La Morte ed Io

Genere: non ne ho idea.

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  1. The Aster
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    Quel giorno il sole splendeva alto nel cielo, le foglie sugli alberi erano immobili come dentro un quadro di natura morta e l'aria era alquanto soffocante, insomma il tipico clima estivo di luglio.
    Stava tornando a passo rapido in ospedale dopo aver fatto visita alla tomba di mia moglie, sollevato nel sapere che presto ci saremmo potuti riunire, quando a un certo punto, un uomo mi si parò davanti bloccandomi il cammino.
    «Perdoni il disturbo signore, ma é lei il Dottor Smyles?»
    Prima di rispondere, esaminai l'uomo che avevo davanti: era piuttosto avanti con gli anni, ma non ne doveva avere più di me; sul volto, dei grossi occhiali da vista gli davano un'aria da intellettuale.
    «Sì, sono io, e lei sarebbe...»
    L'uomo mi porse educatamente la mano dicendomi il suo nome.
    «Mi chiamo Giacomo Lancetti, molto piacere.»
    «Piacere mio, Maurice Smyles» Risposi come si confà in quei casi.
    Guardandolo meglio, notai che aveva il volto scavato, era parecchio denutrito.
    «Cosa posso fare per lei, signor Lancetti?
    «Mi scusi se l'ho disturbata, ma avrei bisogno di parlarle di... un suo futuro paziente.»
    «Un paziente?» Domandai confuso. «E chi?»
    «Mio figlio, Marco.»
    Lasciai che il signor Lancetti mi seguisse in ospedale, lì avremmo potuto parlare tranquilli, ma lui insisteva nel voler cominciare subito la conversazione, intuì che aveva una certa fretta.
    «Allora, mi parli di suo figlio... Marco, giusto? Quanti anni ha?»
    «Ne compirà 10 il mese prossimo.»
    Mi fermai di botto sul marciapiede. "10 anni?"
    Stavo per arrabbiarmi.
    Durante tutta la mia carriera, non mi ero mi occupato di bambini, non perché non mi piacessero, anzi, quando nacquero i miei fui molto felice, ma tutti gli studi che avevo fatto, tutte le conferenze che avevo tenuto sulla psiche umana, tutti i libri che avevo scritto al riguardo, convergevano tutti su un'unica cosa: i bambini sono creature fragili, innocenti, devono essere amati e protetti indipendentemente da quanto fosse strano o assurdo il loro comportamento, e nessuno può farlo meglio dei genitori. Chiunque interferisse con la loro crescita mentale, dovrebbe andare in prigione.
    Come dottore, no, come padre stavo per rivolgere a quell'uomo parole molto dure, ma non volevo che la mia anima fosse infangata giusto quando il mio tempo stava per scadere. Mi limitai a sospirare.
    «Signor Lancetti, col dovuto rispetto, non ho intenzione di prendere in cura suo figlio, anche perché l'ospedale in cui lavoro non é attrezzato per i bambini, soprattutto per quelli della sua età.»
    L'uomo mi guardò con occhi tristi. «Dottore, sono pienamente consapevole delle sue opinioni riguardanti la crescita dei bambini, sono cose che condivido anch'io. Ed é proprio per questo, che la ritengo la persona ideale per il mio piccolo Marco.»
    Il caldo cominciava a farsi pesantemente sentire.
    Cercammo un luogo al riparo dai raggi del sole, in modo da poter continuare a parlare. Poi mi ricordai dell'abete situato qualche metro più in là, sotto le cui fronde vi era stata messa una panchina di ferro. La raggiungemmo in silenzio e ci sedemmo, rincuorati dalla frescura dataci da uno dei tanti figli di madre natura.
    Guardai l'uomo al mio fianco, stava rimuginando su qualcosa, probabilmente cercava un modo per convincermi. In fondo, sembrava una brava persona.
    «Supponiamo che io consideri l'idea di ricoverare un bambino, cosa può mai aver detto o fatto quella creatura per essere messa in un ospedale psichiatrico?»
    Lancetti, sospirando, rivolse gli occhi al cielo. «Avevo una moglie e un'altro figlio.»
    «Avevo?» Dissi.
    Lui annuì. «Mia moglie si é suicidata.»
    Rimasi di sasso.
    «Si é buttata dal tetto di casa nostra, é morta sul colpo.»
    «Le... le mie condoglianze, mi dispiace molto.» La tristezza che provai per quell'uomo aveva un non so ché di empatico, avevamo perso entrambi le nostre mogli, anche se in circostanze diverse.
    «Non ho potuto nemmeno farle un funerale e seppellirla nella tomba di famiglia.»
    Già, la chiesa cattolica era molto severa su questa antica regola: niente elogi funebri e tumulazioni per chi si toglieva la vita.
    «È una cosa ingiusta.» Cercai di consolarlo un po', io e la religione dissentivamo su molti punti, il primo dei quali i suoi stupidi riti. Lasciai che Lancetti si asciugasse le lacrime, poi continuammo a parlare.
