We've got to get in to get out

Avevano combattuto fino allo stremo contro se stessi per dimenticare tutto ciò che avevano passato, tutto il tempo che avevano lasciato indietro e ora non ricordavano neanche il perché.

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  1. Brat Fitzparker
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    Già, bé, ha fatto la fine che si è scelto, però... però cazzo. Queste cose fanno incazzare persino me quando le scrivo.
    In ogni caso si, sospetti bene.
     
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  3. Brat Fitzparker
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    The end of the world.

    Rodeo. Erano arrivate e Rodeo le salutava con strade vuote e odore di alghe marce e salsedine. Jane respirava a pieni polmoni, inspirando ricordi. Inspirando tempo perso ormai ritrovato.
    Quattro anni e niente era cambiato, la sua vecchia scuola era ancora lì e c’erano gli stessi vecchi graffiti che ne ricoprivano le pareti. Il grande orologio sulla facciata segnava le 15.50, e tutto taceva sulla Fourth street. Erano entrate da California Street e ora svoltavano su Parker Avenue. Potevi girare tutta la città in dieci minuti, volendo.
    -Dove stiamo andando, esattamente?- chiese Mary, guardandosi intorno. Non era mai stata a Rodeo, eppure quel posto aveva un sapore così.. familiare. Le ricordava qualcosa, ma non avendo idea di cosa. Lo catalogò come uno sciocco scherzo della sua mente, come un deja vu, d’altronde lei non si era mai fermata a pensare che i deja vu non fossero altro che il mezzo del passato per parlare al presente.
    -319 First Street- rispose, semplicemente. Non aveva tempo per parlare, rifletteva, in effetti, su quello che stava per fare. Il passato si riapriva davanti ai suoi occhi e se fino a quel momento aveva saputo con esattezza cosa fare, cosa dire, o forse non se n’era davvero preoccupata, ora aveva la bocca asciutta, non sapeva cosa avrebbe detto, cosa avrebbe fatto. Non era neanche sicura di trovare tutto come un tempo, ma scosse la testa, cercando di scacciare l’immagine di quella vecchia casa vuota, o abitata da un’altra famiglia, arredata in modo diverso, con un profumo diverso.

    -Resta in macchina- disse, sbattendo la portiera alle sue spalle.
    Fumava nervosamente mentre aspettava che qualcuno le aprisse e quando la porta si spalancò, dovette trattenere il respiro. Una donna alta poco più di un metro e cinquanta la fissava sbigottita. Molte più rughe le segnavano il volto, molte più di quante ne ricordasse, almeno, ma la zazzera disordinata di capelli biondi ossigenati non era affatto cambiata. Indossava una vecchia camicia rossa sopra cui si posava un logoro grembiule bianco e macchiato da cucina.
    -Jane..?- sussurrò. –Sei tu?-
    -Ciao Ollie- La donna le saltò al collo, e Jane fu sommersa dal suo profumo. Sapeva torta e di ammorbidente, profumava di caldo, di madre, profumava di casa. Ollie Fitzparker aveva lo stesso profumo che aveva sempre avuto, e ora sorrideva con gli occhi gonfi di lacrime.
    La ragazza che stava abbracciando, per lei, era stata come una figlia, era stata come una sorella per il suo figlio minore, e tante volte, la notte, aveva dormito sul loro divano, per non tornare a casa, per riuscire a chiudere occhio. Quattro anni prima era scomparsa, non un biglietto, non una parola. Era andata via che era solo una ragazzina, e ora, quattro anni dopo, stava guardando la donna che era diventata. Era dimagrita, e ora aveva i capelli rossi come le fiamme, era diversa, ma il suo sguardo, quello non era cambiato, e neanche il suo sorriso. Sotto gli occhi, le stesse occhiaie scure di quattro anni prima, le stesse mani, e la stessa camicia sgualcita. Era sempre Jane.
    La invitò ad entrare in casa e la portò in cucina. Un silenzio innaturale avvolgeva quelle stanze, una pace sconosciuta per quelle mura, fino a poco tempo prima, quando ospitavano ancora sette ragazzini incontrollabili, ma ora non sembrava esserci nessuno, a parte loro due. La cucina era esattamente come la ricordava. Si ritrovò a fissare con nostalgia quel vecchio divano polveroso, ripensando a quanto potesse sembrare comodo quando arrivava lì, dopo aver percorso mezza Rodeo a piedi solo per uscire a dormire un po’.
    -Perché sei tornata?- chiese Ollie. –Qui non c’è molto per te, insomma, spero che tu abbia prospettive migliori di questa città-
    -A dire il vero non tante. Diciamo che le cose non sono andate come dovevano andare, ho combinato qualche guaio su a Seattle.. e poi mi mancava casa-
    -Oh, eri a Seattle? Non hai detto niente, Brat ha sofferto molto per la vostra partenza.. e Jim? Lui dov’è?- il silenzio tornò a riempire lo spazio lasciato dalle parole. Voleva parlare, forse aveva pensato che fosse facile dirlo, qualche ora prima, ma ora le parole morivano in gola, affogavano nei ricordi.
    -Lui non..-
    -Cosa è successo?-
    -Jim è morto-
    -Cosa?! Come? Cosa è successo?- ancora si ritrovò a riflettere su come rispondere. Non aveva pensato a una scusa, ma no, non voleva dire che era morto di overdose, in un appartamento schifo da trecento dollari al mese. Non voleva dire che aveva fallito, voleva raccontare la storia di un martire, morto per le sue idee, non di un patetico sconfitto che aveva lasciato che il suo corpo marcisse. Voleva che la sua morte fosse ricordata come una morte fiera, prestabilita. Un rifiuto cosciente della vita che il mondo gli aveva riservato, non come un lento adagiarsi su se stessi, un ripiego sui propri rimpianti così freddi da congelare persino la sua anima. In fondo Mary aveva ragione, lui valeva di più della verità.
    -Si è.. suicidato. Un colpo alla testa, si, ha premuto il grilletto qualche mese fa-
    -Perché l’ha fatto?-
    -Stava vivendo una vita che non aveva scelto lui di vivere. Non voleva passare il resto dei suoi giorni a fare il cameriere in un bar da quattro soldi, non era nato per servire-
    -Bè.. alcuni lo sono- rispose calma. Jane non si accorse subito del fatto che forse l’avesse offesa, in effetti, quella donna non aveva fatto altro che servire tutta la vita, per crescere i suoi figli. Lei non aveva mai avuto un sogno, o non se l’era mai potuto permettere, e ammirava chiunque invece riuscisse ad averlo e forse, un po’, aveva invidiato anche loro. -…in ogni caso non penso tu sia venuta qui solo per passare a trovare me, ma Brat non vive qui da circa un anno e mezzo-
    -E dove è andato a cacciarsi?-
    -Ah, non me lo chiedere figliola, sono sei mesi che non si fa sentire. Sta suonando, questo lo so, gli sta andando bene, ma non so molto altro-
    -Quindi non sai neanche dove si è trasferito?-
    -Oh, si, quello lo so, è al 1403 6th street, a Berkeley, doveva essere un vecchio magazzino o qualcosa di simile, vicino alla ferrovia- Jane sorrise. La 6th strada era a due isolati dal 924, Gilman street, e non molto lontano dal magazzino abbandonato, su Camelia Street. Quella scelta non la stupiva minimamente, in fondo quel ragazzo sarebbe vissuto anche dentro il Gilman, se avesse potuto.
    -Grazie mille, Ollie. Ora dovrei andare, sai, c’è una ragazza con me, mi sta aspettando in macchina e..-
    -Cos’è, una fuga romantica?-
    -No, dannazione, neanche per idea, ma mi sta aspettando, perciò…-
    -Si ho capito, vai tesoro, però ripassa, qualche volta-
    -Si, assolutamente!- rispose, avvicinandosi alla porta d’ingresso. Mentiva, sapeva che, molto probabilmente, non sarebbe mai tornata. Sapeva che quello altro non era che un addio.
    -…e passa a casa tua, tuo padre sarebbe felice di rivederti-

