[Parole in guerra] - Chiara Paci

Millefoglie

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Editor

    Group
    Member
    Posts
    5,138
    Scrittore
    +13
    Location
    Verona

    Status
    Offline

    Sentitevi liberi di commentare, recensire, parlare e discutere di questo racconto.


    Millefoglie


    Saruka, il pianeta che si stava allontanando dietro l’oblò, era stato l’unico orizzonte del tenente Andrian negli ultimi dieci anni. Se glielo avessero detto due mesi prima, non ci avrebbe creduto, ma adesso cominciava a provare nostalgia per quell’ammasso desertico di pietre e sassi, dove morire era più naturale che respirare. Strinse in mano la macchina fotografica che aveva al collo e scattò una foto. L’ultima foto di Saruka.
    Si girò verso la sua compagna di viaggio, il maggiore Khady, e le sorrise. Andrian veniva dai sottufficiali, era sergente maggiore quando si erano conosciuti. Era grazie a lei che adesso era un ufficiale, era stata lei a convincerlo a provarci. Non era più un ragazzino e tutti avevano cominciato a prenderlo in giro come il più vecchio tenente della storia dell’esercito. Ma a Khady non importava: a lei serviva qualcuno di cui fidarsi e lui era diventato il suo braccio destro. Ora lei doveva andarsene da Saruka, perché era stata promossa e assegnata ad un altro fronte, e gli aveva chiesto di seguirla.
    Alla base di smistamento la navetta atterrò bruscamente, le cinture si aprirono e tutti iniziarono a scendere. Andrian e Khady avevano, a testa, due borse, un gilet tattico e uno zaino. Era tutto quello che possedevano oltre le divise, le loro intere vite. Una delle due borse conteneva solo armi. Scesero dalla navetta per ultimi e Khady si fermò a chiedere indicazioni mentre Andrian si guardava intorno.
    La testa gli girava. Su Saruka tutto finiva col diventare grigio o color caffè stinto slavato e c’era la luce del sole. La base invece era un tripudio di colori chiassosi e luci al neon troppo intense. Non c’era cielo. Quello che non era luminoso era nero e Andrian non avrebbe saputo dire cos’era peggio, se i colori vivaci o il contrasto netto sullo sfondo.
    Khady lo raggiunse e gli posò una mano su una spalla.
    – Dobbiamo andare di là. La nostra nave parte tra mezz’ora.
    – Ce la facciamo a prenderci un caffè?
    – Di già? Siamo appena partiti e ne abbiamo ancora per ore. Prendiamolo a bordo con calma.
    Erano diretti a Coimbra, una città del pianeta Salina, dove c’era il centro di comando del loro settore. Khady si incamminò verso la nave e Andrian la seguì sbuffando. Sul caffè aveva ragione lei, ma Andrian si sentiva agitato per quell’ambiente che gli era così poco familiare. Poi però notò che anche Khady tendeva a schermarsi gli occhi davanti ai cartelloni pubblicitari troppo colorati e gli venne da sorridere. Lei ci era rimasta solo cinque anni, su Saruka, ma evidentemente erano sufficienti.
    La loro nave arrivò dopo dieci minuti che la stavano aspettando. Era una nave civile in servizio di linea, ma a quella fermata scesero e salirono solo militari. Dovettero far imbarcare nella stiva quasi tutti i bagagli, compresi i gilet tattici. Questo li rese nervosi, abbandonare le armi era una delle tante cose a cui non erano abituati. Ma mentre salivano ai ponti passeggeri, Andrian iniziò a sentirsi più leggero. Aveva addosso solo la divisa e poco altro, portafoglio, palmare, macchina fotografica, e gli sembrava di volare. Si fermò su un pianerottolo a pensarci.
    – Che strano.
    – Cosa?
    – Lo sai che nessuno ci sparerà all’improvviso qui dentro?
    Si guardarono e scoppiarono a ridere. Erano fuori, ne erano usciti. Niente polvere e sabbia, niente zona operazioni, niente risvegli notturni per assalti improvvisi. Per i successivi tre mesi, avrebbero fatto vita da ufficio, mangiato tre volte al giorno e dormito ogni notte in un letto. Non avrebbero dovuto tenere sempre l’elmetto in testa e il fucile senza sicura a portata di mano.
    Ma l’euforia passò presto. Tornarono a salire le scale (a nessuno dei due era venuto in mente che esistessero degli ascensori), poi lessero un cartello con scritto Ponte passeggeri numero 5 e aprirono la porta. Non riuscirono a fare quattro passi sulla moquette, furono bloccati immediatamente dal personale di bordo.
    – Che succede, non possiamo stare qui?
    – Sì, maggiore, ma...
    Il cameriere indicava per terra. Khady e Andrian stavano lasciando impronte ovunque.
    La maledetta sabbia di Saruka li aveva seguiti fin lì, loro non se ne rendevano neanche conto, ma le loro scarpe e i loro vestiti ne erano pieni. Il cameriere fu molto gentile e li accompagnò al ponte inferiore, dove era stata preparata una stanza apposta. Così passarono la prima ora a sbuffare e imprecare, scuotere capelli, pantaloni e camicie, usare piccoli aspirapolvere e pulire scarponi.
    – Non dovevamo essere proprio un bello spettacolo prima...
    Era inutile, dopo dieci minuti ripresero a ridere. Lasciare Saruka, per quanto fosse una bella prospettiva, era anche un salto nel buio. Prima di rimettersi le scarpe, Andrian prese la macchina fotografica e scorse le ultime foto che aveva fatto. I loro compagni erano rimasti là, agli ordini di un nuovo capitano.
    Andrian teneva in mano il piccolo aspirapolvere che gli avevano dato. Avevano dovuto svuotarlo due volte e adesso era di nuovo pieno. L’unica cosa che era rimasta uguale, per quanto avessero sfregato, era la loro pelle. Andrian sperò che avrebbe ripreso un colore normale dopo qualche giorno lontano dalla sabbia e dal sole cocente.
    Finalmente riuscirono a sedersi davanti ad un caffè. Era orribile, bruciacchiato e trasparente come il peggiore caffè dell’esercito. Si alzarono e andarono sedersi davanti a una delle finestre da cui si vedeva lo spazio. Era una visione riposante, almeno non era colorata.
