We've got to get in to get out

Avevano combattuto fino allo stremo contro se stessi per dimenticare tutto ciò che avevano passato, tutto il tempo che avevano lasciato indietro e ora non ricordavano neanche il perché.

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Moderatore
    Posts
    14,567
    Scrittore
    +737
    Location
    Hueco Mundo

    Status
    Anonymous
    Hai capito Brat. Sa essere romantico.
     
    Top
    .
  2. Brat Fitzparker
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Sa essere romantico con le chiavi di una scuola elementare e due hot dog, già. Un cazzone con una chiave e un panino fa miracoli.
     
    Top
    .
  3.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Moderatore
    Posts
    14,567
    Scrittore
    +737
    Location
    Hueco Mundo

    Status
    Anonymous
    Vero :D
     
    Top
    .
  4.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    722
    Scrittore
    +21

    Status
    Offline
    Scrittura fantastica, mi è piaciuto anche questo capitolo
    Sono quasi sicuro che vino e erba insieme non siano molto compatibili, ma forse Jackie avrà da ridire su questa mia affemazione :D

    Edited by Matthew97 - 3/6/2016, 20:08
     
    Top
    .
  5.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Moderatore
    Posts
    14,567
    Scrittore
    +737
    Location
    Hueco Mundo

    Status
    Anonymous
    Vino ed erba non compatibili? Be', diciamo che se lo stomac protesta, il cervello gioisce XD
     
    Top
    .
  6.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    722
    Scrittore
    +21

    Status
    Offline
    Beh, tu provaci xD
     
    Top
    .
  7.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Moderatore
    Posts
    14,567
    Scrittore
    +737
    Location
    Hueco Mundo

    Status
    Anonymous
    Evito, grazie XD
     
    Top
    .
  8.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    722
    Scrittore
    +21

    Status
    Offline
    :D
     
    Top
    .
  9. Brat Fitzparker
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Veramente vino e erba non hanno nessun tipo di interazione, nel senso, sono cose che puoi assumere contemporaneamente senza star male. L'alcol fa reazione con tutte le sostanze stupefacenti tranne la Maria. In ogni caso il punto è che l'effetto è tipo soporifero, se fai le due cose insieme dopo un'oretta ti accasci al suolo e dormi come un bambino. Certo, quando ti svegli non capisci un accidente di quello che ti succede intorno, ma sei riposato e felice.
    Jackie non da' mai consigli a vanvera.
    A proposito, ho letto che vi incuriosiscono Mary, Jane e Brat, ma Jackie l'avete nominato poco e di sfuggita, è il personaggio che non è reso al meglio o non pensate che sia rilevante?
     
    Top
    .
  10.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    722
    Scrittore
    +21

    Status
    Offline
    No, anzi. E' un personaggio interessante.
    Forse anche più di Brat.
     
    Top
    .
  11. Brat Fitzparker
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Oh, perfetto. Mi stavo arrovellando il cervello, chiedendomi come avrei potuto renderlo più interessante, più.. di rilievo.

    God save the queen!


    Erano le dieci e mezza di mattina quando Brat e Mary rientrarono a casa. Si tenevano a una certa distanza, tentavano di nascondere cosa fosse successo. Avrebbero voluto tenersi per mano, magari, ma non avevano intenzione di scatenare gli indiscreti commenti di quegli idioti dei loro amici. In effetti l’unico a sapere ufficialmente che quella notte quei due erano usciti insieme era Spike.
    -Buongiorno- mugugnò Brat stiracchiandosi e entrando nella stanza comune in fondo al corridoio. Appena dopo di lui entrò Mary che si limitò a fare un breve cenno con il capo.
    Sul divano Jane e Spike se ne stavano seduti scomposti a fissare le pareti sbuffando, Eddy invece era sdraiato a terra a pancia in giù e leggeva attentamente un grosso volume con le pagine plastificate. L’odore di libro scolastico riempiva l’aria, era impossibile non percepirlo. Poi c’era Jackie, che se ne stava in piedi al centro della stanza con le spalle rivolte all’ingresso gesticolando come un matto. Stava illustrando agli amici la grandiosa idea per la festa che stava organizzando: quella sera casa loro sarebbe stata un tripudio di corpi sudati e ragazzini ubriachi che ballavano contro le pareti e scopavano nello sgabuzzino, in cucina, in bagno sopra il lavandino, insomma, ovunque ci fosse posto. Quando la nuova riservata coppietta superò l’uscio il ragazzo ammutolì, annusò l’aria e, senza neanche voltarsi, si guardò indietro, oltre la sua spalla. Osservò il viso dei due, strinse appena gli occhi, come per vedere meglio dei particolari che altrimenti gli sarebbero sfuggiti e sulle sue labbra si dipinse un ghigno al contempo divertito e malvagio, come se tutto quello fosse terribilmente spassoso e dannatamente sbagliato allo stesso tempo. Puntò il bastone contro i ragazzi.
    -Voi due idioti avete fatto sesso!- concluse esultante.
    -Che diavolo stai dicendo Jackie? Devi piantarla di drogarti- rispose Brat, tentando di sembrare più disinvolto possibile sfoggiando il sorriso più arrogante che possedeva. Era un ottimo attore, questo possiamo concederglielo, ma a tradirlo fu il rossore delle guance di Mary che divampò, nonostante lei tentasse di mantenere un’espressione sobria, controllata.
    -Oh, non prendermi per il culo, nanetto, l’odore di sesso si sente lontano un chilometro, dove avete consumato, giovanotti? In macchina o avete affittato una calda stanza d’albergo? Nah, vero, le tue finanze sono abbastanza ridotte, se non sbaglio. Un albergo costa troppo. E ditemi, si tratta di sesso occasionale o le hai finalmente detto di essere fottutamente cotto? Con il preservativo o senza? Dubito che la nostra principessa prenda anticoncezionali, dunque? Ricordate, coito interrotto, 30%, è importante!- rideva istericamente e il suo tono era tagliente come la lama di un rasoio. Era evidente che volesse metterli in imbarazzo, forse sperava che questo spingesse la biondina a voler evitare di rifarlo con quel ragazzetto di periferia, o magari, semplicemente, trovava divertente vederla arrossire e far incazzare lui.
    -Ah, sta zitto Jackie, dannazione!- grugnì Brat.
    -Quindi è vero?- chiese Jane, sorridendo. Conosceva la risposta, ma il gioco dell’imbarazzo divertiva anche lei. Dal canto suo di certo non apprezzava il fatto che uno dei suoi più cari amici fosse caduto nella trappola della ragazzina, ma si era accorta da un pezzo di cosa provasse, aveva notato come la guardava ed era innegabile che ne fosse attratto. Riconosceva quello sguardo, lo sguardo con cui lei aveva guardato Max per anni prima di scoprire che… Dio, Max. Ogni volta che ci pensava non sapeva da che parte voltarsi. Neanche la sua mente sapeva reagire, ma di certo il ricordo delle sue labbra le faceva scivolare un brivido su per la schiena, un brivido che riportava a galla una serie di ricordi banali, come quello del suo profumo, un brivido che avrebbe preferito non dover sentire ancora. Scosse la testa.
    -No che non lo è, siete degli idioti- continuò il nanetto, ma il broncio che ora distorceva il suo viso diceva il contrario.
    -Ah si che lo è- continuò la rossa –Andiamo Brat, riconosco quella faccia. Dove l’hai portata? Alla Christie Road? Al Gilman non penso, non le sarebbe piaciuto e di certo hai voluto fare qualcosa di diverso per…bè, una come lei, allora, dove siete stati?- Mary si morse il labbro abbassando lo sguardo. Si era rassegnata all’idea che nella sua vita non ci potesse essere più niente di intimo o personale, ma ancora non si era abituata. Spike sbuffò.
    -Alla Rodeo Elementary School- rispose distrattamente, come se il muro che fissava intensamente fosse così dannatamente interessante da richiedere tutta la sua concentrazione. A lui, in effetti, di quelle storie importava poco e niente. Non gli interessava sapere con chi era andato a letto il suo migliore amico, anche se, purtroppo, lo sapeva sempre. Non gli interessava che Jackie fosse chiaramente geloso di quella storia, certo, era evidente, anche se Mary non sembrava essersene accorta e neanche Brat, ne gli interessava capire il perché. Non gli interessavano quelle stronzate idiote sul mettere in imbarazzo quei due poveri disgraziati, ma sicuramente era divertente mettere in difficoltà quel nanetto irritante. Sapeva che un giorno glie l’avrebbe fatta pagare e non vedeva l’ora.
    -Spike!- lo ammonì Brat.
    -Oh, andiamo, ti hanno beccato!- ora rideva con gli altri, mentre il ragazzino diventava sempre più rosso e nervoso.
    -Oddio, ma quella è roba da veri porci! In una scuola elementare? Dannazione, e poi osate dare a me del pervertito- esclamò Jackie.
    -Oh, ma tu lo sei, cazzo se lo sei- rispose Spike.
    -E bravo il mio Brat! E brava la mia Mary! Com’è fare sesso con qualcuno che dopo non ti paga eh? E che non ti chiama puttana mentre ti spinge il cazzo in fondo alla gola?-
    -Jane, adesso non fare la stronza- ormai i due erano sotto assedio e la loro fortezza era stata espugnata. Non restava che salvare il salvabile, come l’onore della biondina.
    -Cosa c’è? Sei invidiosa che a me scopino sia per soldi che per amore e che a te non lo facciano ne per l’uno ne per l’altro?- l’intera stanza piombò nel silenzio. Le parole di Mary risuonavano ancora fra le pareti. Persino Eddy, che fino a quel momento era rimasto a testa china sul suo libro nel tentativo di continuare a studiare, aveva alzato lo sguardo su di lei. Jane rimase basita, non riusciva neanche a rispondere a tono. La principessina aveva risposto, la principessina non aveva mai risposto, accidenti. Si alzò in piedi e, inaspettatamente, iniziò ad applaudire.
    -Cazzo si- disse –Cazzo si!- ripetè –Così ti voglio!-
    -Complimenti, cazzo, questa era buona, Jane, ti ha proprio distrutta- Jackie ora rideva, quasi commosso dall’atteggiamento da perfetta ragazzaccia che la sua madamigella aveva appena sfoggiato. Era soddisfatto. –Dovremmo festeggiare la novella coppia di sdolcinati amanti che fanno l’amore nelle scuole elementari e la chiara visione dei testicoli della la nostra cara Mary con… una festa!-
    -Jackie, non ci sarà nessuna festa- disse il batterista.
    -E perché, genio?-
    -Perché devo studiare-
    -E io ho una giovane meretrice di nome Stacy che devo plagiare con tutta la mia virilità, ma non per questo rompo le palle a te, e poi tu puoi tornare dalla mammina, se proprio non ti va'- rispose, gelido. Era troppo arrogante, sicuro di se stesso e della sua intelligenza per comprendere il perché un ragazzo dalla mente mediocre dovesse sprecare il suo tempo a studiare legge, quindi non riteneva suo dovere permettergli di farlo in quella casa.
    -Sta sera la festa si farà, ho già avvertito tutti e ho anche pulito casa!-
    -Davvero?- chiese Brat. –Davvero?- fecero eco tutti gli altri. Lui alzò un sopraciglio.
    -No, ma lo farò e la festa si farà!-

