Poesia - Forme metriche I: La canzone e le sue evoluzioni

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  1. Giovambattista Marino
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    Ho dedicato gli ultimi giorni a radunare e riordinare tutte le mie ricerche in campo metrico riguardo ad una delle forme più nobili della poesia italiana e le sua evoluzioni e mutazioni: la canzone. Nel marasma dei secoli risultava difficile capire bene se molte forme metriche avessero relazione tra loro, quale fosse nata prima e quale dopo, cosa fosse sorto da cosa. Tentare di codificare, secolo per secolo, tutti gli stadi evolutivi della canzone e delle sue innumerevoli derivate non è stato facile, ma sono riuscito a mettere ordine: il risultato è questo compendio per l'utilizzo di tutti.
    Ho messo le varie forme in ordine cronologico, ne ho descritto gli schemi, le varianti, citando esempi e autori.

    A breve la seconda parte, con il sonetto, il madrigale e le loro evoluzioni.
    In futuro una terza parte con un compendio di metrica barbara.

    LA CANZONE E LE SUE EVOLUZIONI

    1) La canzone delle origini: dalla cansò provenzale ai rimatori siculo-toscani e a Dante

    La canzone italiana deriva dalla cansò provenzale, e ne conserva sostanzialmente gli schemi presso i rimatori siculi e gli stilnovisti: bisogna aspettare Dante per avere un primo modello di canzone italiana con caratteristiche proprie e uno schema codificato (De Vulg., II). I temi trattati nella canzone sono vari: si spazia da quello politico a quello morale, da quello religioso-filosofico a quello amoroso. Si tratta di un componimento di varia lunghezza, composto di varie strofe (coblas, in provenzale) che seguono il principio della responsione strofica (cioè si ripetono uguali per disposizione di metri e rime lungo l'intero componimento). Una singola strofa è divisa idealmente in due parti, la fronte e la sirma: esse sono a loro volta divise in due piedi (fronte) e due volte (sirma). La fronte e la sirma sono concatenate l'una all'altra dalla chiave, che rima con l'ultimo verso del secondo piede e corrisponde al primo verso della prima volta). Ecco lo schema base della canzone, codificato da Dante:

    / 1° piede

    Fronte

    \ 2° piede


    Chiave

    / 1a volta

    Sirma

    \ 2a volta


    Donne ch'avete intelletto d'amore, A
    i' vo' con voi de la mia donna dire, B
    non perch'io creda sua laude finire, B
    ma ragionar per isfogar la mente. C

    Io dico che pensando il suo valore, A
    Amor sì dolce mi si fa sentire, B
    che s'io allora non perdessi ardire, B
    farei parlando innamorar la gente. C

    E io non vo' parlar sì altamente, C
    ch'io divenisse per temenza vile; D
    ma tratterò del suo stato gentile D

    a rispetto di lei leggeramente, C
    donne e donzelle amorose, con vui, E
    ché non è cosa da parlarne altrui. E

    Dopo le stanze della canzone ve n'è una, il congedo (o commiato), a chiusura del componimento (che contiene il riferimento alla canzone stessa: "Canzone, io so..."). In Dante segue lo stesso schema delle strofe precedenti (congedo siciliano), ma gli altri stilnovisti (soprattutto Guittone d'Arezzo) lo variano: esso può riprendere lo schema della sirma, o raramente quello della fronte o della singola volta (congedo toscano).

