Scrittori della Notte: liberi di scrivere

Votes given by Pavone Bianco

  1. .
    SPOILER (click to view)
    I'M BACK BITCHES :]

    È una ferita ancora aperta, dai lembi purulenti, una porta che conduce ad un mondo di tenebra. Se ti immergessi per passare oltre, proveresti la sensazione di nuotare nel fango. Probabilmente avvertiresti la sensazione di star soffocando. Se dovessi resistere per il tempo necessario a passare questa oscura soglia, potresti orgogliosamente dire di aver passato il primo ostacolo di questo mondo distorto.
    Quello che vedresti in seguito somiglierebbe ad una replica del mondo reale, dai colori sgargianti e l’aspetto meccanico. Una finzione nemmeno troppo realistica. Un circo degli orrori. Decadente. Ti stai forse iniziando a chiedere se non sia in questo modo che percepisco e vivo il mondo? Ma passiamo oltre, pensieri più bui ci attendono.
    Qui ti troveresti ad affrontare il secondo ostacolo, perché non è in alcun modo concepito che tu possa ulteriormente procedere. Già non dovresti trovarti qui. Già dovresti essere morto. Affogato nel putridume.
    I manichini cercherebbero di ghermirti e strapparti le membra. Proveresti un minimo del dolore che provo. Non chiederti come faccio a sopportarlo. Non lo faccio, ci ho costruito un mondo di tenebra.
    Se anche riuscissi a farti piccolo piccolo, come un topolino, scappando così alle mani fameliche di inseguitori senza volto, saresti in grado di trovare il passaggio per il secondo piano?
    Un altro girone ti aspetta, ebbene sì, ve ne sono altri. Come dici? Già ti è bastato? Suvvia, non essere scortese.
    Supponiamo che tu sia riuscito a trovare la fenditura che conduce al cerchio interno. Ora dovresti passare quella sorta di tendaggio pesante e asfissiante che separa i piani.
    Non lamentarti della luce, sarai avvantaggiato nel vedere il gatto che giocherà con te. Hai ragione, l’ho chiamato mondo di tenebra, eppure c’è molta luce. Questo perché la tenebra è interiore. Cresce come un’erba infestante, senza fiori, che attecchisce anche sui terreni più difficili. Non senti che sta facendo presa anche su di te? Senza che tu te ne accorga, il suo seme sta germogliando in te.
    Ma ora basta chiacchiere, ti sei forse scordato che devi scappare da un gatto?
    Se riuscissi a scappare dal gatto, ammetto che inizierei seriamente ad irritarmi.
    Poniamo allora questo caso, che il gatto ha già giocato con altri prima di te ed ora, sazio, riposa. In questo caso sarebbe soltanto fortuna, la tua. In questo caso irritarmi non sarebbe educato.
    Da bravo topolino curioso riusciresti a trovare l’altra fenditura, quella che porta al terzo piano, ancora più interno. Ricordati però, che c’è chi ci muore di curiosità, letteralmente.
    Questo piano ti piacerebbe. Innanzitutto, finalmente sarà accontentato il tuo desiderio di penombra. Ma non so per quanto ancora ne gioiresti. Immagino fino a che ti saresti reso conto di essere intangibile, aver perso il tuo corpo materiale nella seconda breccia.
    In questo spazio grigio opaco, come fumo denso, risplende come un’aurora boreale, ma dai colori malsani. Inizieresti a sentire un chiacchiericcio, un brusio di fondo, incomprensibile, di creature che non riusciresti a scorgere. Non con la tua solita vista, quantomeno. Mani le cui dita ricordano legni secchi ti graffierebbero per condurti in un labirintico percorso fino ad un banchetto, imbandito di tutto punto. Se te lo stai chiedendo, sì, vi troveresti sia il vino speziato che il nettare degli dèi. Ovviamente, non potresti resistergli. Ed ecco il quarto ostacolo.
    Se fossi così terribilmente insolente da resistere alla tentazione del cibo e delle bevande, il banchetto sparirebbe risucchiato dalla terra oscura. Vedresti allora l’ultima fenditura, che conduce all’ultimo piano, il girone più interno. Tutti si chiedono cosa vi sia al suo interno. Nessuno ne è mai uscito per raccontarlo.
    Se cercassi di attraversare anche l’ultimo passaggio, il tuo spirito sarebbe pervaso da sofferenze atroci lasciandoti senza fiato.
    Poniamo il caso che il tuo spirito sia forte, non ancora pervaso dalla tenebra dilagante, e che riuscissi in qualche modo a passare, sconquassato, dall’altro lato. Quando ti saresti ripreso, ti troveresti a galleggiare in uno spazio di un azzurro lattiginoso, senza punti cardinali né di orientamento, bidimensionale e irreale. Scorgeresti in lontananza qualcosa che ti spingerebbe ad avanzare per vederlo meglio. Camminare, qui, è assai strano. È disorientante.
    Regna inoltre una calma surreale. Impazziresti per il silenzio immane se ti tratterresti troppo a lungo in questo luogo alieno.
    Avvicinandoti, noteresti che ciò che aveva attirato il tuo sguardo, in mezzo a tutto questo nulla, non è altro che un laghetto immerso nella nebbia. Vedresti due alberi che riconosceresti come un cipresso ed una betulla, se avessi giusto una conoscenza botanica di base. L’edera invade ogni angolo di questo diorama. Vicino all’albero dalla corteccia candida piena di occhi, siede una bambina che, udendo i tuoi passi, si volterebbe a fissarti con grandi occhi neri. Avvicinandoti ancora ti accorgeresti che nello stagno non v’è acqua, ma un liquido simile al contenuto della ferita.