    La casa era piena di gente, già stracolma e stavano ancora arrivando, uno dopo l’altro. Neanche Jackie sembrava conoscere tutti quei ragazzi e ragazze vestiti da punk che si muovevano avanti e indietro per le stanze e che ballavano sulle note di Teenage Lobotomy dei Ramones. Ovunque ci si voltasse c’erano capelli tinti, creste, vecchie magliette strappate e sdrucite di vecchi gruppi e borchie luccicanti che riflettevano la luce di qualche lampadina colorata che avevano messo per illuminare l’ambiente. Jane era appoggiata accanto alla porta d’ingresso, in mano stringeva una bottiglia di rum da quattro soldi preso a un 7-11 non lontano da lì. Osservava silenziosamente la gente che entrava, li salutava come se li conoscesse, ma in realtà non aveva altro interesse se non sbronzarli e studiarli, uno per uno.
    -Frank!- dal fondo del corridoio si sollevò la voce di Brat, quando ad entrare fu un ragazzetto basso con i capelli tinti di verde e due grandi, enormi occhi azzurri. Indossava una vecchia anonima maglietta bianca e dei bermuda verde militare. Era abbastanza eccentrico, come tipo, e non solo per i bermuda in pieno inverno.
    -Nano bastardo! Come va’ la vita?- rispose, urlando e sollevando le mani nel quale stringeva una bottiglia di Jack Daniels e una busta bianca accuratamente avvolta intorno al suo contenuto. Aveva una voce stridula, decisamente fastidiosa per una ragazza a cui si prospettava una serata da sbronza mortale. L’ennesima.
    -Da Dio! Accidenti, non credevo saresti venuto-
    -Oh, dannazione, ma secondo te mi sarei perso la possibilità di bere a scrocco e di scopare? Andiamo, mi stupisci!- il nano con gli occhi verdi sembrò, avvicinandosi alla porta, accorgersi della presenza della rossa, così le sorrise, voltandosi.
    -Jane, lui è Frank, uno dei batteristi più assurdi che potresti mai incontrare. Se non sarà il rum a farti ridere come un’idiota ci penserà lui! Vecchia testa di cazzo, sei qui!- esultò, prendendolo sotto braccio.
    -Piacere madamigella- disse lo strano tipo, mimando un rocambolesco inchino che lo fece quasi inciampare addosso a lei.
    -Piacere mio, messere- fece una piccola riverenza per assecondare quella idiozia e sorrise, ma quella sera non aveva proprio voglia di giocare o fare l’idiota, non aveva voglia di quella festa. Capitano a tutti, no? Le sere in cui hai bisogno di stare solo perché sei semplicemente stanco di sentire la gente che pensa intorno a te, come se i cervelli facessero un casino infernale.
    I due ragazzi si allontanarono e Jane, dopo una decina di minuti che nessuno suonava più alla porta, fece per andarsene, a caccia di prospettive migliori. Cinque passi e il campanello trillò. Non fu lei ad aprire la porta, semplicemente si volse e la vide.
    Sull’uscio una ragazzina minuta la stava fissando con un espressione simile a quella che aveva sfoderato Brat quando l’aveva rivista fuori dalla sua porta. Una ragazzina con i capelli blu, lunghi quasi fino alle spalle. Erano disordinati, tagliati alla ben e meglio, la facevano sembrare quasi un folletto. Li aveva sempre tagliati da sola, certe cose non cambiano, a volte. Sulle labbra il rossetto nero sembrava voler mettere in risalto il cuore perfetto che formavano, la sua carnagione candida e quegli enormi occhi castani, sottolineate da pesanti occhiaie, occhiaie che lei conosceva molto bene. Cosa poteva essere? Coca, eroina, crack? Faceva qualche differenza? E aveva importanza?
    Max era sempre stata bellissima, sempre, ed era passato così tanto, quattro lunghi anni, anche se a guardarla sembrava che il tempo si fosse fermato.
    -Sei tornata…- sussurrò, come disorientata, ma lo fu solo per un istante, poi sembrò riscuotersi.
    Sulle sua labbra spuntò un sorriso freddo, arrogante, affilato più d’un coltello da macellaio.
    -Ma guarda un po’, chi non muore si rivede, eh, Jane?- domandò, ironica. Dal canto suo, la rossa non sapeva ne cosa dire, ne cosa fare. Semplicemente la fissava con la bocca aperta, sperando che la sua mente riuscisse a formulare un pensiero sensato, ma sembrava avere ben altro da fare che aiutarla a non sembrare un automa, impegnata com’era a osservare un pezzetto non indifferente del suo passato incrociare le braccia e squadrarla da capo a piedi. –Vedo che le vecchie abitudini sono dure a morire- sentenziò, alludendo alla bottiglia che stringeva in mano.
    -…Max.. cosa ci fai qui?-
    -Mi ha invitata Brat, certo, se avessi saputo che ci saresti stata anche tu non mi sarei disturbata ad alzare il culo dal divano, ma ormai è tardi per tornare a casa, no?-
    -Suppongo di si- rispose Jane. La ragazzina con i capelli blu la guardava come se si aspettasse qualcosa, delle scuse, magari, o delle spiegazioni, insomma, non è roba di tutti i giorni rivedere la ragazza con cui sei stata per due anni e che, invece di lasciarti come fanno tutti i comuni mortali, aveva scelto l’opzione ben più teatrale di scomparire definitivamente dalla faccia della terra con il suo migliore amico, senza lasciare ne un biglietto, ne una traccia, ne un segno, ne qualsiasi altra dannatissima cosa. Senza dire niente a nessuno, nemmeno ciao. Sbuffò alzando gli occhi al cielo.
    -Non hai proprio niente da dire?-
    -E cosa dovrei dirti?- sembrava aver perso il dono della parola. Non aveva considerato la possibilità di rivederla. Non pensava neanche che fosse ancora a Rodeo, un tempo parlava di trasferirsi a Los Angeles e fare la vita da diva del Rock a drogarsi e a riempirsi di debiti. Non era un gran sogno, ma a quei tempi le sembrava grandioso e pensava che l’avesse realizzato, non che fosse finita anche lei in quella città di merda che era Berkeley, a venti minuti da casa.
    -Oh, ciao Max! Alla fine sei venuta!- salutò Spike, da dietro le sue spalle, ma la ragazzina lo ignorò del tutto, come se non esistesse.
    -Non lo so, ciao, scusa, sono una merda, scegli tu, giustificati tu- disse.
    -Non.. posso giustificare quattro anni di silenzio con quattro parole, non pensi?- Max sembrò rifletterci su.
    -Max..?- continuò lui da dietro le spalle della rossa, con un tono quasi allarmato. La sua espressione lo preoccupava e non poco.
    -No, in effetti non hai tutti i torti, allora comincio io, ti va?-
    -Par…-Jane non fece in tempo a finire la frase che un piccolo pugno si infranse dolorosamente contro suo naso, facendola cadere all’indietro. La ragazza si tastò le narici e vedendo le dita sporche di sangue ve le premette contro, per bloccarne la fuoriuscita. Forzuta la creatura.
    -Max! Ma che diavolo..?- ora la versione maschia di raperonzolo osservava la scena impietrito. Si era dovuto scansare perché la sventurata non gli finisse addosso. Non sapeva neanche cosa fare, ma dalle pupille dilatate e dagli occhi rossi era chiaro che non fosse nel pieno delle sue facoltà mentali. Miss testa blu fece le spallucce.
    -Un vecchio debito- rispose con semplicità, per poi accovacciarsi davanti alla ragazza. Le si avvicinò all’orecchio tanto da farle sentire il proprio respiro caldo sul collo –Se fossi in te mi guarderei le spalle, stronza. Ben tornata.- mormorò, per poi alzarsi a superarla con un passo.
    Jane, invece, rimase immobile per terra in mezzo al corridoio per un altro minuto, per poi trascinarsi contro il muro, avvicinare le gambe al petto, mollare il naso, lasciando che sanguinasse ancora un po’ e mandando giù un lungo sorso di rum. Forse avrebbe dovuto incazzarsi, o quantomeno alzarsi e tentare di medicarsi, ma non lo fece, non fece assolutamente niente, in verità, sapeva di meritarselo. Sorrise poi, mordendosi il labbro. Le era mancata, oh si, diavolo se le era mancata.


