Spartacus Blood & Sand: pulsioni primitive.

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  1. Lucciolavagabonda
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    Spartacus Blood & Sand: pulsioni primitive.

    La serie televisiva dedicata alla storia, molto romanzata, di Spartacus, lo schiavo trace nato guerriero, venduto come schiavo, diventato suo malgrado gladiatore invincibile, sino ad una presa di coscienza che lo porterà a diventare il capo di una guerra servile di proporzioni spaventose, capace di far tremare la grande potenza della Repubblica romana, ha suscitato reazioni contrastanti: in effetti, o la si ama, o la si odia.
    Personalmente, appartengo alla prima schiera, anche perché ritengo che, al di là del tam tam mediatico, più che veritiero, che la annunciava come quella che avrebbe oltrepassato ogni limite (di decenza? di buon gusto? di violenza verbale e fisica?), credo ci sia molto, molto di più.
    Per chi non l’ha vista, dico subito che questa analisi contiene un sacco di spoiler: è sconsigliato leggerla per non rovinarsi la sorpresa, nel caso decidesse di cedere alla tentazione di seguire una delle tante repliche che si susseguono tra Sky e Cielo (anche se è d’uopo, quanto meno per i maggiorenni di stomaco forte, scegliere la versione integrale non censurata, magari in lingua originale con i sottotitoli, perché la traduzione fa veramente pena).
    L’argomento è la sorprendente quanto inusuale amalgama di istinti primordiali, gestiti in modo tutt’altro che casuale.
    La psicologia insegna che in ogni essere umano albergano due pulsioni di uguale potenza e di segno opposto: Eros e Thanatos. Sono stati esaminati a fondo, valutati, classificati, esaltato il primo e esecrato il secondo, ma l’unico dato di fatto è che non esiste l’uno senza l’altro.
    Ciascuno di noi possiede la capacità innata di abbandonarsi alla passione amorosa (che non è scevra di sensualità e sessualità, tutt’altro), al punto di arrivare sino all’autodistruzione. La morte fa capolino con lo stesso impeto in senso psicologico, perché la passione distrugge sul suo cammino tutto ciò che trova, cambiando letteralmente l’esistenza e spesso, purtroppo, anche in senso fisico, soprattutto se non viene corrisposta. Tuttavia, a volte, anche in quet’ultimo caso, la conclusione è drammatica, basta pensare a quelle vicende che sono entrate nella storia come perfetta incarnazione sentimentale: Giulietta e Romeo, Paolo e Francesca, Tristano e Isotta, Abelardo ed Eloisa. Sono tutte situazioni presentate sotto un'ottica romantica, ma che vengono vissute per intero anche sotto il profilo sessuale, visto che, a parte nel primo caso, è proprio questo aspetto a portare al disastro finale. I primi quattro protagonisti finiscono per essere puniti con la condanna a morte, imposta o casuale che sia, giacché compiono adulterio (e giudicati di conseguenza: basta pensare all’Alighieri che, pur parteggiando chiaramente per i suoi personaggi, non esita a condannarli all’eterno tormento del contrappasso di essere per sempre condotti da una tempesta inarrestabile: quella lussuria che, travolgendoli, li aveva resi colpevoli agli occhi del mondo); Abelardo muore come uomo nel momento in cui gli viene tolta la virilità, ma anche come essere umano capace di porsi “contro” un sistema sbagliato, di confutare, finanche di pensare. E, di conseguenza, finisce per lui anche l’amore-passione che lo aveva legato ad Eloisa, mentre per lei l’ossessione continua, fino ad esserne annientata.
    A ben vedere, del resto, è la figura stessa del gladiatore ad incarnare le due componenti: il guerriero portatore di morte che ogni volta mette a rischio la propria esistenza da un lato, l’oggetto del desiderio femminile (e non solo) dall’altro.
    Detta figura incarnava allora ciò che è oggi rappresentato da altre professioni: l’attore, il cantante, il calciatore. Anch’essi, pur senza correre rischi mortali dei loro sfortunati predecessori, sono capaci di infiammare la folla sino al parossismo ed hanno un seguito di pubblico affezionato che li ammira e li sostiene.
    Un campione era davvero in grado di suscitare le reazioni inconsulte delle nobildonne, attirate sia dalla brutalità che portava nei combattimenti, sia dallo sprezzo della morte che dimostrava (o era costretto a dimostrare), sia, ovviamente, dal fisico muscoloso e virile.
    Considerato spesso come personificazione di doti disumane proprio in ragione della ferocia dimostrata in arena, il sangue di un gladiatore morto in combattimento veniva considerato una sorta di afrodisiaco naturale, da utilizzare come bevanda corroborante per accendere i sensi di mariti ormai stanchi o poco propensi a lasciarsi trascinare dalla passione: mai come in questa particolare situazione, Eros e Thanatos diventavano una cosa sola in cui il primo, spietatamente, si nutriva dell’energia vitale che il secondo aveva distrutto.