    Risalita in macchina, non disse una parola. Riflettè silenziosamente su quell’ultima frase. Ripassare a casa, rivedere suo padre. Le sarebbe piaciuto, abbracciarlo, dirgli che gli voleva bene, ma magari avrebbe ritrovato anche sua madre, e magari lei avrebbe provato a parlarle, a farle domande e magari Jane avrebbe provato a ucciderla. Quante volte aveva sognato di farlo, quanto aveva odiato quella donna e quanta rabbia avrebbe provato, se avesse scoperto che suo padre ancora si faceva rovinare la vita da lei.. provò a non pensarci, ma ora non le veniva in testa altro se non l’immagine di quell’uomo ormai stanco, seduto sul divano, che magari aveva ripreso a fumare, e magari ora si imbottiva di antidepressivi più di quanto non avesse mai fatto. Le veniva il voltastomaco a pensare a quella donna che urlava, chiedeva, sperperava, succhiava sangue dalle vene ormai quasi vuote di un’anima del tutto simile a quella di Jim. Un sognatore disperso, uno spirito libero incatenato a una poltrona vecchia e scomoda, senza un posto dove andare. Un soldato senza una patria da difendere, che combatte affannosamente per vincere una guerra persa da anni.
    -Hai trovato qualcuno?- chiese Mary. Si, la cosa più simile che abbia mai avuto ad una madre, pensò di rispondere. Ho trovato la donna che mi ha cresciuta, e quel vecchio profumo di familiare che mi mancava, pensò di dire, ma non lo fece.
    -Si, un indizio. Andiamo al 1403 6th street, a Berkley-
    -Dobbiamo viaggiare ancora?-
    -Si, stupida rompicazzo, ancora venti minuti- Mary sbuffò, per poi voltarsi a guardare fuori dal finestrino. Il cielo era plumbeo, annunciava un temporale, e grugniva e ruggiva, pronto a riversare la rabbia di Dio su quella terra. Ora era lei a riflettere, per tutto il viaggio non aveva pensato ad altro che a tenere la bocca chiusa, per paura di essere davvero scaricata sul ciglio di un’autostrada semi abbandonata, o di qualche via secondaria e dimenticata da tutti. Si era quasi impedita di pensare a qualsiasi cosa che non fosse restare in silenzio, ma ora era in una città, ora anche se l’avesse abbandonata per strada, avrebbe saputo cavarsela, dunque aveva ricominciato a farsi domande. Alcune erano davvero idiote, come quanto avesse bisogno di un bagno e di fare una doccia, altre, forse, più intelligenti e decisamente più utili. Si chiedeva da chi stessero andando, chi Jane avesse incontrato in quella casa e quanto questo le fosse costato. Aveva il sospetto che ritornare in quella città fosse come sarebbe stato per lei rientrare in casa sua rivedere quelle pareti macchiate di sangue, sentire il respiro gelido della morte che ancora sospirava negli angoli bui di quelle stanze e vedere la patetica ombra di se stessa, rannicchiata sotto il lavandino, mentre falliva nel misero tentativo di togliersi la vita.
    Se fosse riuscita a tornare a casa, pensava, ora sarebbe ancora a Seattle, al sicuro, e se Jane non se ne fosse mai andata, pensò, ora non le tremerebbero le ossa al pensiero di tornare.
    -Tu dove vivevi?- chiese, infine.
    -Non sono affari tuoi, non molto lontano dalla first street, comunque, venti minuti a piedi-
    -E non vuoi…passare a casa? Magari qualcuno della tua famiglia vorrebbe… rivederti, che ne so..-
    -Cosa ti fa pensare che io abbia ancora una famiglia?-
    -Cosa dovrebbe farmi pensare che tu non ce l’abbia? Sei scappata con Jim, da qualcosa sarai pur dovuta fuggire, non penso che vicoli ciechi e superiori ti abbiano spinta ad andartene..- da quando quella sciocca ragazzina aveva iniziato a pensare, non riusciva ad aprire bocca senza far saltare i nervi a Jane, forse ancora più di prima. Con Jim non c’era mai stato bisogno di domande, lui sapeva e basta, non doveva chiedere. Quando parlavano non doveva dirgli niente, lui rispondeva a domande che non avevano bisogno di essere pronunciate, questa bambolina del diavolo, al contrario, parlava e aveva bisogno di farlo, di sapere. Non tanto perché le importasse davvero, non perché volesse aiutarla a trovare soluzioni, quanto per il fatto che fosse curiosa.
    -Piantala con queste cazzo di domande. Sai benissimo che non risponderò-
    -Certo che lo so, ma prima o poi ti stancherai di comportarti da stronza, con me, ti passerà la voglia-
    -Oh, non credo proprio. A quanto pare, se c’è una sola cosa che sai fare, a parte scopare, è risvegliare i miei istinti omicidi, perciò sta zitta, ho una pistola là dietro e nessuno sentirebbe la tua mancanza se la usassi- la biondina ammutolì ancora, ma l’effetto della minaccia durò circa dieci minuti, poi la dimenticò, o semplicemente decise che tanto non avrebbe avuto niente da perdere comunque.
    -Da chi stiamo andando?-
    -Two dollar Brat-
    -Sembra il nome di un ricercato in un vecchio film western, quelli tutti spari e parolacce-
    -Ci sei vicino, l’ultima volta che l’ho visto spacciava origano ai compagni di scuola. Ollie dice che adesso suona ma..-
    -Chi è Ollie?- Jane si morse la lingua. Quella puttanella era brava a farti parlare, volendolo, se non altro per la sua insopportabile insistenza. Avrebbe dovuto assumerla la CIA, pensava, avrebbe preso i criminali per sfinimento.
    -Sua madre-
    -Hai parlato con lei, in quella casa? La conoscevi bene?-
    -Proprio non lo vuoi capire che devi stare zitta, eh?!- ulrò, alchè la giovane prostituta si tappò la bocca una volta per tutte.