    - Varianti di struttura:
    1) Due piedi + sirma indivisa e liberamente costruita (ma sempre mantenendo la chiave)
    2) Due piedi e due volte divise (l'esempio riportato sopra)
    3) Fronte indivisa e liberamente costruita + due volte (praticamente inesistente nella tradizione italiana)
    - Rime: Dopo la prima strofa, nelle successive si ripete lo stesso schema quanto a distribuzione delle rime e successione dei versi (responsione strofica), ma se i provenzali prediligevano le rime unissonans, cioè uguali in tutte le strofe, i siculo-toscani preferivano invece le singulars, cioè rinnovate di stanza in stanza ma con lo stesso schema. I distici finali delle volte sono sempre a rima baciata (combinatio) Possono esservi dei versi non rimati (ma solo nella sirma); spesso questi versi costituiscono rima irrelata (cioè a sé stante, non collegata ad altri versi), ma possono anche costituire una clavis, cioè rimare coi versi corrispondenti delle stanze successive (molto raro).
    - Metri: I metri utilizzati sono diversi: i rimatori siciliani impiegavano principalmente parisillabi (quaternari, ottonari, decasillabi), mentre gli stilnovisti e Dante codificarono l'utilizzo degli imparisillabi, con particolare predilezione per i "maggiori" (endecasillabo e settenario, ma si possono trovare anche quinari e ternari; ordine di importanza del verso: endecasillabo-settenario-quinario-ternario). L'utilizzo dei metri segue alcune regole: i settenari, i quinari e i ternari non possono mai essere superiori agli endecasillabi, e in apertura ad ogni strofa deve esserci necessariamente un endecasillabo; il quinario viene usato pochissimo, in sostituzione al settenario, e il ternario viene usato ancor meno e sempre in seguito ad un endecasillabo. Dante ammette l'utilizzo di un settenario in apertura di strofa (dove normalmente andrebbe un endecasillabo), a sfumatura elegiaca, ma deve essere necessariamente accompagnato da un endecasillabo.

    2) La canzone petrarchesca

    La canzone petrarchesca è un'ulteriore evoluzione di quella dantesca, e si caratterizza per un rigoroso e preciso schema, che ammette poche varianti.
    - Schema generale: La c. petrarchesca è di tipo 1 (due piedi più sirma indivisa liberamente costruita). I piedi possono avere da 2 a 4 versi variamente rimati. Viene mantenuta la chiave, a collegamento della fronte e della sirma. Il congedo è toscano, e in genere riprende la sirma o la sua parte finale (spesso gli ultimi tre versi).
    - Rime: Nei piedi le rime sono varie, nella sirma lo schema è generalmente chiave + quartina a rime incrociate + uno o più distici a rima baciata, mantenendo la combinatio dantesca (esempio: A BCCB DDEE).
    - Metri: Sono ammessi unicamente endecasillabi e settenari, ma senza la rigorosa prevalenza dei primi sui secondi. Non sono più presenti le regole dantesche dell'utilizzo di endecasillabi e settenari: essi possono essere disposti a piacimento (ma la canzone non può essere composta unicamente o di uno o dell'altro: deve avere sempre un alternarsi di endecasillabi e settenari).

    Esempio di canzone petrarchesca:

    Chiare, fresche et dolci acque,
    ove le belle membra
    pose colei che sola a me par donna;
    gentil ramo ove piacque
    (con sospir mi rimembra)
    a lei di fare al bel fianco colonna;
    erba e fior che la gonna
    leggiadra ricoverse
    co l'angelico seno;
    aere sacro, sereno,
    ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse:
    date udienza insieme
    a le dolenti mie parole estreme.

    (Schema: abC : abC; c deeD fF)

    3) La canzonetta

    Canzone di ampiezza minore, composta in genere di settenari (se di ottonari viene accomunata alla ballata quattrocentesca, o barzelletta) e di argomento più leggero. Segue lo schema della canzone I, cioè con piedi e sirma indivisa; esempio di schema: abc : abc (piedi) cdd (sirma). Si segue la regola della responsione strofica, la struttura in strofe e congedo, ma la composizione di piedi e sirma è più libera: può esserci o non esserci la chiave, così come il distico in chiusura di sirma.
    La canzonetta veneziana o giustiniana corrisponde come schema alla barzelletta, ma è in dialetto veneto.
    Esempio da Jacopo da Lentini:

    Meravigliosa-mente
    un amor mi distringe,
    e mi tene ad ogn'ora.
    Com'om, che pone mente
    in altro exemplo pinge
    la simile pintura,
    così, bella, facc'eo,
    che 'nfra lo core meo
    porto la tua figura.

