Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    Parte conclusiva del capitolo 2.



    In circostanze normali non avrebbe nutrito troppe speranze, ma quel giorno le cose sarebbero andate diversamente.
    Un paio d’ore più tardi Melvin Emerson era seduto al tavolo della cucina, stava fumando una sigaretta e fingeva di leggere il giornale, in attesa che arrivasse l’ora in cui sarebbe uscito di casa.
    Yuma entrò nella stanza e lo fissò duramente.
    Suo padre alzò gli occhi, prima di chiederle distrattamente: «Dov’è tua sorella?»
    «Nella sua stanza» rispose Yuma. «Sta finendo i compiti.»
    «Dopo cena?» sbottò lui. «Per quale motivo non glieli hai fatti fare oggi pomeriggio?»
    «Qualora tu te ne sia dimenticato, ero al lavoro. Piuttosto avresti potuto aiutarla tu, quando sei rientrato.»
    Suo padre la guardò schifato.
    «Ma è roba da donne.»
    Yuma prese una sedia e si accomodò davanti a lui.
    «Oh, giusto, per te sarebbe stato troppo infamante.»
    Melvin la squadrò, sbuffando.
    «Mi stai prendendo in giro, Yuma?»
    «Non ho tempo da perdere a prendere in giro qualcuno. Io e te abbiamo un discorso importante da fare.» Allungò una mano verso il pacchetto di sigarette di suo padre, sul tavolo, ne prese una e l’accese con il suo accendino rosso. «Spero che almeno tu abbia la decenza di non chiedermi di che cosa si tratta, dal momento che lo sai benissimo.»
    Suo padre fece il possibile per evitare l’argomento.
    «Hai idea di che cosa direbbe tua madre se ti vedesse in questo momento?» le chiese invece. «Lei detestava il fumo.»
    «E tu hai idea di che cosa direbbe se sapesse tutto quello che hai fatto in questi anni?» urlò Yuma. «Hai idea di che cosa direbbe se potesse vedere quello che stavi facendo oggi, quando sono tornata?»
    «Abbassa la voce» le ordinò suo padre. «Non stavo facendo niente di male, oggi. Io non ho mai fatto niente di male. Voglio solo riavere Margot.»
    Yuma si costrinse a calmarsi, prima di replicare.
    «Cercandola dove non puoi trovarla?»
    «Margot è ovunque» decretò Melvin Emerson, recitando come al solito la parte del marito distrutto, cosa che portava Yuma a disprezzare ancora di più l’idea di essere sua figlia. «Soprattutto dentro di te, soprattutto dentro tua sorella.»
    «Lascia fuori Heaven» lo pregò Yuma. «Avevamo un accordo, se non ricordo male.»
    Lo vide annuire.
    «Ricordi bene» concordò. «Solo che, me ne sono reso conto, non posso più rispettarlo. Ho bisogno anche di Heaven, prima lo accetti e meglio è. Ora però, spegni quella sigaretta. Non sopporto l’idea di avere una figlia che fuma.»
    Yuma detestava il suo modo di sviare dal loro argomento di conversazione. L’unica verità era che a suo padre non importava niente di quello che faceva lei, a condizione che non intaccasse il loro accordo non scritto, che persisteva fin da quando sua madre era morta. Yuma aveva accettato, come una maledizione, e quello che la infastidiva più di ogni altra cosa era che, mentre lei aveva sempre rispettato il loro patto, adesso suo padre stava iniziando a violarne le condizioni.
    Accennò un sorriso falso.
    «Che c’è? Ti stai mettendo in testa l’idea di iniziare a comportarti da padre, con me?»
    Suo padre la guardò.
    «Ti dispiacerebbe?»
    «L’hai sempre fatto solo con Heaven» gli ricordai.
    Melvin Emerson annuì.
    «Appunto.»
    Yuma aspirò una boccata di fumo.
    «Che cosa vuoi dire?»
    Suo padre la fissò con decisione.
    «Ti sto chiedendo uno scambio equo.»
    Yuma spalancò gli occhi.
    «Uno... scambio equo?»
    «Mi sembra la soluzione migliore» puntualizzò lui. «Sai, mi sono giunte certe voci...»
    «Voci di che tipo?»
    «Rachel, la mia amica, quella che gioca a biliardo, mi ha raccontato di averti vista salire in macchina con un tipo dai capelli biondi.»
    «Quella Rachel, chiunque sia, ha mai pensato di farsi un po’ di cavoli suoi?» obiettò Yuma. «Che cosa le importa di quello che faccio?»
    «Vi ha visti mentre vi baciavate» aggiunse suo padre. «Puoi negarlo?»
    «Credo di essere grande abbastanza per baciare un ragazzo.»
    «Certo» convenne suo padre, «Ed è proprio questo il punto: tu sei libera di fare quello che ti pare, puoi anche andarci a vivere insieme... a una condizione.»
    Yuma rabbrividì.
    «Qualcosa mi fa pensare che non mi piacerà quello che stai per propormi.» Appoggiò la sigaretta sul vecchio posacenere di ceramica. «È qualcosa che riguarda mia sorella?»
    Suo padre annuì, mentre le proponeva: «Tu sei libera, ma Heaven resta qui con me e fa quello che hai fatto tu in tutti questi anni.»
