Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    E per la soddisfazione di Gab, ecco la prima parte del capitolo 9! :D



    Capitolo 9.
    Yuma se n’era andata via da casa al mercoledì, aveva visto Heaven per l’ultima volta al giovedì, ed era già domenica.
    Alloggiava insieme a Ronnie in un piccolo albergo e quel giorno non aveva lasciato la stanza fino alle cinque del pomeriggio. Aveva trascorso gli ultimi due giorni a fare ricerche, ma senza risultato. Si era scoraggiata e, se non fosse stato per Ronnie, avrebbe rinunciato.
    «Torniamo a casa?» gli aveva proposto.
    «Non mi sembra il caso» le aveva risposto lui, e non perché non volesse ospitarla a casa sua.
    «Qui non c’è più nulla da fare» aveva replicato Yuma.
    «Non sei arrivata al tuo scopo» aveva puntualizzato Ronnie. «Non avevi detto che trovarlo era fondamentale per te?»
    «Su questo hai ragione» aveva ammesso Yuma «ma non c’è più nulla da fare ormai.»
    «Stai scherzando, vero?» aveva insistito Ronnie. «Non puoi fermarti adesso, solo perché hai sentito risposte negative per due giorni. È vero, non ti conosco tanto, Yuma, ma non mi hai mai dato l’impressione di essere una che si arrende facilmente.»
    Quelle parole le avevano fatto pensare che, alla fine, non sapeva proprio niente di lei. Gli aveva accennato, senza spingersi troppo nel dettaglio, gli abusi sessuali che aveva subito. Si domandava, quindi, come potesse credere che una persona non arrendevole avesse permesso il prolungarsi nel corso degli anni di una situazione di quel tipo.
    L’aveva scambiata per qualcosa che non era e si era resa conto che non mi dispiaceva. Se solo si fosse mostrata determinata in certe occasioni in cui era apparsa come l’esatto contrario, forse non sarebbe stata costretta a fuggire da un uomo nelle cui vene scorreva il suo stesso sangue.
    Aveva deciso di continuare le proprie ricerche finché non avesse raggiunto il suo scopo. Si era infilata qualcosa di più decente rispetto alla tuta da ginnastica sdrucita che aveva tenuto indosso per tutta la mattinata e durante le prime ore del pomeriggio, dopodiché era uscita e adesso si trovava lungo una strada di periferia, con le idee chiare – o quasi – su come avrebbe dovuto comportarmi.
    Yuma si distrasse dalle proprie congetture e dai suoi piani mentali soltanto quando vide un telefono pubblico. Istintivamente controllò il contenuto del suo portamonete, temendo di non avere spiccioli.
    Sentì qualcosa che tintinnava. Bene, si era sbagliata e, con una certa soddisfazione, constatò che poteva chiamare Naive.
    Si guardò intorno con aria circospetta, dopodiché di avvicinò alla cabina telefonica.
    Inserì le monete e compose il numero. Sua zia rispose al quarto squillo.
    «Yuma!» esclamò, sorpresa, quando la nipote le disse chi era.
    «Tutto bene?» le domandò Yuma, carica d’ansia.
    «Sì, tutto a posto» la rassicurò Naive.
    «Si è fatto vivo?»
    Si riferiva, ovviamente, a suo padre.
    «Sì.»
    Yuma sentì il mondo crollarle addosso.
    «Vuole venire a riprendersi Heaven, non è vero?»
    «Non sa che Heaven è qui.»
    «N-non lo sa?»
    «Gli ho detto che non ti vedo da mesi» le spiegò Naive. «Crede che Heaven sia da qualche parte insieme a te.»
    «Spero che non abbia idea di dove possiamo essere.»
    «Non saprei» ammise Naive. «Penso comunque di no. Non mi hai forse detto che tu e Ronnie eravate diretti a Starlit Spring a cercare Michel?»
    «Proprio così» confermò Yuma.
    «A proposito, da questo punto di vista ci sono sviluppi?»
    «Nessuno.»
    Naive non sembrava troppo convinta.
    «Siete davvero sicuri che sia lì?»
    «Te l’ho già spiegato: Ronnie mi ha detto di avere trovato un indirizzo e...»
    Naive la interruppe: «Me l’hai già spiegato. C’era un indirizzo di Starlit Spring, vicino a dove...»
