Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    Parte conclusiva del capitolo 9.



    «Stai tranquilla, lo troveremo» la esortò Ronnie il giorno successivo, mentre camminavano lungo la strada deserta.
    Non un passante, non un rumore: era come se al mondo non esistesse nessuno eccetto lui e Yuma. La brezza sollevava piccole nubi di sabbia, mentre gli occhi della ragazza che gli stava accanto si specchiavano nei suoi.
    Era riuscita a raggiungere il suo obiettivo, poche ore prima: una barista di Starlit Spring, nel vedere una fotografia di Michel, le aveva confidato di avergli fatto fare un breve tour della città qualche sera prima e che lui le aveva accennato di essersi recato in quel luogo per questioni professionali. Non sapeva, però, dove rintracciarlo, dal momento che non l’aveva più visto da allora e che nemmeno le importava, dato che non era solita preoccuparsi dei fatti di ogni sconosciuto che entrasse al bar.
    Yuma sembrava tesa.
    «Pensi ancora a quello che ti ha detto la cameriera?»
    Scosse la testa.
    «È a un’altra persona che sto pensando.»
    Ronnie le lanciò un’occhiata interrogativa.
    «A chi?»
    «C’era un uomo al bar.»
    «Intendi uno che ci lavora?»
    «No.»
    «Un cliente, allora?»
    Yuma annuì.
    «Era seduto a un tavolo e leggeva il giornale. Quando ho mostrato la fotografia di Michel alla barista si è avvicinato, forse per caso. Ha visto la foto anche lui.»
    A Ronnie non sembrava che ci fosse qualcosa di cui allarmarsi.
    «È così preoccupante?»
    «No, non lo è. Diciamo solo che mi ha fatto uno strano effetto.»
    Cercò di rassicurarla.
    «Sarà stata suggestione.»
    Yuma annuì.
    «Senz’altro.»
    Ronnie si domandò se ne fosse davvero convinta.
    «Che ne dici?» le propose. «Domani partiamo per tornare a Black Hill?»
    «Tornare a Black Hill?»
    «Ormai abbiamo le prove che Michel è qui. Non c’è alcun motivo, almeno in apparenza, per cui dovremmo essere in apprensione.»
    «Appunto, l’hai detto.»
    «Cosa?»
    «In apparenza.»
    C’era qualcosa di pessimista in lei, probabilmente derivante dal contesto familiare in cui era cresciuta. Stando a quanto Ronnie aveva capito sua madre era morta da anni e suo padre era un poco di buono. Soltanto la sua relazione con Michel le aveva regalato un po’ di serenità e non gli era difficile capirne il motivo: nonostante l’aria da scapestrato Michel era un bravo ragazzo, probabilmente il primo che avesse esercitato un’influenza positiva sull’esistenza di Yuma.
    «Stai calma» le suggerì.
    «Non posso.»
    «Non è la prima volta che Michel parte per lavoro» rimarcò Ronnie. «Tornerà presto a Black Hill, vedrai.»
    Yuma abbassò lo sguardo.
    «No, Ronnie, stavolta è diverso.»
    «Che vuoi dire?»
    Yuma lo guardò negli occhi.
    «Qui a Black Hill è diverso.»
    «È una città come tante» puntualizzò Ronnie.
    Yuma ribatté: «Oh, niente affatto.»
    «A parte qualche individuo poco raccomandabile come me» scherzò Ronnie, «Non è poi così male, come luogo.»
    «Lo so» ammise Yuma. «A Starlit Spring ci sono nata.»
    Ronnie strabuzzò gli occhi e spalancò la bocca per lo stupore.
    «T-tu...?»
    Yuma rise.
    «Tutti abbiamo qualcosa da nascondere.»
    Per Ronnie era un pensiero folle che un angelo come lei venisse da quella città infernale.
    «Non me l’avevi detto» gli sfuggì.
    «Lo so.»
    «Perché?»
    Yuma alzò le spalle.
    «Era un obbligo?»
    «Certo che no, ma essendo anch’io di Starlit Spring mi avrebbe fatto piacere saperlo.»
    Yuma ribatté: «Non sempre gli altri agiscono come ci aspettiamo.»
    «Quasi mai» confermò Ronnie.
    «Sei un tipo pessimista» osservò Yuma.
    «Il pessimismo è la mia ancora di sopravvivenza.»
    «Non capisco come sia possibile» si sorprese Yuma.
    «Un giorno te lo spiegherò» rispose Ronnie, con un sorriso.
    «Spiegamelo ora» lo esortò Yuma.
    A Ronnie sfuggì una risatina.
    «Non è una cosa che si racconta in giro.»
    «Non lo racconteresti in giro» replicò Yuma. «Lo saprei solo io.»
    Ronnie sospirò.
    «E va bene! Secondo me non c’è niente di meglio che essere pessimista: se le cose vanno male non resti deluso, se invece vanno bene puoi sentirti soddisfatto, dato che ti aspettavi il peggio!»
    Yuma si fece interessata.
    «Non ti immaginavo così filosofico.»
    «Non c’è niente di così filosofico, a mio parere» obiettò Ronnie. «O almeno a me non sembra.»
    Almeno Yuma non l’aveva preso in giro per quelle parole, come si sarebbe aspettato invece da qualsiasi altra persona. Del resto Yuma era diversa da tutti: era unica, non era mai né dentro né fuori dagli schemi. Ronnie si ritrovò immancabilmente a domandarsi cosa sarebbe accaduto se nessuno dei due avesse mai lasciato Starlit Spring e se si fossero conosciuti in altre circostanze, nella loro città natale.
    «È da molto che ti sei trasferita?» le domandò.
    «Pochi anni fa, ma mi sembra che sia passata una vita. D’altronde forse è davvero così. Da quando mia madre è morta tutto è cambiato: non sono più la stessa.»
    Ronnie la guardò negli occhi.
    «Ti capisco.»
    Yuma scosse la testa.
    «Non credo.»
    «Sì, invece.» Ronnie sospirò, alzando gli occhi al cielo. «Non deve essere tanto diverso da quello che provo io da quando mio fratello non c’è più.» Da quando si era trasferito a Black River, Yuma era la prima persona alla quale parlava di Rick. «Qualunque avvenimento per me non ha più una collocazione temporale precisa: c’è una spaccatura, c’è quello che è capitato prima della sua morte e quello che è successo dopo.»
    Yuma confermò: «È proprio questo che si prova.»
    Ronnie avrebbe voluto aggiungere qualcosa sulle altre orribili sensazioni che provava, quelle legate al senso di colpa, ma non poteva: si era ripromesso più di una volta che nessuno avrebbe mai saputo nulla e non poteva venire meno a quella decisione solo perché si era accorto che al mondo c’erano anche ragazze diverse da Kelly.
    Kelly James era colei a cui tornava sempre a pensare: era lei l’incubo ricorrente, era lei che sognò quella notte, mentre dormiva in un piccolo albergo di Starlit Spring, nella stanza attigua a quella di Yuma.
    La notte.
    Le fiamme.
    Rick.
    Kelly.
    L’incubo senza fine.
    L’incubo che si ripeteva.
    Le fiamme.
    Le fiamme.
    Le fiamme.

