La casa sulla collina

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    Capitolo 25 - Movimento cinque stalle


    Sara era lì. Dentro casa a sorseggiare whisky e a scoreggiare mentre Camillo la guardava caricare il video su Youtube. Essere Youtuber era stupido. Meglio fare gli spacciatori. Mentre il video si caricava pensarono a cosa sarebbe successo. Al futuro. Che cazzata pensare al futuro, troppo spaventoso. Camillo amava fare il malvagio ed era contento di fare tutto ciò, e questo era strano, in quanto la maggior parte della gente pensava che lui fosse buono. In quel momento suonò il campanello. Camillo aveva da fare ripetizioni. Aspettava il suo allievo come si aspetta di prendere il cancro dalle sigarette. Odiava quel bastardo. Gli aprì e lo fece entrare. Poi aprì la mano davanti a lui.
    - Non ti pago, non hai ancora fatto niente! - gridò il ragazzino.
    - Ci vuole fiducia, o almeno tu devi averla - disse Camillo.
    Il ragazzino gli diede i soldi e Camillo lo fece accomodare. Iniziò a spiegargli qualche regola e a fargli fare qualche esercizio. Nel frattempo Sara correva e volteggiava per la casa ubriaca. Ogni tanto si avvicinava a loro due facendo boccacce e versi e pernacchie ridenti.
    - Puoi dirle di andare via? Non riesco a concentrarmi... - disse il ragazzino.
    - Sono cazzi miei chi frequento, lei resta qui, che ti piaccia o no, se vuole rimanere rimane, giusto Sara? - disse Camillo.
    - Mi sa che devo andare a lavorare anche io, ora inizio il turno al negozio, bene, andate a fanculo, non studiate l'inglese, studiate il tedesco, poi andate a leggervi il libro di Hitler, insegna bene come essere delle teste di cazzo, ciao! - disse Sara e uscì.
    Camillo cercò di non ridere e di rimanere concentrato. Poi esplose di risate per un minuto. Nel frattempo il ragazzino stava su instagram. Camillo gli prese il telefono e glielo lanciò contro il muro.
    - Ehi, testa di cazzo, era un IPhone! - disse il ragazzino.
    - Appunto, ti ho fatto un favore, tanto si sarebbe rotto comunque, ti ho anticipato il dolore, meglio che te lo togli subito, così poi stai bene! - gli disse e gli diede una pacca sulla spalla. Poi risero entrambi. La tecnologia puzzava di formaggio.
    Sara si incamminò verso il negozio e si accese una sigaretta. Pensò alla vita che scorreva come il vino versato in un bicchiere. Pensare era stupido, no, lei voleva vivere nel momento.
    Passò il resto del pomeriggio a maneggiare soldi e vestiti. I soldi erano belli da tastare, anche i vestiti, tranne quando doveva fare finta che erano belli per far sì che i clienti li comprassero. Era riuscita a non ubriacarsi tanto dar far sì che fosse palese. Così andava bene.
    Coriandolo e Paola passarono il pomeriggio a guardare spazzatura alla tv per distruggersi il cervello già abbastanza vuoto.
    Il video nel frattempo diventava virale. Ma non fu esattamente immediato. Ci volle qualche giorno.
    Poi scoppiò di colpo. Tutti i telegiornali ne parlarono durante la settimana.
    Paola fu intervistata.
    - No, scusate ma così non vale, io odio ancora gli uomini, mi avete solo beccato in flagrante dai, era solo una tantum, scommetto che pure voi fate cose che non vorreste fossero esposte, non vale così, ipocriti! - disse Paola difendendosi malamente.
    Coriandolo si sentì indignato, ma nessuno riuscì a capire se scherzava o no.
    - Beh, ok, era parte del piano, ed ero d'accordo sul farlo, ma questo non vuol dire che un invasione alla mia persona, e al mio cazzo, mi faccia piacere! - disse seccato a Camillo un giorno che beveva al pub.
    Il movimento di Paola esplose come un palloncino portato da Pennywise. Bum. Tutto a puttane. Credibilità persa.
    Lei pianse molto e molto e molto, e cercò di consolarsi insieme a Mei, così la invitò con lei a fare una gita al mare e poi andarono a meditare sulla montagna della lucidità. Mei divenne molto ma molto spirituale ed entrò in contatto con i suoi demoni interiori. Ma molte cose andarono per il verso sbagliato.
    Satana si sentiva solo così si mise a giocare a scacchi con Stefano ma perse perché era stupido. Per la rabbia ribaltò la scacchiera facendo volare per aria tutti i pezzi. Era furioso. Stefano lo ignorò e se ne andò ignaro di cosa gli avrebbe fatto.

    Edited by Matthew 98 - 8/5/2019, 21:24
     
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    Capitolo 26 – Il viaggio mistico di Mei e Paola


    La moglie di Mei era insoddisfatta dai loro ultimi rapporti sessuali. Li definiva ripetitivi e poco interessanti. Mei aveva legato al dito questa cosa. Prendeva molto sul serio quello che diceva sua moglie.
    Huiliang si era fatta assumere come cameriera in un ristorante cinese, e per la gioia di molti clienti, quando ordinavano il pollo fritto, lei diceva “Polo flito”, e li faceva ridere, come loro volevano. L’unico motivo per cui chiedevano il pollo fritto era per sentirle dire “Polo flito”, e il fatto che lei lo dicesse alla fine li rendeva estremamente felici e soddisfatti, tanto da lasciare recensioni di 5 stelle su Google Maps.
    Mei lavorava part-time come segretaria, e lo trovava stancante. No, non era vero. Lo trovava estremamente facile e ripetitivo e gli andava bene così, ma voleva fare finta che il suo lavoro era una vera fatica e unirsi alla mandria di gente che si lamenta del proprio lavoro “faticoso”.
    In ogni caso, che facesse finta o no di essere stressata era indifferente, voleva farsi una specie di vacanza e di viaggio spirituale. La camera in affitto dove viveva con la moglie era minimalista, quindi adatta al secolo che stiamo vivendo. La Cina non mancava a nessuna delle due, andarsene e non tornare non era stata una cattiva scelta. Era stufa di stare sempre a casa e praticare cunnilingus a sua moglie e di non essere apprezzata. Il ruolo dominante è faticoso a volte, e il partner passivo non sempre capisce. Proprio per questo, prima di iniziare il suo viaggio spirituale e mistico con Paola, chiese a Huiliang se le avrebbe leccato la vagina.
    Un orgasmo (non bello quanto quelli che faceva venire lei alla moglie) dopo, Mei partì con Paola per qualcosa. Alla ricerca di ciò che mancava a entrambe. Alla ricerca del proprio Nemo interiore.
    Paola aveva apprezzato il suo recente trascorso con Coriandolo. Nonostante i suoi modi bizzarri, pensava che lui tenesse sul serio a lei, e questo la faceva sentire apprezzata. Sapeva che l’unico modo per riprendersi dal suo trauma era affrontarlo, e quindi capì che solo la continua esposizione l’avrebbe salvata. In parole povere, scopare a ripetizione con un uomo che la amava sarebbe stato per lei un vaccino contro il trauma di essere stata violentata. Sapeva anche che non era una cosa immediata, e avrebbe fatto fatica a uscirne. Aveva deciso di conviverci. Convivere col fatto. Se avesse potuto tornare indietro non avrebbe bruciato vivo quello stupratore. Forse solo col perdono avrebbe realmente fatto pace con sé stessa. Aveva scoperto che la vendetta non è così dolce come dicono. Anzi, a volte è amara, e puzza di bruciato.
    Quando chiese a Mei di intraprendere quel viaggio con lei sapeva che era l’unica che avrebbe potuto capirla. Sara non avrebbe capito, e forse non avrebbe voluto capire. Aveva già i cazzi suoi a cui pensare, non era messa nelle condizioni di avere empatia per lei. Ma non la pretendeva. Chi la capiva era benvenuta, chi no, poteva andarsene a fanculo.
    In verità, le dispiaceva non essere riuscita a legare con Sara, ma sapeva che era dovuto alle sue recenti uscite da pazza. Forse avrebbe rimediato. Forse un giorno il gruppo sarebbe tornato unito come prima, come ai tempi della casa sulla collina.
    Quando si erano uniti contro Satana. Unirsi contro il male comune aiuta a formare amicizie anche tra nemici, come dimostra ampiamente Dragonball.
    Sara in verità stava passando un periodo sempre più cupo e sull’orlo del baratro, del suicidio e dell’omicidio, ma nessuno tranne Camillo lo sapeva realmente. Pensavano tutti che aveva superato il problema. Che la depressione era svanita facilmente. E invece ci combatteva giorno dopo giorno, con sempre meno forze. Camillo voleva aiutarla, e ci provava, ma in cuor suo sapeva che in realtà, non sapeva seriamente come fare, e odiava doverlo ammettere a sé stesso, o anche solo pensarlo. Si odiava per non riuscire ad aiutare la sua amica di sempre, o semplicemente una persona qualunque che ha un problema. Convivere con questo pensiero, insieme a quello di lei che stava in quel modo, non lo aiutava molto a essere sereno. Proprio per questo passavano notti di sesso saltuarie, dove entrambi cercavano una fuga da loro stessi.
    Coriandolo era perseguitato da un suo ammiratore ossessivo che aveva come vizio quello di lasciargli torte sulla macchina e sotto la porta di casa.
    Stefano lottava contro sé stesso e la sua rabbia infinita, facendo talvolta a braccio di ferro con Satana, che oramai aveva finito le idee per distruggere Camillo, Sara e i loro amici. Adesso pensava soltanto alla sua amata Teresa, e a come raggiungerla al più presto.
    Ma tornando a Mei e Paola, il loro viaggio mistico iniziò nel momento in cui Paola andò a trovare Mei sotto casa e suonò il campanello. Si erano organizzate su Whatsapp.
    Paola aveva il polso della mano dolorante. Se l’era slogato scrivendo il suo nuovo libro di cui nessun voleva sentir parlare e su cui tutti buttavano merda sopra. Ma l’importante era quello. Provocare una reazione. Il mare. Sarebbero andate al mare. Dove tutto inizia e finisce. Su quelle onde leggiadre.
    Mei finì di venire e ringrazio la moglie del servizio.
    - Glazie, sono molto foltunata! Ti amo tanto! Ela belo e fantastico come i miei! – disse, e la salutò allegramente.
    Nella vita è importante l’amore. Ci si sofferma troppo tempo a distruggersi a vicenda, a provare rancore. Quando poi, se vai a vedere, siamo tutti esseri umani, uguali nell'esserlo, e diversi per molte caratteristiche. Non ha senso fare così. Bisognerebbe provare empatia per il prossimo e aiutarsi a vicenda. La vita è una sola, tanto vale renderla bella, e non unicamente per noi stessi.
    Mei andò ad aprire e salutò Paola. Si abbracciarono. Andava bene così. Poi Mei tentò di baciarla, ma Paola la respinse dicendole di non esagerare, che non la dava via così velocemente.
    Si incamminarono verso la spiaggia più vicina. La giornata era una giornata buia e cupa di maggio. Il tipo di maggio del 2019. Ma dentro di sé racchiudeva la bellezza e la spiritualità necessaria per essere illuminati di illuminante.
    Erano pronte.