    Stavolta fu Yuma a interromperla: «So benissimo cos’è successo vicino a quella maledetta strada. Quello che non capisco è che cosa debba fare Michel lì.»
    «Non lo capisco nemmeno io» concordò Naive. «Da quanto mi hai detto, nemmeno tu sai con esattezza di che cosa si occupa. È così?»
    Yuma sbuffò.
    «Ovvio che è così! Cosa credi, che ti abbia nascosto qualcosa?»
    «Non si sa mai» ribatté Naive. «Mi è parso di capire che il tuo amico non fosse molto convinto, a proposito dell’onestà di Michel. Ronnie ha insinuato che potrebbe avere a che fare con affari non propriamente legali...»
    «Avrai capito male» replicò Yuma. «Ronnie non sospetterebbe mai niente del genere.»
    «Va bene, va bene» si arrese Naive. «Sei tu che lo conosci... e dopotutto non ti immagino a fare coppia con un delinquente.»
    Yuma si sentì sollevata.
    «Ora, però, passiamo alle cose serie: potresti passarmi Heaven?»
    «Non c’è.»
    Yuma avvertì un brivido intenso che la attraversava.
    «N-non c’è?»
    «Beh, sul mio stesso pianerottolo vive una famiglia che ha una bambina della sua età. Non potevo impedire a Heaven di andare a giocare insieme a lei.»
    «È meglio che non la vedano» obiettò Yuma. «Quel bastardo potrebbe arrivare a denunciarne la scomparsa, la sua fotografia potrebbe comparire sui giornali e...»
    «Tuo padre non denuncerà mai la sparizione di Heaven» la interruppe Naive. «Avrebbe troppe spiegazioni da fornire, non credi?»
    «No, non lo credo affatto. Dopotutto, se anche lo denunciassi, sarebbe la sua parola contro la mia.»
    «Non credo che questo sia il modo migliore di ragionare. Se tu l’avessi denunciato molto tempo fa...»
    «Lo sai che non potrei mai farlo, Naive. È mio padre.»
    «Ti sembra che questa possa essere una giustificazione?»
    Yuma abbassò lo sguardo. No, non lo era affatto, ma non poteva ammetterlo con sua zia. La salutò, riattaccò e poi si precipitò verso quella che poteva essere la sua ultima speranza.
    Aveva trascorso gli ultimi due giorni facendo domande e mostrando la fotografia di Michel a chiunque le sembrasse abbastanza insospettabile e pronto a dimenticarsi di lei dopo cinque minuti, senza però arrivare a un punto di svolta.
    Da quando lo conosceva, Michel se n’era andato più di una volta per motivi di lavoro, senza mai darle troppe spiegazioni. Prima del martedì precedente, però, l’aveva sempre informata dei suoi spostamenti, non le aveva mai tenuto nascosto il luogo in cui si sarebbe recato e le aveva dato qualche piccolo indizio a proposito di ciò di cui si sarebbe occupato.
    Conosceva Michel da diversi mesi ed era sempre stato piuttosto discreto a proposito della professione che svolgeva. Sapeva che lavorava presso un’agenzia investigativa o qualcosa del genere, ma non era il tipo da andarsene in giro a fotografare coppie di amanti. Le era stato chiaro fin da subito che svolgeva un’attività di diverso genere.
    “E ora è qui a Starlit Spring, e proprio in questa occasione ha tentato di nasconderlo.”
    Per convincere Ronnie che dovevano cercarlo e avere un’idea più chiara di che cosa si fosse messo in testa di fare in quella città maledetta, Yuma aveva dovuto esporsi più di quanto avrebbe voluto. A parte Michel, nessuno sapeva che aveva trascorso gran parte della sua esistenza a Starlit Spring. Era proprio questo a preoccuparla. Aveva cercato di dirsi che si trattava di una coincidenza, ma non era riuscita a farsi entrare quell’idea nella mente.
    «Le coincidenze non esistono» mormorò, mentre si dirigeva verso l’insegna che aveva attirato la sua attenzione.
    Non credeva che avrebbe ricavato molto entrando in un bar di periferia e mostrando una fotografia che ritraeva Michel a qualcuno, ma tanto valeva tentare.
     
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