    -Che ci fai qui da sola?- Brat si avvicinò gongolando a Mary con un sorriso idiota stampato in viso. Era evidentemente brillo e puzzava, oltre che di alcol, di sigarette ed erba. Lei se ne stava in disparte, poggiata contro il muro della cucina, accanto alla porta. Lì dentro non c’era quasi nessuno, altri tre ragazzi, oltre lei. Si sentiva tremendamente fuori posto a quella festa, quello non era il suo mondo e quelle persone la facevano sentire più sola che mai.
    -E con chi dovrei essere?- rispose, gelida. L’inverno nucleare era sceso di nuovo sui suoi occhi.
    -Non lo so..- abbassò lo sguardo –Con me forse?- sorrise dolcemente, ma lei non fece altro che incrociare le braccia e mettere il broncio, come i bambini.
    -Sei ubriaco- mugugnò. Lui sorrise ancora.
    -Ti stupisci? È una festa! Ho anche fumato, in effetti- Mary gli tossì in faccia.
    -Si sente-
    -Dai, non fare la bambina-gli posò delicatamente un dito sotto il mento e la baciò. Lei non fece resistenza. –Vuoi venire con me?- chiese. Il suo sguardo era malizioso, caldo, eccitato, eppure non riusciva a smettere di battere il piede a terra, seguendo il ritmo di Paradise City dei Guns n Roses, non riusciva a distrarsi dalla canzone. Lui la musica l’aveva in testa, pensò lei, notando quel movimento non dissimile da un tic nervoso.
    -E dove vorresti andare?- lui la strinse, spingendola contro la parete, le leccò il collo e avvicinò le labbra al suo orecchio.
    -Tu vieni- sussurrò. Lei lo spinse via con tutta la forza che aveva. Fu sufficiente per fargli fare un passo indietro e lasciare che la sorpresa si dipingesse sul suo viso.
    -No che non ci vengo con te. Puzzi da far schifo.- rispose, fredda, per poi uscire dalla stanza e in seguito, dalla casa. Brat non capì. Il punto era che da sobrio poteva essere anche l’uomo più romantico del mondo, ma lì la musica era troppo alta, l’odore dell’erba troppo forte e non era abituato ad andarci piano in quella situazione. Il cuore pompava adrenalina e THC in giro per il suo corpo. Era abituato a sciocche puttanella che non se lo sarebbero fatto ripetere due volte, che avrebbero abbassato le mutande in fretta davanti a uno come lui. Mary non era una principessa davanti ai suoi occhi annebbiati dalle sostanze tossiche che gli inondavano l’organismo, no, era solo una delle tante in una notte vuota come tante. Non riusciva neanche a ricordare che canzone avesse suonato al piano la sera prima, non poteva fermare l’istinto, era più forte di lui. Non si rese neanche conto di aver fatto un casino, anzi, si incazzò. Era arrabbiato, ed era ubriaco, non capiva cosa avesse sbagliato, non poteva capirlo. Si era sempre comportato così con le ragazze, in quei momenti, che accidenti c’era di sbagliato? Entrò nel soggiorno, camminava come un Dio, invisibile fra la folla di sconosciuti che riscaldava l’aria inondandola dell’odore della loro pelle. Spense la musica. Tutti si voltarono a guardarlo e lui alzò le braccia al cielo.
    -Signore e signori!- biascicò –Stronzetti di tutte le età, preparatevi, perché ora ascolterete i dannatissimi Sweet Youth!- quelle parole furono accolte da un’ovazione e quel poco che restava del ragazzino che era stato fino a poche ore prima ora scomparve definitivamente. Si avvicinò a grandi passi al fondo della stanza, dove riposavano l’amplesso di strumenti della band. Spike aveva sentito e, abbandonando la ragazzina con i capelli rosa con cui stava limonando contro il muro del corridoio, si era precipitato a prendere il basso per seguire il suo migliore amico con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra. Eddy non era presente alla festa, quell’idiota aveva troppo da studiare, doveva pensare al futuro, dannazione! Altrimenti cosa avrebbe potuto fare della sua vita? Perciò nessuno occupava il sedile in pelle dietro alla grancassa della batteria.
    -Frank!- chiamò Spike. Il ragazzo con i capelli verdi che era entrato con una bottiglia di Whiskey e una busta d’erba che aveva già provveduto a finire saltò fuori da dietro il divano e corse a sedersi nel posto vuoto alle loro spalle. Conosceva i pezzi a memoria, nell’ultimo periodo aveva suonato con loro un paio di volte, sostituendo il batterista colto e intelligente che aveva dovuto dare degli esami e ora era pronto a sfogarsi contro le dure pelli lavorate dei tamburi.
    C’era solo una cosa che riusciva a eccitare tutti e tre più del sesso, più della migliore droga al mondo, più di un salto con il paracadute o di una corsa contro la forza d’attrito sulla vecchia Dodge di Brat e quella cosa era la musica. La cura migliore ad ogni malattia, l’amnesia perfetta. Chi erano dietro a quegli strumenti? Chiunque avrebbero voluto essere, ecco chi. Una mistura esplosiva che pompava libertà dell’aria come un cuore pulsante di dinamite.
    Un perenne stato di shock che ti porta a vomitare i demoni che non sei capace di sostenere, certe volte, quando piangi e le lacrime inumidiscono la cartina della tua ultima sigaretta. Tutti vogliono andare in paradiso, ma a nessuno interessa morire e quello stato era quanto di più vicino ci fosse alla fine. Un modo per prepararsi all’estinzione.
    La testa quasi esplodeva, ma era così che doveva essere, era quello che volevano, era quello che voleva la gente e loro, santi caduti in un mondo che non gli apparteneva, erano pronti a darglielo.
    -One, two, one, two, three, four!..-