    Vedo uno stagno
    nella nebbia
    una betulla ed un cipresso
    stanno su sponde opposte
    l'edera assale ogni cosa
    come un filo che unisce il tutto
    come l'energia che scorre
    vedo una bambina
    vicino alla betulla
    che si specchia nell'acqua putrida
    ha due lunghe trecce nere
    si gira e mi fissa
    con i suoi grandi occhi scuri
    e mi fa cenno di avvicinarmi
    mi accosto alla battigia
    il liquido è denso e melmoso
    così che si muove
    senza fare rumore
    la bambina continua a guardarmi
    ma ora indica la superficie dello stagno
    così opaca da assorbire la luce
    mi sporgo un poco
    per cercare di capire
    e da lì fuoriesce un demone acquatico
    spalanca la bocca e mi divora.
  2. .
    15.01.2010 - 15.01.2020

    In quel gennaio 2010 cercavo un forum di scrittura che mi piacesse. Ne visitai uno o due e mi sembrarono troppo "disabitati".
    Non so come mi venne questa idea. Il fatto di potere amministrare o moderare un forum mi attirava, quindi pensai "e allora perché non aprirlo io stessa?"
    Lo feci insieme a un numero ristretto di persone che avevo contattato tramite Answers Yahoo e, non so come, ne uscì Scrittori della Notte (nome scelto da uno degli utenti trovati su Answers Yahoo, che fu per un periodo amministratore del forum).

    Non fu facile farlo funzionare, specie per me che non capivo nulla di grafica, di codici html e di tutto quello che serve per amministrare un forum.
    Gli utenti arrivarono grazie allo spam sui social media, fatto da altri membri dello staff, e in pochi mesi la situazione mi sfuggì un po' di mano: pensavo che SN fosse destinato ad essere un forum quasi deserto, invece c'erano un bel po' di utenti e, in certi periodi, eravamo un bel po' anche noi membri dello staff.

    Le cose, ovviamente, sono molto cambiate negli ultimi anni, cosa che è un po' inevitabile, dato che ormai il forum non è più un luogo virtuale molto frequentato, in generale. Al giorno d'oggi ci sono piattaforme magari più orientate alla scrittura, che permettono un'interazione più intuitiva o che possono essere consultati più facilmente da smartphone.
    I social ci hanno superati... pazienza, magari a qualcuno di noi fa ancora piacere usare i forum e, in particolare, il nostro forum.

    Non so dire, a distanza di dieci anni, quanto questo forum mi abbia effettivamente insegnato. Forse mi ha aiutata, almeno in parte, a scoprire chi sono.
    Quando sono arrivata qui avevo 21 anni e sognavo di diventare una scrittrice. Questi dieci anni mi sono serviti a capire che non era quello che volevo davvero. Rimango ancora molto legata alla scrittura, scrivo altrove di argomenti di mio interesse, occasionalmente mi dedico alla scrittura di fan fiction, ma la scrittura quella seria e il sogno di pubblicare un giorno un romanzo è qualcosa che non fa più parte di me.

    Immagino che molti di voi, invece, abbiano avuto l'effetto contrario dalla frequentazione del forum. Meglio così, almeno qualcuno si è salvato! ;)
    A parte gli scherzi, credo che non importi chi siamo. Questo non è un forum "per scrittori". E' un forum per persone a cui piace scrivere, siano essi futuri scrittori o siano destinati a diventare tutt'altro. Credo che sia proprio questo che ha sempre fatto parte dello spirito del nostro forum: esperienze molto diverse le une dalle altre, che hanno tuttavia qualche punto in comune.

    Auguri, Scrittori della Notte.
    Dieci anni sono un grande traguardo, nonostante tutto. <3
  3. .
    Mi hanno messo in mano
    le redini di un cavallo
    pazzo
    il bianco terrore dei suoi occhi
    spalancati
    era lo stesso dei miei
    avevo la missione di guidare
    la nave del mondo
    oltre la burrasca
    ma non sono mai stata
    l’ammirato capitano
    soltanto
    il silenzioso timoniere
  4. .
    Davvero molto bella, ogni tanto mi torna in mente questa poesia e torno a rileggerla qui
  5. .
    Se il cielo si fermasse un istante,
    se l’amore corresse più affannante,
    se il muto conoscesse le parole,
    e se il sole tramontasse quando vuole.

    Se la sabbia si trovasse sopra i monti,
    se la luna ci mostrasse i suoi racconti,
    se la musica scappasse dai vinili,
    e se il vino non finisse nei barili.

    Se le bestie fossero libere e selvagge,
    se la neve non morisse sulle spiagge,
    se gli uomini imparassero a guardare,
    e se la mente la piantasse di pensare.

    Se il denaro nascesse dalla terra,
    se l’avaro non avesse mai una serra,
    se le parole arrivassero più in fretta,
    e se Dio non fosse solo favoletta.

    Se la bugia non fosse una menzogna,
    se la verità non fosse nella fogna,
    se lo storpio correndo raggiungesse la gloria,
    se non vi fosse la fine dopo una grande storia.

    Se la morte si stancasse di rubare,
    se la vita si stufasse di stufare,
    se la gente la smettesse di gridare,
    e se la pace fosse cosa da invidiare.

    Io sarei luna e sarei sole,
    sarei sabbia e sarei neve,
    sarei bestia e sarei uomo,
    sarei fogna e sarei gloria,
    sarei terra e sarei Dio,
    sarei vita, sarei io.

    Edited by Dhurantir - 28/11/2018, 21:32
  6. .
    Perdo secondi,
    conto i minuti.
    in groppa le ore,
    dei giorni avvenuti.