    Yuma scattò in piedi.
    «Tu sei pazzo! Heav ha solo undici anni!»
    «Se quanto è morta tua madre tu avessi avuto undici anni anziché quindici, per me sarebbe stato uguale.» Abbassò lo sguardo sul giornale. «Hai visto, Yuma? Per la primavera del 1990 sono previsti...»
    Yuma lo interruppe, strappandogli di mano il giornale e gettandolo a terra: «Non m’importa nulla di quello che accadrà nella primavera del ’90, di qualunque cosa si tratti. L’unica cosa che conta è che lasci in pace mia sorella!»
    «Lo sapevo» borbottò suo. «Anche tua madre era così altruista.»
    Yuma spalancò gli occhi.
    «Altruista?»
    Melvin ridacchiò.
    «Sì, e tu sei come lei. Ti ho lasciato la possibilità di andartene per la tua strada, finalmente libera dal tuo vincolo, eppure tu fai finta di niente e continui a preoccuparti di tua sorella anziché di se stessa. In quanti, al tuo posto, agirebbero allo stesso modo?»
    «Da quando la mamma ci ha lasciati, ho giurato a me stessa che non avrei mai permesso che Heaven soffrisse.»
    Suo padre sorriso.
    «Chi ha mai detto che voglio farla soffrire? Dopotutto questi anni ti sono piaciuti, no?»
    Si alzò e le si avvicinò. «Ti sono piaciuti, vero, Yuma? Solo che non puoi ammetterlo.»
    Yuma indietreggiò.
    «Non ti permetterò mai di fare a Heaven quello che hai fatto a me.»
    «E se a Heaven piacesse? Se Heaven lo volesse?»
    Per l’ennesima volta Yuma si chiese perché quella sera di tanti anni prima mia madre avesse deciso di uscire per andare a consegnare a chissà chi una busta piena di soldi e avesse finito la propria esistenza terrena in un lago di sangue sull’asfalto grigio e cupo di una via di periferia. Se ci fosse stata lei, si sarebbe accorta dell’evidente stato di pazzia di Melvin. Avrebbe portato via lei e sua sorella già da tanto tempo, avrebbe impedito a quell’uomo malato di fare del male a entrambe.
    «Heaven è una bambina!» puntualizzò Yuma «Se solo provi ad avvicinarti a lei...»
    Suo padre la interruppe: «Non dire cose di cui potresti pentirti, Yuma. Quel ragazzo dai capelli biondi, Rachel lo conosce.»
    Yuma strabuzzai gli occhi.
    «R-Rachel conosce...»
    S’interruppe di scatto.
    «Si chiama Michel Sallivan» riprese suo padre. «Ha genitori ricchi, ma non ha più contatti con loro. Rachel sa quanto spesso vi vedete. Vuoi che gli accada qualcosa di brutto?»
    Yuma fu scossa da un fremito.
    «Che c’entra Michel?»
    «Non c’entra niente» ammise suo padre, «Ma sono certo che preferiresti passare il resto della tua vita con lui, piuttosto che rimanere qui e sapere che se continui a vederlo potrebbe succedergli qualcosa di terribile. Tu non capisci cosa ti sto offrendo: la possibilità di vivere una vita normale, quelle che tutte le ragazze sognano. È chiaro che c’è un prezzo da pagare, ma per te è bassissimo.»
    «Io non voglio che il prezzo della mia vita normale sia pagato da una bambina innocente.»
    Suo padre alzò le spalle.
    «Come vuoi. Ora devo andare, Yuma. Ho molto da fare, non so quanto tornerò. Vai pure a letto senza aspettarmi, ne riparliamo domani.»
    Si infilò il giubbotto, prese le chiavi della macchina e si avviò verso la porta. Yuma udì suoi passi lungo le scale, poi si affacciò alla finestra e lo vide in cortile. Salì sull’auto e se ne andò.
    Yuma sussultò quando udì un rumore indistinto accanto a lei.
    Si girò.
    «He-heaven... mi hai fatta spaventare.»
    Teneva un quaderno in mano.
    «Non ho capito una cosa di geometria» le disse. «Puoi aiutarmi?»
    Yuma la fissò, senza riuscire a distogliere lo sguardo dai suoi occhi a mandorla, come quelli della loro madre, e dai suoi capelli biondo rame, com’erano stati un tempo quelli di Melvin.
    «Yuma? Tutto bene, Yuma?»
    Yuma scosse la testa.
    «No, non va tutto bene.»
    Prese il quaderno, lo chiuse e lo appoggiò sul tavolo.
    «La geometria più aspettare.»
    «Ma sono i compiti per domani.»
    Yuma la guardò dritto negli occhi.
    «Heaven, ce ne dobbiamo andare e dobbiamo farlo prima che papà torni a casa. Non permetterò che accada mai più quello che è accaduto oggi.»
    Heaven non capì.
    «Oggi?»
    Yuma sentì una lacrima che le scorreva sulla guancia sinistra. Heaven aveva soltanto undici anni. Lei era più grande, quando era capitato a lei, ma all’inizio stava rifiutando di crederci. A sua sorella stava succedendo la stessa cosa.
     
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