo di fare qualcosa di veloce e mettermi a letto…”
    “Fu-sil-li! Fu-sil-li! Fu-sil-...”
    “Va bene, va bene, ho capito” si arrese mamma Carla.“Però in cambio sistemi la tua cameretta”.
    “Evvaiiii... vado, vado...”
    Lucia corse in camera, mentre mamma Carla prendeva la pentola antiaderente dall’armadietto sotto ai fornelli. Versò quattro cucchiai d’olio nella padella e accese il fornello a fuoco lento.
    Speriamo in bene per domani.
    Raccolse le cipolle dal frigorifero e le posò sul tavolo. Afferrò il coltello più grande e incominciò a tritarle.
    Se il capo non si convince che non è stata colpa mia questa è la volta buona che mi lascia a casa.
    Raccolse i pezzetti di cipolla in due manciate a doppie mani e li gettò nell’olio a dorare.
    Tutte le volte la stessa storia, quella cretina fa le cavolate e la colpa è sempre mia.
    Aprì una scatoletta di piselli e li versò insieme ad olio e cipolle.
    Rimase alcuni istanti ad osservare, come una bambola di cera, i piselli scivolare giù dalla scatoletta.
    La maniglia della porta d’entrata si abbassò e comparve Sara di ritorno dall’Università, con la borsa ancora a tracolla. La ventiduenne respirò due volte a fondo per assaporare l’aroma che stava crescendo dalla cucina in tutta la casa.
    “Ciao mami, che fai di buono?”
    “Tua sorella vuole i fusilli… com’è andata a scuola?” domandò Carla, mentre mescolava lentamente i piselli.
    “Università mamma, non scuola… niente di nuovo comunque…”
    “Allora adesso vado a stendermi a letto qualche minuto... tu finisci di preparare, intanto sai come si fa..”
    Non aveva ancora finito di parlare che già era uscita dalla cucina, in direzione della camera da letto.
    Sara sogghignò.
    Ecco fatto, mi tocca anche cucinare. Cerchiamo di fare in fretta che voglio chiamare Mirco.
    Prese la vaschetta dei pomodorini freschi dal frigorifero e ne ricavò dieci. Con un coltellino li tagliò a spicchi uno ad uno, cercando di mantenerne intatta la forma arrotondata.
    Freschi, lucidi e belli... quasi come il viso di Mirco.
    Sara immaginò le mani del ragazzo che la guidavano nel taglio e le percorrevano le braccia in una carezza romantica. Ammucchiò, sognante, gli spicchi in un angolo e prese i gamberetti dal freezer. Li versò direttamente sopra ai piselli.
    Gli chiederò di uscire oggi: devo farmi coraggio, per una volta.
    Con un cucchiaio raccolse i pomodorini tagliati e li gettò in padella. Mescolò i nuovi ingredienti e le cipolle tritate con un mestolo di legno.
    Almeno devo fargli capire quello che provo…
    Riempì un pentolone d’acqua e lo mise sul fornello acceso a fuoco lento.
    Sull’uscio comparve Roberto.
    “Ciao papà” lo salutò Sara, senza aver bisogno di voltarsi per capire chi fosse.
    “Ciao Sara… dov’è la mamma?”
    “A letto...”
    “Non sta bene?”
    "Non so… senti… metti il sale dappertutto, butta la pasta e… finiscitudicucinarechedevofareunatelefonataciao!” concluse mentre scompariva correndo verso le camere.
    Roberto sorrise.
    Prese sale e pepe dal ripiano al di sopra del lavandino. Condì il sugo e salò l’acqua che bolliva.
    Di nuovo a letto... le sarà successo qualcosa sul lavoro.
    Aprì la busta di fusilli e la svuotò del tutto nell’acqua.
    Spense il fornello su cui cuoceva il sugo e si avviò a preparare la tavola allargando la tovaglia a fiori lungo il tavolo.
    Appena ci mettiamo tutti a tavola mi faccio dire se ci sono problemi… merito di saperlo... giusto?
    Di fronte ad ognuna delle quattro sedie dispose un piatto, un bicchiere, coltello e forchetta.
    Sara invece è tutta strana ultimamente, non racconta più niente di quello che le succede e se ne sta tutto il tempo in camera sua.
    Piazzò al centro del tavolo una bottiglia d’acqua e, di fronte alla sua abituale postazione, una di vino rosso.
    Lucia sopraggiunse dalla camera da letto, proprio mentre Roberto rovesciava la pentola di fusilli nello scolapasta.
    “Ciao papà.”
    “Ciao piccola, che stavi facendo?”
