Negativo per positivo uguale negativo

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    Capitolo 38 - Carmelina

    Carmela si svegliò dentro un cotechino e si chiese come ci fosse finita. Sentì il muoversi dell'animale verso le fauci di un bambino affamato, il giorno di natale. Gridò e si nascose dietro un ombra. Poi capì che fu inutile e saltò giù dal pasto prima che il bambino dal testone grande come il contenitore delle caramelle gommose dei distributori la mangiasse.
    -Burp!
    -Ti è piaciuto Pino? - domandò la voce di una madre robotica.
    -Zi, muy buono - rispose il bambino sprofondando nella sua anima oleosa e cicciosa.
    Caramella, no... Carmela fece un sospiro di sollievo e vide che era salva per il momento. Si nascose dietro un caviale e ascoltò le voci dei genitori che conversavano.
    -Quest'anno è stato sicuramente il migliore anno della nostra vita! - disse il padre.
    -E l'anno scorso il secondo migliore, e l'anno prima il terzo migliore...
    -Si, hai reso l'idea.
    -Che perfezione di vita, vero Pino... Pino? Ci sei?
    -Eh? Si, si... continuate...
    -Ecco, davvero ci va proprio tutto bene, mai avuto pericoli, mai corso difficoltà, mai avuto paura, mai sofferto, alla faccia degli sfigati dei vicini! - gridò il padre sbattendo il bicchiere di vino sul tavolo facendo finire una goccia su Carmela che si ubriacò come se quella goccia fosse una doccia di alcool su cui lavarsi la mattina insieme al sapone, al bagnoschiuma e allo shampoo.
    Carmela si mosse ondeggiando confusa e corse in direzione opposta da quella famiglia per saltare giù dal tavolo e fuggire.
    La madre fece improvvisamente un grido.
    -Ah! C'è un animale sul tavolo, guarda Enrico!
    -Cavolo, è vero, che schifo! - disse.
    -Eh? - chiese Pino ruttando.
    Carmela lanciò un pezzo di pane su di una forchetta e saltò sulla fine di essa, che come una catapulta la lanciò via lontano da quella tavola.
    Atterrò nella ciotola del cane, dove intorno c'era scritto Zero. Il cane si avvicinò scodinzolando e leccandosi il baffi.
    -Aspetta, cane, anzi, Zero, aspiett' un attim' - gridò Carmela.
    -Che c'è? Ma non sei la cena, sei una specie di pulce?
    -No, sono Carmela de' Medici, un giorno sentirai parlare di me, comunque, non so, come sono finita qui, non ho capito se è un sogno, o un universo parallelo, o sono tornata indietro nel tempo, non lo so, ma devo tornare normale, e uscire di qui! Tu sei un grande, tu puoi aiutarmi, vero?
    -Uhm, beh, va bene, salta su, ti posso portare fuori di qui, ma poi non so che altro fare.
    -Grazie, te ne sarò debitrice.
    -Risparmiati le bugie e sali, che tanto mi sto annoiando qui, e questi sono uno più noioso dell'altro - rispose il cane.
    Carmela saltò sul suo pelo e fu invasa da una massa di peli pelosi e vaporosi.
    Si resse con tutte le sue forze a essi e lo vide partire fuori dalla fessura della porta di casa.
    Lo vide muoversi per i vicoli bui della notte e nei corridoi spettrali e ombrosi, che la popolavano, illuminati da una luna che ricordava quella di Bear nella casa blu.
    Facendo su e giù per quell'animale si sentì spaventata ma anche soddisfatta.
    Sbucò però all'improvviso un esercito di pulci rimbalzose e scattose, che la circondarono ridendo come iene.
    -Ehi, ferma, chi sei tu?
    -Sono Carmela de' Medici, devo tornare normale e diventare una leggenda nel mondo, possibilmente senza morire qui, dentro questo simpatico cane.
    -Sei nel posto sbagliato allora! Ragazzi, tutti in posizione!
    Tutte le pulci si misero in posa, pronte ad attaccarla come una leonessa con le sue prede.
    Circondata da quelle bestie feroci, si mosse intorno all'infinito, mentre la testa le girava, e la sbronza da vino faceva il suo effetto, senza farle capire come salvarsi.
    Un tornado le avvolse la vista e la costrinse a coprirsi gli occhi.
    -Ragazzi, al mio tre! Uno, due, tre! - gridò il capo delle pulci.
    Tutte le pulci saltarono, pronte a colpire Carmela con un attacco aereo raffinato dopo anni di allenamento degno dei migliori samurai.
    -E' la tua fine, de' Medici! - gridò una pulce chiamata Tom.
    Carmela le vide, e pregò nella sua mente di farcela.
    Proprio mentre le pulci stavano per atterrare sul punto dove era localizzata, si scansò evitandole all'ultimo momento.
    Le pulci si scontrarono tutte nello stesso momento e si frantumarono a vicenda, mordendosi tra di loro, e mordendo anche quel singolo punto del cane.
    Zero abbaiò, e si fermò con le prime due zampe, strusciando fiamme gialle sul suolo, e con la parte finale del corpo in aria tentò di scalciarle come un asino.
    Carmela cadde giù dal cane e si ruppe la schiena. Guardò il cane divincolarsi e urlare, e tentò di salutarlo, e di ringraziarlo.
    -Ehi, Zero, grazie mille, sono qui, mi vedi, ti ringrazio, ora puoi dirmi dove trovare una specie di mago, o simili che mi faccia tornare come prima? - gli gridò con un acuto da invidiare ai migliori lirici.
    Zero la sentì, e dopo aver finito la scalciata da spastico, atterrò coi piedi per terra e si inseguì la coda. Le pulci si erano infatti nascose lì.
    -Carmela, come vedi sono molto impegnato, con queste pulci, ma posso dirti, che se cerchi il mago baluba balabba lo puoi trovare a destra seguendo il corridoio tra gli edifici di quella strada! E' tutto quello che so!
    -Va bene, ti ringrazio! Ciao!
    -Ciao! - rispose Zero e proseguì a mordersi la coda.
    Carmela corse verso la strada indicata da Zero con grande ardore e fatica, facendo invidia ai migliori atleti, e districandosi tra piedi e passeggini dei passanti, macchine e gomme da masticare, raggiunse la zona indicata, finendo con un esulto alla Rocky Balboa.

    Edited by Matthew97 - 1/4/2017, 04:17 PM
     
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    Capitolo 39 - Tutto il resto

    Per le strade c'era il silenzio e il rumore del natale. Nelle zone cupe e buje dove Batman si rintanava per combattere i suoi nemici, e i mostri della notte si mimetizzavano, una piccola formichina correva in cerca di un mago per poter tornare ciò che era in precedenza e per capire che diavolo stesse succedendo.
    E senza arrendersi procedeva!
    Per mare, e per terra, tra tempeste e pioggia, tra lacrime e fuoco, tra ferro e vestiti da stirare!
    Carmela de' Medici, il suo nome, in quella landa desolata di nessuno, era in cerca di fortuna.
    Si trova la fortuna? - chiede il lettore.
    Dipende, ragazzi, dipende.
    Ma riprendiamo dove l'avevamo lasciata, sintonizziamoci proprio ora, ecco, nel trentanovesimo capitolo.
    Carmela si muoveva verso il corridoio indicato dal cane, e con coraggio e forza di volontà lo percorse interamente evitando trappole per topi, topi, topi morti, formiche, sputi, sigarette spente, crepe sul suolo che conducevano all'inferno, e pezzi di giornali abbandonati le cui notizie in prima pagina, parlavano di argomenti importanti come la diffusione della parola petaloso, o il nuovo taglio di capelli di un calciatore del napoli.
    Arrivata alla fine del percorso, si imbatté in una buffa figura.
    Sembrava uscito da un libro che le risuonava familiare.
    -Uhm, ma tu sei... io a te ti conosco...
    -Cosa? Chi sei tu? Ci conosciamo?
    -Cazzo si. Tu sei il mago protagonista di quei libri del cazzo che ci davano da fare durante le vacanze alle elementari... tu sei.. mago blu! Che fine avevi fatto? Pensavo fossi finito a drogarti o a spacciare eroina per il tuo vivere abbandonato a un ricordo doloroso e lontano. Cavolo, ma lo sai quanto mi hai fatto penare! C'è stata un estate, che insieme a mia nonna sono stata a risolvere tutti gli esercizi di quel libro infinito, tra il sudore, e le lacrime, e il fottuto caldo, di luglio e agosto, in quella casa senza aria condizionata e ventilatore! E poi indovina? Tornata a scuola l'avevo fatti solo io i compiti, e la maestra non disse nulla, come se non l'avesse mai dato, ma dopo due anni capii la fregatura, e in quinto, col cazzo che l'ho comprato il libro. Alla faccia sua! Lo sai cosa ho passato? Beh, comunque ti perdono, puffo magico, adesso devi aiutarmi! Se è vero che sei un mago, fammi tornare come prima, me lo devi, no?
    -Uhm, come ti chiami?
    -Carmela de' Medici. E ora ti prego aiutami!
    -E sia! Ti aiuterò! Io sono un mago buono, ora mi chiamano baluba balabba, e no, non sono finito come dici tu, ora aiuto, e mi faccio pagare.
    -Cavolo, dovevo immaginarlo, beh, che posso darti? Non ho soldi...
    Il mago ci pensò a lungo. Poi la guardò e ci pensò ancora più a lungo.
    -Va bene, ti aiuterò gratuitamente, ma solo perché sei la prima persona al mondo che sento dire, che ha fatto i compiti. E questo mi fa molto piacere. Devi servire ad esempio per tutti.
    -Grazie, mago, lo sapevo che eri buono.
    -Qual'è il tuo desiderio?
    -Avere più di un desiderio.
    -Non provarci.
    -Ok, il mio desiderio è tornare come prima, di dimensioni, forma e contenuto.
    -Non preferiresti essere diversa? Migliore, più alta, più bella, che ne so, più intelligente, più normale... la butto lì...
    -No, mi piaccio così come sono.
    -Va bene, allora eccoti esaudita.
    Il mago mosse la bacchetta su e giù, perforando l'aria con la sua performance da maestro e vecchio saggio barbuto, e ripetendo parole incomprensibili, finì la magia dandole un colpetto sulla fronte con l'attrezzo magico.
    Carmela si illuminò di energia e magia, e in men che non si dica, tornò della sua altezza.
    Il mago si fece sempre più basso e lontano, e Carmela dovette stare attenta a non schiacciarlo.
    -Ehi, grazie, grazie, grazie! Che bello essere come prima! Ti ringrazio infinitamente mago blu, o mago baluba balabba, senza di te, non sarebbe stato possibile!
    -Eh, di niente, attenta con quei piedi.
    Carmela si piegò e lo afferrò con una mano per vederlo meglio.
    -Ti devo chiedere una cosa, mago, ma tutto questo è vero, o è un sogno? Come ero diventata piccola e formicosa?
    -Beh, penso che sia un sogno... la tua lotta col cavaliere, insieme a Viola, il risveglio in quel cotechino... l'incontro con me... tutta una tua fantasia...
    -Come fai a sapere che ho fatto queste cose? E come fai a sapere se è un sogno o no?
    -Sono un mago, no?
    -Giusto. Beh, allora ti appoggio a terra, grazie ancora, spero che ci rivedremo un giorno! - disse Carmela e lo poggiò a terra delicatamente.
    -E' stato un piacere Carmela. Buona fortuna, nel tuo viaggio per essere una leggenda.
    -Se lo diventerò, il tuo nome verrà nominato. Ora vado, è ora. Ciao! - gridò Carmela e si diresse verso l'uscita del corridoio con un espressione di soddisfazione.
    Il mago la vide andare via, finché, quando sparì lei, non sparì anche lui, insieme a tutto il resto.