    4) Canzone sestina o sestina lirica

    Tipologia particolare di canzone, a sé stante rispetto al modello originale, di cui non segue le regole; caratterizzata da particolare virtuosismo. Di origine provenzale, viene introdotta in Italia da Dante. Si tratta di un componimento strofico a stanze indivisibili (senza cioè la suddivisione interna tra fronte, chiave e sirma); presenta 6 strofe di 6 endecasillabi ciascuna; le rime sono costituite da parole intere; non ha legami di rime, ma ogni strofa lega le proprie parole-rime a quelle della successiva, che le presenta uguali ma in altro ordine, secondo il modello provenzale della coblas unissonans. Questo ordine si svolge secondo la retrogradatio cruciata, ovvero nella seconda stanza appare come prima parola-rima l'ultima della stanza precedente, come seconda la prima della stanza precedente, come terza la penultima, come quarta la seconda, eccetera (questo lo schema: ABCDEF, FAEBDC, CFDABE, ECBFAD, DEACFB, BDFECA). Il congedo di tre versi presenta tutte e 6 le parole-rima delle strofe precedenti, 3 a fine verso in rima e 3 all'interno del verso.
    Esempio da Dante:

    1 Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra A Ombra 1
    2 son giunto, lasso, ed al bianchir de’ colli B Colli 2
    3 quando si perde lo color ne l’erba: C Erba 3
    4 e ’l mio disio però non cangia il verde, D Verde 4
    5 sì è barbato ne la dura petra E Petra 5
    6 che parla e sente come fosse donna. F Donna 6

    4) Canzone a ballo o ballata

    Componimento strofico di stampo popolare, destinato al ballo e accompagnato dalla musica (da cui il nome "canzone a ballo"). E' caratterizzata dalla presenza di un ritornello (o ripresa)
    La sua forma più antica è quella zagialesca (da cui poi lo zejel spagnolo), utilizzato come metro delle Laude da Jacopone da Todi. Il ritornello costituisce la prima strofa, e la sua ultima rima è ripetuta alla fine di ogni strofa. Schema: XX AAAX BBBX CCCX...
    La ballata antica si evolve poi secondo questo schema: XYYX (ritornello) ABABABBX (strofa). Nella strofa ogni coppia ab viene detta mutazione o piede (abbiamo dunque tre mutazioni), e il quarto elemento bx viene detto volta, perché con la sua rima volge al ritornello. La ballata può essere così formata da una o più strofe (nel qual caso, detta "vestita" dal Bembo).
    La forma canonica della ballata è invece questa: XYYX ABABBCCX. Nella strofa, gli elementi abab costituiscono le mutazioni (ridotte a due), mentre bccx costituiscono la volta; da notare come il verso b della volta si leghi all'ultimo delle mutazioni (una sorta di chiave di canzone), mentre x si lega al primo del ritornello. In Dante e negli stilnovisti lo schema può subire variazioni: troviamo ad esempio in Cavalcanti un ritornello XYYZ, e in Dante due mutazioni ABCABC.
    I metri utilizzati sono principalmente l'endecasillabo e il settenario, come nella canzone, ma nella ripresa possono essercene anche altri. A seconda dei metri utilizzati, la ballata viene detta:
    - Grande: con ripresa di quattro verso (4 endecasillabi, 3 endecasillabi e un settenario, 2 endecasillabi e 2 settenari)
    - Mezzana: con ripresa di tre versi (3 endecasillabi o 2 endecasillabi e 1 settenario)
    - Minore: con ripresa di due versi (2 endecasillabi o 1 endecasillabo e 1 settenario)
    - Piccola: con ripresa di un solo endecasillabo
    - Minima con ripresa di un solo verso, minore dell'endecasillabo (settenario o quinario)
    Qualora la misura della ripresa superi i quattro versi, si parla di ballata estravagante. Esistono poi alcuni ibridi, come le ballate grandi-mezzane (cioè di quattro versi, ma settenari) . Altra forma particolare della ballata è la barzelletta (o frottola-ballata), ballata di ottonari molto usata nel Quattrocento (Lorenzo il Magnifico, Poliziano).