    Nel cuore ho dei mesi,
    sul petto stagioni,
    nella mente rimpianti,
    palesi illusioni.

    Nel grembo ricordi,
    emozioni perdute.

    Le gambe pesanti,
    rammentan cadute.

    Mi sento cascare,
    nel buio del tempo,
    lì sento tacere,
    un sordo lamento.

    L'autunno è passato,
    non l'ho visto scappare,
    già bussa un inverno,
    gelato, fa male.

    Ed io cos'attendo?
    una pace immortale,
    il silenzio infinito,
    che la morte sa dare.

    Eppure vacillo,
    senza nulla da fare,
    eppure combatto,
    per non affondare.

    Guardando lontano,
    non vedo domani,
    pensando al futuro,
    mi treman le mani.

    le ore e i secondi,
    mi passano in fretta,
    e nel buio abissale,
    la vita mi getta.

    I mesi crudeli mi mangian la carne,
    senza aspettarmi nemmeno un istante.
    io muoio ogni giorno senza saperlo,
    alla deriva nel mare del tempo.

    Edited by Dhurantir - 12/10/2018, 00:01
  7. .
    Scalda il mio animo ancora una volta.
    Per favore, accendi quel fiammifero,
    è fra le tue mani, è tuo.

    Ravviva la mia fiamma morente
    e guardala arroventarsi.
    Lascia che il nostro mare di fuoco s’intrecci ancora,
    le ustioni non fanno più male.
    Fammi ardere, lasciati scottare e non ti fermare.

    Gira e rigira: fa sì che la nostra danza continui.
    Pian, leggero, un silenzio che urla,
    così il fuoco ci stringerà a sé,
    i nostri sospiri diventeranno vento,
    la mia pelle sarà la tua cera.
    Come in un rogo, lascia morire i miei tormenti.
    Fammi ancora scorrere il sangue nelle vene, fammi sentire vivo.
    La fuliggine ci legherà,
    una catena così resistente ma fragile.

    Lo senti? Il fuoco crepita.
    La cenere mi tumulterà.
    Soffiaci sopra,
    spegni la nostra candela.
    Lo senti? Silenzio.
    Fammi risorgere ancora, come una fenice farebbe.
    Le sue ali dorate: ricordatele mentre spargi le mie ceneri.
  8. .
    Dovere, perché è bella e basta un niente perché sia perfetta
  9. .
    Aria sinuosa,
    Ti ho visto passare.
    Corpo di marmo,
    Lo voglio assaggiare.

    Come la pioggia,
    Mi sei caduto davanti.
    Come una roccia,
    Adatta a rialzarmi.
    Come la luna,
    Ad illuminarmi.
    Tu sei bellezza,
    Ed io lì a guardarti.

    Labbra di sabbia,
    Per dominarmi.
    Occhi viventi,
    Per ingannarmi.
    Respiro silente,
    Per assopirmi.
    Mente velata.

    Io guardo nel fuoco,
    E vedo il tuo cuore.
    Con esso ci gioco,
    Non provo dolore.
    Lo lancio nel vuoto,
    Lo vedo cadere.
    Mi getto nel buio,
    Lo voglio tenere.

    Ti guardo negli occhi,
    Vorrei impazzire.
    ti avvicini leggero,
    Ti voglio baciare.
    Mi sfiori la pelle,
    Non ti fermare.
    Mi doni le stelle,
    Voglio sognare.

    Mi sento felice,
    Non è mai successo.
    Mi sento sicuro,
    Mai prima di adesso.
    Mi mostri dolcezza,
    Me l'hai concesso.
    Io ero finito,
    Tu sei il mio riflesso.

    Edited by Dhurantir - 14/5/2018, 19:52
  10. .
    Chi vuole dire "ti amo" metta a freno la lingua... perché la legge la fa rispettare chi odia l'ingiustizia, sembra un'assurdità, ma "amare" una sola persona è il peggiore crimine che si possa perpetrare su questo mondo, chi vuole dire "ti amo" io credo abbia molto frainteso cosa significa il rispetto per ogni individuo di questo pianeta... chi vuole dire "ti amo" deve prima di tutto "amare", ed io voglio dire "ti amo" ad una persona, una donna... Io purtroppo non so "amare" e non esistono insegnanti abbastanza validi a questo mondo che possano farmi apprendere l'arte. L'amore non si insegna, dunque esiste soltanto il crimine e se il crimine non paga, come si spiega tanta bellezza in un solo sguardo? Vedere il mio riflesso nei suoi occhi è stato il più grande crimine mai pronunciato, perché dopo ci fu un silente "ti amo" racchiuso in un bacio.
  11. .
    Un aggiornamento interessante, senza dubbio

    Mi sembra che tu abbia voluto mettere in risalto la componente inquietante del romanzo, fondendo due tipi di ritmi: il primo, adatto all'immedesimazione e il secondo, adatto invece a creare nel lettore una sensazione di pericolo. Mi è piaciuto molto, l'ho trovato giusto nel modo di portare avanti la storia
  12. .
    SOGNI ALL'IMPERFETTO

    Giorni di gloria,
    Giorni di dolore,
    Cercavo parole
    Distrutte dal sole,
    Cercavo emozioni
    Rinchiuse in una scatola,
    Demoni e fantasmi
    Seduti a capotavola.

    Solo frasi fatte
    Nascoste in cassaforte,
    Elogi e necrologi
    In attesa della morte,
    A coprire gli insuccessi
    Di parole scritte di getto,
    Incubi al presente,
    Sogni all'imperfetto.