    Edited by Matthew97 - 1/4/2017, 04:21 PM
     
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    Capitolo 40 - Reykjavik

    La storia proseguì senza troppi intoppi. Come doveva, e come deve fare ogni cosa. E quindi che accadde? Beh, non so se sta a me dirlo, ma ve lo dirò, cari lettori, non caricatemi come tori. Finiti gli eventi, e finita la mini-avventura, vissuta in miniatura, di Carmela, aveva senso, tornare a casa, e riabbracciare i propri cari nel giorno di natale che, giustamente è dedito a questo scopo. Percorse quindi la strada per tornare. Non aveva una lira, il che le provocava grande ira, avendo una fame mostruosa, unita a una sete incolmabile.
    La sua bocca impastata non le impedì di essere felice. Una felicità vera. Veramente inspiegabile. La neve, non scendeva, in quel quartiere di Roma, il che le impedì di morire di freddo. Senza un po' di calore, sarebbe stato orribile il tutto. Le ore passarono, e il freddo aumentava. Stanca morta, si fermò a una panchina e si sedette desiderando maledettamente di fumarsi una sigaretta. Vide un tizio nel buio, muoversi con un cappello di lana in testa e degli stivali da pescatore. In piene crisi mistiche Carmela gli domandò se aveva una sigaretta.
    -No, non fumo mi dispiace. Ma... Carmela? Sei tu?
    -Ehm, si - rispose lei rendendosi conto soltanto dopo che il tizio in questione era suo padre.
    -Che dio mi fulmini se non mi sei mancata!
    -Si, anche tu...
    -Come va la vita adesso che vivi da sola?
    -Benissimo.
    -Hai trovato un lavoro?
    -Si.
    -E sarebbe?
    -Astrologa.
    -E da quanto?
    -L'ho deciso ora.
    -Come ti sei pagata l'affitto, e le bollette?
    -Ho rubato una banca.
    -Davvero?
    -Non personalmente, il mio ruolo era la Steve Jobs.
    -Steve Jobs?
    -Si.
    -Ok.
    -Come sta la mamma?
    -E' morta.
    -Cazzo.
    -Scherzo. E' in casa. Se vai la trovi. Quello che non trovo io è un fottuto pesce da un mese.
    -Penso che sia questione della lunghezza della lenza e della tecnica. Senza contare il movimento e la resistenza della canna.
    -Guarda che lo so. Dai, entra.
    -Ok - rispose Carmela.
    Stette a osservarlo per un po', poi si avvicinò, e i due si abbracciarono.
    Fu troppo frettoloso per sembrare natalizio ma caloroso a sufficienza da soddisfare un piacere immediato.
    Corse verso la casa, morente di fame. Appena la madre aprì si fiondò in cucina, prese il frigorifero, lo sollevò, spalancò la bocca e mandò giù ogni cosa. Lo poggiò a terra, inghiottì bucandosi il collo, da cui le uscì il cibo in una cascata e fece un rutto che fece tremare il lampadario.
    -Avevi fame? - domandò la madre curiosa.
    -No - rispose Carmela.
    E quello fu l'inizio della rimpatriata di Carmela con i suoi genitori. So che voi lettori avrete delle domande e delle curiosità, tipo: Carmela farà davvero l'astrologa? Oppure, ha davvero avuto un ruolo in una rapina in banca? O anche, come siamo arrivati a quaranta capitoli?
    Domande, domande. Deducetevele, e non rompetemele.
    Con affetto e stima.
    Scimmia del Reykjavik.

    Edited by Matthew97 - 1/10/2017, 02:31 PM
     
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    Capitolo 41 - Almeno esiste ancora una stella in cielo che illumina i cuori di quelli più tagliati fuori

    Carmela notò che nell'ambiente si insinuava una leggera nebbia e vento fresco di primavera, anche se non era primavera, e non c'era nessuna nebbia, e non c'era nessun vento.
    Però qualcosa non andava.
    Cosa?
    Era arrivata lì così senza preavviso, dicendo solo robe improvvisate, e non sarebbe durato a lungo, quanto è vero, che il tempo che scorreva inesorabile, aveva, non solo rotto il cazzo a tutti, ma aveva reso chiara l'idea, che qualcosa non andava.
    Se si sentiva bene? Si.
    Se si sentiva male? Si.
    E allora che senti? Che senti Carmela?
    -Tutto - rispose lei, cogliendo la domanda.
    Era quel cogliere tutto e quel non cogliere niente che la fregava. Era quel si e quel no. Era quel bianco e quel nero, che rendendola grigia la confondeva.
    Si buttò in un budino interdimensionale nello spazio tempo, proprio lì, nel chiaro di luna, sotto il sole, sotto il buio e la luce del tramonto di una serata inutile.
    Entrò in un portale che la scagliò in uno strano oceano, o uno strano lago.
    Sotto l'acqua vide un forziere, e colse nel forziere un significato.
    Allungò le mani nuotandoci vicino, e lo prese.
    Salì in superficie e lo aprì.
    Sbucò da esso un animale peloso che gridò come una cornacchia, ma non era una cornacchia.
    -Tu! Tu sei Carmela de' Medici, giusto?
    -No.
    -Perfetto, ti stavamo cercando, idiota! Dove eri finita? Ci servi! Un meteorite si sta per schiantare su questa universo, solo tu puoi... - e la sua voce si interruppe dopo che Carmela chiuse all'improvviso il forziere.
    Lo fece ricadere in acqua e nuotò verso la terra.
    Si aggrappò alle estremità del suo sogno, delle sue illusioni e ne saltò fuori.
    Uscendone fuori entrò in un libro pieno di parole, spiegazioni, esempi. Era il suo libro, o era il libro della vita.
    Vide tutte le sue pagine, tutte quelle scritte, e si sentì parte di esse, si sentì parte di quel mondo di inchiostro. Era talmente perfetto e irreale, che non faceva male, ma si sentiva una distorsione del petto di Orione.
    Tutto quella fatica le appesantì i bulbi oculari, i gameti, e la preparò a una malattia cardiovascolare. Nell'insieme del tutto, come il rintocco di una campana, o un gatto che muove la sua coda in cerca di un uccello, aveva anche senso che una persona affondasse in un pozzo senza inizio e senza fine.
    Ma come stai? Come stai insomma Carmela? Stai bene? Tutto a posto? Da quant'è che non ci vediamo? Mi sei mancata! Davvero! Come va la vita? Sei in salute? Vivi come si deve? Ci riesci a essere, e a non essere? Raccontami, dai, raccontami, amica mia.
    Carmela non rispose. Nell'acqua del brodo primordiale non c'era posto per parole, non c'era posto per segni. Non c'era posto, per nessuno. Tranne che per lei. Tranne che per te.
    Poi però riuscì a parlare ugualmente, e lo fece bene, e si fece sentire, e le parole erano lì, nell'aria, palpabili, respirabili, troppo perfette, troppo fuori da questo mondo, troppo luminose in un oscurità latente di simbolismi e di incroci stradali.
    -Non ha importanza se tutto questo svanisce, amico mio, non ha importanza neanche se non vinci, non ha molto senso che guardi i tori in direzione di una campagna immaginaria, o forse ce l'ha, ma quello che intendo dire, è soltanto che se non hai paura puoi anche averla. Ti diranno tante cose, e chi ti dirà tutte queste cose, caro amico mio, non ti capirà, non ti capirà mai appieno, forse perché non c'è niente da capire, o forse perché in quanto esseri umani si ha paura ad essere quello che si dovrebbe essere, si teme la stella cometa in ognuno di noi. Però caro amico, non abbatterti, e sai perché? Perché se ti abbatti, non ti renderai mai conto dei battiti che può generare il tuo cuore in preda all'amore di un altra dimensione, in preda alla consapevolezza, che si, le cose sono così, ma la parte opposta di essa, l'altra faccia della medaglia latente, e presente, in ogni ente di esse, è la parte che sempre e comunque si andrà a mischiare, in questo calderone che è la vita. E che io sia Carmela, o sia Viola, soltanto una cosa posso essere. Un essere umano. Privo di tutto, e pieno di tutto. Come è giusto che sia. E allora fidati, che c'è una parte del mondo che non conosci, che c'è una parte del pensiero umano che ignori, perché tu, incompleto, o completo che pensi di essere, credi che solo ciò che conosci, e ciò in cui credi è lì da seguire, ed è lì da esprimere. Se riesci a coinciliare tutti gli aspetti grandiosi e orribili di te stesso, potresti perdere comunque, ma soltanto così capirai il senso della vita. Senso della vita, che non si trova in niente, ma che in realtà è proprio il cercarlo, il senso stesso. Non è tanto il risultato finale, è tanto farlo, ardendo, è farlo, in una tale maniera, che il tuo essere, diffuso nell'aria, e nel mondo sia così potente, da far tremare la terra, da scuotere gli animi dei più impavidi, ed è così, che si arriva, finalmente a ciò che dovresti essere. Ci sono tante persone, tutte diverse, tutte uguali. Siamo tutti presi da qualcosa, tutti con qualche filosofia, ma in fondo, anche tu, caro amico, sai di che parlo. Sai, lo sai di che parlo. Giusto?
    Finite di dire quelle parole esplose come un petardo, e nel brodo primordiale fece uscire bollicine come da un bicchiere d'acqua con dentro un aspirina. Vasco Rossi bevve una coca cola e si tuffò dentro di esso, insieme alle alghe e ai coralli, e l'ultima formica rimasta, buttandoci la sua Mentos masticata, fece saltare in aria l'intera struttura.
    Carmela morì, poi resuscitò e ne balzò fuori di vari colori, di varie tonalità, di tutti i colori. Non aveva più una consistenza, non aveva più un agilità, non aveva più odore di patatine fritte. Emise un gas velenoso dalla bocca, e si sciolse nuovamente, per poi ricomporsi di nuovo.
    Divenne verde, blu, viola, gialla, rossa, marrone, nera, bianca, arancione, rosa, e lo fece in tutte le loro tonalità, facendo impazzire qualsiasi artista, che in quel momento credeva di conoscere tutte le sfumature, di tutti i colori.
    Poi tornò se stessa, e spazzò ciò che restava dell'area vuota intorno a sé.
    Spalancò la bocca e urlò:
    -Sono ancora qui, rana del deserto, prova a prendermi! - e si strozzò con la saliva.
    Corse verso l'uscita, e saltò fuori da ogni cosa, soprattutto dal capitolo. Atterrò in un prato e davanti a lei un coniglio le diede un consiglio, e poi le chiese cosa succedeva.
    Carmela prese il consiglio e lo guardò. Lo esaminò e poi lo appoggiò sul suolo. Aprì la bocca e rispose.
    -Non lo so, cosa succede, ma una cosa la so, io sono qui, tu sei lì, e insomma, ci siamo capiti no?
    -No.
    -Perfetto. Mi dai un altro consiglio?
    -Tieni.
    Carmela prese i due consigli e intrecciandoli formò una torre.
    -Te la regalo - disse al coniglio e sparì in una via inesistente, e mai percorsa da nessun essere umano.
    Il coniglio si guardò intorno confuso. Si avvicinò alla torre e la abbracciò.
    -Soffice come lo zucchero filato, consistente come acciaio, queste persone, questi esseri umani, mi sorprendono! - disse ad alta voce e ci si tuffò dentro come se fosse una piscina, sparendo anche lui insieme a essa.
    Tutto sparito? Chi è rimasto?
    Beh, sei rimasto tu, no?
     