    Il 1403 sulla sesta non era altro che un vecchio magazzino rimesso apposto. Una porta, una finestra, e le pareti rosse come i capelli di Jane stonavano con i colori grigi e bianchi delle case che aveva intorno. I rumori dei cantieri poco più in là erano quasi coperti dal ticchettio della pioggia che si abbatteva sul tettuccio della macchina. Erano ferme da quasi dieci minuti, ma ancora lei non aveva accennato a voler scendere. Rifletteva su come avrebbe reagito il ragazzino, rivedendola dopo tutto quel tempo. In fondo era sparita, per quattro lunghi anni non si era neanche fatta sentire e ora si presentava alla sua porta chiedendo asilo, con milleduecento dollari e una ragazzina dei quartieri alti di Seattle con se, per quanto ne sapeva avrebbe anche potuto sbattergli la porta in faccia.
    La radio suonava The end of the world, dei REM.
    Is the end of the world as we know it, is the end of the world as we know it…
    -Non entriamo?-
    -Hai fretta?-
    -Tu no?-
    -Non troppa.. in fondo non parliamo da quattro anni. Non so neanche più che faccia abbia-
    -Bè, quattro anni non sono molti, cosa c’è, la grande stronzona ha paura che le sbattano la porta in faccia?-
    -Si, bè, l’idea di restare in questa macchina con te per anche solo un giorno di più mi fa quasi più paura della morte. Dovrei spararmi, se ci cacciassero-
    -O tornare a casa tua, che dici?-
    -Dico che ora stai zitta, perché sto scendendo.-
    Aprì la portiera.
    And I feel fine.

    Ps. da questo punto in poi tutti gli ambienti, le strade e le case descritte esistono, sono state scelte dopo aver esplorato Rodeo per mesi e scelto, in pratica.
     
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    Direi che il viaggio in macchina non ha alleggerito per niente l'astio di Jane nei confronti di Mary.
     
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  5. Brat Fitzparker
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    No, affatto, ma Mary è un personaggio creato per farti desiderare di spararle in bocca, a volte.
     
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    Il doppio senso è voluto?
     
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    Ho letto il secondo capitolo, scusa il ritardo.
    Allora, che dire? A parte che quella canzone la adoro ed e' anche ben inserita nel contesto, ma comunque, secondo me tu scrivi da dio, pochi cazzi qui ce ne vuole di cervello per scrivere una storia così. Poi su questo forum e' difficile trovare scritti di questo tipo che secondo me sono anche tra i più interessanti.
    Inoltre la parte psicologica qui gioca un ruolo fondamentale, quindi i personaggi sembrano reali.
     
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    Ho letto tutti i capitoli, devo dirlo sei un genio.
    Posso dire tranquillamente che questa è la migliore storia che ho letto su questo forum (che ho letto ripeto).
    Le emozioni sono così forti che ti acchiappano e ti stritolano anche se lo leggi ad occhi chiusi.
    I personaggi sono veri, incazzati, nella merda, contro il mondo, contro il loro destino, hanno così tanta sostanza che fuoriescono dalle parole.
    La scrittura stessa, si, ci sono degli errori che ti hanno fatto notare, ma è magnifica, ho letto il secondo capitolo, e nonostante la lunghezza ho finito col leggere anche tutti gli altri, ipnotizzato.
    Se Fight Club, è simile a come scrivi tu penso che lo leggo al volo!
    Le due protagoniste funzionano e sono interessanti insieme, anche se poi litigano sempre si nota secondo me che ci tengono l'una all'altra.
    Poi ci sono quei momenti che io definirei poetici a dir poco, come quando descrivi le sensazioni del concerto, che sono così palpabili che le proveresti anche se non hai mai sentito una canzone in vita tua. Oppure quando si parla della vita, o quando inserisci quelle canzoni che ci stanno sempre benissimo.
    So che forse vorrai ricevere critiche, ma secondo me per questa storia meriteresti solo applausi.
    Seriamente lo dico, mai nulla su questo forum mi ha mai preso così tanto.
    C'è tanta vita, tanta rabbia, tanta disillusione, tristezza, e disperazione, ma anche speranza, e energia, ma l'energia che ti farebbe spaccare il mondo in due.
    Io comunque un libro di questo tipo lo comprerei a occhi chiusi.
     
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    Ci avrà rimuginato molto.
     
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  11. Brat Fitzparker
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    Matthew, non so davvero come ringraziarti. Questa storia, fra tutte quelle che ho scritto fin ora, è quella che conta di più per me, in assoluto. Quello che hai scritto mi fa un piacere immenso, perché la.. realtà dei personaggi, la loro mente, la loro psiche, è essenziale per il finale. Ho sempre pensato che ciò che scriviamo debba sembrare più vero possibile, come per i quadri, insomma, hai presente Dalì o Magritte? I loro lavori sono surreali, completamente fantastici, ma così realistici nella realizzazione da catturarti, da renderli verosimili ai tuoi occhi. Sapere che su qualcuno questa storia ha avuto quell'effetto è la cosa migliore che potevo sentirmi dire.
    Per altro sono tipo fissato con la psicologia e la psichiatria, perciò sapere che nei personaggi tu hai visto così tanto mi rende dannatamente orgoglioso, e credo che il finale, la conclusione, dopo che hai trovato così tanto in quelli che hai conosciuto fin ora (che sono pochissimi, sinceramente questo lavoro è troppo ambizioso per le mie possibilità, ma capirai il perché) possa sembrare quasi perfetta, da prendere a testate il muro, sono certo che la apprezzerai, sopratutto se reputi così geniale quello che hai letto fin' ora (io credo sia solo un racconto come tanti, ma il bello è questo, no? La soggettività della reazione di chi legge). Credimi, faccio quasi fatica a non scriverlo in un commento perché la storia è ancora lunga ed è esattamente come quando sai la verità su qualcosa e vorresti dirlo al mondo, come se avessi la prova che tipo gli alieni esistono e non riuscissi a trattenerti nel spiegarlo a qualcuno.
    Inoltre la questione della scrittura, insomma, se a qualcuno è piaciuto così tanto lo stile essenzialmente per me significa che ho trovato il modo di gestire il mio mondo, (o almeno quello che ho in testa), di spiegarlo, di renderlo vero ed anche questo è un complimento che probabilmente vale più di qualsiasi altro, anche perché ogni singola emozione descritta, ogni pensiero, ogni parola, è qualcosa che ho pensato o provato, su cui ho sbattuto la testa e che non penso riuscirei a spiegare con una semplice chiacchierata.
    Ti ringrazio ancora, ti ringrazio davvero tantissimo e.. bè, niente, spero di risentirti presto e che apprezzerai tutto il resto.
    Cazzo, mi sembra di aver solo sprecato parole. Sapere cosa dire dopo che ti fanno dei complimenti così è la cosa più difficile, perché mi hai reso fottutamente felice e fiducioso in questa storia che mi sembra di doverti ridare lo stesso e di non poterlo fare, non completamente.
    Ps. Conosci i Social Distortion? Gesù santo, sei uno dei pochi esseri umani che sa chi sono! Cazzo, grazie.

    Aster, a dir la verità le uniche cose che sono, bè, rimuginate, è il contrasto fra Mary e Jane e il finale (lo so che sto rompendo con questa storia, ma accidenti, va tutto a infrangersi lì, quello è studiato, pensato e ripensato, ragionato, valutato e rivalutato), avevo in testa da parecchio la questione di mettere, come dire, "nella stessa stanza" due persone così opposte, come il bene e il male, tuttavia per il resto è solo.. andata. Avevo solo la partenza e l'arrivo, il percorso si è fatto come veniva. Ho sempre pensato che programmare tutta una storia l'avrebbe privata della sua realtà, insomma, non è che tu possa sapere esattamente cosa ti succederà domani, no? Le cose si incasinano, distruggono e riassemblano da sole. Ogni volta che rileggevo un capitolo, mi veniva in testa come sarebbe andata in quello successivo e anche per questo non pensavo che sarebbe piaciuta così tanto a qualcuno. Doveva essere una prova, un gioco per vedere fin dove arrivo e fin dove posso portare il lettore, fino a che punto posso convincerlo.
     