    Eros e Thanatos, appunto.
    Mi si perdoni dunque un accostamento che può apparire azzardato, visto che sino ad ora ho citato alte espressioni letterarie che sono altresì storie di straordinaria (e ordinaria) disperazione.
    In una maniera che può apparire molto più terra terra, anche B&S gestisce questo tipo di liason e, a mio avviso, lo fa in modo egregio.
    Già nella prima puntata, là dove molti vedono solo un’intensa scena di sesso amoroso tra Spartacus e la moglie, unici a non essere stati uccisi nell’attacco subito dal loro villaggio messo a ferro e fuoco da una tribù nemica, sistemata ad hoc soprattutto per attirare pubblico nell’episodio d’apertura, io credo ci sia una valenza più alta.
    Da un lato c’è la disperazione della perdita, la presa di coscienza del doversi inventare un’esistenza completamente diversa, la rabbia per l’impotenza forzata a sconfiggere l’estraneo che ha invaso e distrutto ciò che ci apparteneva e dall’altro il tentativo di vincere questi sentimenti negativi attraverso l’unico atto possibile, quello che fa sentire vivi e da cui è possibile originare nuova vita.
    Tuttavia, in questo caso, si tratta di una rappresentazione pacata, non scioccante.
    Di ben altra portata è la scena dell’assassinio di Barca, uno dei gladiatori, accusato di tradimento: mentre all’interno degli alloggi tutti festeggiano, abbandonandosi ad una vera e propria orgia, lui viene letteralmente massacrato dalle guardie preposte a mantenere l’ordine nella casa patronale. E’ impressionante come alle inquadrature di gioia bestiale e delle libagioni, si susseguano quelle dell’uomo, colpito più e più volte, mentre alle risate degli altri si alternano le sue urla di agonia, il vino al sangue, la felicità del suo amante all’idea di una possibile libertà alla sua indicibile sofferenza, alla celebrazione dell’esistenza l’orrore di una fine spietata, recata in modo barbaro proprio dalle mani di un civilizzato romano. Trattasi di una rappresentazione spinta all’estremo, un vero pugno nello stomaco, ma che sottolinea ancora una volta il rapporto stretto che lega le emozioni umane, per quanto diverse esse siano e, al tempo stesso, uguali per tutti, giacché tutti, in determinate situazioni, reagiamo nello stesso modo: di pancia.
    C’è un altro passaggio in cui il rapporto Eros/Thanatos è evidenziato in maniera quasi morbosa: dopo una scena veramente spinta di sesso robusto tra Spartacus e la moglie di un alto funzionario della Repubblica, i due vengono sorpresi a causa di un tranello in cui la padrona ha voluto far cadere l’amica, per poterla manovrare in vista di possibili vantaggi. E’ presente un’altra testimone, che, ovviamente, trova la situazione estremamente interessante, giacché si tratta di uno schiavo e di un’importante membro della casta dominante. Incapace di tacere sull’intenzione di far conoscere l’accaduto al maggior numero possibile di persone e di trattenere le risate di scherno, finisce con la testa fracassata ed il viso ridotto in poltiglia proprio sul gradino di quel talamo dove, pochi minuti prima, si era consumata la scena erotica.
    Nello spettatore, il contrasto tra le due situazioni è tale da suscitare non solo una reazione di stupore, ma anche di incredibile tensione. Sorpresa a parte, è perché, ancora una volta, ci troviamo di fronte a qualcosa di cui, nel bene e nel male, avvertiamo profondamente il richiamo, o, quanto meno, l’ineluttabile realtà.
    Questa dinamica di rappresentazione verrà ripresa con identica furbizia in “The Gods Of Arena”, in occasione del combattimento mortale tra Enomao e il maestro, che avviene in concomitanza con un rapporto forzato tra Gannicus e Melitta a beneficio degli ospiti della villa, o ancora quando i due, presi da irresistibile attrazione proprio a causa di quell’avvenimento imposto, stanno per abbandonarsi al loro impulso, senonché lei muore a causa del vino avvelenato che ha bevuto per un tragico errore. Né manca in Vengeance, in cui si arriva ad un parossismo ancora più intenso che nelle precedenti stagioni.
    Per concludere, metto sotto spoiler un’immagine di forte impatto dedicata alle ragazze, in cui è decisamente facile cogliere Thanatos; meno Eros, salvo che essendo un po’, diciamo, fissate sui particolari.
    Se siete contrarie alla violenza, non guardatela.



    Edited by Lucciolavagabonda - 15/5/2012, 20:04
     
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