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    Capitolo 42 - Dualismi

    Carmela ricevette un messaggio dal cielo. Cadde dal nulla a terra. Lo aprì e lesse attentamente, con orgoglio, scandendo le parole, e con grandissimo interesse come se non avesse mai visto un foglio in vita sua.
    Diceva, testuali parole:
    -Cara Carmela, sono Viola, ti ho scritto una lettera per due motivi: il primo è che nel 2017 fa figo, e secondo, perché non sai scrivere e volevo comunicartelo, senza troppe parole, insomma fai cagare. Fine, cioé, basta. Capito? Te le rispiegherei ma non mi va tanto, spero tu abbia capito, cacca.
    Finita di leggere la lettera Carmela rise e la accartocciò. Diede un pugno al suolo bucandolo e ci seppellì la lettera.
    Poi ridendo camminò via come non fosse accaduto nulla e si stesse annoiando perché niente accadeva di interessante.
    Per la strada vide Domitilla e le chiese se aveva visto Star Wars episodio 6.
    Domitilla ci pensò su per un po' e rispose alitando sapori di carciofi e spinaci, misti a pistacchi, e arance.
    -Si, l'ho visto. L'ho visto Star Wars, perché?
    -Niente, mi andava di chiedertelo - rispose Carmela.
    Domitilla le diede una pacca sulla spalla.
    -Tieni, ti do' questo portafortuna. Fa accadere eventi straordinari. Potresti incontrare la persona della tua vita, vincere alla lotteria e... perché ridi? - domandò Domitilla spaventata.
    -Rido? Come rido? - chiese Carmela, o a Domitilla, o a se stessa, o a entrambe.
    Poi si accorse che effettivamente stava ridendo.
    -Ehm, quindi? Non si può più ridere?
    -No, per carità.
    -Quindi, si, grazie, me lo infilerò nelle mie chiappe, grazie, Domitilla, grazie! - rispose Carmela e andò via.
    Camminando vide che aveva le nocche sporche di sangue.
    Si voltò all'improvviso e notò che Domitilla era lì a terra, distesa.
    -Ma... ma che cazzo è successo? - gridò Carmela, o forse lo pensò, o forse lo pensò a voce alta.
    Avvicinandosi a Domitilla si coprì la bocca e si piegò verso di lei.
    Le accarezzò i capelli.
    Guardò a fatica il suo volto sfigurato e addolorato, rosso di sangue, perso dal naso e dalla bocca.
    -Domitilla, non lo sapevo, io... non sapevo... non lo sapevo... non lo sapevo.... - disse Carmela continuando a ripeterlo.
    Pianse sulla sua faccia e chiuse gli occhi.
    Li riaprì nel letto di casa sua, senza capire come fosse possibile.
    -Ma... come... cos'è successo? Non riesco a capire... non capisco... - pensò Carmela strofinandosi la fronte.
    Si alzò dal letto a fatica, ma fu spinta da qualcuno su di esso.
    Sopra di lei c'era Viola, in una luce purpurea, rossa, e di qualsiasi colore vedeva Carmela in quel momento.
    Le si avventò al collo, strangolandola, e le fece un discorso, obliguo, e sbilenco, con parole, numeri, e frasi, che rimbalzarono per la stanza, come proiettili.
    -Cara Carmela, non dirmi che non hai capito?
    -Non respiro Viola, mollami, per favore...
    -Sono stata io! La smetti di ignorarmi? Ecco, hai visto cosa è successo? Mi hai ignorato così tanto, che ora succede questo! Ballerina in una guerra mondiale!
    -Basta, non respiro, si, hai ragione, perdonami, ma ora mollami... - disse Carmela sentendo il collo chiudersi come un dito schiacciato in una porta.
    Viola la sollevò e la sbatté contro il muro.
    -Promettilo.
    -P-promesso... - rispose Carmela.
    Viola la mollò e finalmente Carmela tornò a respirare.
    Con il fiatone che aveva, poteva aver corso una maratona di kilometri e kilometri.
    -Aspetta, aspetta, un attimo, Viola?
    -Si?
    -Ma mi sono appena strangolata da sola?
    -Certo che no, ti ho strangolato io, stupida.
    -Ah, mi stavo preoccupando... - rispose Carmela.
    Cominciò a piangere disperata, e perse ogni contatto e memoria di ciò che accadde fino al giorno successivo.
     
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    Capitolo 43 - La comprensione della fisica dei protoni elettrostatici degli gnomi da giardino

    Carmela si mosse per la casa e si domandò se poteva moltiplicarsi. Poi si ricordo che gli era già successo. Chiamò al telefono Elena, e le disse di portare Susanna, Viola, Domitilla, Simona, Nicoletta, e Damiano.
    Aspettò sul divano e in mutande, fumandosi un sigaro cubano e ascoltando un vinile di altri tempi.
    Quando sentì qualcuno avvicinarsi, dalla porta, o più semplicemente suonare il citofono si cosparse di colla e si buttò nell'armadio. Ne uscì con vestiti a casaccio e combinazioni improponibili. Aprì la porta e vide tutti entrare come se fossero a casa loro.
    -Prego, prego, grazie, per favore - disse Carmela guardando il muro.
    All'improvviso Domitilla starnutì e tutti fecero a gara per darle un fazzoletto.
    -Calma, uno allo volta! - disse Carmela autoritaria.
    Partì un dibattito su chi doveva darle il fazzoletto.
    Dopo mezz'ora Domitilla si pulì il naso su una tenda e risolse il problema.
    Elena fissò una bottiglia e la spaccò con una mossa di karate.
    Fu ammirevole, ma due secondi dopo le schizzò sangue dalla mano aprendo una ferita, che le aprì in due la mano.
    Susanna si avvicinò e ci diede un bacetto. Guarì magicamente.
    Simona criticò qualcosa e fu legata e imbavagliata da Viola alla sedia. Nessuno si ricordò di lei per circa tre ore. Passò il tempo a mangiare dal piatto come un cane e a fissare il muro chiedendosi se le conveniva sfondarlo con una testata o di provare a spostarlo.
    Damiano fece una scoreggia e domandò a Nicoletta cosa aveva da raccontare.
    -Io? Beh, che posso raccontare, beh, vediamo, c'era... e poi... e anche... però meglio non... insomma... ci siamo capiti...
    -Tutto chiaro - rispose Viola.
    Domitilla fece un ennesimo starnuto e fece volare il tavolo con le posate e i piatti per la cena.
    Si unirono tutti a mangiare come cani prendendo esempio da Simona.
    Domitilla ridendo spiegò a tutti presenti, sull'orlo del collasso che aveva provato a studiare, ma dopo aver visto il libro, e averne notato la lunghezza, e le dimensioni, e averlo aperto leggendone il contenuto, l'avesse chiuso due secondi dopo rinunciandoci.
    Carmela bestemmiò e la guardò male. La strangolò e e le urlò in faccia.
    -Che significa codesto atteggiamento? In casa mia? Ti permetti di strangolarmi in casa mia? Ti permetti di dire che non hai mai studiato?
    -Si - rispose Domitilla.
    Viola guardò la scena imbarazzata e imbrattata.
    Carmela mollò la presa. Si scolò il resto della bottiglia di Sambuca e ridendo domandò ai presenti cos'è un libro.
    -Un libro è un oggetto inutile, noioso, divertente e utile - rispose Damiano.
    Carmela lo guardò curiosa.
    Damiano si alzò e le chiese se aveva capito.
    -Non è che non ho capito... è che non ho capito, se ho capito, che non ho capito, e... - disse Carmela.
    Damiano si avvicinò e la fissò.
    -Lo vuoi un orso di gomma? le domandò.
    Simona riuscì a liberarsi e afferrò il piatto del brodo e la faccia di Carmela. Fece un addizione e unì le due cose.
    Partì una rissa.
    Damiano si appese al lampadario, Viola strangolò un cetriolo, Carmela lottò con un formaggio e l'amico immaginario di Susanna. Susanna parlava a una sedia e la sconfisse a forza di insulti. Elena si lesse un fumetto e vinse a braccio di ferro e a tris contro Domitilla. Simona prendeva a calci ogni cosa rendendo il tutto un inferno. Prese a calci il tavolo, facendolo volare per la stanza, spaccò tutte le sedie sulle finestre, e fece esplodere un petardo che si era tenuta fino a quel momento in tasca in mezzo alla stanza. Nicoletta si accese una sigaretta e cosparse la casa di benzina. Mentre il gas era acceso, la casa una piscina di benzina, e lo stomaco di Carmela convulso per il troppo alcool, qualcuno accese la televisione. Davano un film comico, di fine umorismo. Dalla televisione partì una scoreggia e l'intera casa saltò in aria, e in terra, e in acqua, e nel fuoco. Cecco Angiolieri si spaventò nella tomba e Carmela gridò mangiandosi pop corn, e cospargendo tutto ciò che vedeva di schiuma da barba, Viola inciampò nel filo di un telefono e le partì un numero, Susanna si domandò in che universo era finita, Elena spense il cervello e smise di seguire il gregge per pensare con la sua testa, Simona si ricordò di aver sbagliato a nascere, Damiano mise in play nel suo cervello un video rilassante dove era in un harem, e non esistevano guerre e bombe, Nicoletta si mangiò un pezzo di panettone di qualche natale passato, e Domitilla fece una prova da contorsionista che sbalordì il grande pubblico, estasiati ebbero un attacco di cuore in massa senza poter descrivere a nessuno la scena in questione. Carmela sentì il cervello fischiare e la sua vita muoversi in un tornado insensato, non capì il filo né il logico e si perse in una pagina di parole complicate e infinite. Venne salvata e portata a galla da un bellimbusto strabico dal sapore di spinaci e nutella. Carmela non capì ma ringraziò. Uscì dalla piscina chiedendosi di quale casa, paese e pianeta fosse. Poi guardò verso il pubblico e lo salutò ringraziandolo.
    Gli spettatori esplosero e le tende del teatro si chiusero senza possibilità di ritorno o di ripetizioni. Paganini l'avrebbe capito.
     