    Notti di gelo,
    Notti di fuoco,
    Cercavo l'aurora
    E mancava poco,
    Cercavo le nubi
    Di un altro temporale,
    Sogni all'imperfetto
    Che fanno ancora male.
  13. .
    Non avevo idee. Niente. Peggioravo ogni secondo che passava. Il tempo, le lancette, si muovevano in un agonizzante vortice di dolore. Soltanto che non potevo tirarmi indietro. Dovevo andare avanti. Dovevo scrivere. Qualcosa. Qualunque cosa. Più facile a dirsi che a farsi. Se non avessi un cervello del cazzo potrei anche farcela.
    Come si scrive una storia?
    Un libro?
    Mah.
    Boh.
    Forse si scrive da solo.
    Abbiamo solo l'illusione di essere noi a scrivere, ma forse è qualcun altro.
    Mi metto la pagina di Onenote davanti e cerco di scrivere. Niente.
    Creare personaggi, situazioni, ambientazioni, dialoghi, ma chi me lo fa fare?
    Una gran fatica è.
    Ma è una gran fatica che va fatta.
    Senza motivazione?
    Senza motivazione.
    Inventare cose che non esistono, stare lì, a formulare parole, concetti, discorsi, e poi?
    E poi chi li legge neanche li capisce.
    E poi non li capisci neanche te.
    Pensa un po'.
    Chi legge i tuoi scritti non capisce mai cosa ci sia dietro.
    Per fortuna.
    E se dovessi morire proprio in questo istante, proprio ora, beh, almeno ho scritto queste righe del cazzo.
    Ma la gente vuole ridere.
    Eppure, a me sembra sempre che non ci sia un cazzo da ridere.
    Se non lo vivi, non puoi capire.
    Se non sei me, che vuoi capire di tutto ciò che faccio?
    Chi ti giudica, molto semplicemente non ha un cazzo da fare.
    Sennò vivi la tua vita di merda e basta.
    No, non sono un genio.
    Nessuno è un genio.
    Non mi riesce a scrivere un altro libro.
    E' davvero difficile.
    Però in realtà è difficile solo per chi non sa scrivere.
    Come me.
    Per chi sa prepararsi e organizzarsi e per chi usa il cervello è fattibile.
    Per chi scrive col cuore, è una roba un po' diversa.
    Ma alla fine, un giorno scriverò anche questo cazzo di libro, o qualcos'altro.
    Lo leggerà qualcuno e mi dirà:
    -Bravo, si, complimenti, davvero bello.
    Oppure dirà.
    -E' troppo così, è troppo colà. Dovevi farlo così, questo personaggio non mi piace, questo deve fare così e non va bene.
    Certo, perché vuole leggere qualcosa in qualcos'altro.
    Vuole trovare caratteristiche dove non ci sono.
    Come trovare qualcosa in queste righe che non siano cazzi miei.
    E non pensa neanche che laddove crei una storia, in quanto scrittore devi essere il più fedele possibile a come le cose devono andare, e non a come loro vogliono che vadano.
    Che se ci pensano un attimo la vita se ne sbatte di quello che tu vuoi, semplicemente fa accadere le cose che devono accadere. Basta. I sogni restano sogni.
    Ma questo è difficile da accettare.
    E allora è difficile da accettare nei libri.
    Che le cose non vadano come loro vogliono.
    E allora che scrivano le loro di storie.
    Però se ragioni così, nessuno ti capisce.
    Ma non ti capisce perché non è te, o non è nella tua situazione.
    La realtà è sempre temuta.
    Quando la mostri alle persone impazziscono.
    Quando la vedono si ammazzano.
    Si autodistruggono.
    Si fanno a pezzi.
    Chiudono gli occhi.
    Dormono.
    E continuano a sperare, che una volta aperti, le cose miglioreranno.
    Ma in realtà, quando li aprono, notano che è il caso di tornare a dormire, o di dormire per sempre.
  14. .
    Da grande appassionato di Charles Bukowski ogni tanto mi capita di buttar giù racconti sulla falsariga dei suoi. Ne posto uno, tanto per vedere la vostra reazione, soprattutto di qualche appassionato di Charles.