    5) Canzone frottolata o frottola

    Componimento astrofico, nato nel Trecento, di una certa lunghezza; il nome è in riferimento al susseguirsi scoordinato di pensieri, proverbi, detti, sentenze apparentemente senza senso. Di schema metrico non molto dissimile dalla caccia, si tratta di un componimento che segue poche regole: formato per lo più da versi brevi variamente disposti, a rima baciata (raggruppate a due, a tre, a quattro, a cinque o anche a più). Le uniche regole fisse sono il divieto della rima irrelata e il particolare cambio delle rime, che deve avvenire all'interno di un periodo, mai alla fine di esso.
    Controversa presso i metricisti è l'origine della frottola giullaresca: essa sembra essere una forma particolare di sirventese caudato (AAAb BBBc CCCd...) che utilizza settenari o ottonari al posto degli endecasillabi e quinari, e perciò non sembra derivare dalla forma della frottola. Allo stesso modo la frottola letteraria o d'arte, a schema aaax bbbx cccx (dove x è sempre uguale in tutte le strofe).
    Esempio di frottola:

    O mondo a
    immondo a
    e di ben mondo, a
    che già fosti giocondo a
    ed ora al fondo a
    vai di male in peggio! b
    S'io dico vero, io chieggio b
    ciascun che miri il seggio b
    di san Petro... c


    6) La canzone-ode (ode)

    Si diffonde a partire dal cinquecento a imitazione del modello classico oraziano. Si tratta sostanzialmente di una canzone semplificata, con stanze più brevi e senza suddivisione interna tra fronte e sirma; viene comunque rispettata la responsione strofica. L'ode può essere costituita da un'alternanza di endecasillabi e settenari variamente disposti e rimati, ma può anche essere omometrica (cioè di soli endecasillabi o, rarissimo, di soli settenari). La forma più comune, a imitazione delle strofe tetrastiche oraziane, è quella formata da quartine di endecasillabi a rima incrociata ABBA (introdotta dal Tasso e ampiamente utilizzata da Marino, Chiabrera, Testi, Guidi e altri). Esistono anche altri schemi ricorrenti: ABBACC (esastica), e la sua variante con settenari prediletta dal Testi ABbACC. I temi sono appunto oraziani, e spaziano dal tema politico-civile, a quello filosofico-morale, a quello amoroso (ma intriso orazianamente di senso di carpe diem).
    Esempio da Fulvio Testi:

    Ronchi, tu forse a piè de l’Aventino
    o del Celio or t’aggiri. Ivi tra l’erbe
    cercando i grandi avanzi e le superbe
    reliquie vai de lo splendor latino

    e fra sdegno e pietà, mentre che miri
    ove un tempo s’alzâr templi e teatri
    or armenti muggir, strider aratri,
    dal profondo del cor teco sospiri.

    Ma de l’antica Roma incenerite
    ch’or sian le moli a l’età ria s’ascriva:
    nostra colpa ben è ch’oggi non viva
    chi de l’antica Roma i figli imìte.

