La casa sulla collina

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    Capitolo 10 - Una pelata da gattare


    Sara si sentì sprofondare dalle forze dell'universo e dal dolore dei più grandi poeti e scrittori del diciannovesimo e ventesimo secolo. Tutto in una persona. Ma è possibile? Possibile resistere e vivere così?
    Guardò quelle figure bidimensionali a distanza e le sentì parlare, parlare, parlare e parlare e sentiva tutto così distante distante distante, come in un film visto col binocolo.
    - Oh Saretta, ci hai salvati tutti, grazie, grazie, grazie, grazie... - diceva Camillo.
    Quelle parole erano un vortice inutile e speciale.
    - Non capisco cosa sia successo ma quel vortice di depressione tonitruante è stato decisamente risucchiato da Sara, interessante... - disse Coriandolo.
    - Ma... tutto a posto? - domandò Camillo preoccupato.
    - Certo, certo, sto bene - disse Sara sorridendo.
    - Non sembri molto convinta... - disse Stefano.
    - Sta' zitto, Casper dei poveri, tu che cazzo ne vuoi sapere? - gridò Sara.
    - I morti ne sanno una più del diavolo... - disse Casper, no, Stefano.
    - In effetti, a pensarci bene, non so quanto quello che hai fatto ti convenga alla lunga - disse Paola.
    - Ehi, mi parli tu di cosa conviene fare o non fare che sei entrata in quella casa per una scommessa volta a far leggere a qualcuno il tuo libro? Ridicola... - disse Sara.
    - Ehi, cazzo, Sara, non fare così... - disse Paola.
    - Lei avele solo bisogno di liposo, liposo e masagio con hapy ending e pasa tuto - disse Mei.
    - Sì, certo basta che non me lo fai tu... - rispose Sara seccata.
    Camillo la guardò negli occhi e la studiò con i suoi magici poteri intuitivi e le entrò nell'anima e capì che qualcosa non andava. Così cercò di sistemare la situazione.
    - Ehm, cazzo, ragazzi, perché non andate tutti a fanculo per un attimo? Cioè, ehm, ora basta, torniamo tutti a casa, riposiamoci e basta, siamo stanchi, no? - disse Camillo gesticolando come un caffeinomane.
    - Le tue abilità sociali sono sempre al punto giusto Camillo, complimenti... - disse Sara.
    - Vabbè, tanto non volevo comunque stare con te... - disse Stefano e si dileguò in fretta e furia.
    - Vi dispiace se invece resto con voi? - domandò Paola, ma Sara le disse subito di no e se ne andò anche lei, con dispiacere.
    - Allivedelci, tla poco dovlo tolnale in Cina, spelo ci vedlemo ancola... - disse Mei e si incamminò verso l'albergo.
    - Ordunque Camillo, hai deciso così, visto la situazione vi lascio andare, e considero questo caso momentaneamente chiuso, ma qualche cosa ancora non mi quadra, anche rispetto al clima... - disse Coriandolo e se andò continuando a parlare da solo.
    Camillo e Sara erano rimasti soli e nell'aria si percepiva una tensione che non faceva presagie niente di buono. Camillo voleva aiutarla, ma non sapeva bene come.
    - Sara?
    - Sì?
    - Dai, a me puoi dirlo che non stai bene, ma non c'è problema, ti starò vicino e ti aiuterò.
    - Ok. Grazie. Adesso vado a casa. Ma te non preoccuparti per me. Ti ho detto che sto bene, posso gestire benissimo la situazione.
    - Certo, ma... per qualsiasi cosa, chiamami, ok? - disse Camillo.
    - Ovviamente. Ciao - disse Sara.
    - Ti accompagno?
    - No, va bene così, ci vediamo.
    - Ok - rispose Camillo anche se non pensava che le cose fossero ok.
    Tornarono tutti a casa verso la risoluzione di qualcosa, o in cerca di qualcosa, o per stare meglio, ma sapevano tutti che non sarebbe cambiato niente, e che sarebbero rimasti uguali.
    Mentre si incamminava verso casa Sara pianse, poi si diresse verso un negozio di liquori e si comprò una bottiglia di Vodka.
    Tornò a casa bevendo la bottiglia e fumando, poi infilò la chiave nella serratura, la fece scattare, ed entrò traballando.
