Ypolius

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  1. The Aster
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    Ypolius



    La musica pompa al ritmo del mio cuore. Sento i bassi pulsarmi nel petto, all’altezza dello sterno: tu-tump, tu-tump. Difficile vedere qualcosa nel locale pieno di corpi che si dimenano, tra la nebbia di ghiaccio secco e gli effetti di luce che sciabolano altissimi dal soffitto tecnologico.
    Però so che c’è. Lo sento.
    Infatti sono grata alla massa di corpi schiacciati che mi avvolge. Mi nascondono dalla sua vista e ai suoi sensi. A quest’ora, altrimenti, avrebbe già percepito il mio odore. Riescono a cogliere l’essenza della paura a distanza di metri, loro...


    La lettura di Ronnie fu interrotta dal pesante sobbalzo subito dalla ruota del camper a causa di una buca. Erano in viaggio ormai da più di tre ore, lui, Duke, Dan e i due Thomas, e l'arrivo sembrava un’utopia irrealizzabile.
    Come se non bastasse, il tempo aveva deciso di scatenarsi proprio quel giorno, dopo quasi una settimana di caldo cocente. Le gocce di pioggia cadevano senza sosta, evocando dal nulla quel canto artificioso nato dal contatto dell'acqua con l'asfalto e il lunotto del camper.
    Fortuna che una sua fan, oltre alla solita lettera in cui gli dichiarava amore eterno, gli aveva regalato quel libro, Danze dall'Inferno, una serie di racconti riguardanti cinque adolescenti alle prese con l'ormai fin troppo stereotipato Ballo di Fine Anno.
    Anche se era arrivato all'ultima storia e mancava poco per finire la raccolta, Ronnie decise di smettere di leggere e posò il libro sopra un mobiletto lì vicino.
    Si portò una mano al petto, ma non al cuore. Il suo arto andò ad appoggiarsi alla lettera che custodiva nella tasca segreta della sua felpa. Aveva deciso di farsela anche a costo di rovinare quel capo d'abbigliamento, regalo di un suo caro amico; perché lo sapeva, sapeva che anche lui avrebbe consentito a farlo, quella lettera era troppo importante, non solo per Ronnie, ma anche per il resto della band.
    Vedendo lo sguardo ansioso dell'amico, Duke si avvicinò per parlargli, perché, in fondo, anche per lui era pesante sopportare quell'attesa.
    «Tutto bene Ron?»
    «Starei meglio se fossimo già arrivati.»
    Duke annuì e si sedette su un sedile accanto all'amico.
    «Non sei l'unico a pensarla così.»
    Seguendo il cenno fattogli dall'amico, Ronnie si voltò verso sinistra, dove si trovavano gli altri membri della band: Thomas il bassista e Dan stavano seduti uno di fronte all'altro, intenti a giocare a carte; tuttavia, ogni due secondi guardavano nervosi fuori dai finestrini, così da capire se fossero arrivati o no a destinazione.
    «E dove l'altro Thomas?» Domandò Ronnie non vedendolo in giro.
    «Mi ha detto che avrebbe dormito un po' per scaricare la tensione.»
    «Teso?» Il tono di Ronnie era di pura incredulità. «Lui?»
    Duke annuì divertito. «Eh già.»
    Entrambi scoppiarono a ridere, travolgendo poi involontariamente i due giocatori.
    «Cosa c'é di così divertente?» Chiese Thomas il bassista.
    «Oh, nulla di che.» Asserì Ronnie. «È solo che il tuo omonimo é alquanto agitato.»
    Sul volto di Dave si fece largo un sorriso bonario. «E chi non lo é? Questo sarà il concerto più importante della nostra carriera. Ma che dico, della nostra vita.»
    Tutti furono d'accordo con la sua affermazione, quello che stavano per fare avrebbe cambiato per sempre la loro esistenza.
    «Ragazzi, posso dirvi una cosa?» Disse Thomas il chitarrista spuntando dal nulla.
    «Ehilà Tom, dormito bene?»
    «Per niente, questo tempo non é l'ideale per dormire. Mettici anche le vostre urla del cazzo e le buche che il nostro autista sembra divertirsi a prendere in pieno, invece di evitarle.»
    «Vorrei vedere te al posto suo, svegliato nel cuore della notte per mettersi alla guida di questo gigante senza neanche buttar giù qualcosa da mangiare.»
    Thomas il chitarrista aprì uno stipite e prese un paio di brioche, poi andò a portarne una all'autista e tornò rapido dai suoi amici, subendo i loro risolini di scherno.
    Duke riprese il discorso. «Allora Tommy, cos'hai da dirci?»
    «Riguarda il concerto.»
    «Si?»
    «Siete sicuri di essere pronti? Cioè, e se sbagliassimo qualcosa durante l'esecuzione? E se viene a mancarci la corrente o altre puttanate del genere?»
    Dan scoppiò a ridere di gusto. «Ma dai, come cazzo fanno a venirti in mente certi pensieri?»
    Thomas il chitarrista guardò i suoi amici uno per uno, respirò a fondo e poi parlò.
    «Non voglio... cazzo, non voglio proprio che questo concerto sia un fallimento, non questo!»
    Gli altri non ebbero nulla da ribattere, perché nulla, proprio nulla doveva andare storto.
    «Sta tranquillo.» Disse l'altro Thomas con voce seria. «Siamo tutti pronti, ce la faremo.»
    Ronnie tirò fuori dalla tasca segreta la lettera, la prese fra le mani delicatamente, trattandola come se fosse fatta di cristallo.
    «Ehi ragazzi.»
    «Cosa c'é Ron?»
    Ronnie mise la lettera in bella mostra. «Vi va di leggerla un'altra volta?»