    Edited by Matthew 98 - 27/5/2019, 23:09
     
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    Capitolo 27 – La spiaggia


    Erano lì. Prendevano il sole, anche se non c’era sole, infischiandosene del vento freddo e del fatto che il cielo nuvoloso non aiutava.
    Occhiali da sole e crema sul corpo erano un obbligo.
    Quando non c’è il sole fai finta che ci sia. Consiglio per i metereopatici. Oppure accetta come parte integrante l’oscurità del cielo nuvoloso e tempestoso dentro di te. Ed è quello che fecero. Stavano sul lettino. Due non fighe che si credevano estremamente fighe.
    Di colpo il tempo si fece più bello. Il sole iniziò a spuntare, e le nuvole scapparono per dare spazio al blu dipinto di blu.
    La gente iniziò ad arrivare, e la situazione era meno straniante.
    Paola mantenne un profilo basso. Non voleva farsi riconoscere. Oltre agli occhiali da sole si mise una parrucca.
    Capelli biondi, come un tempo, tanto la conoscevano solo da pelata. Le sue lentiggini si mischiavano e si univano all’atmosfera magica della luce solare.
    Guardò attraverso il buio e l’oscurità degli occhiali la gente intorno a lei e le scannerizzò con attenzione. Fissava ogni persona in maniera maniacale e rilassata allo stesso tempo. L’ansia si mischiava al menefreghismo più totale.
    - Quando diventi famosa per la cosa sbagliata, rimani famosa per la cosa sbagliata, a meno che non fai qualcosa di migliore per rimediare, ma in ogni caso si ricorderanno sempre di quella cazzata che hai fatto... Gli ultimi mesi sono stati un delirio, per me, mi è tutto sfuggito di mano, sai, e prima che potessi accorgermene, tutto era diventato assurdo – disse Paola a Mei.
    - Adeso tlanquila, noi ti amiamo pel quelo che sei, ci piace a tuti pensale che tu non esele velamente così, ma che è stata solo una fase – disse Mei sorridendo.
    - E invece forse non sono così buona come pensavo, ho tirato fuori una parte di me che non sapevo di avere… nelle situazioni stressanti le persone tirano fuori il loro lato peggiore, e mostrano la loro vera natura…
    - Queste esele solo flasi inutili, Paola, la vela filosofia è che è tuto senza senso, gli eseli umani sono tlopo complesi pel entlale in una categolia, io odio questa confusione che ha la gente di capile il loro posto nel mondo e il loro velo calatele, ala fine, meglio vivele senza gabie, quele lasciamole agli schiavi… - disse Mei seriamente.
    - Forse hai ragione, ma vedi, abbiamo bisogno di risposte, e di domande, per andare avanti, è dura vivere senza capire un cazzo né di me stessa né del mondo, almeno per me.
    - Quando tochi il fondo, puoi solo limbalzale e tolnale su, è semplice fisica.
    - Cosa? Ma non ha senso…
    - Non ti pleocupale, ola ci penso io… ti selve un uomo… - disse Mei.
    - No, aspetta, non mi serve affatto, non mi vedi? Sto benissimo, e poi non mi serve validazione. Per niente. No, no.
    Mei era già andata a chiedere a un ragazzo carino lì vicino, che stava insieme ai suoi amici se voleva conoscere la sua amica.
    Il ragazzo guardò Paola e rifletté un attimo.
    - Ma è quella pazza del movimento contro gli uomini? E perché ha una parrucca? Adesso ci penso io – disse il ragazzo.
    - No, che vuoi fale?
    - La uccido, cazzo.
    Mei tentò di bloccarlo ma lui andò verso Paola e la guardò. Poi tirò fuori un coltello.
    - Ehi, brutta stronza, che cazzo ci fai qui? Dovresti vergognarti, sparisci da questa spiaggia! – gridò lui.
    - Aspetta, ragioniamo un attimo, calmiamoci un attimo, il movimento è finito, è tutto finito, passaci sopra, dai – disse Paola.
    - Col cazzo, tu come reagiresti se un uomo facesse una cosa del genere?
    - Non risolverei niente uccidendolo, anche se forse questa frase non si abbina molto alle mie ultime azioni… senti, lo so che sei incazzato, lo capisco, ma mi dispiace, è stato un errore, tu non sbagli mai? Dai, lo so che anche tu hai avuto giornate storte, giornate di merda, intendo davvero di merda, e da lì in poi è soltanto merda su merda, finché tutto non degenera ed è quasi troppo tardi, lo so che hai avuto queste giornate, allora capiscimi, cazzo.
    - Per come la vedo io vuoi solo giustificarti, vuoi soltanto giustificarti, dovrei ucciderti, cazzo. Ma non lo farò. Voglio solo che tu sappia che quello che fai ha delle conseguenze, e non saranno tutti clementi come me, prima o poi becchi il pazzo, e lì sono cazzi tuoi – disse il ragazzo.
    - Eddai, sei anche carino, perché devi fare lo psicopatico?
    - Una cosa non esclude l'altra. Comunque quello che hai fatto è offensivo.
    - Vi offendete sempre per qualcosa. Tra un po’ vi offendete anche se uno ha un’opinione diversa… ah no, quello già accade…
    - E quale sarebbe la tua opinione? Che tutti gli uomini fanno schifo? Che solo le donne valgono? Scopati pure la tua amica cinesina allora.
    - Non volevo dire questo, quell’epoca è finita e andata per me, e spero lo sia anche per te. Quindi metti giù quel coltello o ficcatelo nel culo, basta che lo levi dalla mia faccia o avremmo un problema.
    - Perché? Altrimenti cosa fai? Mi vuoi menare? – disse il ragazzo incazzato.
    - No, non voglio menare proprio nessuno, adesso io e la mia amica Mei ce ne andiamo da qui, e voi vi calmate, ragionate un po’, e magari vi succhiate l’uccello a vicenda, non lo so, ciao… - disse Paola.
    - Ok, adesso mi hai rotto il cazzo – disse il ragazzo e mosse il coltello verso di lei.
    Paola lo evitò per un pelo, poi indietreggiò.
    Mei si avventò contro di lui da dietro e lo stese con qualche mossa di kung fu.
    Il bagnino si accorse della situazione e gridò verso di loro allarmato, erano in arrivo anche gli amici del ragazzo, ma per fortuna intervenne in tempo per fermarli. Mei e Paola rimasero lì un po’ a discutere con lui e a ringraziarlo dell’intervento. Poi decisero che era meglio farsi una nuotata per dimenticare la situazione.
    Paola si rassegnò a ciò che la gente pensava di lei. Decise che era meglio se non gliene fregava un cazzo.
    - Senti Mei, ascolta, fanculo gli uomini, andiamo a farci un bel bagno – disse Paola sorridendo.
    - Va bene, se è quelo che tu volele – disse Mei.
    Andarono a riva e si bagnarono i piedi. L'acqua era cristallina. Forse era l'unica cosa che offriva speranza e felicità. L'acqua pura e semplice che placa il fuoco interiore e il caldo. Si tuffarono e andarono sott'acqua. Proseguirono sempre più verso il fondo, finché non raggiunsero uno strano bar e passarono il resto della giornata lì dentro ad ascolare strani racconti, con gente ancora più strana di loro. Poi raccontarono le loro storie e furono buttate fuori.
    Si stava facendo sera. Era ora di andare. La montagna della lucidità le aspettava.
    Si andarono a cambiare in bagno, e si misero dei vestiti più adeguati.
    Poi fecero un fischio e richiamarono Stefano a loro. Lui arrivò con velocità.
    - Ehi, che volete, sono stanco, mi si chiudono gli occhi... - disse Stefano.
    - Portaci alla montagna della lucidità - disse Paola.
    - Chi sono, il vostro servo? Adesso ho solo questa funzione? Anche io ho un cuore - disse con una lacrima.
    - Se ci aiuti, la plossima volta che vedo Camilo gli tilo le mutande su dai pantaloni e gliele meto in testa! - disse Mei, con una crudeltà mai mostrata prima.
    - Va bene, va bene, andiamo - disse Stefano. La montagna della lucidità era vicina alla casa sulla collina. Era una montagna molto semplice. Di solito ci si andava per scoprire il senso della vita, e per meditare. Di solito questa meditazione richiedeva molti giorni, in cui non ci si muoveva neanche per mangiare. Si diceva che durante questa meditazione si affrontavano i propri demoni interiori, per distruggerli definitivamente.
    Sara e Camillo nel frattempo si impegnavano a lavorare, a mantenere lo stesso livello di alcolismo, a studiare a giorni alterni, e infine erano invischiati con i problemi di Satana e Coriandolo. Come al solito.