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    Capitolo 44 - Lo spettacolo

    "L'inizio iniziò e calmò le palle di qualcuno seduto sul comò. Quel qualcuno ero io. Si, ero io".

    Carmela scrisse questa frase su di un foglio per iniziare un racconto. Poi lo strappò e bruciò i pezzetti con un accendino. Si infilò una sigaretta in bocca, la accese e alitando come un drago si mosse verso l'uscita, di qualunque cosa non andasse bene in quel momento.
    Si buttò su un libro.
    Fecero una lotta in cui nessuno vinse. Nessuno vinse.
    Carmela si scoraggiò per la sconfitta e si spense la sigaretta sulla lingua.
    Uscì dalla casa, nonostante una casa, teoricamente, non doveva esserci più.
    -Ehi, Carmela, sono Damiano, ti ho aspettato qui fuori dalla casa, anche se la casa in questione non esiste più, comunque, volevo comunicarti che... uhm, che volevo comunicarti? Ah, no, volevo chiederti, scusa, volevo chiederti, come mai vivi ancora in questa casa se non esiste più? E te lo chiedo con vari punti interrogativi, cioé se fossimo in un libro, te lo chiederei con molti punti interrogativi, ma non siamo in un libro, quindi, te lo chiedo a voce senza nessun punto interrogativo.
    Carmela lo vide, e lo vide, e lo rivide.
    Spostò la testa verso i lati del suo corpo e notò che era bidimensionale. Completamente assente di profilo.
    Lo scosse, e lo vide traballare come un foglio di carta.
    Carmela si spaventò, poi si riprese e gli chiese se stava bene.
    -Stai bene?
    -Perché?
    -Lasciamo perdere... e... cosa? Che dice il regista? Che ha detto il regista?
    -Mi sa che ha detto che ora devi fare la vaga, fai finta che non sai cosa ti ho chiesto... - rispose Damiano.
    Carmela si riprese e rispose cercando di ricordarsi il copione.
    -Ehm, la mia casa? Ecco, te lo spiego subito, praticamente ciò che è accaduto nello scorso capitolo, non era reale e... cosa? Ah, non troppo realistico... beh, ma già... vabbé... ci provo... insomma, dicevo, la mia casa, ecco, ti ricordi l'esplosione? Probabilmente le probabilità improbabili di ciò che è successo hanno creato un paradosso nello spazio tempo che hanno generato una casa alternativa.
    Damiano si grattò il capo. Sentì un dolore alla schiena, come uno scrittore dai capelli oleosi con la scoliosi.
    Poi le rispose.
    -Ah, quindi era tutta una stronzata? Eh? E' così? Ma come? E io che... e io che cazzo ci sono venuto a fare allora? Potevo guardarmi un telefilm, leggermi un libro, o vivere... no, vivere no, scusa, potevo mangiare un panino, giocare col telefono, farmi una sega, girare un film con protagonista un rospo e un candelabro, e invece ero lì a fare che? - disse Damiano con una faccia rossa e viola.
    Carmela si morse un dito e lo guardò meglio.
    Fissò il regista.
    -Scusi, che cazzo dovevo dire adesso?
    -Improvvisa! Improvvisa! - le rispose il regista.
    Damiano iniziò a sudare vedendola nel pallone pensando a cosa rispondere.
    -Beh, andiamo a farci una birra, vaffanculo, chi sei, vieni qui e vedi, andiamo bello! - rispose Carmela unendo chissà quali protoni e neuroni.
    Damiano ebbe un infarto, e si accasciò.
    Carmela lo portò fuori dal palco e lo seppellì sotto una massa di giubbotti.
    -Figa, mi sembra di essere come in quel film, cazzo - disse Carmela accorgendosi solo dopo del pubblico.
    -Ah, scusate, ehm, e poi? - domandò Carmela al regista e allo scrittore.
    -Improvvisa! Improvvisa! - gridarono.
    Carmela si offese e uscì dal foglio.
    Prese il posto dello scrittore e scrisse la sua storia.
    Poi tornò dentro.
    All'improvviso comparve un principe azzurro su un cavallo felice.
    Carmela ci saltò sopra deludendo gli spettatori.
    -Cambiate libro, cambiate spettacolo, chiudete le tende, per chi mi avete preso? - disse Carmela.
    Comparve Viola con un lanciafiamme e glielo puntò contro.
    -Ciao, Carmela, non siamo in Dragonball, se ti uccido, non resusciti, una volta morta la protagonista sarò io! - disse e azionò l'arma.
    Carmela saltò su una fune ed evitò le fiamme per un istante.
    Balzò sul cavallo e con esso fuggì di scena.
    Il principe corse via, senza sapere che farsene di simili persone.
    -Aspettate! - gridò Viola e rimase da sola.
    Fissò il pubblico.
    Gettò l'arma e si aggiustò il colletto.
    -Si, ecco, l'avete sentita l'ultima? No? Certo, era silenziosa... capito? L'avete capita? No, scusate, comunque ne ho un altra... un giorno mi alzo e spacco il cervello di un tizio a pugni, mi fanno ancora male le nocche... no, non era un battuta questa... ah, ecco, che cos'è una fòrmica? Un animale che càmmina! divertente vero? Ehm, o sennò ci sarebbe anche... che altro... ehm... non mi guardate così... ci sarebbe.... ehm... un signore entra in un caffé. Splash! No! I pomodori no! No, i preservativi usati no! No! Basta! Il colmo per un idraulico? Avere una figlia che non capisce un tubo! No, non sparate vi prego! Ehm... ne dico un altra... mi viene aspettate... qual'è l'animale più veloce? Il pidocchio! Sta sempre in testa... capito? No, la bomba no! Aiuto! Cos'è quel gas! Risparmiatemi! Ci sto provando... ecco, vi racconto un aneddoto, allora, ehm, una volta entro in un supermercato e mi vedo un tizio che mi prende il dentifricio prima che possa prenderlo io... decidiamo di fare una sfida, lo sfido a darmi il dentifricio, e se perde, lo prendo io! Beh, alla fine me l'ha dato! Non sono un genio? Si, eh? No? Ehm, sono un po' a disagio... si, sto sudando, lo so, ehm, un po' d'acqua si potrebbe avere? Per favore! Ehm... che altro... l'avete letta la bibbia? Vi ricordate quando Gesù vince e poi risorge? Ecco, poi perdona tutti, perdonatemi se faccio cagare, ma... no, non vi alzate... aspettate.... un attimo... ehm, dai, la sapete la differenza tra una valigia e una porta? La valigia si porta, ma la porta non si valigia. Divertente vero? No, la katana no! Mi serve il corpo, vabbé ciao, ci ho provato, perdonatemi! - disse Viola e fuggì.
    Gli spettatori si incazzarono e lanciarono ogni cosa che avevano sotto gli occhi contro il palco, al grido di:
    -Rivogliamo i nostri soldi, stronzi! Che spettacolo è questo? E quella meriterebbe la pena di morte, vogliamo la sua testa!
    Lo dissero tutti nello stesso momento, come se fosse possibile.
    Dalla tenda, ormai coperta da ogni genere di oggetto, uscì confusa Nicoletta.
    Prese un microfono e fissò il pubblico.
    -Scusatemi, è qui il bagno?
    Ci fu un attimo di silenzio.
    Poi esplosero tutti in una risata.
    Corsero verso di lei, la portarono sulle spalle e uscirono dal teatro.
    Le fecero fare il giro di tutta la città, ignorando le sue lamentele e richieste.
    Nicoletta si nascose dietro il suo cervello e guardando il lettore intento a domandarsi cosa stesse leggendo, lo salutò sorridendo.
    Simona si mangiò un gelato evitando di specificarne la marca, per non fare pubblicità, si mise degli auricolari nelle orecchie e mise in play.
    Susanna andò in overdose di latte.
    Elena trovò il petrolio scavando una buca dietro casa sua.
    -Wow, un finale perfetto - disse e saltò di gioia.