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    Mi fa piacere che ne sei felice, ma io sono sincero nelle mie opinioni, cerco sempre di non offendere il lavoro altrui esageratamente, ma se mi piace molto non posso non dirlo, e ti dico solo, che la storia e i personaggi mi sono proprio rimasti in testa ed entrati dentro, il coinvolgimento emotivo è stato totale, di solito rimango raramente rapito così da qualcosa.
    Io spero che tu non ti arrenda e che continuerai questa storia come meglio puoi, anche se è più ambiziosa di te, perché vale veramente tanto.
     
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  13. Brat Fitzparker
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    That needle in the vein of the establishment.

    Ora poco meno che un uomo la fissava con i suoi enormi occhi verdi, poggiato allo stipite della porta. Aveva stampata in faccia un’espressione che stava a metà fra incredulità e stupore, lasciando che la sigaretta che stringeva fra le labbra si inclinasse pericolosamente verso il pavimento. Aveva ancora i capelli fin troppo lunghi. Sotto quella matassa di ricci disordinati schiacciati da un cappellino messo al contrario il cervello correva avanti e indietro a più di settemila giri al secondo. Forse era troppo fatto, forse troppo ubriaco per riuscire a trovare una via di mezzo fra le emozioni che provava, così, nell’ indecisione, semplicemente aspettò qualche secondo. Aspettava che lei parlasse, dicesse qualcosa e che il suo cervello prendesse da solo la decisione, che fosse di chiuderle la porta in faccia e tornare dai ragazzi, o che fosse di accoglierla come se non fossero passati quattro anni, poco importava. Se avesse avuto un motto, quello sarebbe stato “la vita va’ da se, e sa da sola dove andare”, però era ancora un ragazzino, in fondo. Non gli importava del futuro, e per quanto riguardava il passato non era tanto diverso, ma ora bussava alla sua porta fradicio di pioggia e le sue convinzioni sembravano crollare, mentre la sua mente contorta non sapeva come reagire. Quella ragazza era alla sua porta e non sapeva come cazzo reagire, e questa sensazione lo mandava in bestia. Non sapeva se arrabbiarsi e forse l’avrebbe voluto. Forse l’avrebbe voluto davvero tanto, voleva dirle che era una maledetta stronza, che li aveva abbandonati tutti, ma d’altra parte era solamente felice che fosse a casa, poco contava tutto il resto. Quattro anni e tornava Rodeo, quella stupida testa di cazzo. Sbatté con forza la porta che si chiuse con un tonfo sordo. Ora, dopo tutto, aveva avuto il coraggio di presentarsi lì? Di farsi vedere? Quattro anni prima quella stronza era scomparsa. Le aveva voluto bene, le aveva voluto davvero tanto bene, e lei, cazzo, lei era sparita. Non una parola, non un biglietto, solo.. niente. Scomparsa. E ora si permetteva di bussare a casa sua?
    Si. Erano cresciuti insieme e alla fine, quattro anni non erano niente. Riaprì la porta.
    -Ciao, Brat- disse lei. Un impulso più forte degli altri formulò un pensiero nella mente del ragazzo: si chiedeva se fosse tutto qui quello che aveva da dire. Quattro anni e solo un “ciao Brat”? Ma fu subito calpestato dall’idea che, in effetti, non c’era molto altro da dire. Sulla sua bocca si aprì un sorrisetto divertito.
    -Oh, ma guarda tu cosa ci porta il vento, Jane! Che ci fai qui in giro? Non dovresti essere da qualsiasi altra parte a goderti la vita o che so io?-
    -Si, bè, sai come funziona, uno va’ lì a godersi la vita e la vita se ne va’ con tutti i tuoi dannatissimi buoni propositi-
    -Si, ma tu e la vita ve la intendete, stronze fino alle ossa, eh? In ogni caso che ci fai qui all’ingresso della mia umile dimora? Hai perso qualcosa l’ultima volta che sei stata qui? Perché non penso che la troverai, adesso-
    -Mi serve un posto dove stare- Brat strinse i denti per soffocare una risata.
    -Ma dai? E cosa ti fa pensare che io abbia intenzione di darti alloggio?- Ora la sua espressione dal semplice divertimento era diventata arrogante, provocatoria. Quattro anni, e quel ragazzino non era ancora cambiato di una virgola. Così pensava Jane, e in effetti non si sbagliava più di tanto. Quei quattro anni avevano dato al vecchio Two dollar Brat la maggior età e magari la possibilità di bere e fumare legalmente, ma non molto più di questo. Era lo stesso piccolo stronzetto di un Fitzparker, che ora gongolava nel vederla lì, sotto la pioggia, a chiedere il suo aiuto, come spesso accadeva la notte, quattro anni prima.
    -Niente-
    -Niente?-
    -No, assolutamente niente-
    -Quindi non hai intenzione di supplicare, di implorare e di umiliarti davanti a me?-
    -No-
    -E io cosa ci guadagno?-
    -Che ne dici di un bel calcio nel culo?- in effetti non era assolutamente in condizioni di fare la dura, considerato che la sua vita faceva più schifo di quando era partita, quattro anni prima, che pensava di non poter cadere più in basso e che rischiava di passare il resto dei suoi giorni in una macchina con quella troietta, ma in quel momento non poteva pensarci, in quel momento non era passata che qualche ora dall’ultima volta che si erano visti, i quattro anni non erano trascorsi e niente era diverso. Il tempo si era annullato ed erano di nuovo poco più che bambini, ma era proprio questo che Brat voleva vedere. Se c’era qualcosa che aveva terrore lei avesse lasciato indietro, quello era se stessa, ma quella testina di cazzo che conosceva, l’uomo con le tette con cui era cresciuto, la testa calda che gli aveva incasinato la vita più e più volte senza mai renderlo sazio era lì, e aveva ancora sedici anni, e ancora stava scappando da qualcosa che semplicemente non poteva affrontare. Rise.
    -Neanche una piccola ricompensa?-
    -C’è una ragazza con me, ti basta come vittima sacrificale?-
    -Aspetta, siete in due? Ah! Torni dopo quattro anni e mi chiedi di ospitare te e la tua scopa-principessa?-
    -Nah, niente di simile, ma se vuoi lasciarla per strada per me va bene-