    Jackie sedeva in silenzio sulla poltrona con la schiena poggiata contro lo schienale e mentre la gente che aveva intorno sembrava essere felice lui non faceva altro che scrutare il nulla. La musica andava avanti, gli Sweet Youth avevano smesso di suonare e qualcuno aveva riacceso la radio. Fra le dita stringeva una sigaretta, Jane lo osservava sbuffare morbide nuvole candide che seguiva con lo sguardo, mentre gli si attorcigliavano intorno al suo viso. Non sembrava divertirsi, non sembrava neanche la stessa persona di sempre. La sua sagoma scura si stagliava contro i corpi che gli si agitavano intorno ignorandolo. Nella mano sinistra stringeva una bottiglia di vodka che teneva poggiata contro il ginocchio. Agitava nevroticamente il piede destro, come se fosse nervoso, come se stesse pensando.
    La ragazza forse era troppo ubriaca, forse troppo confusa per capire cosa avesse, ma era curiosa e non aveva niente da perdere, niente da fare. Aveva passato la serata a bere e osservare Max attraverso la folla senza avvicinarsi e a ballare sola contro il muro, tentando di liberare la testa. In faccia aveva ancora il sangue secco colatole dal naso dopo il pugno che Miss testa blu le aveva scaricato in faccia. Non era la prima volta che si prendeva un colpo così da lei, in effetti avrebbe dovuto aspettarselo, era piuttosto manesca. Un piccolo folletto dispettoso, fatto di rabbia e testardaggine, un veleno che ti corrompe l’anima poco per volta, e che aveva corrotto quella di Jane, tanto tempo prima, lasciando una venefica piaga incurabile. Troppo sbronza per parlarle, troppo poco per dimenticare di pensarci, un’intera bottiglia di rum non era abbastanza alcolica, lei lo era di più. Non era abbastanza forte, perché il ricordo della sua carne lo era di più. Scosse la testa rischiando quasi di inciampare e barcollò fino a lasciarsi cadere sul divano accanto a Jackie.
    -Che diavolo ci fai seduto qui tutto solo e triste?- biascicò, lasciando cadere in avanti la testa e prendendola fra le mani.
    -Non sono triste, sto pensando-
    -E perché lo stai facendo proprio adesso?-
    -Perché tutte le persone intorno a me non lo stanno facendo- rispose lui senza neanche voltarsi a guardarla. La ragazza lo fissò come se non capisse, infilandosi le dita fra i capelli e stringendo, come se provasse a comprimere il cervello.
    -Tutti tranne me- disse, al che lui la guardò, per notare il sangue secco sul suo viso e sulla vecchia maglietta dei Misfits che indossava.
    -Che ti è successo alla faccia?- chiese.
    -Oh, si, lascia perdere, le donne- sbuffò.
    -Le donne- fece eco il ragazzo.
    -Sembrano divertirsi tutti fottutamente tanto…-
    -Si, bè, perché, tu non ti diverti?-
    -No- rispose Jane ridendo. Non aveva idea del perché stesse ridendo, se glie l’avessero chiesto non avrebbe saputo spiegarlo e non le sarebbe importato di niente farlo. –Tu?-
    -No- ammise.
    Il vinile stridette nel giradischi e nella stanza risuonò la gracchiante voce di Johnny Rotten con God save the queen.
    Jackie gettò la testa indietro sullo schienale emettendo un verso del tutto simile a un orgasmo.
    -Questa canzone è il sesso- mormorò mordendosi il labbro, come se fosse estremamente eccitato.
    -Si, cazzo, questo suono è così.. mh, delizioso- gemette Jane e ai due bastò uno sguardo per capire, per capirsi. Un’occasione senza un significato e senza conseguenze. Non avevano più voglia di pensare.
    God save the qeen
    The fascist regime
    They made you a morone
    Potential H-bomb.

    Jackie sbatté con forza la porta dello sgabuzzino alle sue spalle per buttarsi addosso alla ragazza. Le morse le labbra e le guance, le morse il collo. Sulla lingua sentiva il sapore del sangue misto a quello dei distillati che entrambi avevano bevuto. La allontanò spingendola contro il muro per slacciarsi la vecchia cintura borchiata.
    -Spogliati- la voce scivolò tra i suoi denti quasi in un grugnito mentre allungava le mani verso i fianchi di lei per affondarvi le dita, lasciando piccoli marchi blu sulla sua pelle. Poi la volse verso il muro e ve la premette contro, entrando dentro di lei, che gemette piano. Le morse la schiena e le spalle, lei gli graffiò le braccia fino a farlo sanguinare.
    Don’t be told what you want
    Don’t be told what you need
    There’s no future, no future
    No future for you.

    Niente di tutto quello aveva senso o importanza, era solo sesso, caldo e appagante senso. I gemiti e i colpi erano coperti dalla musica e dal casino che si agitava fuori da quella stanzetta buia. Jackie la afferrò per un braccio e la costrinse a girarsi. Si inchinò e le tirò giù i pantaloni con violenza, ansimante, mordendo le sue morbide cosce, per poi alzarsi in piedi e prenderla in braccio, riscivolando con forza dentro di lei. Jane gemette ancora, sempre più forte. La sua pelle diventava ogni minuto più calda e la schiena le faceva più male a ogni colpo che lui le dava e con cui lui la faceva sbattere contro la parete. Sentì il rumore sordo di un manico di scopa che sbatteva contro il pavimento e di un secchio di plastica che si ribaltava e rise. Risero entrambi.
    Oh god save history
    God save your mad parade
    Oh lord god have marcy
    All crimes are paid

    Se ci fosse stato qualcosa da dire probabilmente l’avrebbero detto, ma non c’era niente e quello che stava succedendo era poco più che un segreto. Quelle lingue golose, quella carne vorace si giustificava da sola. Il crimini peggiori si commettono solo al buio, Jackie aveva ragione: dopo le due di notte si fanno solo stronzate, solo le cose più stupide.
    When there’s no future
    How can there be sin
    We’re the flowers in the dustbin
    We’re the poison in your human machine
    We are the future, your future.