    La voce gracchiante dell'autista fu scandita dagli altoparlanti interni del camper.
    «Siamo arrivati.»
    Dopo che il mezzo fu fermato in un parcheggio riservato solitamente alle ambulanze, i cinque musicisti uscirono, uno per volta, come soldati in riga sul campo di battaglia.
    Ma quello che stavano per fare non era una guerra, non avrebbero commesso atti contro natura; anche se, sotto certi aspetti, il loro comportamento sarebbe stato contro la legge.
    Ronnie respirò a fondo l'aria intrisa di umidità, la pioggia aveva smesso di cadere. Un segno, pensarono tutti quanti, che il loro gesto avesse commosso qualcuno nei piani alti, tanto da farlo decidere di chiudere per qualche ora i rubinetti.
    Il cellulare di Thomas il bassista tuonò impetuoso.
    «Cazzo Tom, avevamo deciso di spegnerli!» Disse Dan.
    «Scusate ragazzi, l'avevo acceso per giocarci un po' e ho scordato di chiuderlo.»
    «Adesso spegnilo e aiutaci a sistemare gli strumenti.»
    «Ma Ron, é il nostro manager.»
    «Ci mancava solo lui, perché credi abbiamo deciso di spegnerli quei cazzo di telefoni?»
    «Adesso basta Tom, ci parlo io col manager.» Decise Duke. «Tu intanto va dentro e scopri qual é la sua stanza.»
    «Vado.»
    Duke non ebbe il tempo di avvicinarsi il telefono all'orecchio che la voce urlante del loro manager gli fece pentire di non aver rifiutato la chiamata.
    «Si può sapere dove cazzo siete finiti?!»
    «Ciao Bill.»
    «Ciao Bill un cazzo! Vi rendete conto di che ore sono? Che cazzo vi é preso? Dove accidenti siete?»
    «Tranquillo, siamo solo usciti a fare una passeggiata.»
    «Non prendermi per il culo Duke, stavolta non la passate liscia. Se tu e gli altri stronzi non tornat-»
    «Scusa Bill, non ti sento bene. Ci deve essere qualche interferenza.»
    Duke si mise a fare dei versi.
    «Non provare a chiudere figlio di pu-»
    La chiamata fu chiusa, stessa sorte toccò al cellulare.
    «Mi é sembrato piuttosto arrabbiato.»
    «Dici, Ron?»
    Dan finì il suo lavoro. «Ragazzi, ho collegato gli strumenti al generatore.»
    «Bene, e se quello laggiù che corre é il nostro Tom, siamo a buon punto.»
    Thomas il chitarrista dovette fermarsi qualche secondo a riprendere fiato, correre non era più il suo forte da molto tempo.
    «Allora, sei riuscito a scoprire la stanza?» Domandò Ronnie.
    «Ci é andata di culo ragazzi, perché l'infermiera-»
    «È una nostra fan?» Azzardò Duke.
    «No, ma lo é il medico di turno. Infatti, al contrario dell'infermiera, lui mi ha riconosciuto subito e mi ha detto in quale camera si trova lui.»
    «E qual é?»
    Thomas il chitarrista indicò una finestra posta al terzo piano.
    «Quindi si trova in alto.»
    «Già, il medico mi ha detto che non può muoversi da lì a causa dei macchinari a cui é collegato. Ma dopo che gli ho raccontato quello che volevamo fare, il dottore mi ha garantito che avrebbe fatto in modo di avvicinarlo il più possibile alla finestra, così almeno, oltre a sentirci, potrà anche guardarci.»
    Ronnie poggiò la mano sulla spalla dell'amico. «Ben fatto.»
    Come promesso dal dottore, la finestra del terzo piano fu aperta, e una persona dal volto pallido sbucò lentamente da essa, abbassando lo sguardo verso il basso e versando miste lacrime d’incredulità e felicità appena messi gli occhi sulle cinque figure sottostanti.
    «Ragazzi, siete pronti?»
    Prima che quella domanda fosse posta, gli altri quattro si erano già messi nelle postazioni: i due Thomas rispettivamente alla chitarra e al basso, Dan alla batteria e Duke alla tastiera.
    Mancava solo la Voce.
    «Quando vuoi Ron.»