    «Mi ha accennato a un altro figlio.»
    «Sì... Giovanni, il più grande.»
    «Anche lui é...»
    Lancetti si portò le mani al volto. «Marco l'ha ucciso.»
    Mi ci volle qualche secondo per assorbire quell'informazione. «Che cosa?»
    Lui annuì. «L'ha trafitto con un coltello.»
    Non credevo alle mie orecchie. «Oh Signore... ma é stato un incidente, vero?»
    «Purtroppo no, era pienamente consapevole di quello che faceva.»
    Era questo, allora, il motivo della sua insistenza a prendermi cura del figlio? No, c'era dell'altro, qualcosa che non mi aveva ancora detto, qualcosa che, sospettai, riguardasse la sua defunta moglie.
    «La morte della madre... ha a che fare con quello che-»
    «Io... non lo so. Sento che centra qualcosa, ma non riesco a capire come.»
    Una leggera brezza cullò dolcemente le foglie, il loro suono parve trasformarsi in una lenta ninnananna, il cui scopo era quello di rassicurarci l'anima.
    «Che cosa intende?»
    Lancetti tirò fuori dalla tasca un vecchio cipollotto. Quando lo aprì, notai che dentro vi era affissa la foto di una donna molto bella.
    «Mia moglie era una persona dall'animo molto fragile.» Mi disse. «Quando la incontrai la prima volta, fu come se il mio cuore venisse colpito da un fulmine. Me ne innamorai subito.»
    Fece una pausa per scacciare con le mani le lacrime dagli occhi. «Era stata abbandonata da piccola in un orfanotrofio e ci rimase fino a quando non scappò via a 16 anni.»
    Lo esortai a continuare, oltre al figlio, sospettavo che anche lui avesse bisogno di me.
    «Non so che cosa le abbiano fatto in quel posto maledetto, fatto sta che le sue capacità mentali erano molto disturbate: aveva paura di tutto, tremava terrorizzata in continuazione, aveva le allucinazioni e ogni volta che si addormentava, si svegliava urlando disperata.»
    Un dubbio si fece strada nella mia mente. «Sa per caso che tipo di orfanotrofio era?»
    Lui scosse la testa. «Non glielo chiesi, avevo paura di alimentare le sue sofferenze. Anche per questo, non la feci mai visitare da qualcuno.»
    «Per caso, aveva delle cicatrici... sul braccio sinistro?»
    Lancetti si voltò verso di me con aria stupefatta. «Come fa a saperlo?»
    «Sua moglie sapeva scrivere?» Domandai.
    «Cosa? Beh... no, ma era molto brava a disegnare.»
    «Con quale mano disegnava?»
    «Eh?»
    «Risponda.»
    «Con la destra.»
    La rabbia che provai in quel momento era indescrivibile. "Un orfanotrofio gestito dalla chiesa."
    Ero ben conscio di quale fosse l'opinione della religione verso i mancini: storicamente, la loro nascita e crescita veniva sempre osteggiata; per la Chiesa, l'essere mancino equivaleva ad essere Satana.
    A livello medico, la correzione di un mancino é un abominio, le conseguenze psichiche sono enormi, per non parlare poi dei cosiddetti "rimedi" utilizzati.
    "Verrà il giorno in cui non avrete più alcuna influenza, e quel giorno la pagherete per tutti i vostri crimini."
    «Perché mi fa queste domande?» Mi domandò Lancetti.
    «Possiamo darci del tu e chiamarci per nome?»
    «Beh... sì va bene.»
    «Giacomo, so il motivo del comportamento della tua defunta moglie.»
    Gli raccontai tutto quello che avevo intuito basandomi sulle mie conoscenze accademiche, la rabbia che provavo sembrò che si fosse trasferita a lui.
    «Se l'avessi saputo, io-»
    «Adesso calmati, Giacomo.» Lo volevo lucido, doveva dirmi ancora molto. «Continua il tuo racconto.»
    Lui parve calmarsi. «Quando nacque Giovanni, il nostro primo figlio, io ero al settimo cielo, e anche lei lo era. Lui é stato l'inizio della sua cura, sapessi come lo coccolava, come gli sorrideva. Quando poi venne Marco, mia moglie era guarita del tutto: era radiosa, non aveva più paura di nulla, riusciva addirittura a dormire tranquilla.»
    «C'era, forse, qualche rivalità fra Giovanni e Marco? Si odiavano?»
    Giacomo scosse la testa. «No, anzi, Giovanni era felicissimo di avere un fratellino. Passavano molto tempo insieme, si volevano molto bene.»
    Qualcosa non tornava. «Non capisco, se é come dici tu, allora...»
    «Maurice, se non mi avessi detto quelle cose prima, probabilmente non ci avrei mai fatto caso, ma adesso che so cosa ha dovuto subire la mia povera moglie, ho la conferma che la sua morte centri con quello che é successo tra i miei figli.»
    Faticavo a seguirlo. «Che vuoi dire?»
    Giacomo mi guardò negli occhi, riuscivo a vedere completamente la sofferenza che lo assillava fin dentro l'anima.
    «Maurice... anche Marco é... era mancino.»
     
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