    Edited by Matthew 98 - 28/6/2019, 22:47
     
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    Capitolo 28 - La montagna della lucidità


    Mei e Paola si erano ritrovate lì sulla montagna. Stefano voleva andarsene, ma poi decise di rimanere, credendo che era l'occasione perfetta per rompere le palle a tutti.
    I giorni passarono come coltelli nella carne. Meditare, meditare, meditare.
    Arrivate sulla montagna incontrarono molta altra gente. Ognuno era separato dall'altro da un' enorme distanza. La distanza dell'aura.
    Stefano, come era prevedibile, approfittò della sua natura di fantasma per spaventare e fare scherzi ai malcapitati. Faceva loro il solletico, urlava, o li sollevava in aria. Poi però, influenzato da Mei e Paola, che prendevano quella meditazione così seriamente, decise di mettersi a farla anche lui.
    Mei affrontò la paura del rifiuto e del non essere abbastanza per sua moglie e come donna. La paura del non essere abbastanza. La contrastò capendo che imporsi i modelli di perfezione non aiuta, ma anzi, fa sentire sempre inadeguati al mondo. Accettarsi per l'errore che si è, e successivamente lavorare per migliorarsi, è la soluzione.
    Paola lottò con la paura di essere violentata e del non essere realmente amata, ma solo usata. La paura di fidarsi del prossimo, o degli uomini. La paura di perdere il controllo sulla sua vita. Lo superò capendo per una volta, che non tutti sono così. Tenendo a mente quello che aveva detto quel ragazzo al mare, si rese conto, che aveva finito col generalizzare un'intera categoria. E solo perché aveva paura. Non è forse quello che fanno i razzisti? Non voleva diventare, o essere così. Lo superò capendo che esiste qualcuno che la ama o che la amerà, va solo trovato.
    Stefano lottò col dolore di essere stato ucciso da suo fratello. Con la rabbia verso quel gesto. Con la tristezza infinita di essere diventato uno spirito, un fantasma senza peso, e senza amore, un essere respinto e odiato da tutti. Con la consapevolezza di non aver finito di vivere realmente la sua vita, di averla persa troppo presto. Lo superò capendo che non aveva senso soffrire per il dolore provocato da altri, meglio far sentire loro in colpa. Ma poi raggiunse anche una consapevolezza maggiore, e scoprì un atteggiamento inedito per lui. Il perdono. Capì che anche Camillo soffriva per quello che era successo, e non aveva senso farlo stare ancora più male. Capì che poteva esserci lui al posto suo, che un errore di uno è un errore universale. Poi si rese conto che seppur in modo diverso, ancora poteva trascorrere del tempo con i suoi cari e i suoi amici, e tanto gli bastava.
    Quei tre personaggi, catturarono dentro di loro un aura e un'energia spaventosa. Un'aura potentissima.
    Non mangiavano da una settimana, ma non sentirono il peso di tutto ciò. Non pensare significa anche questo. Soffrire in silenzio.
    Poi, finita la settimana, qualcuno interruppe il flusso di pensieri-non pensieri, e propose uno spuntino.
    - Ehm, ragazze? Lo so che sono un fantasma e non dovrei avere fame, ma cazzo, andiamo a mangiare! Mi preoccupo per voi! - disse Stefano.
    - Ha lagione Paola. Andiamo a un ristolante cinese qua vicino, ci lavola mia molie!
    - E sia! Abbiamo meditato abbastanza. Una settimana produttiva direi... - disse Paola.
    Si diressero verso il ristorante e mangiarono come i protagonisti degli anime shonen giapponesi.
    La moglie di Mei era perplessa.
    Poi uscirono dal ristorante e fecero quattro passi.
    Mentre passeggiavano incontrarono Coriandolo, più agitato del solito.
    - Buonasera ragazze, Stefano... è un mastodontico e idilliaco piacere rivedere i vostri volti, come ve la passate? Vi vedo un po' affiaccate... prendete e fumatene tutte, vi farà bene e piacere ai neuroni cerebrali cereali! Io adesso sono occupato con un caso incasinato, ci vediamo in giro! - disse Coriandolo e diede loro una canna ciascuna.
    Poi passarono Sara e Camillo, che dissero a Coriandolo di darsi una mossa.
    Lui le salutò con teatralità e sparì.
    Mei e Paola si fumarono quella canna e partirono per il super spazio. Stefano stette a guardarle, per una volta felice per loro, e non disse niente.
    Il fumo e il vapore dell'esistenza, avevano lo stesso sapore.