    Donnaccia di strada



    Non ero altro che un guscio vuoto, senz'anima. Passavo le mie giornate nella solita routine, uno schema fisso che si ripeteva continuamente, ancora e ancora. Giornate piatte, solite persone, soliti luoghi. Noia. Se potessi riassumerlo in una parola sarebbe proprio questa: noia. Quando non c'è nulla da fare o quando non trovi un'occupazione, un qualcosa che ti prenda tempo, va' a finire che t'annoi. Mica tanto per dire, ti annoi davvero, senti che la tua vita ti sta scorrendo fra le dita, fugge via da te, difatti il tempo scorre mica si ferma ad aspettare. Poco da fare, quando capita. Io mi buttavo sul bere qualsiasi liquido che fosse alcolico o infiammabile che sia. Bicchieri su bicchieri, nettare su nettare, bottiglie su bottiglie. Non avevo fine, dicevano. Il fegato rischiava di collassarmi in due anni massimo. Ogni tanto m'accendevo anche una sigaretta, la univo col nettare, gran coppia.
    M'alzavo all'alba senza sveglia, la sveglia ce l'avevo incorporata nel cervello, mai che sbagliavo orario. Poi arrancavo fino in cucina, dove buttavo qualcosa da mangiare nel mio lurido corpo morto, una specie di colazione. Resto della mattinata andavo a scrivere, alcune volte non mi riusciva, le idee non vengono tutti i giorni e metterle in pratica mica è facile certe volte. Ho tralasciato la parte in cui iniziavo a bere, cioè subito dopo la specie di colazione. L'alcol faceva funzionare tutto il mio sistema. Altro che sangue, che ne potete sapere voi umani. Comunque dopo la scrittura, se mi riusciva, c'era il mio momento doccia. Mi sparavo sempre una sega, in doccia, non pensieri catastrofici come tutti voi. Io i pensieri catastrofici me li faccio 24 ore al giorno, stanno nella routine come sottotrama, altroché. Dopo la doccia me ne uscivo, facevo un giro per il merdoso quartiere, non sia mai na botta di culo e trovo qualche decione o qualche donna da scopare. Quindi mi facevo sto giro, con la scusa dell'aria fresca. Davo a me stesso una scusa, capite? Era per farmi sentire meno in colpa. Tornavo a casa verso la fine del pomeriggio, quando il sole iniziava a calare e la luna ad affacciarsi leggermente. Cenavo, co quel che trovavo, quel che c'era. Alcune volte non c'era niente, quindi via col nettare. Se invece c'era qualcosa buttavo giù nel mio merdoso corpo altro cibo. In qualsiasi caso il nettare veniva subito dopo, fino a tarda serata. Me ne stavo sulla mia poltrona sporca a godere quel liquido, da solo, davvero ne scolavo quantità industriali a ripensarci. Inumano. Dopo diverse ore a bere me ne andavo a dormire, mi sparavo una sega prima di chiudere occhio, altrimenti c'avevo ancora forze senza sega. Mattina successiva ripartiva la routine, ancora e ancora. Come sempre.
    Un giorno venne sconvolta, la routine, a causa di un incontro casuale con una donnaccia di quartiere. Non che fosse troia o altro ma per me son tutte donnacce in cerca di uccelli freschi, mica no. Ricordo bene come venni fermato pe strada, dalla donnaccia abbastanza alta, capelli neri e occhi piccoli, a fessura, color nocciola. Potevo ingrifarmi solo pe l'occhi, mica no. Il corpo era passabile, ma c'aveva il bel culo. Resta il fatto che venni fermato. Mi disse delle cose.
    -Senti, scusi, non è che avete da fumare?
    -Sì, solo per me però.
    -La prego, giro ormai da ore, non ho casa.
    -Capito, ma non ho niente con me, ho lasciato tutto all'appartamento.
    Indicai l'appartamento, non ero sceso da molto quindi me ne stavo ancora là nei pressi. Ed era vero che avevo lasciato tutto dentro, me lo stavo tenendo per stasera. Squadrai meglio la donnaccia: portava un vestitino bello attillato, tanto da intravedere le mutandine. Mica male.
    -Posso salire da lei? La prego.
    -Ma certo, venga.
    Non ci pensai due volte. Magari era la volta buona pe scopare, dopo tanto tempo dall'ultima. Poi questa sembrava veramente una donnaccia, una di quelle che basta chiedere e t'allarga le gambe ancora prima della risposta. Salimmo su all'appartamento sporco. Non me ne vergognavo, poco me ne fregava, tanto ci scopavo solo là dentro per quanto riguarda gli ospiti.
    -Accomodati.
    -Grazie, signor...?
    -Matthew. Matt, per gli amici, senza signor.
    -Okay, grazie Matt.
    Chiusi la porta. Dovevo giocarmela bene ora. Era molto gentile, la donnaccia, chiedeva il permesso pe qualsiasi cosa, anche per sedersi in poltrona. Vide il mio nettare e mi chiese se poteva favorirne. Dissi di sì. Una donnaccia ubriaca è pure meglio di una che non beve manco a pagarla. Se ne scolò parecchio di nettare, ne buttò giù un bel pò, di bocca buona la signora.
    -Lei si chiama, invece?
    -Ah, mi scusi! Che maleducata... sono Lena.
    Restammo là a parlare delle nostre vite. Era stata sposata due volte, due matrimoni da incubo da quanto diceva. Il primo marito c'aveva il fringuello piccolo, mentre il secondo la picchiava. Povero primo marito con l'arnese insufficiente, pensai. Non aveva figli, però aveva abortito due volte, uno spontaneo l'altro per suo volere. Abitava per strada, na specie di barbona, e si guadagnava da vivere trovando lavoretti a giro in qualche locale, strip club, pub o chi più ne ha più ne metta. Mentre parlava continuava a bere, ormai stava alla seconda bottiglia, e se la stava per finire. Io da parte mia stavo alla prima, avevo rallentato quella sera, volevo cavalcare la puledra per bene. M'attizzava parecchio. Arrivò il momento e colsi l'attimo, le dissi apertamente se voleva scopare. Mi guardò maliziosa e poi aprì le gambe, ancora co mutande e tutto. Il vestito attillato si strappò ai lati pe quanto aprì con violenza. L'avevo detto io, t'ho subito inquadrato, donnaccia. M'alzai, m'avvicinai, tolsi tutto quel che c'era da togliere e me la feci là in poltrona. Scopata sublime, ci sapeva fare co quei fianchi. S'addormentò subito dopo e io tornai in posizione, sull'altra poltrona malridotta. Mi sedetti e decisi che quella sera non c'era orario, quando il sonno m'avrebbe colto, avrei semplicemente accettato l'abbraccio. Continuai a bere.
    La mattina dopo la donnaccia non c'era più, scappata, fuggita. Vidi tutto sottosopra nell'appartamento. La troia avrà cercato del denaro o qualcosa di valore da portarsi via, e mi venne da ridere, perché pur'io stavo senza un soldo. Campavo alla giornata, e ogni tanto m'arrivava qualche soldo da qualche giornale pe qualche mio articolo schifoso. Quella donnaccia io l'ho amata. Per una sera, ma l'ho amata. Forse ho amato più la patacca che lei, ma questi son dettagli trascurabili. Ripresi a bere, invece della colazione. La routine stava per riprendere possesso della mia vita.
  15. .
    Pronti via, arriva la rocambolesca conclusione.