    Si rilassarono, Khady appoggiò la testa sulla sua spalla e si addormentò. Andrian rimase a contemplare le stelle e a interrogarsi sul futuro.
    Coimbra fu uno shock per entrambi. Era una città frenetica e nessuno di loro due era preparato ad affrontarla. Quando arrivarono in centro era sera e pioveva. Non sapevano che fare, ricordavano gli ombrelli ovviamente, ma non avevano idea di dove procurarsene.
    Non si erano preoccupati di sapere se a Coimbra fosse estate o inverno. Avevano ancora le maniche corte e battevano i denti, muovendo le dita delle mani nella speranza di sentirle di nuovo. Andrian prese dal suo borsone uno di quei maglioni che usavano di notte nel deserto e lo indossò e Khady se ne infilanò uno anche lei. Ma in breve furono fradici pure i maglioni e il freddo si fece strada fino alle loro ossa.
    Il centro comando era in un palazzo storico nel cuore della vecchia Coimbra. Sotto il porticato d’ingresso, Khady tirò fuori le carte con le nuove assegnazioni e i documenti.
    Erano finalmente al coperto, ma gocciolavano e seminavano rivoli d’acqua. Il caporale uscì dalla guardiola e squadrò scettico le carte tutte bagnate e i due ufficiali zuppi che aveva davanti, poi rientrò per fare una telefonata.
    Vennero a prenderli due ragazze, che dissero di essere i loro attendenti, il soldato scelto Lea e il soldato Niobe. Ognuna di loro aveva due ombrelli: era chiaro che il caporale doveva aver dato qualche suggerimento su come trattare i due nuovi ufficiali sperduti.
    – Non vi aspettavamo più per oggi, con questo tempo.
    Khady si stava strizzando i capelli. Aveva difficoltà a muovere le dita. Lea si avvicinò alla maniglia di una delle due borse per prenderla. Ma era quella con le armi e Khady le afferrò il polso di scatto, stringendolo fin quasi a farle male. Era stato un riflesso e la lasciò andare subito.
    – Scusami, soldato, è l’abitudine. E’ meglio se prendi l’altra.
    Lea, titubante, passò uno dei due ombrelli a Khady e prese l’altra borsa. Niobe invece si avvicinò ad Andrian e a scanso di equivoci indicò col dito una delle sue. Lui fece un gesto d’assenso, mentre cercava di aprire l’ombrello.
    I quattro attraversarono velocemente la piazza d’armi e entrarono nell’atrio degli alloggi ufficiali. Andrian si era pulito le scarpe sullo zerbino, ma continuava a gocciolare acqua sui tappeti. L’ambiente era caldo e accogliente, con il pavimento in cotto e grandi arazzi alle pareti. Nella stanza a fianco, più bassa di un paio di gradini, c’era un grande caminetto dove scoppiettava allegro il fuoco.
    Lui e Khady erano gli unici con l’uniforme estiva da campo. Ovunque c’erano impeccabili ufficiali in giacca e chi doveva uscire aveva il cappotto e l’ombrello al braccio. Quelli che passavano li squadravano da capo a piedi con aria di rimprovero.
    Uno dei soldati addetti alla reception si precipitò dal quartetto non appena li vide.
    – Posso sapere cosa ci fate qui? Questo è l’alloggio degli ufficiali, come...
    Le due ragazze si agitarono, ma Khady non si lasciò scomporre.
    – Sono il maggiore Khady e questo con me è il tenente Andrian. Qualche problema?
    Andrian la invidiava per questo: a lei bastava alzare la testa e mettersi dritta, anche quand’era in mutande si vedeva che grado aveva. Il soldato si accorse dell’errore e si profuse in scuse, ma continuava a essere perplesso per il loro aspetto e per la quantità d’acqua che stavano lasciando sul pavimento. Se ne andò dietro il bancone, poi portò a Lea e Niobe le chiavi elettroniche per le stanze.
    – Vi mando qualcuno per i bagagli.
    – No, grazie, facciamo da noi.
    Il soldato sorrideva imbarazzato.
    – Maggiore, volete che chiami la sussistenza? Non vi serve qualcosa di invernale?
    Khady annuì, ce n’era davvero bisogno, non avevano niente che andasse bene per quel clima e quella temperatura. Lasciarono le taglie alla reception.
    Seguirono le loro attendenti fino alle camere. Erano stanze vicine, e ovviamente quella di Andrian era più piccola. Ma anche lui aveva un bel bagno con doccia e vasca, un guardaroba e un angolo con un frigo e un forno a microonde, dove prepararsi un the o qualcosa di caldo. C’era persino una televisione. Rimase cinque minuti a fissare il telecomando e poi si mise a piangere, sedendosi sulla sedia.
    La sua stanza su Saruka non aveva il bagno. Ce n’era uno in comune, dove c’erano solo docce con acqua appena appena tiepida. Non aveva visto una vasca per dieci anni e su Saruka una televisione non aveva senso, dato che non c’erano stazioni a trasmettere.
    Ogni tanto proiettavano dei film nella sala comune.
    Andrian riempì la vasca di acqua (acqua calda), versò il bagnoschiuma, anche questo in dotazione con la stanza, ma non ottenne tutta la schiuma che avrebbe voluto. Entrare in acqua non fu così semplice, era un uomo alto e la vasca era piccola per lui, non riusciva a rimanere completamente immerso. Dopo un po’ che era seduto, cercò di scivolare per sdraiarsi, ma i piedi fecero capolino dal pelo dell’acqua e sentì freddo. Spazientito, si alzò, uscì dalla vasca e aprì il tappo per svuotarla. Rischiò di scivolare, non era abituato ai pavimenti lisci di piastrelle, su Saruka i bagni ne avevano uno in cemento zigrinato, ma
    riuscì ad entrare sotto la doccia per sciacquarsi. L’acqua calda era comunque piacevole.
    Lavati e riscaldati, Andrian e Khady scesero per andare a cena, vestiti di tutto punto con tanto di giacca. Andrian ruotò la testa di lato esterrefatto quando vide Khady in tailleur e decolleté col tacco basso. Era la prima volta che le vedeva una gonna addosso.