    Edited by Matthew97 - 1/24/2017, 11:02 PM
     
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    Capitolo 45 - Mettiti comodo

    -Mettiti comodo, caro lettore, perché oggi ti andrò a parlare di come la mia vita è andata completamente a puttane! - iniziò a discutere Simona verso chissà quale destinatario. Nicoletta la sentì e le saltò addosso. Le allargò la bocca come un elastico strappandogliela via dall'ugola. Simona urlò e le diede un pugno in una tetta. Nicoletta mollò la presa e cadde.
    -Dicevo, la mia vita, la mia vita, si, mi hai sentito? Sono Simona e ora ti racconterò della mia vita, e di come è andata a puttane! - disse ridendo.
    Elena si mosse dietro lo sfondo cercando di non ridere.
    -Allora, volete sentire la mia storia? - chiese Simona.
    -Vaffanculo! - gridò Carmela dietro le quinte, ed esplosero tutti a ridere smocciolando, grugnendo, sbavando, piangendo, e spalancando eccessivamente la bocca.
    Simona si ricompose.
    -Allora, da dove posso iniziare? Si, forse potrei iniziare da...
    -Vaffanculo! - gridò Carmela.
    Un altro boato di persone che esplosero a ridere fece eco ovunque.
    Un africano si chiese all'improvviso che cazzo era quel rumore che sentiva.
    Simona si guardò intorno, poi vide Viola.
    Viola le puntò una pistola sulla fronte e sparò.
    Era d'acqua.
    Domitilla avvicinandosi le domandò se per caso era stata lei a farla bagnare.
    -No, Domitilla, non sei stata tu - rispose Simona.
    -Ah, ok.
    -Simona, continua... ci interessa... continua... - disse Viola.
    Simona si accese una sigaretta e tentando di darsi un tono iniziò a parlare.
    -Quindi, il problema, anzi, i problemi sono iniziati quando...
    -Hai già finito? Ma non hai nemmeno iniziato! Che peccato che te ne debba andare così presto, non ho neanche finito i pop corn, pazienza - le disse Susanna.
    -ZITTI! STO CERCANDO DI PARLARE, CAZZO! - gridò Simona.
    -Ehi, niente parolacce qui, e datti una calmata, ci spaventi tutti - disse Damiano attraverso un megafono.
    Simona rimase in silenzio per attimo.
    Poi riprese a parlare.
    -Va bene, allora, le cose sono iniziate ad andare male... si, e sono peggiorate, finché non ho toccato il fondo... e poi, anche oltre il fondo... ma... poi... sono migliorate... poi sono ri-peggiorate, poi ri-migliorate, poi ri-peggiorate, poi ri-migliorate, e...
    -Abbiamo capito Simona, hai una vita di merda, possiamo andarcene adesso? - gridò Carmela come una bestia.
    -Che cazzo hai detto? Ripetilo? - rispose Simona.
    -Vita di merda, tutto a puttane... abbiamo capito... basta.
    Simona si alzò, si avvicinò a Carmela e le diede una testata.
    Carmela traballò e cadde a terra.
    Simona le sputò in faccia. Poi guardò verso i lettori.
    -Nessuno si permetta di dire che ho una vita di merda, e che le cose son peggiorate, e sono andate a puttane, mi sono spiegata?
    Poi andò via senza fiatare, lasciando tutti di stucco. E non era un barbatrucco.
    Viola si bevve un té alla pesca, e tentò di dire qualcosa, ma non sapeva che dire.
    Domitilla si mise a caccia di una farfalla, Elena imbarazzata evitò lo sguardo delle persone lì presenti, come se non le conoscesse. Damiano tentò di mettere in ordine la situazione ma era inutile. Susanna si mise a parlare da sola, apparentemente, e nessuno sapeva bene cosa stesse dicendo. Nicoletta improvvisò un imitazione di Romeo e Giulietta, e rilassò i presenti.
     
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    Capitolo 46 - Super io

    -In che libro siamo? - domandò Susanna. Il cielo si fece scuro e tetro. Le nuvole scomparvero, scivolarono in un portale infinito e tutto divenne nero e grigio.
    Un tuono dal cielo proruppe e colpì il suolo.
    Nel fragore e nel bagliore fece score.
    Carmela si mosse in un quartiere alternativo e inesistente, camminando con le mani. Le braccia esplosero e le vene pulsarono. I muscoli pomparono e i succhi gastrici si bevvero da soli per quanto erano buoni.
    Viola si legò una gamba a un albero. Corse e lo sradicò.
    Simona percepì il pericolo imminente ed entrò in un robot giapponese.
    Localizzò Viola e sparò un missile nella sua direzione.
    Viola evitò il missile, poi fece un salto trainando l'albero e lo calciò verso Simona.
    L'albero colpì il robot ed esplose. Simona azionò la capsula di fuga di emergenza un secondo prima e si salvò.
    Viola diede un pugno al suolo e generò terremoti. Camminando appassì i fiori circostanti. La terra divenne arida e secca. Tutto cadde a pezzi e si ruppe.
    Domitilla gridò:
    -Carmela, salvaci tu!
    A questa richiesta Carmela sollevò la testa e guardò verso l'infinito. Come un falco verso la preda esaminò l'area circostante. I suoi occhi micidiali incrociarono quelli di Viola. Tornò a camminare coi piedi.
    Fece un respiro. Poi ne fece un altro. I suoi polmoni proruppero, il suo cuore si riempì di energia vitale.
    Corse verso Viola a una velocità mai vista prima. La velocità fu tale da cambiare il tempo e lo spazio, e da sconvolgere la rotazione della terra. Spostò i continenti e fece eruttare vulcani.
    Caricò un pugno e quando la raggiunse la colpì usando la forza di una vita intera.
    Viola si piegò in avanti, vomitando sangue dalla bocca, e fu spazzata verso chissà dove, sparendo nel confine dell impossibile.
    Carmela sentì la mano gonfiarsi e il corpo cedere. Cadendo a terra respirò a fatica.
    Elena si avvicinò e le porse una sigaretta.
    Carmela se la accese e fumando fissò l'amica.
    -Ciao, grazie mille.
    -Cosa è successo? - domandò Elena.
    -Non ne ho la più pallida idea - rispose Carmela soffocando in un respiro proveniente da tutte le creature dell'universo.
    Elena sparì nella nebbia come se non fosse mai venuta.
    Nicoletta leccò un tubetto di colla e si attaccò la lingua a un dente. Poi infilò un elastico tra la lingua, e ci appoggiò un sasso. Lanciò l'elastico in avanti con la forza di Davide verso Golia, e scagliò il sasso in avanti come da una fionda. Il sasso colpì Carmela sulla testa. Si voltò sbuffando fumo dalle orecchie e la squadrò. Poi si voltò nuovamente.
    Damiano fissò la scena con un binocolo, estasiato. Tirò fuori dalla giacca un foglio e una penna e si avvicinò a Carmela.
    -Mi fai un autografo?
    -Cos'è un autografo? - rispose Carmela.
    Damiano rise come il serpente di Pinocchio. La abbracciò e le prese le mani.
    -Scrivi il tuo nome e cognome.
    Carmela scrisse tre x.
    -Sul serio. Scrivi sul serio.
    Carmela scrisse: "Sul serio".
    Damiano si arrese. Poi gli domandò un autografo.
    -Ma certo che ti faccio un autografo, perché non l'hai detto prima? - disse Carmela.
    Prese la penna, firmò Carmela de' Medici e glielo porse.
    Damiano strappò il foglio e se ne andò.
    Carmela rise e spense la sigaretta.
    Si alzò e guardò il panorama. Ne ammirò l'immensità.
    Era semplicemente magnifico.
    Un pipistrello seguito da uno sciame di pipistrelli la raggiunse.
    Sparì assieme a essi lasciando la scena sospesa in un orizzonte di follia e fantasia.
     
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    Capitolo 47 - Tiro a segno