    ************** Puntata 5/5 **************





    Adorata Leona,

    il tempo trascorso dal nostro primo incontro è volato come possono volare le ore nei giorni migliori.
    Permettimi innanzitutto di lodare la tua costanza e la tua determinazione nel perseguire ogni obiettivo che ci siamo prefissati: saresti guida e modello per qualsiasi altra donna che insegua un personale miraggio.
    Come ti dissi quindici anni orsono, dedizione e fede incondizionata aprono le porte al coronamento dei sogni, anche i più remoti. Hai fatto la tua parte, ora io farò la mia. Ci sono voluti anni, e notevoli sacrifici, ma infine, con mia somma soddisfazione, sono riuscito a strappare un angelo dal cielo e piegarlo alla mia volontà.
    Per quanto alto sia il valore di una simile conquista, a nessuno dei miei figli eccetto te assegnerei le ali e il potere di quella creatura: credo meriti di esaudire il sogno che hai inseguito per così tanto tempo e al prezzo di buona parte della tua esistenza.

    Come ti dissi durante la mia ultima visita, farò tutto ciò che è in mio potere per presiedere alla tua metamorfosi nonostante, come sai, la mia salute stia peggiorando. Sarò reduce dall’operazione, e questo mi impedirà di restarti vicino quando entrerai nella cella di contenimento, tuttavia ti potrò guardare dalla sala di controllo: niente in questo mondo, neppure se l’operazione dovesse finire tragicamente, m’impedirà di alzare il braccio in tuo saluto quando otterrai quelle ali e diventerai tu stessa un magnifico angelo vendicatore.
    Hai la mia totale e incondizionata fiducia: trascendi i limiti dell’umanità e diventa ciò che hai sempre desiderato; questo è l’unico ringraziamento che chiedo per quanto ho fatto per te da quel lontano giorno, tra le macerie di una chiesa distrutta.

    La nostra ora solenne deve ancora arrivare, ma la tua è ormai imminente. Non deludermi.

    C.B.


    ***



    Passi nel corridoio.
    Elaborati stivali a percorrere il camminamento, lenti, metro dopo metro, silhouette di donna disegnata a chiaroscuri nel passaggio poco illuminato.
    Si fermò: davanti a sé l’ultima doppia porta di sicurezza. Prese un respiro.
    Il colore del cielo?
    Azzurro.