    -Chi è la disgraziata?- Jane si volse e chiamò Mary, che uscì in fretta e furia dalla macchina. Dal canto suo era così stanca di restare chiusa in quella scatola di alluminio con le ruote che preferiva congelarsi sotto la pioggia. Le sembrava di aver passato i precedenti giorni chiusa in una bara con il cadavere più antipatico e scontroso che avesse mai conosciuto.
    Quando Brat la vide, la sua espressione cambiò. Si chiamava Mary, lo ricordava bene, o si. Quegli occhi azzurri non erano altro che il prezzo da pagare per la sua anima, e lei, in parte, se l’era tenuta. Forse non lo avrebbe ammesso, ma il giorno dopo e quello ancora successivo era passato per la stessa strada in cui l’aveva incontrata, sperando di ritrovare quello sguardo. Non era innamorato, no, accidenti, non era così stupido, non così superficiale, ma quel botta e risposta da libro e quell’espressione spaesata l’avevano incuriosito, così tanto da spingerlo a cercarla ancora e ancora, a ricordarla, a chiedersi chi fosse. E ora si presentava alla sua porta, insieme al suo passato.
    Buffa la vita, a volte.
    Anche Mary lo riconobbe, ma nei suoi ricordi, oltre il suo nome e il luogo in cui l’aveva incontrato, non trovò niente, nessun dato, nessun segnale. La sua mente troppo banale e superficiale, non poteva ancora tener conto di tutto ciò che aveva visto, limitata dalle sue cattive abitudini, non andava più a fondo di quello che vedeva e se qualcosa, nella sua testa, qualche meccanismo, si era attivato per permetterle di smettere di vedere e iniziare a guardare, ora era di nuovo spento, forse perché era troppo stanca, o forse, perché, in fondo, in quel momento, non le sembrava necessario accenderlo e curiosare nella propria memoria, per ritrovare le informazioni su ciò che aveva osservato, quel pomeriggio.
    -Oh, ma guarda tu, una biondina!-
    -Tu devi essere Brat, mi ricordo di te. E’ lui two dollar Brat? Mi aspettavo quantomeno dei baffi- lamentò la ragazza, facendolo scoppiare in una così sguaiata risata da fargli cadere la sigaretta.
    -Baffi.. ah! Andiamo, entrate, fuori si gela- disse, voltandosi verso l’interno della casa.
    -Voi due vi conoscete?-
    -Ci siamo.. incontrati a Seattle, un po’ di tempo fa-
    -Che ci facevi a Seattle, Brat?- chiese Jane, ma lui non rispose.
    Ad accoraglieli fu un lungo corridoio che si affacciava su una cucina, un bagno, uno sgabuzzino e un grande stanzone, in fondo. Entrarono lì.
    Dentro l’arredamento era quasi inesistente, in effetti non era molto diverso dall’appartamento schifo che avevano a Seattle. C’erano quattro brande sulla sinistra e un divano sulla destra, con davanti un vecchio televisore. Il pavimento era ricoperto da una moquette verde vomito logora e macchiata un po’ ovunque, e la vecchia carta da parati scolorita iniziava a scollarsi ed arricciarsi. Nell’aria si respirava odore di polvere e muffa, le cui macchie scure si allargavano negli angoli del soffitto, ma tutto sommato non era male. Un piccolo set di chitarre, amplificatori, aste per microfono e batteria si ammassava nell’angolo poco dopo i letti improvvisati, appena di fronte a un vecchio giradischi, posto sull’altro lato della stanza, vicino a cui giacevano buttati alla rinfusa dei vecchi vinili, tra cui una copertina vuota che rivelava l’ultimo ascolto: The Who, Quadrophenia.
    Nella stanza c’erano altri tre ragazzi, ma Jane ne conosceva soltanto due. Uno di questi era Spike, che se ne stava disteso per terra a fissare il soffitto, con il basso posato sullo stomaco, intento a ripetere in lenta successione le note mi, la, fa. Non producevano neanche un suono piacevole, solo vibravano smuovendo l’aria. I suoi capelli lunghi e lisci, castani, si stendevano lungo il pavimento e dal calzino destro spuntava l’alluce del piede. Avevano sempre chiamato “calzini fortunati” quelli con il buco, perché, nonostante fossero da buttare, venivano usati ancora e ancora. C’era una certa ironia nel sentirsi come vecchie calze bucate.
    Stravaccato sul divano, Eddy fumava, espirando piccoli anelli di candido vapore. L’odore di erba era inebriante, riempiva tutta la stanza. Una zazzera arruffata di capelli neri, una t-shirt e dei bermuda hawaiani descrivevano esplicitamente la poca cura che aveva posto nell’indossarli, ma a nessuno di loro era mai importato troppo dell’aspetto che doveva avere.
    Il terzo ragazzo, invece, Jane non lo conosceva, ma era impossibile non notarlo. Era seduto con le spalle poggiate contro il muro e con la bocca canticchiava freneticamente School dei Nirvana, battendo il tempo sulle gambe. Aveva la pelle chiara, tirata sulle ossa. Capelli castani, che si disponevano disordinatamente facevano sembrare la sua testa sproporzionata rispetto al corpo. Profonde occhiaie scure solcavano il suo sguardo, evidenziate da qualche linea di matita nera. Era vestito in maniera decisamente singolare: indossava un cappotto nero, foderato sul collo e sui polsini delle maniche con una pelliccia arruffata, da cui spuntava il colletto di una camicia viola tutta sgualcita. Accanto a lui era poggiato un bastone da passeggio nero, intorno al quale si attorcigliava un vecchio orologio da taschino in argento ossidato ormai fermo. Aveva gli occhi grigi come le nuvole che quel giorno coprivano il cielo, sul dorso delle mani comparivano dei tatuaggi neri quasi sbiaditi e le unghie erano tinte di smalto dello stesso colore. Sul suo viso si allargava un sorriso sghembo, e quello sguardo pareva quasi ipnotico e assassino. Metteva i brividi, ma quasi non riuscivi a non guardarlo.
    -Hey, ragazzi, guardate chi è passata a farci visita!- annunciò Brat. I primi due quasi schizzarono in piedi nel vedere il fantasma di una delle loro più vecchie amiche, il terzo, invece, rimase immobile e iniziò a fissarla, scrutandola attentamente, come per tentare di leggerle l’anima con quei suoi occhi da dannato, mentre afferrava il vecchio orologio e se lo riponeva con cautela in tasca.
    -Jane?! Oh, ma guarda! Chi non muore si rivede, che cazzo ci fai di nuovo a casa? Non ve la siete passata bene, tu e Jim?- nel sentir pronunciare quel nome, lei si irrigidì, e anche Brat, dal canto suo, si rese conto di non averci pensato e si voltò verso di lei.