    Carmela uscì da una porta a forma di coriandolo e proseguì per un corridoio buio. Si scagliò sulla maniglia di un altra porta ma la mancò e sprofondò nel vuoto di uno strapiombo. Si aggrappò a un ramo conficcato lì e tentò di sollevarsi con tutte le sue forze ma si ruppe. Sentì il cuore battere e mescolarsi nell'angoscia del momento. Quando atterrò sentì tutte le ossa rompersi e il gelo del suolo. Si alzò come se non fosse accaduto nulla.
    Si guardò intorno preoccupata. Non vedeva nulla. All'improvviso uno spirito mortuario fluttuante la squadrò e si avvicinò. Le porse un arco con delle frecce e fece comparire un bersaglio.
    -Carmela de' Medici, centra quel bersaglio, solo così potrai salvarti, solo così potrai cavartela - disse la voce lenta e rauca dello spirito.
    Carmela prese l'arco e ci infilò una freccia.
    Lo tese con l'impegno massimo e lo indirizzò verso il centro del bersaglio. Lo mancò.
    Lo spirito gridò deluso.
    Prese un altra freccia, scagliò un ennesima freccia e sbagliò di nuovo.
    -Non è possibile, perché, perché non riesco a centrare il bersaglio? - disse Carmela.
    Ne lanciò un altra, un altra e un altra.
    Sbagliò tutte e tre le volte.
    Accovacciò le gambe e si abbassò a terra.
    Impugnò l'ultima freccia rimasta.
    Chiuse gli occhi piangendo, pensando al passato, pensando a quello che era, e a quello che non riusciva a essere in quel momento.
    Si alzò tirando su col naso.
    Tra le lacrime negli occhi distinse a fatica il centro del bersaglio. Lo vide moltiplicarsi, triplicarsi, quadruplicarsi. Non era più nemmeno sicura quale fosse un bersaglio reale e quale no.
    Con speranza lanciò l'ultima freccia. La vide muoversi lentamente, molto lentamente.
    Si lasciò cadere a terra coprendosi la bocca con le mani. Non riuscì a trattenere la lacrime.
    Davanti a lei il bersaglio vuoto, e a terra, tutte le frecce, che corrispondevano a tutti i tentativi falliti.
    Piangendo continuò a domandarsi perché non riusciva a centrare quel maledetto bersaglio per quanto potesse sforzarsi.
    Lo spirito si avvicinò e le diede una pacca sulla spalla.
    -Hai fallito, Carmela de' Medici, non potrai più salvarti, mai più, hai capito? Mai più! Tu sei morta! Sei morta! Mi comprendi? Nessun tentativo in più! E' troppo tardi! - gridò.
    Carmela lo fissò sollevando la testa. Poi si coprì la faccia con le mani e scoppiò in lacrime.
    -Dammi un ultimo tentativo, un ultimo tentativo, lo farò ad occhi chiusi! - gridò allo spirito.
    Lo spirito la fissò irritato e le urlò in faccia facendola volare via per kilometri e kilometri.
    Mezz'ora dopo lo spirito vide Carmela tornare e mostrargli la sua mano con l'indice sollevato, ad indicare un ultimo tentativo.
    Lo spirito si rassegnò e con uno schiocco di dita fece comparire l'arco e una freccia nelle mani di Carmela.
    Carmela chiuse gli occhi e respirò. Poi sentì il cuore battere all'infinito. Le mani le tremavano, il sudore le scendeva da ogni poro del corpo.
    Poi abbassò l'arco.
    Fissò lo spirito.
    -No, aspetta, un altra condizione, spirito, prometti che la manterrai.
    -E sarebbe?
    -Allarga il centro! - gridò.
    Lo spirito rise e svanì nel nulla.
    Il bersaglio sparì, e l'arco e le frecce scomparvero dalle mani di Carmela.
    Si ritrovò in un buio nero e senza speranze.
    Tentò di correre ma era bloccata da tutti i lati da sbarre.
    Era in una gabbia.
    Prendendola a testate gridò disperata.
    Strinse le sbarre e scosse la gabbia per poter uscire.
    Allungò la mano fuori dalla fessura che inutilmente tentava di uscire.
    -Fammi uscire! Spirito! Mi hai sentito? Ti prego... l'ultimo tentativo... - disse Carmela abbandonandosi lentamente alla prigionia della gabbia.
    Lo spirito ricomparve e la fissò.
    -E va bene, te lo concedo, ma niente bersaglio allargato!
    -Va bene, fammi uscire adesso!
    -Tanto è tutto inutile! Prima lo capisci e meglio è! - disse lo spirito facendola uscire.
    Carmela prese l'arco e la freccia.
    Cuore sereno e concentrato.
    Si avvicinò al bersaglio e tese la freccia finale su cui correva il suo destino.
    Fissò il bersaglio.
    Doveva capirne l'importanza. Doveva capirne il valore.
    -Non posso sbagliare, ne va di tutte le persone che amo, ne va del mio destino, ne va della mia vita! Posso farcela! - si ripeté Carmela come un mantra.
    Chiuse gli occhi e scagliò la freccia verso il centro del bersaglio. Mancò nuovamente e la vide cadere a terra.
    Rimase senza parole.
    -Spirito?
    -Si?
    -Un altro tentativo?
    -Sei la protagonista più stupida che abbia mai visto.
    -Lo so - rispose Carmela.

    Edited by Matthew97 - 2/4/2017, 04:58 PM
     
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    Capitolo 48 - Scrittore aviatore e sciatore

    Carmela si appoggiò su un chicco d'uva e sbuffò guardando verso l'alto.
    Impugnò l'arco delle frecce.
    Erano passate tredici ore.
    Lo spirito osservandola lanciare quelle frecce si era completamente addormentato.
    Carmela si avvicinò e lo svegliò.
    -Sveglia, se dormi, potrei scappare.
    -Ah, grazie, si, continua, chiamami quando hai centrato quel bersaglio del cazzo. Per favore, anzi, per favore, centra quel cazzo di bersaglio del cazzo. Non ne posso più.
    -Farò del mio peggio - rispose Carmela.
    Impugnò l'arco e scagliò la freccia contro il bersaglio immaginando che fosse la faccia di suo padre.
    Fece centro e sorrise.
    -Ehi, spirito, ho fatto centro!
    -Brava, si, brava, fanne altri, altri ancora.
    -Cosa?
    -Si, dai, mettiti qui e fanne altri, dai, fanne altri dai, fanne altri, e altri, e altri ancora e... un pochino di altri ancora fanne per favore, please.
    -Merda - rispose Carmela.
    Passarono altre quindici ore.
    -Ehi, spirito! Ho fatto centro! Un altro!
    -Solo uno?
    -Quasi due.
    -Continua, continua, chiamami quando hai iniziato... - rispose.
    Carmela impugnò l'arco.
    Guardò se stessa e le frecce.
    -Uhm, forse è una questione di prospettiva... io... sono la protagonista... devo per forza farcela... no?
    Una voce tuonò nel cielo.
    -Vai! Centra quel bersaglio del cazzo, adesso è più grande, hai visto? L'ho allargato! Hai visto? Contenta? Bastava un cambio di prospettiva, imbecille! - disse lo spirito.
    Carmela scagliò dieci frecce di fila.
    Dieci tiri perfetti.
    Fece centro tutte e dieci le volte.
    Lo spirito si avvicinò.
    -Così è facile, prova così - disse schioccando le dita.
    Il bersaglio divenne microscopico, qualcuno direbbe della grandezza di una caccola, ma non noi, noi siamo educati.
    Carmela mirò immaginando la parabola discendente che la freccia avrebbe avuto grazie alla forza di gravità e calcolando l'errore che il suo tiro avrebbe avuto lanciandolo a un altezza diversa, e quindi spostò leggermente l'arco per aggiustare la traiettoria.
    Dopodiché tirò la prima freccia. Fu così perfetto, il tiro, che fece impazzire, beh... penso tutti.
    Lo spirito si sentì livido di rabbia.
    -Era uno schifo, riprovaci! Di nuovo, di nuovo, non era perfetto, stronza, testa di cazzo, rifallo immediatamente!
    Carmela lanciò un altra freccia e il tirò era più perfetto di quello di prima.
    Lo spirito si infuriò.
    -Dammi quell'arco! - gridò e glielo strappò dalle mani.
    Provò a tirare ma non solo mancò il bersaglio ma la sua freccia tornò indietro e lo inseguì armata di pistola.
    Lo spirito corse piangendo.
    -No, freccia, non spararmi, ti prego! - disse.
    Carmela gridò:
    -Spirito! Guarda i miei tiri!
    Prese l'arco, e mentre sia lo spirito che la freccia erano intenti a fissarla stupiti, lanciò nove frecce alla velocità della luce, e le centrò tutte e nove nello stesso minuscolo punto, insieme alle due precedenti frecce.
    Lo spirito sentì lo stomaco ribollire e rivoltarglisi contro.
    Sentì la massa del suo corpo sparire e dissolversi lentamente.
    -Adesso basta! E' chiaro che il bersaglio è troppo vicino e grande! - disse lo spirito e con uno schiocco di dita fece allontanare il bersaglio di kilometri e kilometri di distanza. Divenne praticamente microscopico.
    -Provaci adesso! - disse lo spirito ridendo.
    -Va bene, osserva bene, voglio che lo vedi con chiarezza, un ultima freccia, un ultimo tiro, sta a vedere! - gli disse Carmela.
    Fece scorrere la freccia nell'aria con la grazia di un elefante dopo un maestoso tiro da tigre.
    La freccia si infilò dentro qualcosa, ma non si vedeva essendo il bersaglio molto distante.
    -Va' pure a vedere - disse Carmela.
    Lo spirito corse in fretta verso il bersaglio e quando lo vide cadde in ginocchio in lacrime.
    Aveva fatto centro.
    Carmela aveva vinto.
    Tornò indietro.
    -Quindi?
    -Hai fatto centro - disse lo spirito titubante.
    -Non avevo dubbi.
    -Perché mi fai questo? Perché? Perché non muori? Perché non perdi? Perché non ti arrendi? Perché? Oh dio... - disse continuando a piangere.
    -Perché io sono la protagonista di questo libro e tu non sei un cazzo! Adesso sparisci e ritorna da dove sei venuto!
    Lo spirito si scansò titubante e spaventato.
    -No... io...
    -Fai solo finta di essere cattivo, sei solo un codardo... vattene, e non tornare mai più - disse Carmela.
    Lo spirito gridò di dolore e si mise una mano alla testa.
    -Hai sentito quello che ho detto pezzo di merda? Vuoi che te lo ripeto? Io sono la protagonista di questo libro, e tu non sei un cazzo! Ho vinto e tu hai perso! Vattene dal mio libro, e non tornare! Non tornare, mai, mai più! - gridò Carmela dentro a un megafono preso da chissà dove.
    Lo spirito si coprì il cuore con la mano, sentendolo esplodere. Si dissolse lentamente. Prima dal corpo.
    Solo la testa fluttuante era rimasta.
    Carmela si avvicinò e gli sputò in faccia. Lo spirito chiuse gli occhi istintivamente cercando di scrollarsi la saliva dagli occhi.
    -Spirito, dovresti vederti. Ci si potrebbe accendere un fuoco sul tuo dolore facciale, non farmi neanche iniziare, anzi fammi finire. Io sono la protagonista di questo libro, ho vinto, e tu... tu hai perso. Hai perso, spirito. Capito? HAI PERSO! VATTENE! STRONZO MALEDETTO! E NON FARTI MAI PIU' VEDERE! - gridò Carmela in un microfono dentro un megafono entrambi usciti da chissà dove.
    Lo spirito fece un gridolino con la sua voce spezzata ed esplose come una bomba atomica.
    Carmela si buttò correndo ai ripari.
    Vide il mondo lentamente tornare come prima.
    Gli alberi, il sole, l'aria, il sapore del nulla.
    Fu ricatapultata davanti a un gruppo di persone. Era circondata.
    Intorno a lei c'erano Damiano, Viola, Elena, Domitilla, Simona, Nicoletta, e Susanna.
    Sorrise.
    -Ciao.
    -Ciao - risposero in coro.
    -Scusate l'assenza.
    -Non fa niente - rispose Domitilla.
    I sette personaggi la presero per mano e tutti e otto corsero verso il tramonto, dissolvendosi in una giornata mai esistita e mai iniziata.