    Passò la serata sul divano a bere e a guardare cartoni in televisione fino ad addormentarsi e a cadere per terra nel sonno rovesciando la bottiglia e facendo cadere le poche gocce rimaste sul pavimento.
    Si svegliò la mattina verso mezzogiorno col mal di testa e guardò sul telefono i vari messaggi e chiamate perse. Sticazzi.
    Si fece una doccia calda e poi si mangiò dei cereali.
    Non sapeva cosa stessero facendo gli altri, o il resto del mondo, e non gli interessava.
    Di colpo mentre stava mangiando i cereali li sputò sul televisore e si portò le mani alla gola. Non riusciva più a respirare. Qualcuno o qualcosa non accettava l'accettazione della depressione e la conseguente vincita all'alba come Pavarotti.
    Si portò le mani alla gola e vomitò qualcosa di gigantesco.
    Era... una persona.
    Una persona?
    Le uscì sangue dalla bocca e non riuscì a respirare durante la durata di tutto il processo.
    Poi aprì gli occhi, stanchi e guardò.
    Davanti a lei, c'era lei.
    Un'altra Sara. Uguale. Uguale in tutto e per tutto nell'aspetto. Una goccia d'acqua. Uno specchio speculare.
    Oh cazzo.
    Non va bene.
    Si sentì spaventata per la prima volta dopo tanto tempo.
    Poi cercò di ragionare. Di parlare.
    - Ehi? Chi cazzo sei? Cioè, sei me, ma... chi sei?
    L'altra Sara non rispose.
    - Non fare scherzi, ok? Non so cosa cazzo stia succedendo, ma voglio fare finta di niente e dare la colpa al doposbronza. Quindi adesso uscirò e niente, tu te ne vai a fanculo. Ricominciamo daccapo 'sta giornata che è andata male - disse Sara.
    Si vestì e uscì senza guardare indietro. Senza voltarsi. Non voleva più rivedersi.
    Ma a discapito di tutto vide che l'altra Sara ancora la seguiva. Le stava alle costole.
    Cazzo.
    Sara chiamò Camillo e sperò che rispondesse, mentre si preparava ad andare a casa sua.
    - Pronto? Camillo? C'è un problema, un grosso problema, un problema che di aspetto è carino, anzi, direi molto sexy, ma non è questo il punto! Il punto è che è anche abbastanza inquietante, e...
    - Aspetta, frena, cosa sta succedendo?
    - Stamattina coi cereali ho vomitato un clone di me stessa e adesso mi sta inseguendo...
    - Mi sa che devi cambiare cereali allora...
    - Anche... comunque, sto venendo da te adesso, devi aiutarmi con questa cosa...
    - Aspetta, come dovrei spiegare una cosa simile ai miei genitori?
    - Non lo so, ciao - disse Sara e attaccò.
    - Cazzo - pensò Camillo.
    Sara corse e camminò e sudò e si mosse il più in fretta possibile lontano da quel clone.
    - Merda, mi sento come in It follows... - disse Sara.
    Raggiunse la casa di Camillo e suonò il campanello.
    Camillo aprì e Sara si fiondò dentro e chiuse subito la porta.
    - Dov'è?
    - Guarda, cazzo, sta lì, davanti la porta!
    - Lo vedo... - disse Camillo, poi sentì il campanello suonare di nuovo.
    I genitori di Camillo videro Sara e si avvicinarono per salutarla.
    - Ehi Sara, ciao, come va? Quanto tempo che non ci vediamo! - disse la madre di Camillo.
    - Salve signora, è un gran piacere, ma ora non è un buon momento... - disse Sara nervosa.
    Il clone continuava a suonare il campanello e i genitori domandavano come mai non aprissero.
    - Merda, Camillo, se sono i vicini, prepara il fucile! - disse il padre.
    - Sapete cosa? Ehm, andiamo entrambi a vedere cosa succede, e vi faremo sapere... - disse Camillo, poi afferrò Sara per il braccio e la fece uscire.
    Quando uscirono il clone prese a pugni Camillo sul collo e mentre lui era a terra iniziò a pestare la vera Sara senza sosta.
    Camillo, respirando a fatica saltò addosso al clone e le si aggrappò al collo.