    Edited by Matthew 98 - 28/5/2019, 08:19
     
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    Capitolo 29 - Il fan


    Camillo guardò Sara e si chiese cosa stesse facendo con Coriandolo. Sara guardò Coriandolo e si chiese cosa stesse facendo con Camillo. Coriandolo guardò Camillo e si chiese cosa stesse facendo con Sara.
    - Oh cazzo, Coriandolo, ricordami un attimo che merda stavamo facendo, eh? - chiese Sara a voce alta.
    - È quel dannato e perfido fan, o fanatico, ne avete mai sentito parlare? Sono persone ed esseri molto pericolosi e ossessivi. Molto perspicaci al contrario. Ti ameranno anche se gli caghi addosso, un vero incubo... Sono completamente offuscati dal loro fanatismo, e ti difenderanno sempre a spada tratta, anche se gli penetri la madre, una vera tragedia. Ma quando non sono contenti di te è un'altra tragedia, lì vogliono che cambi finché non raggiungi il loro ideale, un atteggiamento mostruoso, e possono finire col volere che girano di nuovo una stagione televisiva o col scrivere fan fiction sui loro libri preferiti, e creare coppie inesistenti e forzate, e diventa tutto sempre più spaventoso. Capite? Mi fanno un po' paura, i fan... - disse Coriandolo tremando, poi fece un tiro dalla sua canna e andò ancora più in paranoia.
    - Ehi, aspetta, calma, un attimo Coriandolo, frena lì, tu hai un fan? Questo mi sorprende in più modi... - disse Camillo.
    - S-sì, mi sta cercando, è qui per me, mi lascia torte sulla porta di casa, o sulla macchina, dovunque mi reco mi ritrovo una torta, che poi sono anche prelibate, sto diventando ingordo, ma questa è un'altra questione... - disse Coriandolo.
    - Ah, ma allora fai il suo gioco, devi spaccargliele in faccia quelle torte, così ci ripensa due volte prima di lasciartele - disse Sara.
    - Io capisco quello che vuoi dire Coriandolo, la gente che ti ama è spaventosa, anche a me dà fastidio - disse Camillo.
    - Non è essere amati il problema, è che questo tizio è inquietante - disse Coriandolo.
    - Come mai? - chiese Sara a Camillo.
    - Non lo so, non mi piace e basta.
    - Sei un coglione, Camillo.
    - Grazie.
    Comunque, Coriandolo, questa vicenda è molto inquietante, e posso capirlo, ma come pensi che possiamo aiutarti? - chiese Sara.
    - Innanzitutto andate a pagare quell'ammenda che vi hanno richiesto, alle poste, anzi, sapete cosa vi dico? Ve la pago io, vi do io i soldi, ma aiutami con questo, Sara, ti restituisco la tua spada... - disse Coriandolo.
    - Ok, se la metti così allora... ma muoviamoci, poi io e Camillo dobbiamo andare a ubriac... ehm, a lavorare, quindi abbiamo poco tempo - disse Sara.
    Coriandolo acconsentì.
    Andarono a pagare la multa alle poste, Coriandolo li accompagnò in macchina ed entrò. Del fan nessuna traccia. Sara era molto annoiata. La noia faceva schifo. Camillo aguzzava la vista in cerca del fan.
    Il problema principale dei fan è che non avevano mai un senso critico verso quello che amavano, non riuscivano mai ad essere oggettivi, e anche quando ce l'avevano, pretendevano che tutto ruotasse intorno a loro, e che avevano il diritto di voler cambiare il prodotto o la persona in questione finché non raggiungeva il loro interesse.
    Questo Sara, Camillo e Coriandolo riuscivano a capirlo, anche se tutti e tre in maniera diversa. Sara si rese conto che sulla questione aveva una visione simile a quella di Camillo. Non si aspettava una cosa del genere, ma era così. Non ci aveva mai pensato prima, ma anche lei aveva problemi ad essere amata. La depressione non aiutava. I complimenti non si allineavano bene con l'immagine di merda che aveva di se stessa. Si sentiva inadeguata ad essere amata e sabotava le sue relazioni con facilità, e si sentiva in colpa a creare problemi alle persone con la sua depressione, per questo cercava di allontanarle, e di distruggersi da sola. Ma si stava rendendo conto che forse anche Camillo aveva questa visione di se stesso. Questo rendeva la loro relazione piuttosto strana. Possono due persone che odiano essere amate, amarsi? Non ne aveva la minima idea, né voleva averla. Non pensare era il suo motto. L'immagine ideale che la gente cercava in lei le creava il disagio di doverla soddisfare, quando lei in realtà voleva soltanto essere amata incondizionatamente per quello che era, e trovare qualcuno con cui fare schifo insieme senza vergogna. Camillo era uno di questi? Boh, forse, si disse nella mente.
    Mentre era presa da quei pensieri fastidiosi notò con la coda dell'occhio l'ombra di un uomo che riponeva sulla macchina di Coriandolo una torta al cioccolato, e con la panna, con la scritta: Ti amo Coriandolo.
    Si lanciò fuori dall'uffico postale e inseguì l'uomo senza dire niente. Camillo rimase lì confuso con Coriandolo.
    - Seguiamola, Coriandolo, forse ha trovato l'uomo che cerchiamo - disse Camillo.
    - Ottima idea amico caro, è davvero la posizione che dovremmo prendere in questa situazione, come dite voi giovani? Dobbiamo muovare il culo! - disse Coriandolo.
    - Appunto, allora zitto e seguimi - disse Camillo.
    Sara stava inseguendo l'uomo. L'uomo correva come una farfalla allegra e leggiadra. Amava tanto amare. Era un fan di Coriandolo, e voleva semplicemente farglielo capire. Indosso aveva un impermeabile come lui e intorno ci aveva incollato coriandoli di carnevale, dietro la schiena aveva la scritta: Mai stato un hater!
    Mentre veniva inseguito da Sara, per la strada Camillo e Coriandolo seguivano Sara ma lei era troppo veloce, l'allenamento all'inferno aveva dato i suoi frutti proibiti.
    Proprio per via di questa velocità l'avrebbe raggiunto a breve.
    Di colpo l'uomo entrò dentro un campo di pannocchie che era là vicino, anche se molto lontano.
    Sara fece fatica a vedere dentro quel campo. Quando riuscì a vedere l'impermeabile del tizio gli saltò addosso.
    - Ehi, brutto stronzo, come mai lasci torte di merda, anzi, buonissime, sulla macchina e davanti la porta di casa del mio amico? Spiegati! Hai tre secondi!
    - Aspetta, io ti conosco... ehm, tu sei Sara giusto?
    - Sì, perché?
    - Io ti conosco, tu sei l'amica, o dovrei dire la scopamica di Camillo? Sei grande, tu sei il mio personaggio preferito del libro La casa sulla collina!
    - Cosa? Come sarebbe? Ma di cosa stai parlando?
    - Sei un personaggio di un libro! Sono un tuo grande fan! Mentre lo leggevo, Satana mi ha proposto di entrarci dentro e di potervi conoscere! Devo dire che anche se a te ti amo tanto, mi piace molto anche Coriandolo, e in effetti, penso che lo sto dimostrando molto con le mie ultime azioni, che ne pensi?
    - Non posso crederci...
    - Non voglio intrommettermi tra te e Camillo, ma a te ti amo sul serio! Ogni volta che ti leggo sono stupito da quello che fai, mi chiedo sempre, e ora cosa farà? Sul serio, non scherzo. Non mi deludi mai, sono sempre interessato a quello che farai. Anche se spesso non apprezzo certe cose che fai, finisco col pensare che sei geniale, e...
    - Adesso basta, basta cazzo, questo stupido scherzo mi ha stufato...
    - No, guardo che dico sul serio, non ti prenderei mai in giro! Ma mi spieghi perché non cerchi di pensare più a te stessa e alla tua salute? Mi dispiace molto per te. Quando leggo della tua depressione, mi viene molta tristezza, è una cosa molto brutta, perché non puoi soltanto cercare di essere felice? In fondo sei una bella ragazza, di quelle roscie che piacciono a me! Forse la cosa bella di te è che sei unica, e di gente come te ce n'è poca! Io...
    - Basta, ti prego, vattene via, queste stronzate non attaccano con me, ti sei inventato questa storia di merda per colpirmi? A parte il fatto che a te manco ti conosco, grazie per tutti complimenti, ma adesso vai a fanculo... - disse Sara.
    - È proprio questo il bello! Posso restare con voi! Rimarrò con voi per sempre... per sempre... dov'è Camillo? Ci hanno seguiti?
    - No, ti prego, vai via, e... cazzo, me ne vado via io allora... anzi, adesso ti faccio una bella foto, mettiti in posa... - disse Sara tirando fuori il telefono - Ecco, perfetto, sei venuto benissimo, questa adesso la do a Coriandolo, e ti faccio denunciare, ti fa piacere? O te ne vai senza tornare o lo faccio!
    L'uomo prese il telefono dalle mani di Sara ridendo.
    - Bene, se vuoi mettimi anche come sfondo, mi fa piacere, sappi che io mi chiamo Giacomo, tieni a mente il mio nome, come io terrò a mente il tuo, vuoi darmi un bacetto?
    - Cazzo, ridammelo, porcaputtana, ma dove cazzo è Camillo?
    - No, aspetta, sai che facciamo? Giochiamo a nascondino! Se vinco io mi tengo il telefonino, hihihihi, divertente vero? Se fossi nero, non mi vedresti, sono bianco, quindi sei avvantaggiata... hihihihi... - disse Giacomo ridendo.
    - Sto perdendo la pazienza adesso, dammi quel cazzo di telefono, ci stanno dei porn... ehm, dei file importanti che non devi vedere... cazzo, ridammelo... - disse Sara e tirò fuori la spada.
    - Oh bella quella, è proprio la tua spada... mi piace, è proprio come nel libro? Funziona? - chiese Giacomo estremamente felice.
    - Certo che funziona, vuoi vedere? - disse Sara e lo infilzò nel cuore, per poi riprendersi il telefono.
    - Oh, finalmente... stare senza telefono mette ansia, cazzo, senti, dovevi lasciarmi stare, coso, mi hai fatto saltare abbastanza i nervi, lo sai? - disse Sara all'ormai cadavere di Giacomo.
    Poi realizzò un attimo quello che aveva fatto.
    Lei.
    Ucciso.
    Un.
    Uomo.
    Cazzo.
    Ma che merda aveva fatto?
    Stupida.
    Stupida.
    Stupida Sara.
    Sentì improvvisamente la voce di Camillo. Poi quella di Coriandolo. Si avvicinarono e la raggiunsero. Lei si mise davanti al cadavere.
    - Ehi, Sara, ma dove ti eri cacciata? Perché non mi hai chiamato? L'hai preso il tizio? - chiese Camillo.
    - Oh, Sara, per fortuna che ho un amica preziosa e grandiosa come te! L'affascinante contesto in cui mi trovo mi fa venire voglia di ricordarvi che noi tre siamo come i tre moschettieri, beh, comunque... che cosa è successo? - domandò Coriandolo.
    - Ehm, niente, niente, niente, è tutto apposto... io... grazie Coriandolo... io... è meglio se tornate alla posta... vi raggiungo tra un attimo... - disse Sara in ansia e in paranoia a mille.
    - Che nascondi lì, Sara? Sara? - chiese Camillo.
    Cosa nascondeva. Voleva proprio saperlo anche lei.
    - È... è morto. Io... l'ho ucciso... - disse Sara mostrando infine Giacomo, o quello che ne restava.
    - È uno scherzo, vero Sara? Non puoi averlo fatto sul serio... tu... io non ci credo... - disse Camillo.
    - Oh - si limitò a dire Coriandolo, insolitamente senza parole.
    Parole. E chi ne aveva più?