    “Sistemavo la camera... ma...” osservò ciò che era stato preparato con attenzione.
    “E il dolce?”
    “Non so tesoro... io sto finendo di preparare la pasta.” rispose Roberto sorridendo amorevolmente.
    “Non va bene.” sentenziò Lucia “Ci penso io… senza dolce... che cena è?”
    La ragazzina prese una barretta di cioccolato al latte e la sbriciolò in padella. Accese il fornello a fuoco bassissimo e con un cucchiaio aiutò il cioccolato a sciogliersi lentamente. Aggiunse del burro e continuò l’operazione con il cucchiaio.
    Dove avrà imparato a fare queste cose? Roberto la guardava stupefatto.
    Quando l’impasto risultò abbastanza omogeneo fece scaldare un filo di panna al microonde e la unì al cioccolato sciolto in una vaschetta a parte.
    “Chi ti ha insegnato a cucinare i dolci, piccola?” domandò Roberto.
    “Nessuno... l’ho visto fare alla mamma”
    Come sta crescendo in fretta.. solo qualche anno fa, dovevo aiutarla a cambiarsi e lavarsi.. e ora guarda qui, realizzò il padre mentre mescolava il sugo di gamberetti ai fusilli.
    “Tu finisci pure, io vado a chiamare le altre ragazze che oramai è pronto”. Le accarezzò la testa e si avviò verso le stanze.
    Lucia sbriciolò alcune meringhe in quattro scodelle e vi versò il preparato in parti uguali, trovò nel frigorifero la crema di mascarpone già pronta e ne rovesciò parte in ciascuna scodella. Mise le quattro scodelle in frigo e si sedette al suo posto.
    Roberto, Sara e Carla giunsero in cucina tutti insieme. Carla lasciò sedere gli altri e andò a prendere la pentola di pasta suddividendo i fusilli in parti uguali tra il suo stesso piatto, quello di Sara e quello di Lucia. A Roberto, come accadeva da che Lucia ne avesse ricordo, spettava la parte più abbondante per via della sua fame di gran lunga superiore a quella di tutte loro.
    Si scambiarono il Buon Appetito e si avviarono a consumare il gustoso primo. Carla era visibilmente assonnata e stanca mentre Sara sembrava triste e afflitta.
    Lucia assaporò ogni parte del piatto. Ne odorò la base di cipolle e olio preparata ansiosamente dalla mamma, ne gustò il sugo ai gamberetti e pomodorini assemblato amorevolmente e gioiosamente dalla sorella, ne percepì l’unione di gusti donata sapientemente dal padre.
    Tutti terminarono i loro piatti senza proferire parola, ma Lucia aveva un dito alzato, come quando a scuola si vuole fare una domanda, e rideva.
    “Mamma... se al lavoro ci sono problemi non preoccuparti: qualunque cosa succeda riusciremo in qualche modo ad andare avanti tutti insieme.”
    “Sara, lo sai anche tu che piaci a Mirco: muoviti a invitarlo ad uscire se proprio non si decide a farlo lui”.
    “Papà stai facendo un ottimo lavoro in questa famiglia, ma ci sono cose che non puoi sistemare, non puoi risolvere... e non ne hai nessuna colpa... perciò cerca di stare più tranquillo”.
    La guardarono tutti stupefatti e a bocca aperta. Carla lasciò cadere la forchetta nel piatto tentando di domandarle come facesse a sapere tutte quelle cose, ma non riuscì a proferire parola. Sara arrossì al sentire pronunciare il nome di Mirco di fronte ai genitori, i quali però al momento non sembravano aver dato troppo peso alla cosa.
    L’espressione di Roberto passò rapidamente dallo stupore alla fierezza. La sua piccola si stava facendo grande, e sembrava in grado di comprendere le vicende della vita e affrontarle molto meglio di tutti loro, adulti ed esperti.
    “Bene…” concluse Lucia “e adesso un po’ di dolcezza per tutti!”.
    Prese le coppette di mascarpone e cioccolato dal frigorifero e le piazzò sotto il naso dei suoi familiari, conservandone una per se stessa. Distribuì i cucchiai di plastica nel silenzio che era calato in cucina.
    “Su su… mangiate.” li invitò con un gesto della mano, in modo che tutti seguissero il suo consiglio. Lo fecero.
    Non appena ebbero assaggiato la gustosa e dolce crema di cioccolato e mascarpone le preoccupazioni svanirono in un batter d’occhio: una sensazione di serenità e gioia avvolse lo spirito di ciascuno e li accompagnò per il resto della giornata.