    - Che cazzo vuoi da noi? Parla! - disse Camillo.
    Il clone non rispose, ma mentre Camillo lo teneva fermo Sara tirò fuori la katana pieghevole e la puntò davanti a sé stessa, ovvero alla seconda Sara.
    - Non ho ben capito cosa ha intenzione di fare, questa Sara, ma credo che sia la manifestazione della versione depressa di me stessa, Camillo. E non so se uccidendola non finisca con l'uccidere anche me stessa, ma... in un certo senso sai...
    - L'idea di poterti uccidere ti eccita, lo so, dai, sbrigati, non riesco più a tenerla... - disse Camillo.
    - Ok, va bene, adesso la uccido, e... adesso la uccido, aspetta, e... no, non ce la faccio...
    - Come non ce la fai?
    - Uccidere un clone di te stessa è strano, e... tutto sommato non voglio ucciderla, in fondo sai, è parte di me, non penso neanche sia possibile, no, non la ucciderò... - disse Sara.
    - Cazzo, e se lei volesse uccidere te?
    - Non lo farà, se il rispetto è reciproco - disse Sara abbassando la katana.
    Camillo scese dal clone lentamente, ma poi cadde a terra.
    Il clone di colpo sorrise. Insolito per un clone depresso. Poi iniziò a tremare, andando in corto circuito e allineandosi verso Sara divenne trasparente ed entrò dentro di lei.
    - Wow, mi sento come il visconte dimezzato prima che si dimezzasse!
    - Bene, mi fa piacere, sono felice per te - disse Camillo insicuro se essere felice sul serio o aspettarsi qualche altro fatto paranormale.
    Sara si sentiva meglio in un certo senso. Qualcosa si era ricongiunto, aveva fatto pace con sé stessa, con quella parte negativa e triste, e sapeva che anche se sarebbe ritornata, bastava accettarla ed andare avanti. Andava bene avere giornate di merda ogni tanto, andava bene avere problemi e non stare sempre al top. Questo non significava che la vita finiva ogni volta che ci si sentiva così. Erano solo giornate qualunque, giornate riempitive forse, ma necessarie per raggiungere una speranza di felicità nel futuro.
    Satana aveva perso, momentamente, ma aveva perso, e questo era un buon motivo per festeggiare.
    Festeggiate i vostri successi. Questo vi farà rincorrere i vostri traguardi successivi sempre con più energie. Proprio per questo Camillo e Sara uscirono quella sera e passarono la notte nei bar e nei pub a bere.

    Edited by Matthew 98 - 13/6/2019, 13:11
     
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    Capitolo 11 - Ritorno alle origini


    Camillo se ne stava davanti allo specchio a guardarsi chiedendosi se gli altri notassero quanto fosse bello. Poi pensò a tutto quello che era successo nei precedenti dieci capitoli.
    - Wow, devo essere sotto effetto di acidi e non me ne sono accorto! - disse pensando che comunque non poteva battere Syd Barrett in quel campo.
    Satana nel frattempo si sentiva stanco e anziano. Non stava andando niente secondo i piani, anche perché di piani lui non ne aveva mai avuto nessuno.
    - Oh! A quanto pare Sara ha vinto, ma... cazzo... sono sicuro che la vita farà il suo corso senza che io faccia niente, beh, a parte portare sfiga - disse, poi si fumò un sigaro e rise nervosamente come uno a cui dicono che è morto un conoscente, e che di conseguenza si sente in colpa per aver riso.
    Stefano ignorava tutti quanti e tentava di leggere i promessi sposi senza annoiarsi, ma poi fallì notando che si stava annoiando a morte e questo la diceva lunga visto il suo essere un fantasma.
    Mei stava praticando un cunnilingus alla moglie Huiliang, pensando che prima di lasciare l'Italia doveva avere un bel ricordo.
    Paola iniziò un corso di arti marziali sperando che la aiutasse a difendersi dalle aggressioni.
    Poi si rese conto che era un duro lavoro e fu ancora più motivata.
    L'ispettore Coriandolo se ne stava a cazzeggiare nella centrale di polizia bevendo caffè a ripetizione e lanciando i bicchieri ai colleghi. Quando i tuoi colleghi ti odiano puoi maltrattarli quanto ti pare senza che cambi il risultato, o gli addendi.