    7) La canzone o ode pindarica

    Chiamata anche "canzone eroica" dal Chiabrera, nasce anch'essa nel 500, ad imitazione delle odi pindariche, ad argomento prevalentemente celebrativo. Risulta essere una canzone di impianto petrarchesco scandita in tre parti, strofe, antistrofe ed epodo (anche dette "volta, rivolta e stanza" o "ballata, controballata e stanza" dai loro inventori Minturno e Alamanni), secondo l'uso greco. Le prime forme di ode pindarica erano semplici stanze di una canzone petrarchesca in endecasillabi e settenari (quindi, ad esempio, a schema abC : abC; c ddDD eE), raggruppate a tre per formare strofe, antistrofe ed epodo; questa tripartizione nel corso del componimento poteva ripetersi più volte, fino a un massimo di cinque o sei.
    Nel seicento Chiabrera ne variò largamente la forma e ne liberò lo schema dagli impacci della canzone petrarchesca. Ne risulta dunque un'ode pindarica composta senza regola fissa, con diverse soluzioni, pur mantenendo la caratteristica base di questo componimento, cioè la tripartizione strofica. Ecco alcuni schemi:
    - Strofe e antistrofe - AbC : CbA; dEEd (da notare la mancanza della chiave e del distico a chiusura della sirma: sono i primi passi verso l'evoluzione della canzone nella sua forma ultima, quella libera).
    Epodo - abaBccDD, di cui le rime in c sono quinari. Qui risulta più evidente il distacco dal modello petrarchesco, in quanto vengono utilizzati metri diversi e lo schema non è tradizionale, ma inventato dal Chiabrera stesso.
    - Strofe e antistrofe di otto versi, a schema vario (senza dunque rispettare la responsione strofica), ed epodo liberamente costruito (come sopra); la tripartizione qui è meramente contenutistica (dal momento che tutte le strofe differiscono tra loro). Modello ancora più estremo, in cui rimane ben poco dell'antico modello petrarchesco.

    8) La canzonetta o odicina anacreontica

    Detta anche canzonetta melica o ode-canzonetta, di ispirazione classica a imitazione delle poesie di Anacreonte (come forma econtenuti), ebbe grandissimo successo nel 600, e si sviluppò poi nel 7-800 (per opera del Metastasio) nella forma dell'aria o cantata, nei melodrammi. Sviluppata dal Chiabrera su modello di qualche poeta francese della Pléiade, rompendo così definitivamente la tradizione metrica di stampo petrarchesco; ad argomento prevalentemente amoroso o bucolico, ampliata a temi lirico-drammatici (ma quasi sempre incentrati sull'amore) dal Metastasio. Non segue lo schema tradizionale di suddivisione della canzone, nè rispetta gli schemi rimici e metrici: la anacreontica è una forma libera, costruita a piacimento con metri diversi (anche parisillabi) e innumerevoli schemi rimici (che ammettono anche, per la prima volta, la rima ritmica con sdrucciole, grazie a Chiabrera, e tronche, grazie a Metastasio). Ecco alcuni schemi:
    - Ottonari e quaternari AaBCcB (o AB"AB"C', dove " è sdrucciola e ' è tronca)
    - Senari aabccb o ababcd
    - Settenari e quinari aaBccB
    - Settenari ABABBC'
    - Settenari AB"AB" (detta elegiaca o saviolana, dall'inventore Savioli)
    - Ottonari ABBC'BBC'
    - Decasillabi ABBC'ABC'
    - Quinari ABCBACDE'

    Se dalla canzone deriva l'odicina anacreontica, dalla canzonetta deriva l'arietta: si tratta sostanzialmente di un'anacreontica ma di minore lunghezza e un utilizzo diverso di metri (di cui si impiegano anche tre o quattro tipi diversi in un componimento). L'arietta fu inventata dai poeti dell'Arcadia sul finire del 600, e verrà poi sviluppata dal Metastasio agli inizi del 700 nella sua forma definitiva, l'aria, che dall'arietta deriva la lunghezza contenuta e dall'odicina i metri. Ecco un esempio di schema di arietta dal De Lemene: 2 decasillabi, 2 settenari, 2 quaternari, 1 quaternario tronco, un endecasillabo tronco, 2 endecasillabi e due decasillabi (ABccdde'f'ABAB)
    Esempio di odicina da Chiabrera:

    Belle rose porporine,
    che tra spine
    sull'aurora non aprite,
    ma ministre degli Amori
    bei tesori
    di bei denti custodite;
    dite, rose preziose,
    amorose,
    dite, ond' è, che s'io m'affiso
    nel bel guardo vivo ardente,
    voi repente .