    Come un buon piatto viene composto da mani sapienti, da ingredienti pregiati, dalla fantasia e l’amore dello chef, il cuore di una bambina riceve e assorbe le sensazioni, le paure, le gioie di ogni persona che le è vicina.

    Edit a cura di Lucciolavagabonda.
     
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  5. Lucciolavagabonda
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    Il racconto di Milù NON necessita di Editing, il che le vale un bel :10:
     
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    E un punto in meno per me e Chelepo. :(
     
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  7. Lucciolavagabonda
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    Non preoccuparti, anche se vincessero tutti racconti da NON editare, il riconoscimento ci sarà comunque per la disponibilità dimostrata :)
     
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  8. Lucciolavagabonda
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    Il MIO racconto NON necessita di Editing :B):
     
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    *geloso* :sadangel: :sadangel:
     
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  10. Lucciolavagabonda
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    ... NON necessita di Editing perché tale indispensabile lavoro è stato svolto da me medesima PRIMA di postare :rolleyes:
     
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    Urrààààà è tornata Lucciola!!! Da quanto tempo, quasi un anno!!! E mi riprendi come ancora come l'anno passato :D :D :D :D :D
    Passate delle buone feste??? XD

    c'è un racconto che ti aspetta XD
     
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  12. Lucciolavagabonda
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    mi riprendi come ancora come l'anno passato

    Erano considerazioni generali...



    Appena possibile leggo il tuo racconto, sempre che la linea tenga perché in questo periodo il maltempo l'ha annientata.

    Riguardo alle feste è andato tutto bene escludendo: il frigo che si è rotto e va sostituito, il contenuto (una montagna di roba) buttato via, la caldaia nuova fuori uso per un problema tecnico, Sky andato per lo stesso motivo della linea, la schiena in blocco per il freddo, etc...
    Insomma, l'anno nuovo è cominciato alla grande :(
     
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    Erano considerazioni generali...

    lo so, cercavo solo di farti ridere, e leggendo quello che mi hai scritto direi che ne hai bisogno XD

    CITAZIONE
    Appena possibile leggo il tuo racconto, sempre che la linea tenga perché in questo periodo il maltempo l'ha annientata.

    è davvero così brutto lì dove stai tu? da me sole e pioggia si alternano giornalmente.

    CITAZIONE
    Riguardo alle feste è andato tutto bene escludendo: il frigo che si è rotto e va sostituito, il contenuto (una montagna di roba) buttato via, la caldaia nuova fuori uso per un problema tecnico, Sky andato per lo stesso motivo della linea, la schiena in blocco per il freddo, etc...

    mi sa che qualcuno porta sfiga... O.O

    scherzo XD, comunque, mi dispiace molto per la tua schiena, cerca di stare al caldi e riprenditi, magari beviti un po' di ciobar XD
     
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    www.pdfhost.net/index.php?Action=Download&File=97d5cc2e933a9

    Ecco il link del racconto editato, con le correzioni in rosso. Gentilmente qualcuno potrebbe dirmi se riuscite ad aprire o meno il file?
     
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