    Sara si risvegliò di colpo dalla nottata con Camillo, e si rese conto che era nuda davanti la porta della sua camera in affitto.
    Di colpo se ne accorse e ritornò a dormire.
    Poi fu svegliata dalla proprietaria del condominio.
    - Ehi, cazzo, ora basta, ricevo continue lamentele per il casino che fai, Sara, poi perché sei senza vestiti? Comunque, hai i soldi per l'affitto mensili?
    - No, non ho lavorato ultimamente, e... uhm, hai una sigaretta?
    - Lo sapevo, ancora non li hai, mi dispiace ma non posso più farti stare qui, oggi era l'ultimo giorno, devi andare via.
    - Va bene, va bene, comunque ehi...
    - Uhm?
    - Vaffanculo - disse Sara e rientrò.
    Dopo varie resistenze la cacciarono fuori sul serio. Prese le sue cose e se ne andò.
    - Merda, non ci voleva - disse Sara. Si accese una sigaretta e chiamò il padre al telefono.
    - Pronto? Papà? Sono io, Sara, senti, purtroppo ho finito i soldi e mi serve un posto dove stare, momentaneamente, va bene se sto da voi per un po'?
    - Lo sapevo, non sei durata molto là fuori, cazzo, ci avrei giurato, allora non ti abbiamo insegnato proprio niente? Tutte le arti marziali che abbiamo provato a inculcarti, come il kendo, non sono servite proprio a niente... che delusione, non hai ancora raggiunto la perfezione spirituale e corporea, allineamento tra spirito e mente...
    - Sì, ok, basta con queste frociate, dimmi solo sì o no... e comunque con la spada non me la cavo male...
    - E sia. Vieni. Vieni pure. Ci pensiamo io e tua madre a raddrizzarti.
    - Adesso siete anche ortopedici?
    - Ortopedici per te sì. Vogliamo solo aiutarti.
    - Menomale - rispose Sara e attaccò.
    Non voleva davvero rivedere i suoi genitori. Se n'era andata per un motivo preciso. Odiava quella perfezione che cercavano disperatamente che lei raggiungesse. Perfezione, sempre perfezione. Non andava mai bene niente di quello che faceva. Non andava mai bene un cazzo di niente. Era sempre una delusione. Soltanto perché si era stufata di allenarsi, e gli era stato imposto sin dall'inizio. Che senso ha raggiungere la perfezione, se siamo esseri umani in continuo cambiamento? Con la perfezione si finisce, e noi non dobbiamo mai finire, almeno finché siamo in vita. Avrebbe tanto voluto qualcuno che le dicesse per una volta che lei andava bene così com'era, con i suoi difetti, e con le sue imperfezioni.
    Raggiunse la sua casa e senza nessuna nostalgia suonò il campanello.
    La madre le aprì.
    - Oh, eccoti, perché ci hai messo tanto?
    - Quando non vuoi andare da qualche parte prolunghi il viaggio il più possibile.
    - Da dove tiri fuori 'ste cazzate? Comunque la tua stanza è là che ti aspetta.
    - Io fossi stata in lei me ne sarei andata - disse Sara e si diresse verso la stanza per evitare di continuare la conversazione.
    Poggiò la valigia per terra e si buttò sul letto. Poi accese la televisione e guardò un film noir in bianco e nero. Fece per addormentarsi, aveva ancora la nausea e il mal di testa.
    Mentre dormiva il padre entrò di colpo e mosse la spada di legno verso di lei per colpirla.
    Sara si svegliò di colpo e schivò il colpo in automatico.
    - Zanshin, Sara, cazzo, non puoi dormire con entrambi gli occhi aperti, che ti avevo detto?
    - Oh cristo, vai via - disse Sara e si coprì la testa col cuscino.
    - Non cerchi un nuovo lavoro? Ti arrendi così? La vita è una resa per te? Non hai imparato niente guardando Rocky?
    - Andate a fanculo, te e Stallone.
    - Bene, hai deciso così, spero che almeno ti riposerai per bene, perché dopo voglio sfidarti a un incontro e vedere se hai ancora le palle.
    - Io sì, tu le hai?