    Sembrava che il mondo fosse sempre più rumoroso e che loro fossero sempre più nascosti, più lontani. Un gioco mortale e il volume di tutto sembra aumentare, come per sotterrare il peccato. La musica stava finendo, e il ragazzo si muoveva sempre più in fretta, batteva sempre più forte e il suo respiro era sempre più irregolare.
    E proprio sul più bello la porta si spalancò e la luce invase il piccolo spazio che li circondava, costringendoli a fermarsi. Le claustrofobiche strette pareti coperte di muffa e tutte quelle cianfrusaglie e prodotti per la casa facevano da sfondo a una deplorevole scena di sesso vuoto, sesso per il puro piacere di farlo.
    -Non ci credo, sei proprio una puttana, dannata stronza- disse la sagoma scura che si stagliava sull’uscio, dipinta dalle luci colorate che aveva alle spalle. Quella ragazza aveva un tempismo di merda, accidenti, un dannato tempismo di merda, lo aveva sempre avuto. Max fece per andarsene, schifata, inorridita dalla scena a cui aveva appena assistito. Jane allora allontanò bruscamente Jackie da se.
    -Dove diavolo stai andando?- chiese lui, mentre la osservava rimettersi i pantaloni. Era decisamente scocciato, odiava essere interrotto. Di chi fosse quella lui non se ne curava, anzi, non gli importava assolutamente niente.
    -Donne- rispose semplicemente la rossa, uscendo dallo sgabuzzino. Lui sbuffò. Avrebbe dovuto finire da solo.
    –Max!- urlò, vedendo quella zazzera arruffata scomparire dietro la porta di ingresso. Si lanciò fuori. L’aria era gelida, le congelò il sudore addosso e fu come essere stritolata in un’inarrestabile marea di ghiaccio secco. –Max, cazzo, fermati!- urlò affrettando il passo e afferrandola al polso. Lei si voltò e le scaricò un altro pugno sul naso. Più forte, questa volta. Arretrò di un passo. –Cazzo- mugugnò, cercando di controllare ancora una volta la fuoriuscita del sangue. Due pugni nel giro di sei ore era praticamente un record. –Cazzo!- ripetè rabbiosa.
    -Che cazzo vuoi da me? Eh?! Che cazzo vuoi ancora da me?! Non mi hai rivolto la parola, cazzo, neanche una sola parola per tutta la cazzo di serata!- sbraitò la ragazzina.
    -Che avrei dovuto dirti? Eh? Mi hai dato un dannatissimo pugno in faccia, cazzo! Sono passati quattro anni, quattro lunghi anni, che avrei dovuto dirti?!-
    -Non è un problema mio, sarebbe andata bene qualsiasi cazzo di cosa, qualsiasi!-
    -Cosa? Tipo cosa? Ciao tesoro, mi dispiace tanto per essere sparita? Scusa se ti ho abbandonata senza dire una parola? Scusa se sono un’irrimediabile stronza? Non ho parlato neanche con mio padre, merda, neanche con lui, non saprei cosa dire a lui, come spiegarmi, figuriamoci a te!-.
    Ora Max sembrava essersi calmata. Respirava affannosamente, ma non urlava più. L’espressione sul suo viso si era rilassata, i muscoli delle spalle ora erano distesi. Non aveva più le forze ne la voglia di sprecare quelle le energie che le restavano e la voce.
    -Non sei cambiata affatto…- mormorò –Sei sempre la stessa stupida testa di cazzo che..-
    -Lo so!- Jane invece non aveva ancora finito, era esasperata dal dolore alla faccia, dall’alcol, dal freddo, da tutta quella gente che le ricordava quanto facesse schifo, perché cazzo lo sapeva, e non poteva farci proprio niente. Tutti cercano di migliorarsi, ma a volte non basta. –Lo so benissimo, Max, io lo so chi sono. Anche tu lo sai, che accidenti ti aspettavi? Non riesco neanche a… pensare ora. Accidenti. Mi dispiace, okay? Mi dispiace. Davvero. Cos’altro posso dire? Sono un disastro, lo sono sempre stato- sorrise –Non era per questo che mi amavi?- chiese e sul viso le si dipinse un’espressione arrogante.
    -Sei… incredibile- La ragazzina avrebbe voluto darle un altro pugno, avrebbe voluto farle fottutamente male, ma non ci riusciva, forse perché era stanca, o almeno questa era la scusa che si stava dando, in fondo le nocche le facevano un male cane, ma la verità è che non si mosse perché aveva ragione, era per quello che l’aveva amata. Si portò una mano alla testa, stringendo la fronte fra indice e pollice e massaggiandola lentamente -Non dovevo rivederti- disse -Non volevo rivederti, merda-
    -Si che volevi, o non ti saresti incazzata così tanto per.. la questione dello sgabuzzino. Ti aspettavi qualcosa-
    -Perché, tu no?-
    -Si, certo, ma sono un dannato disastro, lo sono sempre stato, non è una novità. Guardami, sono una codarda ubriaca e tu mi hai presa a pugni. Due volte. Ammettilo, questo scoraggerebbe chiunque-
    -Oh, non fare la bambina, non ti ho fatto male- La rossa sgranò gli occhi.
    -Non mi hai fatto male?! Sto sanguinando, testa di cazzo!-
    -Si, e allora?- ora aveva le mani sui fianchi e la squadrava con aria di sufficienza –Quattro anni fa ti lamentavi di meno-
    -Quattro anni fa non facevi così male- gemette, tastandosi il naso. Max alzò gli occhi al cielo, avvicinandosi.
    -Fammi dare un’occhiata-
    -Io dico che è rotto- mugugnò.
    -No, non lo è, vai dentro e mettici del ghiaccio, va bene? Io me ne torno a casa- disse allontanandosi.
    -Aspetta!- chiamò Jane. –Dove abiti adesso?- Miss testolina blu-del-cazzo rise.
    -Se ci tieni mi troverai, buonanotte Jane!- rispose, senza neanche voltarsi. La ragazza la osservò allontanarsi con un mezzo sorriso idiota stampato in faccia e sospirò. Quella stronzetta era una squilibrata, un’ingestibile pacchetto di emozioni pure che neanche lei stessa riusciva a controllare, un caso patologico da manicomio, era… semplicemente stupenda. Perfetta in ogni suo più contorto dettaglio. Chiuse gli occhi e inspirò a pieni polmoni il gelido profumo della notte.
    -Chi accidenti era quella?- si voltò di scatto. Sul marciapiede, seduta poco più in là, c’era Mary, che la fissava come se avesse appena visto un fantasma.
    -Oh-.
     
    Top
    .
  12.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    722
    Scrittore
    +21

    Status
    Offline
    La lunghezza non si sente perché la scrittura e' molto coinvolgente. Mi piace perché riesce a essere seria, e ben orchestrata al punto che capisci tutto e te lo immagini benissimo.
    Qui vediamo meglio il lato direi più sentimentale dei personaggi, anche di Jackie.
    Continua così, la mia opinione e' sempre la stessa, non mi va di dirlo mille volte, ma per me questa storia e' un piccolo capolavoro, una perla di cui avevo bisogno e inoltre ammiro come riesci a gestire la storia e i mille elementi con il giusto ritmo.
     