    Edited by Matthew 98 - 5/30/2019, 11:26 AM
     
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    Capitolo 30 - Il problema


    Il corpo di Giacomo era lì disteso. Nessuno di loro sapeva che cazzo dire. La situazione era drammatica e andava risolta. Qualcuno poteva anche piangere. Tipo Sara. ma chi aveva più tempo per piangere? Erano entrati in una fase ancora più profonda dove piangere non bastava.
    Sara inghiottì la saliva e propose una soluzione.
    - Ok, calmiamoci un attimo, dobbiamo far sparire questo corpo, avete delle idee?
    - Ma cosa sta confabulando, signorina? Lei adesso viene con me in centrale, è in arresto, ha il diritto di stare in silenzio, ogni cosa verrà usata contro di lei. Ci vuole giusto un altro bel culetto in prigione - disse Coriandolo con una faccia seria.
    - No, aspetta, non sono stata io... non puoi, dai, scherzavo... ehm... - disse Sara.
    - Ahahahaha, scherzavo. Ti sto prendendo per il culo. Dovevi vederti, sembravi completamente spaventata... ahahahaha - disse Coriandolo.
    - Divertente, stronzo. Certo che sono spaventata, guarda che cazzo di situazione... - disse Sara.
    - Puoi sempre uccidere Coriandolo, così non ti arresta... - disse Camillo.
    - Adesso ti ammazzo a te se non stai zitto, basta con queste battute di merda, dobbiamo risolvere questa cazzata... - disse Sara.
    Se ne stettero a pensare per un bel po', come Winnie the Pooh. Poi si chiesero: Che farebbe Winnie the Pooh?
    Poi Sara ebbe un'illuminazione.
    - Ok, chiamiamo Stefano, gli chiediamo di portare il cadavere fino alla casa sulla collina, e lo seppelliamo lì. Cazzo, non vedo alternative. Anzi, forse è meglio se chiamiamo pure Satana, Camillo, hai il suo numero?
    - No, io non parlo con quel coglione.
    - Va bene, allora lo chiamo io. Cazzo, sono un po' agitata, voi siete agitati? - disse Sara, poi si mise a ridere in maniera nervosa.
    Coriandolo si accese una canna e mentre fumava ragionò sul caso.
    - Uhm, dunque, beh, come piano mi sembra corretto, anche perché questo cadavere usmante di morte non lo voglio toccare, figurati trasportarlo chissà dove in macchina... - disse Coriandolo, pensando allo stesso tempo anche alla figa.
    - Ehi, passami quella canna del cazzo! - disse Sara e gliela prese dalle mani.
    Fece dei tiri profondi e lunghi. Poi iniziò a piangere, ma smise subito. Non era ora. Non adesso.
    Camillo la guardava preoccupato. A scuola non ti insegnano cosa fare in queste situazioni. Però sapeva il teorema di Pitagora. Sicuramente il teorema di Pitagora gli avrebbe salvato la vita. Doveva solo capire come. Capire. Capire.
    Sara chiamò Satana mentre continuava a fumare.
    - Pronto? Cazzo, Satana, ascolta, qui abbiamo un emergenza, molto grave, ho... beh... a quanto pare ho ucciso qualcuno... lo stiamo portando a casa tua. Mi segui?
    - Cosa? Come vi permettete? Questa casa non è un albergo. E tu come ti permetti a uccidere qualcuno? Sei stata molto cattiva, Sara. Ti dovrò punire per bene all'inferno. Ti sculaccerò per benino...
    - Beh, ok, io ti ho avvisato... - disse Sara. Poi attaccò e pensò a quanto era stupido.
    Fece un fischio e richiamò Stefano. Ormai serviva solo per portare gente in giro. L'autore l'aveva relegato a un oggetto. Proprio per questo arrivò molto offeso.
    - Che cazzo volete da me adesso? Ho già le mie merdate a cui pensare... e... Camillo... ciao... - disse Stefano.
    - Ciao... allora ci aiuti? - chiese Camillo con voce soffice e vellutata, facendo gli occhioni dolci.
    - Va bene, che devo fare? - chiese Stefano con poca pazienza.
    - Devi portare alla casa di Satana questo cadavere, così possiamo seppellirlo - disse Camillo annoiato.
    - Cosa? Che avete fatto? Camillo, hai ucciso qualcun'altro? - disse Stefano con voce di rimprovero.
    - No, stavolta è stata Sara - disse Camillo.
    - Ma bravi, siete proprio bravi... ho proprio dei bravi amici... cazzo... mi viene voglia di non avere niente a che fare con voi... ma che cazzo siete diventati? - domandò Stefano con reale curiosità.
    - Ti giuro che continuo a chiedermelo tutti i giorni... ma adesso non è il momento di rompere le palle, amico. Ci puoi aiutare? - chiese Sara mezza rassegnata e mezza incazzata.
    - Va bene, certo - disse Stefano.
    Sollevò il cadavere e lo portò sempre più in alto, raggiungendo quasi il sole, per non essere visto, e volò veloce verso la casa sulla collina.
    Coriandolo guardò per un attimo Camillo e Sara scioccato, poi riprese a parlare.
    - Ok, allora, vi guiderò io verso la casa, seguitemi in macchina... - disse insolitamente senza energie.
    Sara si mise la spada insanguinata nel taschino della giacca e seguì Camillo verso la macchina.
    Mentre Coriandolo li accompagnava nessuno sapeva che dire e nessuno diceva niente, tranne Camillo che ogni tanto provava a raccontare una barzelletta, per spezzare la tensione, ma non funzionava.
    Arrivati, Sara si risvegliò dall'apatia e scese dalla macchina con gli altri. Si recarono alla casa e percorsero la collina, con molta, ma molta meno felicità del primo capitolo. Questa volta Sara avrebbe preferito non andarci.
    Arrivati alla casa videro Stefano scendere e appoggiare il cadavere a terra.
    Satana uscì dalla casa travestito come Dinamite Bla e con un fucile per mandarli via.
    - Ehi! Via! Via! Via con quella merda! Fuori dai coglioni! Fuori da casa mia con quella merda! - disse e puntò il fucile contrò il naso di Camillo che alzò le mani in segno di resa.
    Poi si fermò un attimo e calò il fucile, insieme alle braccia. Quando vide Giacomo, lì, morto e disteso, era molto sorpreso.
    - Ma... ma che cazzo avete fatto! Sara... hai ucciso Giacomo? Merda, non pensavo saresti arrivata a tanto, io l'ho fatto entrare nel libro solo per rompervi le palle, ma se sapevo che reagivate così facevo entrare Salvini... - disse Satana, quasi spaventato e preoccupato per Sara. Quasi.
    - Va bene, adesso non ti ci mettere pure te, prendi le pale, dobbiamo seppellirlo qui... - disse Sara.
    Satana prese delle pale che conservava nella stanza delle torture e le porse a Sara, Camillo e Coriandolo.
    - Seppellitelo voi, io non ne voglio sapere niente, e quando avete finito andate a fanculo! - gridò Satana e tornò in casa sbattendo la porta.
    Camillo e Sara si misero all'opera, mentre Coriandolo confabulava tra sé e sé. Stava aiutando una criminale, che detective era diventato? Che avrebbero pensato i suoi idoli poliziotti di lui?
    Finito di seppellirlo, restituirono le pale a Satana. Stefano li osservava mentre prendeva il sole.
    Per festeggiare la riuscita del piano andarono a bersi qualcosa tutti e tre al pub più vicino. Sara voleva ubriacarsi. Ma sul serio questa volta.
    Quella sera si fece tre shot di Vodka liscia, tre di Tequila, due di Assenzio, tre di Jack Daniel's e uno di Jagermeister. Poi passò al vino bianco e al vino rosso, a tre Heineken e infine a una Peroni, per sentirsi una vera italiana. Si sentì male in maniera più assoluta. Non voleva sentire niente.
    Sentiva soltanto la voce sfocata di Camillo che le diceva di smettere, di andarci piano, ma era lontana e distante come il sole da Plutone.
    Vomitò ovunque, e non ricordava neanche dove. Poi vide tutto girare e muoversi intorno a sé e svenne.
    Quando era svenuta non vedeva niente, ma sentiva che non gli importava. Era forse morta? Non lo sapeva. Poi aprì gli occhi e vide che era in una macchina. Si rese poi conto che era quella di Coriandolo.
    Coriandolo sgominò il traffico gridando nel microfono: Spostatevi, figli di puttana!
    Funzionò.
    Sara gli vomitò in macchina, poi non capì più niente, e si ritrovò di colpo a casa con Camillo, come se si fosse teletrasportata.
    Coriandolo disse qualcosa, ma dopo che la disse, Sara non ricordò più cosa aveva detto.
    Seguì Camillo nella stanza e mentre tutto era gommoso, veloce, e lento, si buttò per terra. Vomitò tre o quattro volte, poi si addormentò sul pavimento. Camillo la guardò e tentò di svegliarla.
    - Sara, dai, svegliati, mettiti a letto... - disse Camillo.
    Lei non capiva cosa stava succedendo, poi ebbe un ennesimo annebbiamento, e si risvegliò alle quattro di mattina nel suo letto, senza memoria di essercisi messa.
    Camillo era lì seduto su una sedia, vicino a lei, per controllarla. Si era addormentato. Quando lei si svegliò lui aprì gli occhi. Si alzò e le andò vicino.
    - Sara, come va? Ti senti meglio adesso? - disse Camillo come una madre amorevole.
    - No, non sto bene per niente, io... ho ucciso quell'uomo... era un coglione, certo... ma non meritava di morire... io... merito di morire... io... - disse e pianse. Poi abbracciò Camillo bagnandogli il pigiama.
    - Non ti preoccupare Sara, è tutto a posto, si risolverà, il problema si risolverà... pensa, io ho ucciso mio fratello... certo, non l'ho fatto apposta, quindi il caso è diverso... ma comunque... andando avanti lo superi, tanto il senso di colpa non cambia la situazione, Sara... - disse Camillo.
    - Lo so, ma mi dispiace tanto, mi dispiace, mi dispiace, non doveva andare così... - disse Sara piangendo.
    Camillo trattenne le lacrime. Stette con lei a sentirla piangere e a consolarla, finché entrambi non si addormentarono sul letto, sperando che il mattino dopo si sarebbero svegliati e il problema sarebbe sparito.
    Si svegliarono, 31 maggio.
    Il problema c'era ancora.