    -Ragazzi, è vero! E Jim? Che fine ha fatto?- a questa domanda seguirono pochi minuti di silenzio e l’aria sembrò caricarsi di elettricità statica, pronta a far esplodere tutto in pochi secondi.
    -Jim è.. rimasto a Seattle-
    -Ah, dunque è lì che siete andati a cacciarvi? Bel posto di merda! E perché tu sei tornata e lui no? Cazzo, eravate più uniti dei miei testicoli, non ci credo che ti ha lasciata tornare da sola- Eddy partì in quarta, ma lei si limitò a liquidare quelle domande con un’alzata di spalle. Non era decisamente il momento di parlarne o di pensarci. Lì per lì lasciarono perdere, ma il quasi-uomo che aveva aperto la porta non la bevve. Quel dannato ragazzetto fiutava una bugia a chilometri di distanza.
    -Chi cazzo sono queste gentil signore che così impunemente si intromettono in casa mia?- lo sconosciuto si espresse quasi in un grugnito, ma non sembrava ostile, quanto più totalmente perso in chissà quale strana tipologia di metanfetamina.
    -Oh, Jackie, giusto, lei è Jane, la biondina è Mary, staranno da noi per un po’- gli rispose Brat.
    -Sono forse sbirri o qualcosa di simile, fratello?- mormorò piano lui.
    -No, idiota di un drogato, sono persone, sai, persone, quelle cose rosee che incontri quando cammini per strada, o che vedi quando ti guardi allo specchio, sai, persone, hai presente?- il tizio sembrò perplesso per qualche secondo, poi si alzò e, con un tono decisamente troppo teatrale, iniziò a recitare.
    -Benvenute nella nostra umile-seppur-meglio-di-niente dimora! Spero che troverete l’arredamento di vostro gradimento, e il pavimento comodo e accogliente, poichè a una delle due toccherà dormirci, di divano ce n’è uno!- sul suo viso si era dipinto un ghigno che sembrava più folle che rassicurante, un ghigno che fece tremare le ossa di Mary, ma che divertì enormemente Jane.
    -Quindi ora vivete tutti insieme?- Domandò quest’ultima, rivolgendosi a Brat.
    -Oh, puoi scommetterci, è un po’ un casino, la privacy in questo buco del cazzo non esiste, ma meglio che stare a casa con la mamma e…-
    -Dunque devo dedurre che voi vi conosciate da lungo tempo, n’è vero?- lo interruppe Jackie, afferrando il bastone e avanzando a grandi passi verso gli altri ragazzi, sfoggiando un paio di jeans neri squarciati in più punti e delle scarpe lucide in pelle, rosate, bianche e nere, come quelle che si vedevano ai balli di gala, nell’alta società.
    -Si, è così, siamo praticamente cresciuti insieme- rispose Jane, mentre lo osservava divertita. Lui la scrutò per un altro paio di secondi, per poi voltarsi verso Brat. Rimase in silenzio ancora un attimo, poi scoppiò in una risata sguaiata, quasi cattiva.
    -Dunque, da ciò che pare deduco che voi abbiate, come dire, fatto del s-s-sesso, no? E più volte, oserei aggiungere, oh si, non mi sbaglio, vero?..- iniziò. I due si scambiarono uno sguardo più irritato da quel ricordo che complice, ma l’eccentrico personaggio non gli lasciò tempo di spiccicare parola, di ribattere in qualsiasi modo -…tuttavia suppongo che dopo così tanto tempo la cosa non rappresenti un problema, affatto, lo è? No, bene, dunque mi pongo al vostro servizio, giovani donne, ch’io possa accontentarvi in ogni, o quasi...- ridacchiò ancora -… richiesta ch’abbiate da pormi- concluse, al termine di un buffo inchino sgraziato.
    -Dove diavolo l’avete trovato quel tizio?- mormorò sottovoce la rossa all’amico. Non sapeva se esserne affascinata o terrorizzata, ma di certo era ipnotico, non riusciva a staccare gli occhi dalle sue movenze. Pareva quasi ubriaco, ma nel suo alito non vi era neanche l’ombra di alcol.
    -Diciamo che fa un lavoro non troppo raccomandabile. Diciamo pure che vive più da fatto che da sano, e che forse è meglio così- rispose sotto voce lui, ma questo parlare sommesso fu vano, poichè lo sconosciuto sentì e sul suo viso si aprì un sorriso sinistro, come fosse felice dell’impressione che stava facendo.
    -Ebbene si, sono uno spacciatore se è questo che chiedete, anche se questi non sarebbero, come dire, affaracci vostri, gioia, ma se vi interessasse offro una vasta scelta di acidi e diversi tipi di metanfetamina, e, se proprio volete esagerare, la mistura migliore la troverete nel mio sangue, in cui un cocktail di droghe e farmaci sperimentali agiscono ventiquattro ore su ventiquattro sulla mia mente-
    -Si, grazie Jackie, ma ora suppongo che le nostre ospiti vogliano farsi una doccia- lo interruppe Brat.
    -Si, in effetti non hanno un odore invitante, come si conviene a una signora, somiglia più al maleodorante olezzo cane bagnato, o di qualche merda simile- concordò l’eccentrico ragazzo.
    Mary, dal canto suo, era quasi terrorizzata da lui, ma non poté fare a meno di sentirsi offesa da quel commento.
    -State dicendo che puzziamo?- chiese, e forse fu il tono con cui lo disse, forse la sua espressione, ma provocò una botta di ilarità generale.
    -No, principessina, tu profumi come il culo di un bambino appena cambiato- rispose Jane, sarcasticamente.
    Erano appena entrate nella nuova casa, e già la biondina di sentiva fuori posto. Rimpiangeva il lungo viaggio da sola in macchina con la stronza rossa, almeno lì non doveva fare altro che stare zitta, ora invece il silenzio non bastava più a distrarla dal fondo in cui era precipitata.
    Forse, proprio lei, non aveva diritto di criticare o giudicare quei ragazzi, ma qualcosa, dentro la sua mente, non riusciva a non farlo. Qualcosa, dentro di lei, ora aveva iniziato a rimpiangere la sua vita da principessa, vita che fino a qualche giorno prima le sembrava non appartenerle più. Forse, in fondo, l’unica cosa che era riuscita ad aprirle un po’ gli occhi, a quel mondo, era stato Jim, così puro, diverso e così perso da squagliare il suo freddo cuore, ma ora che era morto, la porta che era quasi riuscito ad aprire si stava richiudendo e la piccola crepa nel ghiaccio della sua anima sembrava risaldarsi, lentamente, con nuovo ghiaccio.

