Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    Iniziamo con la prima parte del romanzo e in particolare con il primo capitolo (anche se al momento non è intero).
    Mi raccomando, se trovate delle eresie avvertitemi! :woot:



    PARTE PRIMA: FIAMME NEL BUIO

    19 Settembre - 2 Ottobre 1989

    Capitolo 1.
    L’orologio che Ronnie portava al polso segnava le sedici e trentacinque. Questo gli dava un’indicazione univoca e tangibile di cosa sarebbe accaduto nel suo prossimo futuro: avrebbe trascorso altri cinquantacinque minuti alla scrivania, un tempo sufficientemente breve per non provocargli attacchi di panico ma allo stesso tempo abbastanza lungo per portare a termine il lavoro che stava svolgendo.
    Oltre a quella semplice realtà non c’era null’altro che importasse: Ronnie abitava a Black Hill, una cittadina triste e spenta lontana dalla città in cui era cresciuto e in cui aveva vissuto fino all’età di ventitré anni; lontana, ma non abbastanza da permettergli di dimenticare anche per un solo istante tutto il suo passato. Era ormai convinto che un luogo valesse l’altro, i fatti spiacevoli dai quali aveva cercato, forse invano, di allontanarsi avrebbero continuato a seguirlo come un’ombra per tutto il resto della sua vita.
    Lanciò un’occhiata fugace alla finestra: la luce del sole si era affievolita e, dal momento che era ancora presto per il tramonto, gli parve un chiaro segnale che il bel tempo che sembrava indiscutibile fino a un paio d’ore prima non era più così tanto assicurato.
    Proprio in quel momento dal corridoio udì l’inconfondibile passo di chi indossava tacchi alti. Con sua sorpresa, invece di passare oltre, la segretaria del titolare si affacciò alla porta del suo ufficio, con un sorriso smagliante sul volto.
    «Signorina Spencer!» esclamò, fingendo una certa sorpresa, come se non avesse sentito la sua camminata da bisonte su un paio di trampoli in avvicinamento. «Signorina Spencer, che cosa posso fare per lei?»
    «Il capo se n’è già andato a casa» lo informò, senza che Ronnie glielo avesse chiesto e senza preoccuparsi di rispondere alla sua semplice e banale domanda. «Mi ha spiegato che aveva qualcosa di importante da fare.»
    «E quindi?»
    La segretaria si avvicinò sorridendo.
    «Credo che sia il caso di fare quattro chiacchiere.»
    Ronnie si accorse che Patricia Spencer lo stava mangiando con gli occhi. Possibile che quello che tutti ripetevano da un paio d’anni fosse vero? Quando Ronnie l’aveva conosciuta, Patricia era un’estrosa trentasettenne piena di vita, con il sogno non troppo segreto di infilarsi un anello al dito entro il momento in cui avrebbe completato il suo quarto decennio di vita. Adesso, ventitré mesi più tardi, quando alla data fatidica mancava appena un anno, le sue intenzioni iniziavano a farsi più chiare: nonostante i loro quattordici anni di differenza, Ronnie era diventato il suo obiettivo.
    «Sto lavorando» si affrettò a rispondere, cercando di non sembrarle troppo brusco. Non aveva certo intenzione di farle pensare che, se continuava a sfuggirle, fosse per ipotetiche arie di superiorità.
    «Anch’io stavo lavorando» obiettò Patricia. «Il problema è che stavo iniziando a sentirmi sola e ho pensato che sarebbe stato carino venire a salutarti...»
    La donna si sedette sul bordo della scrivania, mentre Ronnie cercava una via di fuga. Sapeva che Patricia Spencer era una donna che lo desiderava, ma non gli sembrava una motivazione soddisfacente per sbottonare la candida camicia di seta che indossava.
    Si alzò in piedi e si avviò lentamente verso la finestra.
    Scrutò il cielo e, notando un evidente strato di grigio, osservò: «Sembra che stia per venire a piovere.»