    Edited by Matthew97 - 2/4/2017, 05:05 PM
     
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    Capitolo 49 - Canis canem non est

    Damiano uscì da un corridoio ed entrò nel campo da gioco. Tutti lo guardavano e lo leggevano. Fece il segno della vittoria con le dita verso i lettori ringraziando.
    Lo stadio era pieno.
    Si sedette sul campo da gioco e sfoderò una penna. La impugnò come una spada. Sistemò una pila di fogli a terra e iniziò a scrivere. Scrisse delicatamente e senza fretta. Il pubblico era in subbuglio.
    -Guarda come impugna la penna! - disse uno.
    -Guarda che prosa! - disse un altro.
    Damiano sorrise e rise. Le parole presero forma nel foglio come viscere dal suo corpo. Riempì di vita quegli esseri bianchi rettangolari ed abbandonati. Nel campo entrò un ennesimo giocatore. La folla lo riempì di fischi. Il suo nome? Simona.
    Si posizionò anche lei sul suolo ed estrasse un taglierino. Si tagliò il braccio senza riserve. Il pubblico si spaventò e si scombussolò. Damiano si agitò inconsciamente.
    -Calma, Simona, diamoci una calmata! - le disse facendole segno di smetterla.
    Simona sollevò lo sguardo seria verso il pubblico. Sollevò il braccio insanguinato e gridò:
    -A tutti voi! La mia arte! Il mio sangue! La mia vita! Mi ci gioco il corpo e lo spirito, mi ci gioco il dna!
    Damiano la ignorò e proseguì delicatamente a tessere le sue lettere perfette.
    Simona si intinse una piuma nel braccio e ne inzuppò l'estremità.
    Fece un respiro profondo e fece scorrere la punta sul foglio.
    Le scritte presero forma in un inferno rosso. Lettere, di dimensioni diverse, ma tutte della stessa sostanza.
    Simona chiuse gli occhi e depositò il suo spirito nelle frasi, frasi veloci, bollenti, ipnotiche, frasi che ti aspirano, ti catturano, come una scopa a vapore.
    Damiano iniziò a sudare.
    Finì la sua pila di fogli.
    Fissò il pubblico e fece il pollice in su sorridendo. Ma lo ignoravano. Erano tutti presi a vedere quello spettacolo orribile e al contempo affascinante.
    Erano tutti presi a vedere una persona scrivere a quella maniera.
    Simona sorrise. Si asciugò la fronte. Poi si sdraiò. Guardò il cielo. Inspirò l'aria pura e limpida di una giornata magica, e solare. Poi tornò a fissare i fogli su cui aveva appena scritto, il sangue ancora gocciolante dal braccio.
    Afferrò i fogli e si alzò in piedi, ordinata e precisa.
    Li impugnò con entrambe le mani in posizione orizzontale e li strappò come se fossero una rubrica telefonica. Il pubblico pianse e si sconvolse. Alcuni risero per riflesso condizionato o nervosismo. Tenendo i fogli divisi in due guardò il pubblico. Sorrise e li strappò nuovamente. In quattro parti, otto, sedici, ventiquattro, trentadue...
    Finito di strapparli li lasciò andare con grazia nel vento. Come coriandoli a carnevale si mossero via dalla stadio, e sparirono nel nulla.
    Il pubblico gridò. Disapprovazione, confusione. Simona afferrò un microfono che aveva nella tasca della felpa e iniziò un discorso:
    -Grazie a tutti per avermi visto, per aver visto la mia scrittura soprattutto. La mia scrittura, è il mio sangue, il mio tempo, la mia vita. Scorre per me come i secondi, i minuti. Non ha importanza. Non più di tanto. La posso strappare. Produrne ancora. Cresce, insieme a me. Cresciamo insieme. Niente è infinito, e neanche la mia scrittura. Dura, come i minuti della mia esistenza, poi svanisce, nel nulla del vento. E' tutto. Grazie ancora a tutti. E ora premiate pure Damiano, io qui ho finito il mio compito. Arrivederci.
    Damiano sconvolto raccolse i suoi fogli, i suoi racconti, e li baciò gelosamente.
    Ricevette il microfono da Simona che glielo passò prima di andarsene.
    Titubante, iniziò a parlare anche lui.
    -Eccomi, sono pronto ad essere acclamato, questo è il mio lavoro, la mia arte immortale! Dov'è la mia medaglia? - disse.
    Il pubblico tacque.
    Il giudice si incamminò nel campo portando la medaglia. Prese il microfono anche lui.
    -E' stato uno scontro interessante, ecco qui, due scrittori diversi. La sfida, chi l'ha vinta? Non lo so sinceramente. Questa medaglia... questo pubblico... questo stadio... possono anche andarsene al diavolo! - gridò.
    Damiano rimase lì come un albero. Poi in silenzio si mosse verso lo spogliatoio.
    Ragionò su come migliorare.
    Simona stava facendo lo stesso.
    Lo stadio esplose contro il giudice, massacrandolo di insulti e minacce. Volevano un vincitore. Avevano pagato per un vincitore. Ma a volte, semplicemente, un vincitore non c'era, e non c'era niente che si potesse fare.
    Damiano e Simona uscirono dallo stadio e si presero per mano.
    -Andiamo a berci qualcosa? Offro io - disse Damiano.
    -Va bene - rispose Simona e si distanziarono da tutto quello che era appena successo, come se non fosse mai successo, ma piuttosto come se entrambi erano stati al cesso, durante tutta la durata dello stesso.
    Lo stadio si autodistrusse e i due camminarono insieme verso un nuovo inizio, o forse, verso la fine del capitolo.
     
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    Capitolo 50 - Agitare prima dell'uso

    Carmela uscì da un bosco, e dai cespugli insidiosi e si infilò nella jungla nera. Dentro quell'inferno notò che il suo unico pensiero era Topolino. Notò una tigre che si faceva avanti minacciosa e arguta, sazia, ma neanche tanto. Si avvicinò, ma non parlò. Emise un verso. Era un animale. Gli animali non parlano.
    Dentro la jungla si nascose nel bujo e nessuno la vide chiaramente.
    Aspettò che la tigre passò e prese la direzione opposta. Si arrampicò su un animale, cioé, su un albero, ed afferro una banana, come se fosse una scimmia, che è un animale.
    Saltò da un ramo all'altro bestemmiando e si posizionò su un albero che le piaceva particolarmente.
    Si sbucciò la banana e la mangiò. Mentre la mangiava guardò in giù. La tigre l'aveva individuata. Si nascose dietro il suo dito, e fu di nuovo invisibile agli occhi della tigre. Sempre dietro al suo dito, si tuffò dal vuoto dell'albero flettendo i muscoli. Atterrò sul dorso della tigre e urlò in cinese, spaventandola.
    La cavalcò per cinque metri, poi la tigre frenò e la fece cadere in un lago.
    Nel lago c'era un alligatore. Carmela sentì l'alligatore avvicinarsi e si nascose dietro il suo dito, e tenendolo alzato nuotò via dall'acqua.
    Poi si voltò verso l'alligatore.
    -Vieni - lo sentì dire.
    Tornò in acqua ed entrò nella sua bocca. L'alligatore la mangiò uccidendola ed eliminandola dal pianeta terra. Dopodiché Carmela resuscitò in un punto diverso della zona, precisamente da dove era partita.
    -Finito le vite? - le domandò un gatto di passaggio.
    -No, sto a posto, tieniti le tue - rispose Carmela.
    Mentre tutto ciò avveniva Domitilla camminava verso un edificio non specificato.
    Per la strada vide Susanna chiamarla e gridare:
    -Domitilla, ci hai rotto i coglioni con questi tuoi pensieri assurdi su Carmela! Hai sprecato un capitolo! Io non compaio da tanto, eh.
    Domitilla sussultò e guardò verso la direzione della voce di Susanna.
    -Ah, ma certo, tu sei Susanna, si, anche a me piacciono le mele - rispose Domitilla e proseguì a camminare.
    Susanna si fumò un canna e camminò via.
    Nicoletta era arrivata tardi, voleva fare un entrata di scena spettacolare, ma trovò chiuso e tornò nel suo acquario.
    Damiano si tuffò dentro se stesso, e ne uscì con un turbante e una veste da sacerdote. Si diresse per la strada lanciando acqua e benedicendo le persone.
    Viola si fermava a ogni metro che passava, e da qualche parte, con un coltello incideva i vetri, gli alberi, i muri, con la scritta: Viola è stata qui, stare alla larga.
    Simona si bevve una bottiglia di Fanta, tentando di fare pubblicità, e di riscuotere qualche soldo ma fallì e dovette tornare a pulire i cessi della zona per dieci euro l'ora.
    Elena provò a leggersi la mano ma le venne il mal di testa e lasciò perdere.
     