    Oh no, di certo, non lo farò, sono testardo. Se è troppo per me sarete voi a giudicarlo, io continuerò finché non sfonderò il muro o mi romperò la testa, su questo puoi scommetterci.

    Ah, Aster, ho una domanda, tra poco i capitoli diventeranno piuttosto lungetti, tipo otto pagine di Word, posso pubblicarli in un unico commento o devo separarli?
     
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    Si comincia a capire un po della personalità di Brat e a conoscere i suoi ospiti. Attendo il seguito ;)
     
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  15. Brat Fitzparker
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    Dry Ice.

    Quella notte, Brat non riusciva a dormire. Pensava, lo faceva spesso, quando era solo o quando si sentiva tale. Si soffermava su particolari che sul momento aveva lasciato correre, ci ragionava, li smontava per capire da cosa fossero composti . Era un tipo riflessivo, ma solo a tratti, abbastanza intelligente da appuntare piccoli post it nel suo cervello, da lasciar perdere la stonatura per poi tornarci dopo, in una situazione migliore, e ora pensava a Jane.
    Erano passati quattro lunghi anni, e lei non era cambiata, almeno non del tutto. Li aveva abbandonati ed era sparita. Aveva dato qualcosa a ognuno di loro, lei, con Jim, erano stati un’idea, un’idea che li aveva uniti, che forse, in parte, li aveva spinti a provarci e poi, senza preavviso, erano scomparsi. Una storia senza epilogo, aveva sempre pensato che non avrebbe mai saputo come sarebbe andata a finire, cosa lei sarebbe diventata, invece, quel pomeriggio, si era presentata alla sua porta, grondante di pioggia, fradicia, sconfitta, e con una ragazzina a seguito.
    Quella ragazza aveva sempre avuto una specie di istinto materno che lei stessa odiava, verso tutti i poveri disgraziati che riteneva degni. Voleva vederli crescere, voleva salvarli. Forse era arrogante, nel pensarla così, insomma, chi era lei per cambiare la vita di qualcun altro? Nessuno, eppure ci era sempre riuscita, ma forse era proprio per questo, o forse solo perché ci credeva, credeva in qualcosa, forse perché lei rappresentava un’idea che tutti accoglievano e sfruttavano per svegliarsi. La carne che la ricopriva era solo l’involucro. Magari era solo assurdamente idiota, e si rese conto di non essersi mai chiesto se fosse pazza, di certo sapeva che era diversa, ma non sapeva se lo fosse in positivo o in negativo, non gli era mai importato troppo, ne aveva mai avuto bisogno di pensarci, ma ora che era tornata, ora che si ritrovava a condividere ancora qualcosa, con lei, doveva domandarselo. Doveva essere certo di potersi fidare, ormai non la conosceva più, e forse, in fondo, si rendeva conto di non averla mai conosciuta.
    E poi c’era la biondina, poi c’era Mary. I suoi occhi erano freddi, e forse anche la sua anima. La sua mente era diversa, come lo era quella di Jane, ma qualcosa gli diceva che lo fosse in male. La prima volta che l’aveva vista sembrava terrorizzata dal mondo che la circondava, spaesata, come un cucciolo di lupo in una città, ma decisamente non fredda come era sembrata quel pomeriggio. Quelle calze a rete strappate, quel vestitino corto, quel trucco da prostituta, si era aspettato di vedere qualsiasi cosa, nei suoi occhi, ma non aveva trovato niente. Era convinto di trovarvi paura, magari rabbia, magari vergogna, e invece era solo ghiaccio secco. Lei gli aveva sorriso, ma non c’era calore in quel gesto e quel gelido ammasso di carne, ora, stava infettando la sua mente con domande insensate. Era solo troppo ingenuo per rendersi conto che in fondo non c’era niente, che quella principessina era tutta lì, un vuoto a perdere, o magari lo sapeva ed era attratto da questo, magari era semplicemente pazzo, o forse solo stupido, e non riusciva a non trovare affascinante il pericolo che quella ragazza poteva rappresentare per la sua mente malata.
    -Ah, fanculo!- imprecò sottovoce, gettando a terra il mozzicone ancora acceso.
    -Non riesci a dormire?- una voce, alle sue spalle, infranse la linea contorta dei suoi pensieri. Una voce che un tempo sarebbe suonata familiare, ma che ora era solo estranea.
    -Tu che dici? Sparisci per quattro fottutissimi anni e ti ripresenti alla mia porta con una principessina e una richiesta di asilo. Cosa diavolo dovrei pensare? Come diavolo dovrei fare a dormire?- Jane sorrise, anche se lui, seduto di fronte alla piccola finestra in fondo alla stanza e rivolto verso di essa, non poté accorgersene. Quello era il momento migliore per parlare, Brat J.B. Fitzparker era una persona seria solo quando era solo, e quando fuori era notte. In quei momenti si dava tempo per pensare, l’aveva sempre fatto, almeno così lo ricordava, ma quella memoria che risorgeva dalla sua mente si annullò quasi istantaneamente, schiacciata dal pensiero che ora non lo conosceva più e che avrebbe fatto meglio a smetterla di aspettarsi lo stesso ragazzino con cui era cresciuta. Ora era uomo, o quasi.
    -Si, bè, non è stata la migliore delle idee che abbia avuto- ammise, sedendosi accanto a lui.
    -Perché diavolo l’hai fatto? Avevi noi, avevi tutto quello che…-
    -Jim è morto- non avrebbe saputo spiegare perché le fosse uscito, forse pensava che l’avrebbe aiutato a capire, o forse ,semplicemente, non voleva raccontargli di quattro anni prima, ma della sua morte. Desiderava parlarne con qualcuno che avrebbe capito, che lo conosceva, a cui non dovesse spiegazioni, che non facesse più domande del dovuto.
    Nel petto del ragazzo, qualcosa sembrò soffocare, per un istante.
    -Cosa?-
    -Si è sparato alla testa, non voleva..-
    -Oh, ma piantala, non venire a raccontarmi cazzate, conoscevo Jim, non era tipo da spararsi in testa-
    -No, ma da morire di overdose nella vasca da bagno di un appartamento schifo a Seattle si, vero?- sbottò lei, e pensò che forse, in un certo senso, si sarebbe dovuta sentire in colpa. Forse, da un certo punto di vista, avrebbe dovuto fare qualcosa, aiutarlo, salvarlo, ma alla fine cosa avrebbe potuto fare? Lei capiva cosa lui stesse facendo, lo comprendeva, era solo troppo codarda per fare lo stesso. Era quello che voleva, non era stato un caso, non era stata una stronzata di troppo, era quello che voleva, la sua fredda decisione, come avrebbe potuto dissuaderlo? Se avesse avuto più coraggio sapeva che sarebbe giunta alla stessa conclusione. Scosse la testa, come per scacciare quel pensiero. Non avrebbe potuto fare niente, non era colpa sua. Non avrebbe potuto cambiare le cose, la decisione spettava a lui soltanto, era la sua vita. In fondo quando si muore, si muore soli.
    -Perché hai inventato quella stronzata della..-
    -Volevo solo dargli una morte degna di quello che era. Sapeva cosa stava facendo, voleva uccidere se stesso pezzo per pezzo, troppo spaventato all’idea di spararsi in testa, di non avere tempo di dire addio, o chiedere perdono, voleva avere il tempo di rendersene conto, di potersi osservare mentre se ne andava, ed è morto in un modo pietoso e patetico. Puoi immaginare perché l’abbia fatto, lui era un sogno con le gambe, dannazione, tolto il sogno, le gambe non vanno da nessuna parte, ha semplicemente evitato di farle.. vagare ancora a lungo senza una direzione- rimasero in silenzio, e Jane gli fu grata per non aver provato a dire stronzate come “mi dispiace”, perché alla fine a nessuno dispiace davvero, quando uno di quei derelitti muore. Metà della popolazione, quella ricca, quella viziata, quella cieca, se ne fregava, e l’altra metà arrivava a pensare che in fondo non fosse una cattiva cosa, che il disgraziato in questione fosse stato furbo. Una mossa intelligente.
    La porta d’ingresso scattò e nel corridoio rimbombarono i tacchetti delle scarpe laccate di Jackie, che poco dopo irruppe nella stanza.
    -Mi sbagliavo, è un problema avere questa damigella accanto, fratello? Ti crea disturbo? Di questo confabulate? Altrimenti che ci fareste svegli in queste oscure ore? Solo le cose peggiori si fanno da qui all’alba, che nascondete dunque?- Brat sorrise.