    Patricia sbuffò.
    «È possibile che tu non abbia niente di meglio a cui pensare?»
    Ronnie udì i tacchi della segretaria ticchettare, segno che si stava avvicinando. Un attimo più tardi gli fu accanto.
    «Soltanto le vecchie zitelle trascorrono il loro tempo a parlare di sole e di pioggia.»
    “Se avremo la fortuna di conservare questo lavoro per altri trent’anni, allora” non poté fare a meno di pensare Ronnie, “Allora mi parlerà di questo.»
    «Ehi» lo esortò Patricia, probabilmente infastidita dal suo silenzio, «Perché non dici più nulla, Ron?»
    Ron.
    Ronnie sentì il sangue che gli si gelava nelle vene. Patricia Spencer l’aveva chiamato Ron... ed era la seconda persona che si rivolgeva a lui chiamandolo a quel modo.
    Non poté fare a meno di tremare quando sentì la mano sinistra di Patricia posarsi sulla sua spalla destra e in un istante si ritrovò a contemplare le iridi azzurre della donna che lo guardavano fisso. Fino a quel momento non si era mai accorto di quanto fossero belli gli occhi di Patricia – che seppure un po’ troppo bassa e un po’ troppo in carne era una donna piuttosto piacente – e quanto questi potessero rivelarsi ipnotici.
    «Sei teso, Ron» mormorò la donna.
    «Credo che sia un’impressone» mentì Ronnie.
    Patricia scosse la testa.
    «No, Ron, non è solo un’impressione.»
    Ronnie sospirò. Patricia Spencer era convinta di conoscere perfettamente il suo stato d’animo, e già questo bastava a infastidirlo, ma quanto tempo sarebbe passato prima che tentasse addirittura a ricostruire la storia della sua vita, per determinare che cosa l’avesse portato a Black Hill?
    «Sarà come dice lei» concesse Ronnie, con poca convinzione. «Ora, però, signorina Spencer, le sarei grato se mi lasciasse terminare quello che ho iniziato e che conto di finire prima delle diciassette e trenta.»
    Patricia annuì.
    «Come vuoi, Ronald.»
    Si allontanò, con i suoi trampoli di dieci centimetri che rimbombavano sul parquet. Finalmente era di nuovo solo.
    Prima di tornare alla scrivania si trattenne qualche istante alla finestra. Stavano iniziando a cadere le prime gocce e, lungo la strada, persone senza ombrello acceleravano il passo, in vista del temporale in arrivo, preannunciato da un lampo che squarciò il cielo e lo abbagliò al punto tale che non poté fare a meno di chiudere gli occhi.
    Quando li riaprì notò una bicicletta che passava a velocità piuttosto elevata. A bordo vi era una ragazza, Ronnie fece in tempo a vedere jeans attillati e un giubbotto rosa: teneva il cappuccio in testa, ma da esso sporgevano lunghi capelli neri. Sparì dopo pochi secondi svoltando in un incrocio, lasciandogli addosso una sensazione di familiarità.
    Ronnie tornò a sedersi e cercò di concentrarsi sul lavoro che doveva portare a termine. Fu più complicato del previsto, ma alle diciassette e venticinque realizzò di avere finalmente raggiunto il proprio obiettivo. Si alzò in piedi e tornò alla finestra. Come lasciavano intuire i tuoi che facevano tremare i vetri il temporale non si era calmato ma, anzi, si era fatto più intenso.
    “Come sarebbe se oggi la mia vita cambiasse definitivamente?” si chiese a quel punto, realizzando immediatamente quanto quel dubbio fosse assurdo. “Sono un idiota, è una domanda senza senso.”
    Raccattò le proprie cose: la sua giornata di lavoro era terminata. Non gli restava che andare a salutare Patricia Spencer, sperando che non si rivolgesse a lui chiamandolo Ron. Era sicuro che, se l’avesse fatto, gli si sarebbe gelato il sangue nelle vene ancora una volta.

    Edited by »Milù Sunshine» - 6/7/2013, 22:36
     
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