    - Dopo controllo, e... oh merda, cosa mi fai dire, beh, ciao - disse e uscì portandosi dietro la spada.
    Sara sorrise. Poi prese a calci la depressione cercando di pensare positivo. La parola. Positivo, positivo, positivo, positivo, positivo, positivo, positivo, positivo, positivo, positivo...
    Va tutto bene...
    Camillo ebbe un presentimento strano. Il suo intuito femminile gli diceva che qualcosa non andava. Poi sollevò le spalle e continuò a leggere un libro che spiegava come mandare dei cloni che facessero gli esami all'università al posto suo.
    Coriandolo ritornò ai soliti pensieri, un ritorno alle origini.
    Ritorniamo un po' tutti ai soliti atteggiamenti del cazzo, ai soliti pensieri dopo un po'. Importa soltanto farlo con stile per non essere sempre uguali e poco originali.
     
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    Capitolo 12 - Mazzate, tante mazzate


    Stefano si annoiò di essere un fantasma e per renderlo più divertente, si mise a vagare dentro le persone per raggelarle e spaventarle. Che senso ha essere un fantasma se non spaventi nessuno? Poi si imbatté per caso nella casa di Sara. Entrò e cercò di non farsi vedere ma gli fu impossibile.
    Entrò dentro la sua camera come un maniaco dei cartoni giapponesi sperando di vederla nuda ma poi vide con dispiacere che era vestita.
    - Ehi, che cazzo ci fai qui? - domandò Sara quando lo vide.
    - Niente, sai, passavo di qui.
    - Beh, adesso vattene, non è il momento.
    - Cosa succede?
    - Devo capire come battere mio padre con la spada - rispose Sara.
    - Ah, ma quello è facile, mira al collo, al naso, o alle palle.
    - Ma almeno ne sai qualcosa di arti marziali?
    - No, ma ne so qualcosa della vita - rispose Stefano.
    Si mise a guardare intorno alla camera di Sara. Per le pareti c'erano soltanto poster che riguardavano pugili, artisti marziali, e disciplina.
    Roba pallosa.
    - Ehi, vuoi che chiami Camillo? - disse Stefano vago.
    - No, cazzo, ha già avuto abbastanza problemi - rispose Sara.
    - Guarda che agli amici fa piacere aiutarti, se sono veri amici, ti aiuteranno, lasciali fare, se vogliono farlo, non pensare che devi fare per forza tutto da sola, solo perché devi dimostrare qualcosa a qualcuno, o a te stessa. Ma io parlo per ipotesi, perché a me non piace essere amico di nessuno... - disse Stefano.
    - Ho capito, bene, fa strano detto da te, ma ok - disse Sara. Poi si alzò, e ignorandolo pensò alla sfida che la attendeva.
    Stefano se ne stette lì a guardarla per un po', poi volò via, per cercare di spaventare qualche bambino idiota che crede nei fantasmi, o qualche scrittore di libri horror per dargli materiale per un libro.
    Sara andò in salone e guardò i genitori. C'era una strana tensione nell'aria. Lei sembrava l'elemento che non centrava molto lì dentro.
    Notò la sorella, da sempre amata dai genitori perché era meglio di lei in tutto, ed era la ragazza perfetta, che cercava di fare finta di non vederla e di ignorarla.
    - Uhm, allora questa sfida? - chiese Sara.
    - Lascia stare, Sara, ripensandoci non penso ne saresti in grado... - disse la madre.
    - Ah, va bene, allora se le cose stanno così io ne faccio volentieri a meno, non ho problemi se voi non avete problemi del fatto che non mi importa un cazzo di tutta questa situazione. Ci andiamo a bere qualcosa e chiudiamo la vicenda? - disse Sara.
    - Col cazzo, devi imparare, se sei tornata qui devi imparare, la sfida è ancora aperta! - disse il padre.
    - Ma voi non vi stancate mai? Seriamente. Ok, andiamo... - disse Sara.
    Andarono nel giardino tagliato rigorosamente e preciso senza fiori e senza erba alta, rigogliosa e bella, solo piatto con fili erba come aculei.
    Sara prese una spada e si preparò allo scontro.
    Il padre era lì immobile.