    Edited by Matthew 98 - 5/30/2019, 05:42 PM
     
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    Capitolo 31 - Doveva


    Sara si guardò intorno per la stanza. Camillo parlava e diceva varie cose, ma lei non ascoltava e non sentiva niente. Tutto le passava davanti agli occhi, senza che si chiedesse cosa potesse significare.
    Camillo le stava dicendo di non preoccuparsi e che era tutto a posto.
    Quando Sara sentì quelle parole si risvegliò un attimo. Poi parlò.
    - Dovevo essere in un modo diverso, non doveva andare così, in questo momento sarei dovuta essere felice, e non sentirmi così di merda, ma poi qualcosa è andato storto, e alla fine che puoi farci? Il passato è inutile, inutile pensarci, come dici te, l'hai detto? Comunque, il presente è orribile, e il futuro... beh, forse solo il futuro è quello a cui pensare, nella speranza che sia migliore di questo presente. Bisognerebbe lottare nel presente, pensando al futuro, credo - disse Sara, poi si accese una sigaretta.
    Camillo le prese la sigaretta dalle labbra.
    - Non puoi fumare qui, Sara. Comunque secondo me dovresti invece pensare al presente, e a viverlo bene adesso, il futuro non sai neanche se ci sarà, chi lo sa, com'è il fottuto futuro - disse Camillo e si fumò la sigaretta di Sara.
    Sara aveva gli occhi lucidi.
    I giorni passavano in fretta, senza chiedere niente tutto andava avanti.
    Sara lavorava, ma non metteva nessuna maschera, non sorrideva a nessuno al lavoro, e quando gli dicevano perché era così seria lei rispondeva, ho uccis... ehm, ho il ciclo.
    Camillo sentiva una responsabilità enorme addosso. Si sentiva che avrebbe dovuto cercare di renderla felice. Pensò di invitarla a mangiare una pizza, e poi di andare a correre in spiaggia nudi strafatti per poi cagare davanti la porta di casa di Satana. Ebbe quel piano in mente. Quando tornò a casa un giorno si stampò sulla faccia un sorriso allegro e leggiadro e la chiamò.
    - Sara? Dove sei? Facciamo qualcosa insieme! - disse.
    Ma non sentì nessuna risposta.
    Poi la sentì piangere.
    Si recò verso il bagno e la vide nella vasca, immersa nell'acqua calda che straripava e con i polsi che sanguinavano. Lametta tra le mani.
    Camillo si portò le mani alla bocca, senza parole. Lei lo guardò piangendo.
    - Aiutami... mi dispiace... - gli disse.
    Camillo afferrò un asciugamano e lo avvolse intorno al polso destro di Sara, poi si tolse anche la sua maglietta dei Nirvana e la usò per fermare l'emorragia del polso sinistro. Poi tirò fuori in fretta il telefonino dalla tasca dei jeans e chiamò il 118.
    Pianse mentre la guardava ridotta in quel modo.
    - Non ti preoccupare Sara, resisti, è tutto a posto, adesso ti aiuteranno, supererai questo momento... te lo prometto... - disse Camillo.
    Sara farfugliava e non riusciva a dire niente.
    L'ambulanza arrivò e prima che la potessero portare via lui la baciò. Lei lo guardò e sorrise, per la prima volta in giorni. Camillo la vide andare via come va via il talento da una persona telentuosa.
    Mentre era via, Camillo ebbe un magone allo stomaco. Prese il telefono e le mandò un messaggio.
    Le scrisse:
    Resisti Sara, lo so che sei forte, è solo una fase, pensa solo a stare meglio, lo so che stai male, ma vedrai che ti aiuterò a stare meglio, te lo prometto, ti farò passare dei bei momenti, lo giuro, pensa che sei speciale, che fai ridere la gente, e che io ti starò accanto nonostante tutto, anche se non ti senti più bene come un tempo. Io capisco che non sempre si è al top, non ti stressare se non raggiungi l'ideale che gli altri vogliono da te, quella versione non esiste, è lì solo per stressarti, e non serve a niente. Siamo esseri umani, e non possiamo essere sempre uguali, non possiamo e non dobbiamo pretendere da noi stessi di dover essere qualsiasi cosa che non riusciamo a essere in quel momento. L'importante è fare del proprio meglio e imparare dai propri errori, e anche se fallisci, beh, avrai imparato qualcosa. Io ci sarò per te. Quando ti senti giù pensa a chi sta peggio di te, non pensare di essere l'unica a stare male. In questa società vogliono farci sempre credere che tutti stanno bene e che sono tutti perfetti, e ci vogliono far sentire ancora peggio per come ci sentiamo. Ma è solo una merdata, e lo so che tu lo sai meglio di me. Stammi bene.
    Inviò il messaggio e si mise di nuovo il telefono in tasca. Mentre era per la strada a torso nudo, guardava il cielo viola del pomeriggio.
    La primavera. Il cielo della primavera.
    Coriandolo passava di lì per caso col braccio stretto intorno al collo di Paola. Poi vide Camillo e lo salutò felice.
    - Ehilà! Camillo! Come te la passi? Io e Paola ci sentiamo molto bene, le nostre particelle elementari si sono fuse e sono diventate universitarie. I nostri corpi non vedono l'ora di unirsi! Vero, amore? - disse Coriandolo a Paola.
    - Sì, Coriandolo è un brav'uomo! Non mi tradirà mai. Vero, amore? - disse Paola a Coriandolo.
    - Buon per voi, intanto mentre voi vi fate i cazzacci vostri, Sara ha tentato di suicidarsi... quindi me la passo male, grazie per averlo chiesto, adesso andate ad amarvi da un'altra parte - disse Camillo.
    - Camillo, mi dispiace, io... avevo visto che Sara non stava bene, ma... non ho avuto tempo di aiutarla... io dovevo lavorare, mi devi perdonare, sono profondamente costernato e chiedo il tuo umile perdono - disse Coriandolo.
    - Dov'è adesso? - chiese Paola.
    - All'ospedale, e spero vivamente per voi che andrete a trovarla e che facciate del vostro meglio per tirarle su il morale, sennò è tutto fumo e niente arrosto! - disse Camillo.
    Stefano ascoltò la conversazione nascosto dentro un muro e volò di corsa verso l'ospedale.
    Ma certo, ma certo, dissero Coriandolo e Paola, poi salutarono Camillo.
    Camillo tornò verso la camera, e vide il proprietario dell'appartamento andare verso di lui per fargli qualche domanda, a mo' di intervista.
    - Cos'è successo? Si ripeterà in futuro? Mi devo preoccupare? - disse veloce.
    - Vai a fanculo - gli disse Camillo e tornò in camera sbattendo la porta.
    Doveva essere un bel giorno, ma è quel "doveva" il problema.