    – Sembriamo quasi due ufficiali veri.
    Dopo cena, Khady e Andrian chiesero indicazioni al bancone per la migliore pasticceria della città e uscirono, con i loro cappotti nuovi e i loro ombrelli. Non pioveva più. Andrian si ricordò come ci si comportava e offrì a Khady il braccio, che lei accettò molto volentieri.
    La sentì stringere la presa appena furono in strada. Anche per lui era lo stesso, come sulla base, anche qui troppe luci, troppi colori, troppi rumori. Si incamminarono lungo il marciapiede, cercando di abituarsi al nuovo ambiente.
    – E’ curioso, non avrei mai pensato che di Saruka mi sarebbe mancata la notte.
    – E il cielo. Hai visto che non si vedono le stelle?
    Camminavano piano, temendo di perdersi. Avrebbero potuto attraversare un deserto a piedi con una bussola e una borraccia, ma non sapevano come orientarsi in una città.
    Arrivarono alla via con tante vetrine di cui aveva parlato il soldato alla reception, dove i negozi restavano aperti fino a tardi. Le vetrine erano allegre e ammiccanti e si persero a guardarle. Si fermarono di fronte alla vetrina di una libreria. In quel posto, c’erano persone interessate a titoli come Storia delle decalcomanie floreali o L’alchimia e la magia della scienza. Sembrava di essere in un sogno, nessuno lì era armato e nessuno sembrava sul punto di uccidere qualcun altro.
    Entrarono nella pasticceria, si sedettero e aprirono il menù. Lo lessero tutto tre volte, ma sapevano già cosa prendere: un caffè e una porzione di millefoglie. Il tavolino a cui erano seduti aveva una tovaglia bianca ricamata, il divanetto era di velluto porpora e le pareti del locale erano color crema, decorate con un motivo floreale verde acqua. Il cameriere che venne a prendere l’ordinazione era in livrea, con la giacca bianca impeccabile e neanche un capello fuori posto.
    Dopo cinque minuti furono serviti. Sentirono il profumo di caffè prima ancora che le tazzine fossero posate sul tavolo. Lo sorseggiarono con tutta la calma possibile, degustando ogni nota e ogni sfumatura di sapore. Il millefoglie fece crock sotto la forchettina d’argento, la crema debordò sotto la pressione e il piattino di porcellana si limitò a un cling sommesso alla fine del movimento. Infilarono il pezzetto in bocca quasi all’unisono, poi chiusero gli occhi.
    Fu il loro attimo di perfezione. Tutto sparì, rimasero solo il candore della tovaglia ricamata, il suono dolce dell’argento sulla porcellana e la magia di un millefoglie che parve quasi un miracolo. La guerra era altrove.




    Per le valutazioni del racconto

    Per la Classifica

    Edited by Axum - 31/3/2011, 16:12
     
    Top
    .
0 replies since 13/3/2011, 15:53   82 views
  Share  
.