    Quando la sfida iniziò volarono colpi di spada senza sosta, senza sosta, solo sferzate violente, sembrava che fossero allo stesso livello ma non lo erano. Sara non riusciva a tenere il passo.
    - LO VEDI CHE SUCCEDE QUANDO NON TI ALLENI? CHE ARRIVA QUALCUNO CHE TI FA IL CULO! SEI CONTENTA DI QUESTO? TI FA PIACERE? - disse il padre colpendola ripetutamente - NON POSSO NEANCHE FARE SUL SERIO O RISCHIO DI AMMAZZARTI! TE NE RENDI CONTO? TUTTO È SBAGLIATO! LA TUA POSIZIONE, IL TUO MODO DI COLPIRE, IL TUO MODO DI VIVERE, CHE SI PROIETTA SUL COMBATTIMENTO, TU SEI SBAGLIATA, LO VUOI CAPIRE, COSÌ NON VA BENE, QUANTE VOLTE TE LO DEVO DIRE? - continuò a dire il padre colpendola.
    - Me l'hai detto abbastanza volte, ma adesso basta, parliamo di voi, che pensate di essere così perfetti, così bravi, così educati, così forti, così super, non lo siete affatto, siete delle persone orribili, e mi fate schifo, voi non siete mai contenti di voi stessi, e volete che io mi senta allo stesso modo su di me, ma la verità è che io mi vado benissimo per come sono, siete voi a non piacermi! Cazzo. Che situazione del cazzo - disse Sara mentre parava i colpi e combatteva.
    Di colpo sentì delle voci. Non capiva. Poi guardò verso l'alto. Vide Stefano che aveva portato con sé Mei, Paola, Coriandolo e Camillo.
    - Ehi! Ciao! - disse Sara salutandoli e al contempo proseguendo a combattere.
    Satana vedeva tutto tramite il suo binocolo e decise di rendere la situazione più piccante. Tramite una magia che fece ondeggiando le mani come un ritardato, lanciò una maledizione/ botta di culo/ power-up alla famiglia di Sara.
    Di colpo divennero giganteschi, muscolosi e più dopati di Schwarzenegger, e la loro spada si fece infuocata insieme a tutto il loro corpo.
    Il padre di Sara aveva il cazzo in fiamme.
    - Merda, ti aiutiamo noi, vero ragazzi? - domandò Camillo.
    Tutti annuirono.
    Lo scontro era paragonabile a quello tra formiche e giganti.
    Camillo e Sara si occuparono del padre.
    Coriandolo e Paola della madre.
    E Stefano e Mei della sorella.
    Paola usò la sua forza incontrollabile da cintura bianca di karate e pestò la madre immaginando che fosse Bill Cosby.
    Mei usò il suo kung-fu contro la sorella di Sara e Stefano la spaventava facendo bubusettete.
    Sara usò la katana pieghevole che le era stata donata dal padre e Camillo prese in prestito quella di legno che prese fuoco e divenne un arma a doppio taglio e a doppia scottatura.
    Coriandolo eseguì un colpo di jujitsu contro la madre di Sara e le mise una rosa tra i capelli quando non stava guardando.
    Poi la madre si accorse della rosa e rimase lusingata e smise di combattere.
    Risero entrambi, poi si presero per mano e andarono a fare sesso selvaggio e infuocato dentro casa.
    Uno in meno.
    Di colpo Stefano disse alla sorella di Sara che era grassa e che doveva andare in palestra e lei si impanicò tanto da correre subito ad allenarsi sui tapis-roulant.
    Camillo si fermò di colpo e gridò al padre:
    - Ehi, io e sua figlia abbiamo scopato su un letto fatto di cadaveri dentro una casa maledetta su delle colline!
    - Cosa? Ma che cazzo? - disse il padre e distraendosi fu colpito da Sara.
    Cadde a terra.
    - Adesso basta! Sua figlia è bella così com'è! Stefano mi ha spiegato della situazione che ha osservato da lontano. Smettetela di insistere con queste merdate! Forse è proprio colpa vostra se poi finisce a essere sempre depressa! Perché non la accettate per come è? Scommetto che lei è il tipo di uomo che preferisce le donne con le labbra rifatte che quelle con le labbra naturali! Mi fate vomitare. Ecco perché non andate d'accordo! - disse Camillo.