    Edited by Matthew 98 - 4/6/2019, 21:54
     
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    Capitolo 32 - Pissichiatri


    Succede quello che succede. Max Pezzali direbbe che tutto va come deve andare. Ma è proprio così?
    Sara si risvegliò alle cinque del mattino in ospedale, con i polsi fasciati. Li guardò per un attimo. Si sentiva figa con quei polsi fasciati, facevano tanto persona vissuta o che aveva lottato, e in effetti era così. Si sentiva stranamente meglio, ma non l'avrebbe ammesso con facilità. Essere felici è spaventoso, perché sai che non durerà all'infinito, ma comunque lo speri.
    Pensò a Camillo. Accese il telefono e lesse il messaggio. Era commossa, e sorpresa, ci aveva davvero dato dentro con le belle parole, e voleva credere che fossero vere.
    Aveva bisogno di bersi una birra, ma sapeva che non gliel'avrebbero data.
    - Cazzo, è proprio in questi momenti che serve, in ospedale, cazzo! - pensò.
    Cercò di non pensarci, ma non ci riuscì e rimase sveglia tutto il resto della notte a guardare il cielo fuori dalla finestra.
    Il mattino dopo guardò il sole che sorgeva e lo vide come se fosse una palla da baseball, come era accaduto a Charlie Brown in quella puntata di Snoopy. Roba di culto.
    Scese dal letto e si andò a specchiare al bagno. L'infermiera la vide e venne verso di lei per controllarla.
    - Che vuole da me? Non si può avere un po' di privacy? - chiese Sara.
    - Controllo che non si ammazzi - disse l'infermiera.
    - Se non si leva dai coglioni la ammazzo io, e comunque può darmi del tu - disse Sara. L'infermiera non si mosse di un centimetro. Sara decise di ignorarla.
    Guardò la sua immagine riflessa. Aveva un brufolo sulla fronte. Provò a scoppiarlo ma peggiorò soltanto la situazione. Metafora della vita. Si sciacquò la faccia e si lavò i denti. Poi uscì dal bagno e l'infermiera iniziò a parlarle.
    - Sta meglio signorina?
    - Mi dia del tu, il lei mi mette a disagio, comunque sì.
    - Bene, mi fa piacere che si senta bene, è pronta per una valutazione psichiatrica?
    - Non tanto, sinceramente, comunque guardi che può darmi del tu, eh - disse Sara ridendo.
    - Deve collaborare, dobbiamo esseri sicuri che non faccia di nuovo quello che ha fatto, mi sono spiegata?
    - Certo, Barbara, ti chiami Barbara, giusto? Comunque puoi darmi del tu, Barbara.
    - Bene, adesso si può anche riposare, tra qualche ora ci sarà la visita.
    - Non riesco a dormire Barbara mia, perché non mi fai un massaggio? Comunque puoi darmi del tu, tranquilla.
    - Cerchi di riposarsi, ne ha bisogno, ci vediamo dopo - disse Barbara in modo formale e uscì.
    Sara rise e parlò con la donna ricoverata insieme a lei.
    - Ehi, hai visto quella scema? Continuava a darmi del lei, e a ignorarmi, incredibile - disse Sara.
    - Ho sentito, non visto, i rumori non si vedono - rispose la donna.
    - Hai ragione, di regola no - disse Sara.
    Qualche ora dopo vennero per trasferirla al reparto psichiatrico dell'ospedale. Mentre la portavano fece molte scoreggie e rutti bestiali.
    Aspettò un po', ma poi vide lo psichiatra.
    Sara si domandò se era lo psichiatra di Vasco Rossi, ed era arrabbiata perché non sapeva la risposta.
    Mentre lo guardava, lei lo guardava, e lui la guardava.
    Fu così per un minuto.
    Poi Sara rise e disse che si arrendeva. Lo psichiatra continuava a guardarla serissimo.
    Sara tossì e iniziò a parlare.
    - E così tu sei lo pissichiatra, come direbbe mia nonna, rest in peace - disse Sara.
    - Tua nonna è morta?
    - Sì, ma non ti interessa.
    - No, mi interessa.
    - Non ne voglio parlare.
    - Ok, parla di quello che ti pare.
    - Boh, dimmi te.
    Lo psichiatra la fissò.
    Poi le chiese di parlare della sua vita.
    - E va bene, diciamoci le cose papali papali, da omo a omo, tanto chi ci sente? Ho provato a suicidarmi, ma non dirlo a nessuno, ssssh - disse Sara.
    - Lo sapevo. Sei qui per questo. E cosa ti ha spinto a fare questo gesto? Qualcosa non va nella tua vita?
    Sara non poteva certo dirgli dell'omicidio, così mentì.
    - No, va tutto bene.
    - Non sembra. Devi essere sincera, Sara.
    - Mi sono scopata tua zia. Questo mi ha provocato un gran disagio perché aveva la fica che sapeva di ringhiera, ne sai qualcosa a riguardo? - domandò Sara.
    - No, glielo chiederò - disse lo psichiatra e prese appunti sui suoi fogli.
    La conversazione procedette con molta inutilità perché Sara non voleva aprirsi o dire niente.
    Lo psichiatra cercò di arrivare al punto.
    - Sara, da come parli sembra che tu sia depressa, ma se non ti apri e non mi dici niente, non so come aiutarti.
    - Ma non mi dire, sul serio? Ok, ti dico qualcosa. Mi piace ubriacarmi, puoi darmi da bere?
    - Ma perché vi ubriacate tanto? Non lo sai che fa male?
    - Sul serio? Pensavo facesse bene...
    - No, fa molto male al fegato.
    - Ok, grazie del consiglio, adesso berrò molto di più. Vuoi dirmi qualcos'altro?
    Lo psichiatra la fissò e continuò a scrivere.
    - E con i tuoi genitori come va? Con i tuoi amici? Sei fidanzata, giusto?
    - Genitori non li vedo più, amici sono tutti stupidi, ma anche io, quindi va bene, e no, non sono findazata, ma un mio carissimo amico con cui convivo, mi ha salvata.
    - Hai problemi con i tuoi genitori? Parlamene...
    - Niente, sono un po' delle teste di cazzo, ma non al tuo livello diciamo, un po' di più, il che è incredibile!
    Sara proseguì raccontandogli la sua infanzia e la sua vita attuale. Finita la seduta lui trasse le sue prime impressioni.
    - Sara, mi sembra che hai molte persone che tengono a te, sei una ragazza intelligente, ma hai una depressione clinica che ti crea problemi con l'immagine di te stessa e con i tuoi rapporti con gli altri, per questo finisci col bere un sacco, nella speranza di stare meglio e non pensarci ma questo ti aggrava la situazione un sacco. Forse i rapporti con i tuoi genitori, o ambientali hanno aggravato la depressione o l'hanno addirittura causata, devo parlare ancora con te per capirlo, e vivi con un senso di colpa il tutto. Bisogna capire da dove nasce questo senso di colpa insieme.
    - No, no, no, io non voglio capirlo, comunque grazie, adesso mi prescrivi le droghe?
    - L'idea sarebbe quella - disse lo psichiatra e le prescrisse dei farmaci.
    - Come sono andata, papà? - domandò Sara.
    - Non sono tuo padre, Sara, ci vediamo - disse e la esortò a uscire.
    Le fece prendere i farmaci senza darglieli direttamente e la fece uscire.
    Sara uscì e sentì uno strano vuoto. Tornò in camera e pensò: Pissichiatri, tutti uguali, cazzo.