    E poi, alla fine di tutto, apparve una stanza buia e un letto dalle lenzuola scolorite: si svegliò di soprassalto, chiedendosi cosa ci facesse a Starlit Spring e quanto tempo sarebbe rimasto. Aveva proposto a Yuma di andare via, la sera prima, sulla spiaggia, o si sbagliava? Non aveva più importanza, quello che contava era non essere solo. Per la prima volta da tanto tempo non lo era – o almeno non si sentiva tale – e gli sembrava una vittoria importante, una di quelle che avevano il potere di alleggerire il peso di qualsiasi sconfitta.
    Yuma dormiva nella stanza accanto, Yuma era reale.
    Yuma.
    Kelly.
    Yuma.
    Kelly.
    Yuma.
    Kelly.

    Ciò che era una non poteva essere l’altra, ma l’inizio di una era la fine inesorabile dell’altra.
    Poi il mondo crollò.
    «Perché hai lasciato Starlit Spring?» gli domandò Yuma a bruciapelo il mattino seguente. Mentre Ronnie cercava nella sua mente una risposta sensata e credibile, riprese: «La tua famiglia abita ancora qui, non è vero?»
    Kelly.
    Rick.
    Le fiamme.

    Ronnie sapeva che era più di quanto il suo inconscio riuscisse a tollerare.
    Restarono in silenzio a fissarsi e come sempre si chiese se sarebbe mai riuscito ad avere un’esistenza normale, cosa di cui dubitava giorno dopo giorno sempre più fortemente.
    «È una storia lunga» le spiegò, vago. «Abitano ancora qui, comunque.»
    «Non ti va di raccontarmela, vero, questa storia lunga?»
    Una parte di lui avrebbe tanto voluto liberarsi, ma sapeva di non poterlo fare.
    «Scusa se sono stata invadente» mormorò Yuma. «Non avrei dovuto.»
    «Non importa.»
    «Sì, invece: tu stai facendo tanto per me. Non dovrei ripagarti impicciandomi degli affari tuoi.»
    «Davvero, Yuma, non importa» ribadì Ronnie.
    Il suo sguardo si incontrò con quello di Yuma. Fu in quel momento che Ronnie comprese che avrebbe potuto seguirla ovunque fosse andata.
     
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