    Top
    .
  13.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Moderatore
    Posts
    14,567
    Scrittore
    +737
    Location
    Hueco Mundo

    Status
    Anonymous
    Brat e Mary non staranno ancora per molto insieme, io penso. Credo conti anche l'incognita Jackie.
     
    Top
    .
  14. Brat Fitzparker
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Mi ci sto suicidando fra i mille elementi, i mille personaggi utili e tutto il resto. Prima di questa storia ho sempre scritto roba dove di personaggio importante ce n'era uno, massimo due, anche se è inesatto dire che per questa storia sia più di uno. In ogni caso non c'è bisogno che ti ripeti, Matt, mi darai alla fine un giudizio completo e generale sulla storia, per ora mi basta sapere se il capitolo ti è piaciuto e se ci hai trovato molti errori (rileggendolo, ad esempio, in questo ne ho visti diversi, ma se il lettore non li nota significa che sono o di poco conto o che non... modificano la resa del testo)

    Oh, no, Mary e Brat non possono durare più di tanto, ma questo è solo un campanello d'allarme. Riguardo all'incognita Jackie.. vedrete. Muhuhahahah.

    Non fatevi ingannare dal titolo dei prossimi due capitoli, siamo appena a metà.
    Non leggetelo senza questa canzone in sottofondo, per questo capitolo è quasi necessaria. Se non ne avete la possibilità, aspettate a leggerlo e quando finisce la canzone fatela ripartire fino alla fine. Questo varrà anche per il prossimo capitolo, sempre con la stessa canzone.
    The Carpet Crawlers dei Genesis. Preferirei la seconda versione, quella con anche la voce di Phil Collins, ma è a vostra discrezione quale delle due versioni usare, tanto quello che cambia è solo la voce, la canzone è la stessa.

    The carpet crawlers heed they’re callers.
    (1° part.)