    Edited by Matthew 98 - 8/6/2019, 19:07
     
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    Capitolo 33 - Diglielo


    L'aria era fritta. Sara si sentiva in un mare di cotone e di ovatta. Tutto era risucchiato e piatto, come il tavolo da ping-pong da cui giocava.
    Non sapeva perché, ma il ping-pong le veniva innaturale, doveva essere per via di quelle racchette da mongolo.
    Vincere era facile. Era capire cosa fare dopo aver vinto il problema.
    Passava in rassegna il talento dei pazienti ricoverati al biliardino. Il biliardino era facile. Era rimanere piegati in stile Pippo il problema.
    Mentre era distratta si rese conto che Camillo era lì con lei e con lui c'era anche Coriandolo.
    Sara si spaventò, poi si ricompose.
    - Uhm, sei venuto finalmente, ho sognato che mi venivi a prendere su un cavallo scintillante vestito di azzurro.
    - Davvero? - chiese Camillo.
    - No - mentì Sara.
    - Peccato, ti ho portato delle belle rose, magari ti rinfrescheranno e ti purificheranno l'anima - disse Camillo e gliele diede.
    Sara le portò in camera e loro la seguirono.
    - My lady cara, siamo tutti in pensiero per te, l'anima in subbuglio, come te la vivi l'esistenza con i Looney Tunes? - chiese Coriandolo.
    - Dico solo che i Looney Tunes sono meglio di Tom e Jerry. Almeno non nascondono di essere fuori di testa - rispose Sara.
    - Beh, ti ho portato un libro, è uno dei miei preferiti - disse Coriandolo, e le porse una copia del grande sonno di Raymond Chandler.
    Camillo abbracciò Sara, poi la baciò.
    - Bentornata allora, quanto fanno schifo i farmaci che prendi da 1 a 10? - disse Camillo.
    - Non male, se provi a sniffarli l'effetto è più interessante - disse Sara scherzando.
    Se ne stettero un po' lì a parlare, poi Sara dovette andare a una seduta con lo psichiatra, così loro andarono via.
    Era quasi luglio, l'avrebbero trasferita al reparto CSM molto presto. Voleva solo lasciarsi quella storia alle spalle e ricominciare a tagliuzzare i nemici horror con in sottofondo Billie Eilish facendo finta di essere psicopatica come le ragazze che la ascoltano.
    Ognuno finisce col diventare quello che finge di essere. Meglio fingere di essere il meglio possibile.
    Mentre Camillo e Coriandolo andavano via incontrarono Paola che andava verso l'ospedale. Quando vide Coriandolo si attaccò a lui come una cozza o una piovra a uno scoglio.
    - Ehm, Camillo, la qui presente tiene alla mia compagnia più della tua, e vorrebbe che stessimo soli, puoi dileguarti e polverizzarti, idiota? - disse Coriandolo mettendosi meccanicamente una pipa in bocca.
    - Ok, ma anche io tengo alla mia compagnia da solo, più della mia compagnia con te, tranquillo, pòlis boy - disse Camillo e si allontanò con una scoreggia che gli diede la spinta necessaria per muoversi veloce.
    Paola non mollò Coriandolo e lo baciò.
    Sapeva che se Coriandolo l'avesse tradita l'avrebbe ucciso, quindi non si ponevano problemi.
    Stefano si avvicinò a Camillo mentre tornava a casa.
    - Ehi, fratellone?
    - Sìììì?
    - Prima o poi diventerai un fantasma come me, e non avrai ancora detto i tuoi sentimenti a Sara, non pensi sia arrivato il momento?
    - Cazzo, hai ragione, peccato che non sono cazzi tuoi... uff, è così evidente?
    - Sì, siete imbarazzanti.
    - Accompagnami a prendere un gelato, se spaventi il gelataio, lo prendo gratis, ci sediamo e ti racconto un po' di cose... - disse Camillo a Stefano.
    I due sparirono nella luce del tramonto, uniti più che mai.
    Satana uscì di casa e guardò la buca dove avevano sepolto Giacomo. Pensò che poteva farlo tornare in vita come zombie o qualcosa del genere, ma poi pensò invece a Teresa. L'amore della vita si insinua nei pensieri come un bruco nelle mele.
    Mei era collassata durante una maratona di anime alla televisione.
    Quando riprese conoscenza pensò, sono stupidi ma non liesco a smetele di vedelli, un po' come i miei amici, chissà come se la pasano ola.
    Era fine giugno, qualche idiota aveva il mal di gola. La maggior parte della gente andava solo al mare a guardare le chiappe attraverso gli occhiali da sole.
    Ma non Coriandolo, lui no, lui era il Jon Snow della situazione.
    Ma almeno sapeva il finale degli Aristogatti. E non era da tutti.

    Edited by Matthew 98 - 26/6/2019, 11:08
     
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    Capitolo 34 - La dichiarazione


    A volte Sara sentiva che avrebbe voluto essere qualcun'altra. Essere una di quelle persone felici, stupidamente felici e ottimiste. Fortunate e senza problemi.
    Alcune volte invece era felice per come era.
    E il giorno che uscì dall'ospedale, era felice. Niente aveva in mente. Non c'era niente da dire e niente da pensare. Non c'era niente che volesse dire e niente che volesse pensare.
    Quando vide Camillo lì davanti a lei che l'aspettava, sorrise. Non c'erano molti motivi per sorridere nella vita, ma non servivano.
    - Ehi - disse Camillo.
    - Yo - rispose Sara.
    - Ti accompagno a casa in macchina, mentri eri lì ne ho comprata una, e tieni, ho comprato qualche birra, puoi bertele nella strada per il ritorno - disse Camillo.
    - Tu mi conosci bene, non è vero? - rispose Sara.
    Mentre la accompagnava a casa Camillo pensò a ciò che gli aveva detto Stefano: "Considerando che sei un coglione, per conquistarla basta che ti comporti al contrario di come sei di solito". Poi fece sparire quel pensiero.
    Mentre guidava guardò Sara, poi tornò a guardare la strada.
    Arrivò davanti casa e parcheggiò la macchina.
    Entrarono e si sedettero sul letto. Si stapparono una Heineken, e brindarono.
    A quel punto Camillo le propose di fare un gioco.
    - Che gioco? - domandò Sara.
    - Adesso dirò tre frasi, indovina quale delle tre è vera, sei la indovini vinci... beh, lo vedrai.
    - Ok, vai.
    - La prima, ho letto Guerra e Pace dieci volte, la seconda, ti amo, la terza, da piccolo ho visto un ufo come su X-Files.
    - Uhm, l'ufo?
    - Cosa? No, era la seconda... ti amo e... vuoi essere la mia ragazza? - disse Camillo.
    - Se dico di no piangi? - rispose Sara.
    - Sì, e dovrai sopportarmi farlo.
    - Allora, non mi resta che dire di sì... - disse Sara e lo baciò.
    Provarono a fare l'amore senza aria condizionata, e in una torrida giornata di luglio. Si resero conto che faceva troppo caldo, così lo fecero sotto la doccia, ma l'acqua era un pessimo lubrificante.
    Quando uscirono dalla doccia erano freschi e pieni di vita.
    Di colpo sentirono un rumore provenire dalla finestra. Non capirono cosa fosse così diedero la colpa al gatto randagio.
    Sara mandò giù una pasticca che gli avevano prescritto, poi mandò giù altra birra per sciacquare meglio.
    - Mi sa che è meglio se non fai un mix - disse Camillo.
    - Di solito faccio così - rispose Sara.
    Dopo che finì di dire quelle parole uno zombie spaccò la finestra ed entrò dentro casa. Aveva le sembianze di Giacomo, l'uomo che Sara aveva ucciso.
    Quando Sara lo vide, aveva un espressione annoiata.
    - Avevi ragione, ho già un allucinazione - disse Sara.
    - No, questo lo vedo anche io - rispose Camillo.
    - Pensi che ora che siamo fidanzati, siamo collegati? - rispose Sara.
    - Non credo - disse Camillo.
    Sara non trovava la spada ma non aveva troppa voglia di combattere.
    Lo zombie si avventò su di lei e le morse la spalla.
    - Oh, cazzo, Camillo, e adesso? - disse Sara.
    - Ehm, aspetta ora ci penso io - disse Camillo.
    Prese la sua fionda dal comodino e sparò allo zombie un petardo nella gola.
    Lo zombie lo mangiò ed esplose. La testa partì come il primo uomo sulla luna.
    Quando cadde a terra Camillo lo prese a calci e lo bastonò col manico della scopa fino a spaccarlo.
    Il sangue gli schizzò in faccia e su tutto il corpo.
    Sara lo guardò senza parole.
    - Mi hai fatto eccitare, facciamolo di nuovo - gli disse.
    - Ok - rispose Camillo.
    Mentre lo facevano, Sara divenne uno zombie a metà del rapporto, e Camillo si staccò da lei come un missile. Scappò via per la strada senza vestiti e fu inseguito dalla polizia per tutta la sera, per poi farsi parare il culo da Coriandolo alle 4 del mattino.
    Gli amici servivano a questo.
    A farsi annullare le multe.
     
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