    Frugò nella tasca con dita guantate, ne trasse un piccolo origami a forma d’angelo con mani che iniziavano a tremare, come più volte da quella mattina. Lo fece muovere lentamente avanti a sé, come volasse in un riquadro di cielo che esisteva solo nella sua mente.
    Respiro.
    Poggiò l’indice sul pulsante d’apertura della doppia porta: esitò.
    Se fosse tutto un inganno?
    Un pensiero troppe volte accarezzato per poterlo ignorare, una paura segreta, inammissibile, gli anni spesi inseguendo qualcosa che avrebbe anche potuto non raggiungere mai.
    Tolse il dito dall’interruttore e lo sguardo le indugiò sulla propria immagine riflessa, distorta, nel metallo pesante della porta; un corpo di donna atletica, slanciata, avvolto nella tuta protettiva nera, stivali neri anch’essi, il vermiglio cupo, artificiale, dei folti capelli pettinati indietro, raccolti in svariate treccine come rossi serpenti: una candida, silenziosa gorgone.
    L’azzurro intenso, crudele, degli occhi.
    Leona ascoltò per un momento il flusso del sangue sulle tempie, il vecchio ritornello dei dubbi, le paure, l’orrore recondito che tutto quanto fosse una montatura.
    Strappare un angelo dal cielo.
    Brivido.
    Prendere le sue ali e cantare con lui, librandosi sulle correnti del mondo.
    Altro brivido.
    Se tutto, tutto quanto fosse un sontuoso inganno?
    Strinse l’origami piegandone involontariamente la delicata forma. Con la destra andò alla cintura dove languiva, freddo, il coltello extrema ratio: il respiro le si fece affannoso.
    Se sarà una menzogna, prenderai la vita dell’uomo che chiami padre e poi la tua, ti taglierai la gola davanti a tutti: quindici anni spesi ad aspettare un qualcosa che forse non vedrai mai.
    Prese fiato, un respiro a calmare i nervi, quella sottile vena schizofrenica che di tanto in tanto riempiva i suoi momenti introversi: eredità di due morti sfiorate per mano degli angeli, la diagnosi ufficiale.
    Leona ravviò i capelli in un gesto distensivo, batté un paio di volte il tacco a scacciare la tensione.
    Sei pronta.
    Nessuna domanda, solo piena affermazione di sé.
    Lo sei sempre stata.
    Premette il pulsante: le doppie porte si aprirono con un ronzio.
    Un refolo d’aria calda la investì agitandole per un momento le trecce serpentine e gli abiti, poi la luce dei neon, solo per un attimo intensa, sullo sfondo del campo visivo. Davanti a lei un’anticamera che era il preludio alla grande sala aperta appena dietro. Camminò al passo cadenzato dei propri stivali, a suo modo maestosa e assieme inquieta, contrita, lunghe ombre sul volto dai tratti incisi, dalle labbra marcate da sobria chirurgia estetica, dagli occhi di un azzurro selvaggio. Camminò fino alla soglia opposta, vi trovò i suoi quattro fratelli in attesa, fermi, i volti segnati sui cui albergava una qualche sorta di empatia: il muto invito, assieme beffardo e intenso, ad andare fino in fondo. Leona li superò con solo quell’increspare della bocca che era una personale forma di sorriso.
    Camminò, gli ultimi metri.
    Varcò la cella di contenimento.
    Si sorprese di essere in un buio quasi completo, interrotto solo dai piccoli lumi direzionali sul pavimento; si fermò, l’eco degli ultimi passi esaltata dall’enorme struttura.
    La tua ora solenne.
    Il senso di nulla, di vuoto.
    Tutto un immenso, gigantesco inganno.
    Lente, in sequenza, le luci al neon sul soffitto si accesero una dopo l’altra ad illuminare l’ampiezza intera della grande sala, l’estensione della cella, fin verso il fondo, il grande portone serrato sul mondo di fuori.
    Gli occhi azzurri di Leona iniziarono a dilatarsi, istante dopo istante, il cuore a battere a passo doppio.
    Signore dei Cieli.
    Brivido caldo.
    Lui era lì.
    Grande, molto più di lei, l’angelo attendeva immobile nel mezzo della sua sontuosa prigione.
    È tutto vero.
    Ampie ali cineree, distese, la testa oblunga, il corpo nodoso: guardava di rimando, muto, come cercasse in lei un qualsiasi segno che i rispettivi destini fossero pronti ad incrociarsi lì e quel giorno.
    È tutto vero.
    Gli si avvicinò con le gambe che a malapena trovavano la forza di muoversi: si fermò ad un passo da lui, tremante, gli occhi vitrei. Aprì le braccia, lenta, in un gesto che aveva compiuto centinaia di volte e che solo lì ed in quel preciso momento trovava il suo significato ultimo; raccolse la gamba sinistra e chinò il capo: l’airone umano stagliato contro il bianco dei neon e la figura oscura, meravigliosa, che aveva popolato i suoi sogni e i suoi incubi.
    È tutto vero.
    Abbassò le braccia, riportò a terra la gamba, rialzò il capo.
    Il cuore un martello nel petto, il respiro furioso. Dischiuse le labbra tremanti come per parlare ma le uscì solo un gemito.
    Leona pianse.
    Cadde sulle ginocchia, le mani in grembo: pianse. Gli occhi serrati, un grido liberatorio, un urlo innamorato della vita e del mondo, la testa reclinata indietro e lo sguardo inebriato della creatura con la quale era pronta a diventare un tutt’uno.
    La più alta e pura forma d’amore.
    Aprì ancora le braccia come a librarsi, come già avesse quelle ali che l’attendevano lì, a un passo, il corpo scosso dai singhiozzi e il volto contratto in una maschera di meraviglia e smodata passione.
    Si rialzò in piedi con le guance rigate di lacrime, si voltò furiosa verso le vetrate che, in alto, schermavano la sala di controllo.
    Lui era lì.
    Dall’altra parte del vetro, l’uomo che aveva chiamato padre per quindici anni guardava, lontano e fiero, dietro la barriera di un respiratore. Quegli occhi chiari, profondi, nonostante la distanza, le dissero quanto intensamente fosse orgoglioso di lei.
    Lui alzò un braccio, il saluto di un padre che aveva le sue battaglie da combattere ma che non si era mai dimenticato dell’unica figlia. Lei alzò il braccio in risposta, furiosa, il viso contratto e le labbra morsicate in una selvaggia forma di gratitudine: la promessa, incisa nella carne, di dare la sua stessa vita per quelle medesime battaglie e tutte le altre che sarebbero venute dopo.
    Grazie.
    Un bacio impresso a fuoco sul palmo della mano e liberato verso di lui, perché lo raggiungesse anche attraverso mille barriere di cemento.
    Grazie di tutto.
    Si voltò per tornare a guardare l’essere perfetto che attendeva, immobile e magnifico. Si alzò sulle punte dei piedi a sfiorarne il volto, lo avvertì levigato, lucido, vivo; sentì il fremere crudele della creatura e dentro di sé agitarsi forme di piacere che non ricordò d’aver mai provato prima. Baciò la sua pelle dura come l’acciaio e chiuse gli occhi perdendosi per un istante nella sensazione infinita, potente, che andava crescendole dentro.
    Adesso saremo una cosa sola.
    Passi in avvicinamento. “Vogliamo iniziare?”, scandì l’addestratore uscito da una delle stanze di servizio, un uomo sui cinquanta, dal volto forte, “Che il ragazzo qui vuole tornare a volare”.
    “Sì”, Leona asciugò le lacrime con due manate rabbiose, “Sì…!”.
    È tutto vero.
    Tolse di tasca l’origami dell’angelo, lo baciò un’ultima volta.
    È tutto vero.
    Lo lasciò cadere sul pavimento: non ne aveva più bisogno.
    Si mosse, suole di stivali sul pavimento lucido. Salì a passo agile la scaletta e sedette nella carlinga, un movimento alla volta, le mani poggiate, tremanti, sulla cloche di comando.
    È tutto vero.
    Allacciò la doppia cintura e indossò il casco ad interfaccia, poi il respiratore integrale.
    Il canale radio nell’auricolare iniziò a crepitare e prese vita al suono della voce del suo flight partner.
    È tutto vero.
    Leona dominò gli ultimi residui della paura, dell’emozione, lasciandoli rimpiazzare dalla più profonda e tetra determinazione.
    Io sono un angelo.
    Si adagiò sul sedile e lasciò che la cupola dell’aereo si chiudesse sigillandola nell’abitacolo.
    Divenne un tutt’uno con la macchina da guerra.

