La Morte ed Io

Genere: non ne ho idea.

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  1. The Aster
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    meno due alla fine:


    Il mio nome é Roberto Calonna.
    Sono nato 26 anni fa in un piccolo paese di provincia, dove l'unica cosa che regalava divertimento era farsi il bagno nel lago vicino, prima che questo venisse trasformato in una discarica abusiva.
    Io detestavo quel posto, l'odiavo con tutte le mie forze: ogni casa, ogni strada, le persone, perfino lo strano accento che si udiva quando si conversava era insopportabile per me. Per questo motivo, me ne andai.
    Riuscì a convincere i miei genitori, i quali erano gli unici su cui il mio odio non osava abbattersi, a permettermi di andare a studiare in città, dove avrei seguito un corso per diventare infermiere.
    Mio padre e mia madre, come al solito, furono lieti di accontentarmi, cosa di cui io non finirò mai di ringraziarli. Nonostante non fossimo gente ricca, i soldi per i miei studi li trovavamo sempre, anche perché, una volta trasferitomi in città, mi arrangiai facendo i più svariati lavori. Non volevo dare ai miei troppo peso.
    Finalmente, dopo giorni di fatiche e di studi, riuscì a diplomarmi a pieni voti e venni subito raccomandato per un posto di lavoro in un ospedale psichiatrico diretto dal famoso Dottor Smyles, l'uomo che mi assunse nonostante non avessi ancora alcuna esperienza.
    Non saprei definire la felicità che provavo: non solo ero riuscito a distaccarmi da luogo da me tanto odiato, ma i volti fieri e sorridenti dei miei genitori, quelle due persone che mi avevano aiutato a farmi strada nella vita, mi regalarono un senso di completamento inspiegabile.
    Non finirò mai di ringraziarli.
    Col mio primo stipendio, andai a prenderli con la macchina prestatami da un amico e li portai a cena in un posto molto bello, con vista sui monti. Avrei fatto qualsiasi cosa per loro; ogni volta che avevo del tempo libero, andavo sempre a trovarli al paese, anche se detestavo quel posto, vedere i sorrisi dei loro volti faceva scomparire ogni sentimento negativo dentro di me.
    Loro due, la mia famiglia, erano tutto per me. Se qualcuno avesse osato far loro del male, non avrei esitato a difenderli con tutte le mie forze.
    Forse é proprio per questo motivo che mi sentivo così affine con Marco, quel bambino pelle e ossa di 11 anni con i capelli sempre spettinati, uno dei pazienti del Dottor Smyles.
    Marco... la prima volta che lo vidi mi fece tenerezza: col suo corpo gracilino, se ne stava seduto sul letto nella sua stanza, non parlava, si limitava a guardare il pavimento.
    Tentai un approccio con lui, cercavo di essere gentile, nonostante non capissi il perché del mio comportamento nei suoi confronti. Era come se qualcosa dentro di me mi implorava di aiutarlo.
    Quel bambino... molte volte mi chiesi per quale motivo fosse ricoverato qui da noi. Una volta, provai a chiederlo al Dottor Smyles, ma l'unica cosa che disse fu
    "Del ragazzo mi occupo io, lei pensi al suo lavoro."
    Quelle parole dure erano in contrasto col carattere bonario del dottore. Ma nonostante il suo avviso, la curiosità di sapere era troppo grande per me; così, una sera in cui ero di turno, sgattaiolai dentro gli archivi per cercare la scheda di Marco. Ero pienamente consapevole di infrangere molte regole, ma la forza che mi attirava verso il bambino era troppo grande.
    «Cerca qualcosa, signor Calonna?»
    La voce del dottore stava per farmi venire un infarto, non mi aspettavo di trovarlo ancora in ospedale a quell'ora.
    «Io... veramente...»
    Notai che in mano il mio capo aveva una scheda, mi domandai se fosse...
    «Sì... é la sua.» Confermò il dottore come se mi avesse letto nel pensiero.
    «Lo sente anche lei, non é vero?»
    «Eh?»
    «Quel legame inspiegabile verso Marco.»
    Stentai a credere a quelle parole. Allora, anche il dottore sentiva l'irresistibile desiderio di aiutare in tutti i modi il bambino.
    Gentilmente, mi fece segno di accomodarmi alla sedia, lui, invece, rimase in piedi.
    «Ho il cancro, signor Calonna.»
    Quella rivelazione mi fece sobbalzare. «Come ha detto?»
    «Ha capito bene, sto morendo.»
    «Ma... cosa... come...»
    Il dottore sospirò. «Io voglio aiutare Marco, lo voglio davvero. Purtroppo, non mi resta molto tempo.»
    «Quanto?» Fu l'unica cosa che mi venne in mente di chiedergli.
    «Potrei morire dall'oggi al domani, signor Calonna.»
    Il dispiacere crebbe dentro di me, quell'uomo non era solo il mio principale, ma anche l'uomo che mi aveva aiutato ad inserirmi nel mondo del lavoro e che ogni tanto rimaneva con me quando ero da solo a farmi compagnia, rivolgendomi sempre parole incoraggianti.
    «Mi dispiace molto dottore.»
    Smyles abbozzò un sorriso. «Ho vissuto abbastanza, signor Calonna. L'unico mio rammarico, é di non poter restare per Marco, ed é proprio per questo, che avrò bisogno di lei.»
    «Farò tutto quello che mi chiederà.» Dissi prontamente.
    «Voglio che lei si prenda cura di lui quando io non ci sarò più.»
    «Eh?»
    «Ho predisposto le carte necessarie, alla mia morte, la cura di Marco sarà affidata a lei.»
    «Ma io sono solo un infermiere, non credo che-»
    «Ho parlato col padre, per lui va bene.»
    Non ci capivo più nulla. «Perché io?»
    «Per lo stesso motivo per cui si trova qui invece di essere al suo posto.» Mi rinfacciò sorridente il dottore.
    «Non so cosa dire.»
    «Un semplice sì, Roberto.»
    Era la prima volta che mi chiamava per nome. La sua era una strana proposta, non che non mi andasse di prendermi cura di Marco, ma le mie conoscenze erano scarse in fatto di psicologia.
    «Dottore, per quanto vorrei accettare la sua proposta, le mie capacità non sono-»
    «Ho fatto in modo che le fosse assegnata una borsa di studio all'università, può cominciare quando vuole.»
    Non credevo alle mie orecchie, che diavolo stava succedendo?
    «Ma dottore, io...»
    «Prima che risponda, vorrei raccontarle una cosa, poi mi dirà la sua decisione.»
    «Che cosa?»
    «La conversazione che abbiamo avuto io e il padre di Marco prima che il figlio venisse portato qui.»
    Rimasi di stucco, quelle erano informazioni strettamente confidenziali, un infermiere come me non doveva conoscerle.
    Ma non riuscì ad oppormi.
    «Ovviamente, la cosa dovrà rimanere fra me e lei.»
    Io annuì.
    «Tra qualche giorno, la scheda del ragazzo verrà resa pubblica dal ministero a causa dell'approvazione di una nuova legge, tuttavia, dell'incontro tra me e il padre non c'é alcuna prova, perciò dovrà fidarsi delle mie parole.»
    Annuì ancora.
    «Roberto, io mi fido molto di lei, e spero vivamente che possa riuscire a curarlo.»
    Dopodiché, cominciò il suo racconto, una sfilza di parole che promisi a me stesso di non dimenticare mai.
     
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