    -Jackie, sei un cazzone-
    -Oh, non c’è dubbio, fratello, ch’io sia un cazzone è ben noto a metà degli abitanti di questa cittadina e a tutte le pulzelle occasionali che ho avuto l’onore di plagiare con il mio pene, ma questo non chiarisce il motivo per cui voi due depravati siate ancora svegli. Magari vi state drogando? È così? O magari vi accingevate a scopare prima ch’io piombassi qui senza preavviso? Queste sono le ore giuste per fare certe cose, decisamente le migliori, il buio ha la memoria corta ed è bravo a mantenere i segreti-
    -No, Jackie, non ci stiamo drogando ne ci accingiamo a fare sesso, stiamo solo parlando-
    -Parlare, ah! Avete scelto il momento sbagliato per farlo, la notte è giovane, ma se nessuno si droga è il caso di rimediare, non trovate? E giacché ho già avuto la mia dose giornaliera di piacere e orgasmi, mi limiterò a fare ciò che manca- sorrideva beffardo, poggiato contro la parete accanto alla finestra, di fronte a loro. Di lui vedevano solo un’ombra e gli occhi luccicare. Poi qualcosa. Da una tasca interna del giaccone estrasse una piccola scatoletta in legno. Al suo interno, delicatamente adagiata nel velluto rosso, una piccola siringa piena rifletteva la luce dei lampioni e della luna che penetravano attraverso il vetro. Intorno a lei si avvolgeva su se stesso un nastro di gomma viola. Un laccio emostatico. Sollevò la manica del cappotto e lo legò sull’avambraccio per poi infilare l’ago sotto pelle e spingere lo stantuffo. Una piccola necrosi macchiava il suo braccio, simile a quelle di Jim, ma più piccola, più contenuta. Di certo lui sapeva dove infilare l’ago. Una volta finito ripose la siringa e la scatola, per poi estrarre ancora una bustina piena di piccole pastiglie trasparenti dal taschino. Ne prese una e la ingoiò.
    -Che diavolo stai prendendo adesso?-
    -Non ne ho idea, penso che probabilmente se ce l’avessi, un’idea, non al prenderei, fratello, immagina quali aborti contiene questa innocua pastiglia trasparente, ma a me non importa, in effetti, preferisco pensare all’effetto che farà sulla mia fragile psiche. Sento già la mente che inizia a scorrere, vedo già le cose muoversi più rapidamente-
    -Uno spacciatore che si droga della sua stessa merce? Non è una cosa da idioti?- domandò Jane.
    -No, affatto e per nulla. Io sono la mia stessa pubblicità, sono la prova tangibile che questa ignobile sostanza salva l’uomo dal suo peccato originale, più di quanto Dio abbia mai provato a fare-
    -E quale sarebbe questo peccato?-
    -L’umanità stessa. Avidità, apatia, egoismo, ignavia, tutte questioni che si dissolvono come mescalina depurata nell’acqua santa della mia chiesa. La carne è debole, ma lo spirito può essere più forte, e cosa lo renderà tale, se non la sostanza che amplifica la velocità dei suoi collegamenti sinaptici, dolcezza? La siringa è una pistola, l’unica che può uccidere la realtà, come un proiettile d’argento-
    -Tu sei pazzo-
    -No, affatto, sbagli ancora, ma grazie del complimento. No, in verità io sono più un visionario, libero il mondo dalla realtà stessa-
    -Vendi bugie-
    -Interessante punto di vista, ma si e no, dipende da cosa tu consideri reale. La realtà è forse solo quella che vediamo? No. La vista inganna, così la realtà non può essere quella che vediamo, ma ciò che sentiamo, ciò che il nostro cervello produce, quello è reale. Che sia naturale o indotto non fa alcuna differenza. Io dono alla gente la possibilità di andare oltre il limite imposto dalla lentezza delle nostre reazioni. Alcuni la chiamerebbero speranza, ma in ogni caso..- proseguì, appoggiandosi il bastone sulla spalla e posandosi sulle labbra una sigaretta, mentre ci passava accanto -..io andrò a farmi un bagno, sapete, questa notte quella puttana della mia favorita mi ha imbrattato più del solito di sudore e di maleodoranti liquidi genitali, perciò gradirei liberarmi al più presto di questo acre odore, vi lascio al vostro “parlare”, signori, è stato un piacere!- concluse, allontanandosi.
    Era indubbiamente un tipo strano, ed era indubbiamente ipnotico, così tanto da dare senso a ciò che diceva con un gesto. Non erano tutte idiozia, quelle che aveva detto, pensava Jane, anzi, aveva ragione, in fondo il corpo è solo il bozzolo, la realizzazione fisica della nostra mente, ma noi siamo pensieri e non carne. Quest’ultima produce ciò che vediamo, ma ciò che siamo è reale più di tutto il resto, di tutto ciò che c’è di fisico, anche se intangibile. Quell’idea era più che sensata, e il Gesù dei disperati li salvava con la libertà mentale, quella fisica, in fondo, era irraggiungibile, pura utopia, ma quel tipo aveva qualcosa che risvegliava il suo istinto di auto conservazione. Era percepito da tutti i suoi sensi come un pericolo, e pensava che se qualcuno avesse mai incontrato il diavolo, probabilmente avrebbe provato una sensazione simile.
    -Ma chi è?- chiese, rivolgendosi a Brat, che ora sorrideva, divertito.
    -Un ragazzino di periferia, come noi, lo spacciatore per eccellenza, tutto il giro di Rodeo è suo, come anche quello di Berkeley, il più in gamba che abbia incontrato. La casa è sua, l’ho conosciuto comprandogli tre cartoncini di LSD, a me serviva una casa e a lui degli inquilini, non tanto perché non riuscisse a pagarsi l’affitto, quanto perché deve coprire i suoi affari, gli serviva un posto in cui far venire i clienti, ma che fosse del tutto insospettabile, così siamo finiti a vivere qui con lui. Spike non lo può sopportare, sostiene che non ci si possa fidare di uno così, ma alla fine qui è meglio che a casa sua. Domanda per domanda, che ci fai con quella biondina?-
    -Mary? Oh, era una figlia di papà fino a circa un mese fa. Un ladro dal grilletto facile e i suoi genitori sono morti, così si è trovata per strada. L’ho aiutata e adesso sta iniziando a rendersi conto di non valere più di tutti noi, anzi, di valere meno se è possibile, almeno credo, non mi interessa davvero cosa le passa per la testa-
    -E allora perché l’hai aiutata?-
    -E che ne so? Dovevo darle il divano per una notte, in fondo non mi costava niente-
    -E dopo?-
    -Jim. Lui era davvero troppo buono, troppo buono con tutti, anche chi non lo meritava. Voleva che restasse, pensava che, alla lunga, sarebbe diventata come noi.- Brat sospirò, si, lo ricordava. Il ragazzo più buono del mondo, forse il più forte e al contempo il più fragile.
    -Jane… perché ve ne siete andati? Che cazzo vi è venuto in testa? Cosa c’era a Seattle per voi?-
    -Niente, Brat, ma niente era più di quanto ci fosse qui. Non sono tornata ne per nostalgia, ne perché spero di trovare un futuro, qui, alla fine è tutto lo stesso inferno, cambiano nomi e palazzi, ma il resto rimane immutato. No, se devo essere sincera sono tornata perché mi serviva un posto dove stare, e questo era l’unico in cui avrei potuto trovare qualcuno ancora pronto ad aiutarmi. Speravo di trovarvi ancora e non l’avrei fatto se non fosse stato necessario. Erano anni che non pensavo a questo posto e forse era meglio così. Non che non mi sia mancato, ma in fin dei conti non vedevo troppa differenza. Lì, almeno, ero autonoma. Lì non dovevo chiedere aiuto a nessuno, potevo contare su me stessa, cavarmela da sola. Non dovevo illudermi che ci fosse qualcuno pronto ad aiutarmi-
    -..suppongo che tu pensi quindi di non doverci delle scuse, e forse non hai tutti i torti, la vita era la tua e tutti noi volevamo andare via da qui, come biasimarti? Però cazzo, resti comunque una lurida stronza, non hai detto una parola, niente, sei solo sparita. Non so neanche se posso fidarmi di te, adesso. Sei una testa di cazzo, un’imprevedibile testa di cazzo, e non ci si può fidare di una così-
    -Ti ho mai chiesto di fidarti? Appena potrò me ne andrò, ma per quello che vale, dopotutto mi siete mancati- e così rimasero in silenzio nel rettangolo di luce ritagliato dalla finestra sul pavimento, ad ascoltare il suono della pioggia che ancora batteva insistente su tetti e sul grigio asfalto.
     
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