    ***



    Notte del 26 maggio 1999: bombardamento NATO su Dazar, Jugoslavia.
    Colpito per errore umano l’orfanotrofio del Sacro Cuore.
    54 morti.
    Nessun superstite.

    ***



    “Come dicevo”, la voce quieta, mesta, di Suor Jovanka seduta alla scrivania dell'ufficio, “È instabile. Non è una cosa innata, è solo frutto di ciò che ha dovuto passare”.
    La donna, il marito dietro le spalle, incupì. “E i suoi genitori?”.
    Jovanka prese un lungo respiro. “La loro casa è stata distrutta durante un bombardamento, qualche mese fa. I suoi genitori sono morti quella notte. I soccorritori l’hanno trovata tra le macerie, imbrattata di sangue e sotto shock. Pare che”, pausa, un magone, “Che suo padre e sua madre le siano morti addosso, nel tentativo di proteggerla. I corpi erano sfigurati, irriconoscibili. Per questo”, altra pausa mesta, “Dice quelle cose orribili. Non voglio neanche immaginare cosa deve aver vissuto. Ma io credo, e lo credo fermamente, che se trovasse famiglia potrebbe guarire dal suo male”.
    Gli sguardi vacui, assenti, della coppia.
    Un sospiro.
    “Guardi, siamo molto rammaricati, ma…”.

    “Non conviene darla in affidamento, non subito perlomeno”, il medico in giacca e cravatta, volto magro, “È meglio portarla in una struttura qualificata, almeno per un po’. Deve smaltire il trauma. Portatela in un posto dove sia seguita e assistita: da quel che ho potuto constatare, sta manifestando aggressività e tendenza alla sopraffazione; ha già picchiato due ragazzine al pediatrico”.
    Il funzionario annuì distrattamente, intento a timbrare le carte. “Sindrome di Stoccolma?”, lesse su uno dei fogli.
    “Qualcosa del genere. Sembra aver sviluppato”, sensazione sgradevole, “Una specie di attaccamento morboso verso gli aerei. Quelli da guerra in particolare”.
    “Gli stessi che hanno distrutto la sua casa e la sua famiglia?”, scuotere del capo, “Che assurdità”.
    “Non sottovalutate la cosa. Li accomuna alla nozione di angeli, li personifica, e prova il desiderio di vederli, persino di possederne uno. Può degenerare in malattia mentale”.
    “Sì, certo, capisco”. Ultimo timbro incurante.
    Le carte collocate in una cartellina, la cartellina in un fascicolo, il fascicolo su un ripiano.
    Può degenerare in malattia mentale.
    Il ripiano in una stanza tra le tante dell’archivio.

    ***



    Caccia F-35 Lightning solitario, in volo, velocità di crociera.
    Azzurro terso del cielo, bianco delle nuvole, dei cirri, il sole un globo candido.
    Il volto del pilota celato dietro l’ampia visiera a specchio, il respiratore integrale.
    “Terzo quadrante. Ce l’hai su schermo”, voce nell’auricolare, “Hai via libera. Passo”.
    Una mano spostata al monitor principale touch-screen, due dita ad allargare l’area inquadrata dalle potenti telecamere satellitari a largo spettro: l’immagine di un caseggiato ignaro, non lontano dalle prime propaggini dei monti, migliaia di metri lontano. Un tocco per scorrere i folder sulla visiera computerizzata dell’elmetto e un altro ad impostare il target lock.
    Agganciò l’area edificata al sistema d’arma primario.
    “Operativa”.
    “Quando vuoi”. Pausa. “È il tuo battesimo di sangue”.
    Mani serrate, dolcemente, alla cloche.
    “Chi sono queste persone che sto per”, tocco rovente d’adrenalina, “Distruggere?”.
    Il canto degli angeli.
    Visioni confuse dal passato, di fuoco e macerie. Il sangue addosso: sulle mani, sul volto.
    Il rumore, assordante, di una casa che crolla e si piega su se stessa spingendo nell’oblio ogni altra emozione. Il caos dei sensi.
    “Fa differenza? Devono morire, è questo il volere di tuo padre”.
    Sorriso tetro, labbra rilassate sotto la visiera dell’elmetto.
    “Non fa differenza, no”.
    Del tutto irrilevante.
    Premette il pulsante di fuoco assieme ad un battito più forte del cuore: il missile Scalp EG lasciò l’ala destra e si avviò nell’azzurro del cielo, svanendo in pochi istanti alla vista, diretto verso il suo destino.
    Immagine mentale rovente di un edificio sventrato, mutilato, fatto implodere dalla potenza di un dio.
    Il canto degli angeli.
    I corpi umani bruciati vivi, carbonizzati, schiacciati sotto i blocchi di cemento o spazzati via in tripudi di sangue dall’onda d’urto.
    Energia primordiale.
    Leona chiuse per un momento gli occhi e lasciò che il pensiero d’onnipotenza la cullasse, le voci immaginarie delle vite che stava per annichilire le echeggiassero, tutte assieme, fin nell’angolo più remoto dell’anima.
    Gusto cruento di libertà.
    Il corpo contratto, la schiena leggermente inarcata, la presa sulla cloche: provò lo stesso infinito piacere dell’amplesso.
    Si guardò le mani e le parve di vederle rosseggiare, coperte dal sangue degli uccisi: come aveva sempre immaginato, non sentiva alcun dolore. C’era solo la sinfonia distruttiva che continuava a suonarle nella testa, sulle correnti ascensionali, nell’azzurro infinito del cielo.
    Sorrise.
    Una canzone, di libertà e vessazione.


    *********************** FINE ***********************






    Edited by « Soldier of Fortune » - 12/6/2016, 17:37
217 replies since 11/1/2013
.