    -Da quanto sei lì?- chiese seccatamene. L’ultima goccia di sangue era scivolata giù dalle sue narici ed era precipitata sull’asfalto da qualche minuto ormai.
    -Da un po’, se vuoi saperlo quella ragazza mi piace-
    -E perché mai?-
    -Ti ha dato un pugno! Due a sentire te. Credo che il mondo intero le sia grato- Jane sbuffò, avvicinandosi alla ragazza e sedendole accanto.
    -Non sei molto spiritosa, sai?- brontolò, toccandosi il naso. Le faceva un male bestiale.
    -Sei arrabbiata?-
    -Non lo so, tu che dici, dovrei?-
    -Pensi di non esserteli meritati?- chiese Mary. Lei sorrise.
    -Oh si, me li sono proprio meritati. Anzi, mi sarei aspettata di peggio da lei, diciamo che ha avuto pietà-
    -E perché pensi che ne abbia avuta?- sorrise ancora, soddisfatta.
    -Perché le sono mancata- concluse.
    -A me non sembra-
    -Tu non la conosci affatto, in ogni caso che ci fai qua fuori? Non ti divertivi alla festa?-
    -No, certo che no, non è roba per me, ricordi? Ma non è questo, è..stato Brat-
    -Che ha fatto?-
    -Ha cercato di portarmi in bagno per scoparmi- la rossa esplose in una fragorosa risata.
    -E cosa c’è di sbagliato in questo? Andiamo, ora non fare la santarellina, ti prego-
    -Non è questo, è il modo in cui…insomma, era ubriaco! Ieri notte è stato così dolce, così…attento. Oggi non sembrava neanche lui- Jane sospirò. Non sapeva perché ora la biondina si stesse aprendo con lei, e ora le restava solo pentirsi di averle fatto delle domande, perché in fondo non le importava cosa fosse successo, ma era troppo ubriaca, troppo stanca e dolorante per opporre resistenza. In fondo non le costava niente parlare, e magari era colpa dell’alcol, ma quella notte non provava repulsione nei suoi confronti. Quella notte l’ascia di guerra era seppellita sotto troppe cose accadute tutte insieme e non aveva voglia di scavare per trovarla. Estrasse pigramente il tabacco dalla tasca del vecchio giubbotto in pelle e si mise a girare una sigaretta mentre iniziava a parlare.
    -Tu sei più di quanto lui abbia mai avuto o anche solo sognato di avere. Come avrai notato in questo mondo c’è poco spazio, poco tempo per occuparsi dei sentimenti degli altri. L’amore, bè, molti di noi non ricordano neanche più cosa sia, ma Brat si. L’ha sempre saputo e non ha mai trovato qualcuna abbastanza… pura da meritare il suo.-
    -Pura? Jane, faccio la puttana, l’hai dimenticato? Difficile crederci, dato che cogli ogni occasione per ricordarmi quanto mi debba far schifo da sola-
    -Non intendo pura in quel senso. Qui alle ragazze basta un’avance un po’ spinta e due bicchieri di vino per darla via come fosse una sigaretta. Alle feste questo atteggiamento è quasi comune, per noi. Sei lì, in mezzo a quelle persone, solo per dimenticare chi sei. Brat ha bisogno di dimenticarsi di se stesso, tutti noi, tutte quelle ragazze ne hanno bisogno, ma tu sei una principessa..-
    -Ero una principessa, adesso..-
    -Sei sempre una principessa. Sarà cambiato il posto dove vivi, le tue amicizie, le tue…occupazioni, ma non puoi smettere di essere ciò che sei davvero. Sei una principessa e lui probabilmente aveva bevuto troppo per ricordarlo.-
    -Mi ha trattata come fanno i miei clienti-
    -Si, ma lui non chiede soldi, in cambio. Cosa c’è? Sei traumatizzata da quel lavoro del cazzo che ti sei scelta? C’è un momento per essere sdolcinati e uno per essere impulsivi e immorali. Sta sera era il momento giusto per essere la seconda. Tu non sai lasciarti andare, lui si, non condannarlo per questo- Mary guardò in basso, verso l’asfalto. Allungò una mano e afferrò un sassolino per poi lanciarlo lontano.
    -Perché mi dici queste cose? A te non piaccio, non ti sono mai piaciuta e improvvisamente vuoi che stia con uno dei tuoi più cari amici d’infanzia?- Jane sorrise, sbuffando una nuvoletta di fumo.
    -No, è vero, a me non piaci, ma a lui si. Anzi, credo sia davvero cotto. Sono passati quattro anni, è vero, ma dubito che abbia provato una cosa simile per qualcun altro. Con te è felice, non mi importa chi sei, andrà sicuramente meglio che con tutte quelle troiette che frequenta di solito. Si innamora sempre delle peggiori, tu sei la meno peggio, il male minore. Voglio vederlo felice, tutto qui. Ora tu lo stai accusando per qualcosa che non ha fatto, almeno non con cattiveria. Fa sempre casini, cazzo, è davvero un disastro a volte, ma è buono e ti darà tutto quello di cui hai bisogno. Dagli il tempo di imparare, uno straccione non diventa principe da un giorno all’altro.- la biondina rimase in silenzio, mentre contemplava la possibilità di aver esagerato, in fondo era solo ubriaco. Non sapeva, in effetti, cosa questo comportasse. Non aveva mai bevuto più di un bicchiere di vino, come poteva sapere come si diventa quando l’alcol prende piede nel cervello? Si sentì in colpa, improvvisamente, per essere scappata, e il suo sguardo cadde sulla ragazza che le sedeva accanto. Quell’insulsa stronzetta non era poi così male, non così cattiva. Brat aveva ragione, dopo tutto.
    -..Grazie- mormorò.
    -Oh no, non ringraziarmi, ti dovevo un favore. L’altra volta mi hai ascoltata piagnucolare a proposito delle mie stronzate sulla famiglia e tutto il resto.. e poi non lo faccio per te, ma più che altro per Brat. Quel ragazzo merita di essere felice, e ciò che lo rende felice ora sei tu. Tutto quello che posso fare e insegnarti a prenderlo-
    -Bene, ma grazie comunque- rispose e così rimasero in silenzio. Ora ripensava a tutto quello che sapeva della sua famiglia, a quello che aveva detto su sua madre e su suo padre. Ricordò quanto all’inizio non volesse neanche ascoltare, quanto se ne stesse fregando. C’era mancato poco che la lasciasse lì per la strada, ubriaca e immersa nel suo vomito, solo perché era stanca e adesso la stessa ragazza dopo essersi presa due pugni in faccia e una montagna di insulti stava comunque provando ad aiutarla. Ancora una volta il suo cervello fu sul punto di afferrare qualcosa, di sentirsi parte di qualcosa, ma cos’era? Una rete invisibile che li legava tutti, ecco cosa. Tante persone, tutte diverse, con in comune solo qualche canzone e un passato da dimenticare che li legavano indissolubilmente, li spingevano ad aiutarsi, a sostenersi, o a mandarsi a quel paese a vicenda, se necessario. Non potevano fare a meno di aiutarsi, legati dalla mancanza comune di un’unica, piccola, fondamentale cosa e potevano anche odiarsi, ma non poteva fare a meno di essere una famiglia.
    -Sei poi andata da tuo padre?-
    -Non ancora.- Jane guardava lontano, verso la fine della strada. Fumava in silenzio, osservano l’orizzonte schiarirsi a malapena. L’alba non era lontana e l’aria si faceva sempre più leggera.
    -Ci andrai?-
    -Beep. Cambia domanda- rispose distrattamente, mentre pensava. Ricordava il tempo, ricordava Max. Ricordava la prima volta che l’aveva vista e rifletteva su quanto, in quattro anni, non fosse affatto cambiata.
    -Come hai conosciuto la tizia con i capelli blu?- si irrigidì di colpo e Mary sorrise, felice di aver toccato il punto, il nervo scoperto. Sapeva che non avrebbe fatto resistenza, che avrebbe risposto. Se c’era un momento giusto per parlare era quello. Era il momento di un’altra storia.
    -Max, bè, eravamo al liceo. Io ero in prima e lei in seconda. Questo ovviamente l’ho scoperto dopo. La prima volta che l’ho vista ero seduta sulle scalette all’ingresso della scuola e lei è scesa dal pulman.- la ragazza raccontava, ma non stava rispondendo alla domanda. Se le avessero chiesto con chi stesse parlando, probabilmente avrebbe detto nessuno. Stava pensando a voce alta e non le interessava chi fosse in ascolto. –Piccolina, pelle bianca, capelli blu. Indossava una vecchia maglietta dei Sex Pistols con le maniche strappate, forse un po’ troppo larga per lei. Sotto braccio stringeva uno skate con le ruote azzurre e si guardava intorno come se fosse in pericolo, lì. Era così fuori posto in mezzo a tutta quella gente. Tra a capelli ordinati e pettinati, camicie stirate e pulite, ragazzini con la cartella nuova che camminavano spediti verso l’ingresso, lei non c’entrava assolutamente niente. Era stupenda, sembrava quasi incazzata, nervosa, aveva un’espressione a metà fra l’indifferenza e repulsione. Muoveva le labbra lentamente, come se parlasse da sola, ma io sapevo che stava canticchiando. Lo sapevo perché lo facevo anche io, quando ascoltavo musica. Le grandi cuffie foderate in tessuto arancione stonavano con i suoi colori, ma pensai che non sarebbe stata così stupenda se non le avesse avute. Pensai che fosse la cosa più bella che avessi mai visto, bastò qualche secondo per farmi innamorare.
    Jim era seduto accanto a me e se ne accorse. Mi chiese chi fosse e io dissi di non saperlo. Mi disse di parlare e risposi che non avevo niente da dirle. Volevo solo guardarla. Era come trovarsi davanti a un’eruzione vulcanica, ti faceva sentire impotente e ti rendeva incapace di reagire. Non puoi scappare davanti a una cosa del genere, ma neanche andarle incontro, così resti immobile. Meglio morire immersa nella lava che perdersi uno spettacolo simile. Quella è stata la prima volta che l’ho vista. Ho passato quasi un anno a osservarla di nascosto.-
    -E poi le hai parlato?-
    -No, certo che no. Ero una ragazza invisibile a scuola, anche se può essere difficile da credere- sorrise -pensai di non potermelo permettere. La prima volta che ci siamo parlate è stato per litigare. Mancavano due o tre mesi alla fine della scuola e sul muro di una delle aule è spuntato un enorme graffito. Rappresentava una città in fiamme, occupava tutta la parete. Sotto nell’angolo, una scritta bianca recitava “This is not a test. You’ll better run for your life”. I docenti andarono su tutte le furie, pensarono che fosse un oltraggio, un insulto alla moralità e perquisirono tutti gli armadietti degli studenti, in cerca delle bombolette. Le trovarono nel mio. Non ero stata io a farlo, e non avevo mai visto quelle bombolette, ma sapevo chi era stata. Ero sicura che fosse suo, quel lavoro, la sua firma era evidente. Avevo ragione. Più avanti scoprii che aveva scelto l’armadietto a caso e mi ritrovai a ringraziarlo, lo stramaledetto caso, ma in quel momento ero incazzata come una iena. Quando la mattina dopo la incrociai per il corridoio la bloccai, dicendole che sapevo che era stata lei. Mi disse che non avevo prove e le risposi che per colpa sua avrei dovuto pulire tutto e che mi ero beccata una settimana di sospensione e altre due settimane di detenzione pomeridiana al mio ritorno e lei rise, dicendomi che non erano affari suoi. Dopo la settimana di sospensione me la ritrovai nell’aula di detenzione: era stata punita per rissa, aveva gonfiato a sangue la principessina della scuola perché questa l’aveva provocata. In quel periodo ero arrivata a odiarla, troppo per ammettere che era stata forte, insomma, quella rissa era diventata storica in pochi giorni. Non riuscivo a smettere di pensare a come avrei potuto fargliela pagare, ma poi..-
    -Poi?-
    -Bè, poi iniziammo a parlare. Durante la prima giornata di detenzione litigammo e la finimmo per pestarci, prolungando la nostra punizione di un’altra settimana. Ovviamente più che altro le presi da lei, non avevo mai fatto a botte e quei pochi pugni che riuscii a piazzare non le fecero neanche il solletico. Durante la seconda ci limitammo a insultarci nei modi più cattivi che ci venivano in testa e iniziammo a farci stupidi dispetti, nel tentativo di ficcarci sempre più nella merda a vicenda. Mi diede del filo da torcere e questo mi piaceva. Piaceva anche a lei, anche se non l’ha mai ammesso. Poi, la terza giornata, quando si alzò per andare in bagno, presi da suo zaino il lettore per cassette con l’intento di rubarglielo, ma ero troppo curiosa, troppo per aspettare di essere a casa per infilarmi le cuffie e controllare che cosa ascoltasse. Premetti play e partì What a wonderful world fatta dai Ramones. Quando rientrò in classe e mi trovò con il suo lettore si incazzò da matti, ma a me era passata la voglia di litigare. Improvvisamente tutto l’astio era scomparso ed era rimasto solo quel fastidioso sentimento che avevo provato la prima volta che l’avevo vista. Guardandola mentre mi urlava contro, mentre gesticolava nervosamente con quell’espressione da stronzetta sul viso, dissi a me stessa che quello doveva essere davvero un mondo bellissimo per aver creato qualcosa di simile. Le chiesi cos’altro ci fosse lì dentro e iniziammo a parlare di musica e poi semplicemente di tutto, iniziammo a fare amicizia, ma durò poco. Non riuscivamo a stare più lontane di mezzo centimetro. La sua pelle era una droga, per me, era ipnotica. Le sue labbra erano troppo morbide, troppo perfette perché potessi evitare di accarezzarle con le mie. Lei cambiò tutto. Era talmente pazza, talmente schizzata, talmente stronza, talmente drogata da farmi perdere del tutto il controllo-.
    Ora senza un vero motivo dalla mente di Jane si levò un canto debole. La melodia di un vecchio ricordo, una melodia che neanche ricordava. Non sapeva di cosa fosse, dove l’avesse sentita, ma rimase in silenzio e chiuse gli occhi, ascoltandola.
    The carpet crawlers heed they’re callers:
    “We’ve got to get in to get out..
    We’ve got to get in to get out…
    We’ve got to get in to get out….”