    Esempio di aria da Metastasio:

    È follia se nascondete,
    fidi amanti, il vostro foco:
    a scoprir quel che tacete
    un pallor basta improvviso,
    un rossor che accenda il viso,
    uno sguardo ed un sospir.
    E se basta così poco
    a scoprir quel che si tace,
    perché perder la sua pace
    con ascondere il martìr?

    9) La canzone a selva, la canzone polimetra e la canzone libera

    Gli ultimi passi verso il definitivo svincolamento della canzone dalla tradizione petrarchesca vengono compiuti sempre nel 600, e si completano, dopo un secolo di oblio, con Leopardi (la canzone libera).
    Una prima forma di canzone che non rispetta gli schemi tradizionali codificati da Petrarca è la cosiddetta canzone "a selva": si tratta di un componimento astrofico, di lunghezza molto variabile, che assiepa liberamente endecasillabi e settenari ("a selva", appunto, per l'apparente casualità della composizione), rimati altrettanto liberamente (o non rimati). Ebbe un grande successo nel 600 sia in Italia, dove venne utilizzata come metro del nuovo genere idillico (l'idillio barocco) da molti autori, come il Marino, Girolamo Preti e il Testi, e per la composizione delle tragedie, come in Federico della Valle; ebbe anche grandissimo successo in Spagna, dove autori come Gongora nel suo capolavoro Las Soledades e molti altri, tra cui i sommi Lope de Vega e Cervantes, lo utilizzarono per componimenti di varia natura, non solo idillico (poesia lirica, poema eroicomico, poesia amorosa...).
    Una seconda forma di canzone slegata dai canoni petrarcheschi è la canzone polimetra, che in realtà è una ripresa dell'idillio marinista: il Marino, per la composizione dei suoi idilli, non si limitava ad accostare "a selva" endecasillabi e settenari, ma inseriva, dimostrando grande virtuosismo, molti altri metri, tra cui ternari, quaternari, quinari, ottonari e novenari, per ricreare ritmi e musicalità diverse a seconda delle scene descritte. Ritroviamo il modello di questa canzone, che venne poi definita polimetra, sul finire del secolo, per opera di scrittori pre-arcadici e tardo barocchi come Francesco De Lemene (ad esempio in Fillide sempre bella).
    Il passo finale verso il distacco dal magistero petrarchesco è invece la canzone libera, il cui termine ultimo è Leopardi. Le prime prove di canzone libera si hanno anch'esse sul finire del 600, tra il tramonto del barocco e la nascita dell'Arcadia: troviamo ad esempio la celeberrima Sopra l'assedio di Vienna di Vincenzo da Filicaia, che risulta essere una canzone le cui strofe (aBaCBcAdEeDdFF) non hanno alcuna suddivisione interna tra fronte, chiave e sirma, ma sono semplici strofe liberamente costruite che rispettano la responsione. E' una forma di transizione dalla canzone petrarchesca alla canzone a strofe libere, che compare per la prima volta con un altro riformatore della metrica tradizionale, Alessandro Guidi: nelle sue poesie troviamo spesso canzoni a strofe libere, come La fortuna (molto acclamata al suo tempo), che non seguono ormai più alcuno schema tradizionale.
    Leopardi riprenderà poi nell'800 la canzone libera (che verrà chiamata appunto leopardiana) fissandola come canone in definitiva sostituzione di quello petrarchesco. Anch'egli effettua diverse prove prima di giungere alla canzone libera vera e propria: in All'Italia sopra il monumento di Dante, adotta un sistema simile a quello utilizzato da Filicaia, con strofe liberamente costruite ma regolari tra loro (anche se Leopardi alterna due schemi diversi per le strofe pari e quelle dispari). Col Bruto Minore invece inserisce le rime irrelate (si perde dunque la responsione strofica), che aumentano fino a ricoprire quasi l'intera canzone in L'ultimo canto di Saffo, approdo finale della canzone libera.
     
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