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    Capitolo 51 - Opposizione

    Carmela si guardò allo specchio. Strizzò gli occhi e mosse lo sguardo per capire meglio cosa aveva di fronte. Guardò la sua immagine riflessa.
    -Si, ma...
    -Dimmi, dimmi pure... - rispose lo specchio.
    -Si, ecco, io... c'è qualcosa che non va, qualcosa che manca, nell'immagine, ma non so cosa...
    -Cosa vuoi che manchi?
    -Non lo so è che... per quanto la guardi, sembra... non esistere... sembra sfocata...
    -Ma di preciso, qual'è il tuo problema Carmela? - domandò Viola dal salone della casa.
    Carmela la udì, e salutò lo specchio.
    Entrò in salone e si sedette sul divano.
    -Qual'è il mio problema? Il mio problema non è quello che so, perché so benissimo tutto quello che c'è da sapere... il mio problema è quello che non so...
    -Cosa ti tormenta?
    -Tutto.
    -E quindi che vogliamo fare?
    -Niente... che vuoi farci...
    -Ci sarà qualcosa, no?
    -Lo pensavo anche io, ma... a volte... non c'è niente che tu possa fare di concreto se non hai le conoscenze che ti mancano.
    -Ma vaffanculo.
    -Si, mandami pure a fanculo, tanto lì fuori è pieno di gente, che vuole essere intrattenuta, capita e compresa, eppure, non sempre è possibile, non posso aiutare tutti, non io.
    -Sai, una volta mi ricordo che ho speso un pomeriggio a fissare il soffitto e sai cos'ho capito?
    -Cosa?
    -Niente.
    Carmela sbuffò e guardò negli occhi Viola, cercando di capire se sembrava abbastanza minacciosa.
    -C'è una cosa che puoi fare, Carmela.
    -Cosa?
    -Parlare. Parla. Usa le parole. Usale bene.
    -Tipo come non fai tu?
    -Devi vincere, lascia perdere la vittoria, devi imparare a vincere le sconfitte, è l'unica via di uscita...
    -Sai, una volta ho pensato... anzi, mi chiedo, in realtà... se in fondo esisto... se tu esisti... se quello che penso esiste...
    -Non ha importanza, se esiste. L'importante è che funzioni.
    -Immagino...
    -Guardati attorno, guarda te stessa. Tu. Chi sei? Lo sai chi sei?
    -Si.
    -Bene, se sai chi sei, devi capire ciò che devi fare, ciò che devi portare avanti, e ciò che devi abbandonare, e ciò a cui ti devi opporre.
    -E se invece non fossi proprio nulla?
    -In quel caso, puoi fare ciò che vuoi. Tanto non puoi sbagliarti. Ora devo andare a sbattere la mia testa sopra il coltello del pane, ho perso una scommessa... comunque Carmela, riguardati, e cerca di capire, che anche lì allo specchio, è l'immagine sfocata, è il visto e non visto, il tuo reale punto di forza... non devi essere per forza come gli altri... non si basa lì il percorso di un essere umano, il reale percorso... puoi giocare con la normalità finché vuoi, ma prima o poi arriverai alla conclusione, che una normalità non esiste, perché nessuno di noi è normale, e anche quelli lì, beh, di loro non ti fidare mai, la facciata illusoria della gente non ha limiti, è infinita più delle vie del signore...
    -Di chi parli? Aspetta, non te ne andare...
    -Adesso basta! Devo andare! Hai capito però! Ci rivedremo e ti ucciderò, ma fino ad allora riguardati perché non si può fare il protagonista se si ha questa attitudine...
    -E chi lo dice? Lo dici tu? E se invece lo facessi anche così?
    -Bene, vedo che hai capito, era per metterti alla prova, beh, ciao, ora devo proprio lasciarti... - disse Viola sparendo in una nuvola di fumo al sapore di marijuana.
    Carmela rimase a fissare il vuoto barcollando. Si portò le mani alla testa e gridò.
    Respirò affannosamente e si guardò intorno.
    Che capitolo era? Che anno era? In quale epoca assurda era finita?
    Tutto era inutile e assurdo. Tutto era inutile e assurdo per un genio idiota.

    Edited by Matthew97 - 19/2/2017, 18:12
     
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    Capitolo 52 - Ali verso il limitato

    Nel mentre del mantra dell'anatra mentale di Damiano qualcuno volle fare delle rime che era meglio non fare.
    Quel qualcuno era Carmela.
    -Sai, che ti dico Damiano? Beh... - iniziò Carmela.
    Damiano si sconvolse e si contorse nelle sue ventose vischiose e oleose.
    Beh, aveva finito?
    -No, non ho finito, Damiano, ci sarebbe anche... e...
    Damiano si sentì colpito e affondato. Rimase a guardarla nella nebbia.
    In silenzio sentì il suo cuore spezzarsi.
    Distolse lo sguardo preoccupato.
    Carmela rise, senza preoccupazioni.
    Poi sentì avvicinarsi qualcuno.
    Era Elena.
    -Carmela... ma ti sembra il caso di dirgli quelle cose? Dai! - gridò a bassa voce.
    Carmela si fermò un attimo a pensare.
    Aveva sbagliato.
    Lo capì quasi subito.
    Intorno a lei vide improvvisamente Nicoletta e Viola ridere sbavando e schizzando sputi di saliva mentre schiamazzavano.
    Non la soddisfaceva.
    Damiano si allontanò in fretta, pensando a ciò che era successo.
    Lei, lei che... lei che lui... lui la... come poteva...
    Si nascose nel suo ego, e nella sua rabbia e divenne un assassino silenzioso dal cuore ferito.
    Carmela guardò Damiano allontanarsi da lei. E in quel momento capì che sarebbe stato per sempre.
    La sua mente era lì a tormentarla.
    Hai sbagliato... Carmela... non dovevi farlo... l'hai tradito... lui ti amava... lui ti rispettava... lui ti apprezzava... lui ti stimava... e tu l'hai tradito... senza motivo... senza pensarci... per far ridere qualche secondo Nicoletta e Viola... Viola...
    Sentì la mente pulsare. Sentì le tempie eruttare ed evaporare.
    Viola e Nicoletta le saltarono addosso e dandole pacche sulle spalle la portarono verso il loro affetto.
    -Non voglio il vostro affetto, se non ve ne andate vi affetto!
    Viola le diede un pugno.
    -E invece lo vuoi, perché tu sei me, ed io voglio amarmi!
    -Non ho capito che ha detto Viola, ma sono d'accordo! - gridò Nicoletta a un tono di voce eccessivamente alto e inquietante.
    Carmela si rialzò sanguinando dal naso. Si fermò il sangue con la mano.
    Poi sentì il cervello pompare, e sentì uno scoppio leggero.
    Dalle orecchie le uscì un pezzo di cervello, e sentendolo uscire tutto definitivamente, con un calore fuori luogo in quell'inverno, si accasciò sulla strada, in un mondo gommoso e soffice, dove perse il senso dei numeri e delle proporzioni, dove mischiò il male col bene, e dove le pene, le sue pene erano distorte e nascoste nell'oscurità di un universo che solo lei conosceva.
    Niente ebbe più senso, per un bel po' di tempo, per tantissimo tempo. Quando riaprì gli occhi, venti giorni dopo, era in una stanza poco familiare. Diede una gomitata alla finestra più vicino e si gettò da essa.
    Si ruppe le gambe e si accasciò in quelli che erano dei cactus.
    Mentre le spine la pizzicavano e la pungevano, Damiano si avvicinò, e la guardò.
    -Damiano, ti prego dimmi qualcosa, che giorno è oggi, che aria tira a topolinia?
    -Oggi è domenica... - rispose Damiano e lo fece con tutta la passione minima che disponeva, le sue parole scivolarono in un pozzo infernale e furono filtrate da un imbuto di indifferenza.
    Carmela allungò la mano e gli parlò, gli domandò.
    Damiano, era lì, ma semplicemente, non era lì.
    Carmela sentì il veleno assorbirla e squagliarla, e si assopì.
    Quando aprì gli occhi, stavolta era a casa sua. Si alzò di scatto ma la sua lingua le si era attaccata al pavimento ghiacciato. Senza volerlo lo sollevò, per poi riporlo come un tappeto.
    Sentì il cervello... no, non lo sentì.
    Voleva solo morire.
    Si diresse verso il frigo e si stappò una bottiglia di vino.
    Bevve finché non perse le sue normali funzioni e scrisse a Damiano un messaggio.
    -Ciao... beh, sappi che hai... e sei...
    Sentì il corpo riempirsi di adrenalina.
    -Ora risponderà, no? No? - pensò Carmela.
    Continuò a bere finché non le si appannò la vista.
    Si risvegliò a casa di Damiano.
    Non riuscì a dirgli nulla.
    Fuggì immediatamente, e per la strada prese un palo sulla testa. Cadde svenuta, e senza sensi.
    Quando riaprì gli occhi era di nuovo in casa di Damiano. Lo vide a letto, malato. Distrutto.
    Si diresse verso la madre, e le parlò.
    -Signora cos'ha suo figlio?
    -Laringite.
    Carmela non rispose.
    Si dileguò nella nebbia e sparì nel confine del mare Adriatico.
    Mentre era tra le nuvole, solcando i cieli, prese il cellulare e gli mandò un messaggio.
    -Damiano, buona guarigione... sappi che... e mi... pace?
    Vicino a Carmela c'erano Susanna e Simona che provavano ad aiutarla.
    -No, fai così, meglio colà - disse Susanna.
    -Mandaglielo così come ti abbiamo detto noi - disse Simona.
    Carmela premette il tasto invio e cadde dal cielo verso l'oceano.
    Perse i sensi, e svenne.
    Riaprì gli occhi dentro la pancia di un pesce gigante.
    Gridò:
    -Pesce, quanti giorni sono passati?
    -Tanti, Carmela, tanti... - rispose.
    Carmela si sommerse insieme alla saliva del pesce e compose le sue ultime parole, le ultime parole dal più profondo del suo cuore.
    -Damiano, mi dispiace davvero tanto, non ero in me, sono stata impulsiva, non so perché mi sia capitato, e vorrei davvero risolvere il problema, non so se te la sei presa, sono stata una cogliona e lo so, e lo ammetto, se vuoi odiami, e insultami, quello che dovevo dirti te l'ho detto...
    Premette invio e si sdraiò nel giardino dell'eden, con dei fiori come cuscini, guardando dio che si rilassava su un amaca. Degli uccellini la salutarono.
    Le girava la testa.
    Un serpente le si avvicinò.
    Lei ebbe un conato di vomito e lo inondò di liquido marrone.
    Poi si alzò traballando verso dio. Inciampo' su un ape e sbatté la guancia su un cespuglio. La sua struttura ossea mutò e divenne un cerchio, un quadrato, e un ominide.
    Dio si grattò la barba e rise.
    Carmela emise dei ruggiti, e corse via, saltando da una parte all'altra, sparendo in un unico colore, viola, e dei lampi da discoteca.
    Si ingoiò fino a diventare una palla, e qualcuno la usò per schiacciare in una partita di basket.
    Carmela, la palla.
    Damiano, stanco e afflitto, ammalato, e senza affitto, prese il telefono e vide il messaggio. Rise, e si lasciò morire sul letto.
    -Carmela... non ti perdonerò... non ti perdonerò mai... - e si addormentò in una vasca di petali e serpenti velenosi.

    Edited by Matthew97 - 2/23/2017, 03:23 PM
     
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