    -Jane, tutto bene?-
    -Sei dovuta entrare per uscire..- mormorò.
    -Cosa?-
    -Niente, lascia perdere- scosse la testa.
    -Bè, comunque è una bella storia, quella tua e di Max, sembrate così…-
    -Lo so, ma ora basta pensarci, rientriamo dentro. Voglio andare in un posto- rispose alzandosi. La canzone era scivolata via dalla sua memoria e anche Miss testa blu, lasciando uno spazio libero che doveva assolutamente riempire.

    La casa ora era quasi vuota. Era come guardare un campo di battaglia dopo la guerra: a terra carcasse senza vita di bottiglie vuote e cenere. Non era rimasto nessuno. Nella stanza comune, in fondo al corridoio, giacevano la chitarra di Brat, la sua migliore amica. Lui la chiamava Blue e ora lei dormiva silenziosamente sulla vecchia e macchiata moquette. Accanto al giradischi che girava a vuoto, gracchiando e tossendo, i vinili sparsi si accavallavano l’uno sull’altro, nascondendosi a vicenda. Le luci erano spente, tutto ciò che restava a illuminare quella pietosa scena era uno dei primi raggi di sole che filtrava dalla finestra della cucina.
    Sul divano era seduto Jackie, che fissava di nuovo il vuoto, come qualche ora prima. Teneva vicino alle labbra l’imboccatura di una bottiglia di birra mezzo piena. Era come spento e nella sua mente si rincorrevano domande senza risposta, senza soluzione, lasciandolo sospeso nella sensazione di poter rinunciare al pensiero. Quasi non si accorse di Jane che lo osservava, in silenzio, mentre nella sua testa un sospiro musicale formava ancora quella melodia che cantava debole:
    We’ve got to get in to get out..
    Contro la parete, Brat e Spike dormicchiavano, la testa abbandonata in avanti, il mento poggiato contro il petto o contro un ginocchio piegato. La musica nella mente della ragazza si faceva sempre più forte, angelicamente sembrava propagarsi nella stanza come dentro la sua scatola cranica.
    A terra, steso con le braccia incrociate dietro la testa, Frank fissava il soffitto, improvvisamente attratto da una delle tante macchie di muffa che lo tappezzavano, così ipnotica per i suoi occhi stanchi. Niente si muoveva, solo i loro respiri leggeri riempivano quell’aria stantia che puzzava della battaglia combattuta quella notte e loro erano i superstiti, gli sconfitti. Avevano combattuto fino allo stremo contro se stessi per dimenticare tutto ciò che avevano passato, tutto il tempo che avevano lasciato indietro e ora non ricordavano neanche il perché.
    The carpet crowlers heed they’re callers…
    Mary osservava la scena e si sentiva come se non meritasse di essere lì, in piedi su quel suono sacro. Lei non aveva combattuto, no, lei non sapeva combattere.
    We've got to get in to get out..
    -Ragazzi- chiamò la rossa. Frank e Jackie a malapena spostarono lo sguardo su di lei, come se fosse la cosa più faticosa del mondo, mentre gli altri due non accennarono a muoversi.
    -Ragazzi!- chiamò ancora, svegliandoli. Il nanetto dagli occhi verdi si passò una mano sul viso e guardò l’amico accanto a lui, come per assicurarsi che fosse ancora vivo.
    -Che diavolo c’è adesso?- mugugnò quest’ultimo, stiracchiandosi. –Diavolo che mal di testa fottuto..- grugnì, massaggiandosi le tempie.
    -Andiamo alla Christie Road- disse la ragazza e non fu una domanda. I quattro la guardarono ancora e, senza aggiungere niente, si alzarono lentamente, come se non avessero fretta di tornare a casa.
    The carpet crowlers heed they’re callers…
    Era tradizione e spesso l’avevano fatto. Dopo la guerra si ritorna a casa, così loro prendevano una macchina e si trascinavano verso i vecchi binari arrugginiti della loro patria.
    We’ve got to get in to get out..
    La melodia non cessava, faceva da sottofondo a quella scena, la avvolgeva delicatamente come una scura coperta, riempiendo lo sguardo e l’anima della rossa. Ancora non ricordava cose fosse, o dove l’avesse sentita. Non ricordava cosa rappresentasse.

    La macchina si fermò sullo sterrato polveroso, davanti alle verdi colline appena oltre la vecchia ferrovia. Mary non era mai stata lì e ora osservava quel posto dimenticato anche da Dio gonfiarsi della luce di un sole che pigramente alzava la testa fra le spalle della notte, riscaldando il vecchio ferro marcio dei binari. L’aria era tersa, fresca e pesante si insinuava nei suoi polmoni e li liberava di tutte le parole che avrebbe potuto dire, ma che non avrebbe detto. Non era il momento di parlare.
    Si avvicinò lentamente alle rotaie e vi salì sopra, iniziando a camminare verso il punto in cui scomparivano con le braccia larghe, come per mantenere l’equilibrio. Avanzava e non sapeva dove stesse andando, ma era sicura di voler continuare a camminare finché un treno non l’avesse raggiunta e portata via, o calpestata. Quale che fosse delle due sarebbe andata bene comunque.
    Sul cofano della macchina sedevano cinque ragazzi che la osservavano distrattamente. Non registravano ne si facevano domande su ciò che stavano guardando, acritici spettatori di un paesaggio così familiare da calmare le loro menti. Avevano una birra in mano e guardavano casa loro come se non fosse esattamente come la ricordavano. Niente era cambiato, ma a loro sembrava tutto diverso, come ogni volta. Ognuno frugava dentro se stesso, cercando un ricordo che corrispondesse a quella visione, senza trovarlo. In mano ognuno aveva la sua birra e la sua sigaretta, ognuno in mente aveva la propria domanda, ma quelle colline non avrebbero risposto e neanche il sole, troppo pigro per ascoltarli, perciò era inutile lasciarla sfuggire dalle labbra.
    We’ve got to get in to get out..
    Così morbidamente quella melodia riempiva la testa di Jane, contenendo la sua domanda. Lentamente dimenticava tutto quello che era successo quella notte, lasciando che i ricordi si infrangessero contro il silenzio.
    I superstiti non hanno parole per descrivere come ci si senta a essere sopravvissuti. Niente era rimasto, niente era cambiato e ad accoglierli restava una casa vuota e silente.
    Chi siamo? Siamo i soldati di una guerra che abbiamo perso.
    Siamo coloro che strisciano su un vecchio tappeto, ascoltando una chiamata silenziosa.
    The carpet crawlers heed they’re callers…
    -Ben tornati a casa..- sussurrò Brat.

    We’ve got to get in to get out …
     
    Top
    .
  15.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Moderatore
    Posts
    14,567
    Scrittore
    +737
    Location
    Hueco Mundo

    Status
    Anonymous
    Questo capitolo è molto profondo, oserei dire più degli altri ma posso sbagliarmi. Il racconto di Jane sembra così... reale, quasi come se lo si vivesse coi propri occhi.
     
    Top
    .
131 replies since 4/5/2016, 10:56   1072 views
  Share  
.