    Cari RJA,

    questa é la prima volta che vi scrivo una lettera, anzi, per la verità é l'unica lettera che abbia mai scritto in vita mia.
    Voi, di certo, non mi conoscete; d'altronde, come potreste farlo? In confronto a chi vi segue veramente, io non sono altro che un minuscolo granello di sabbia, la riserva delle riserve delle riserve.
    Tuttavia, é un immenso orgoglio per me potervi dire il mio nome, Julius, e, soprattutto, la cosa per me più importante: sono un vostro grande fan.

    Dan alzò in alto le braccia, facendo battere le bacchette fra loro e dando così l'attacco.
    «One, two... ONE, TWO, THREE, FOUR!»

    Non so se sarete voi a leggere le mie parole o lo farà qualcun altro in vostra vece, perciò prego chiunque legga questa lettera di riferire il suo contenuto.
    Sin da piccolo, la mia vita é stata un via vai tra casa e ospedali, non sono mai andato a scuola, non ho mai avuto dei veri amici.
    La mia malattia mi ha portato via molte cose, e a poco a poco la stessa sorte capiterà all'unica cosa che ancora posso definire mia.
    Ma non m’importa, ormai mi sono rassegnato da molto tempo.

    Il colpo dato al tamburo fu immediatamente seguito dal ritmo degli strumenti suonati da Duke e dai due Thomas.

    Ricordo ancora la prima volta che vi ascoltai suonare: in TV stavano trasmettendo il film Never Back Down, di cui voi avete partecipato alla colonna sonora, utilizzando quella che sarebbe poi diventata la mia canzone preferita, cioè False Pretense.

    Ronnie, senza più agitazione nel cuore, respirò a fondo, contrasse il diaframma e iniziò a intonare la prima frase.
    «IT'S TIME TO LET IT GO!»

    Il ritmo, le parole, la vostra passione nel cantare, le vostre canzoni... tutto questo, ha fatto rinascere dentro di me la voglia di vivere che credevo di aver perso da tempo.

    I quattro ragazzi continuarono senza sosta la loro esecuzione sugli strumenti, abbassando di poco il ritmo quando la loro Voce dove cantare.
    «The world's got a funny way of turning 'round on you
    When a friend tries to stab you right in the face»

    Non fraintendetemi, vi prego. Non vi sto scrivendo per suscitare la vostra pietà o commozione nei miei confronti, non é stato questo a spingermi a farlo.

    «Losing faith in everything I thought I hoped I knew
    Don't sweat it, set on false pretense»

    Non so se sarò ancora in questo mondo quando leggerete queste parole, ma non importa, io ve le devo dire lo stesso.

    «Betrayed but not gonna be willing to change
    And it doesn't seem likely to fade»

    Per avervi conosciuto...

    «Betrayed but not gonna be willing to change»

    Per avermi fatto provare ancora emozioni grazie alla vostra musica...

    «Cu-cu-cu-cuz you know...»

    Per avermi fatto diventare un vostro fan...

    «It's sacrifice»

    Grazie...

    «False pretense you'll hurt again»

    Grazie...

    «Stop pretending to deny
    False pretense you'll hurt again»

    Grazie.

    I cinque ragazzi continuarono così per altre due ore, elargendo al loro fan le più belle canzoni del loro repertorio. Non smisero nemmeno all'arrivo della polizia, chiamata da chissà chi disturbato a quell'ora tarda della notte.
    Perché i veri musicisti lo sanno, sanno che non sono loro i veri protagonisti, le persone che devono ricevere gli applausi.
    Sono i fan i personaggi principali, i pilastri della loro essenza, la forza che li spinge a continuare nel loro cammino fatto di note e scale musicali.
    Perché senza di loro, senza il battito delle loro mani, senza le urla di sostegno, senza la loro passione incontrollata, i musicisti non sono nulla.



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