    Il padre se ne stette a osservarli per un po'. Poi si rialzò e distolse lo sguardo per qualche secondo. Poi si avvicinò e guardò Camillo negli occhi.
    I due si guardarono a lungo. Poi il padre scoppiò a ridere.
    - Hai vinto! Avete vinto. Ehi, io mi chiamo Giuseppe. Piacere. Hai carattere, mi piaci. Hai ragione, ho sbagliato con Sara. Non ci avevo mai pensato, sinceramente. Ma cazzo, così mi fai sembrare un mostro. Guarda che a volte sono anche simpatico... - disse scherzando.
    Sara era confusa.
    - Ehi, ti ricordi quello che mi avevi detto? Va bene Sara, andiamo tutti a berci qualcosa, noi in famiglia e i tuoi amici - disse Giuseppe.
    - Beh, ok. Se la metti così ok... - disse Sara.
    Poi risero tutti, insicuri sul perché stesse succedendo quello che stava succedendo.
    Di colpo uscì Coriandolo con il braccio attorno alla madre di Sara.
    - Ehi, Sara tua madre è un essere meraviglioso, ci siamo divertiti con estremo piacere, e adesso... guardando questo paesaggio vetusto, mi sento in grado di risolvere ancora più casi e misteri al lavoro... wow, che bella la vita... - disse Coriandolo.
    - È per questo che puzzi di fica? - chiese Camillo.
    - Oh mamma... letteralmente... - disse Sara.
    - Mi manchelete tloppo, non voglio tolnale in Cina... - disse di colpò Mei.
    - E tu non tornare allora... - disse Sara.
    - Mia moglie vuole tolnale pelò... - disse Mei.
    - Come mai sei lesbica? - domandò la sorella di Sara ritornata dalla palestra.
    - Pelché i cinesi hano il cazo picolo - rispose Mei.
    Poi risero tutti e andarono a bere sul serio, lasciando Satana a masturbarsi a casa da solo.

    Edited by Matthew 98 - 13/6/2019, 19:46
     
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    Capitolo 13 - Fingi che ti passa


    Camillo e Sara si ritrovarono a bere e ubriacarsi con quella gente, e nel caso di Sara tra questi c'erano i suoi genitori.
    Tutto si fece veloce e scorrevole e divertente e stupido e niente aveva realmente senso.
    Il giorno dopo Sara si risvegliò vestita come una lottatrice di sumo su un albero nel giardino della casa dei vicini, e Camillo si risvegliò in un bagno di una stazione sconosciuta che sembrava quello di Trainspotting.
    Entrambi si alzarono e imprecarono, poi si impegnarono per raggiungere la casa di Sara.
    Camillo si alzò e vomitò, poi si incamminò verso la casa di Sara, ma si rese conto che aveva perso il cellulare, e in tasca aveva un preservativo usato.
    - Ma che cazzo è successo? - disse, poi rise.
    Entrò in un edicola e si comprò una cartina stradale, poi si fece tutta la strada fino a casa di Sara.
    Sara cadde dall'albero e si spaccò la schiena, poi si alzò con la nausea che la dilaniava e vide la vicina di casa che guardandola fece cadere il giornale e il caffè.
    - Buongiorno siorra, sono Sara, grazie per avermi prestato l'albero, ci vediamo, domani, o mai più forse, ciao - disse Sara e la salutò con la manina.
    Camminò verso casa e trovò suo padre che dormiva nel giardino con la faccia dentro la merda di un cane passato lì vicino, e la madre distesa con la faccia dentro il sedere del padre.
    - Ehiiii, ma che fate, come dormite? Cazzo, non riesco a parlare, mi fa male la testa, vabbè, vado a cercare un lavoro - disse Sara.
    Entrò in casa e si fece un doccia, si mangiò dei cereali, ma stavolta di un'altra marca e poi uscì per cercare un lavoro.
    Partecipò a un colloquio di lavoro per fare la cameriera.
    Si presentò col doposbronza e la faccia sfatta, ma rideva e sorrideva, ed era galante ed educata come il diavolo Geppo.
    - Sì, esatto, ho pensato di lavorare in questo favoloso ristorante perché amo tantissimo le persone e stare con loro, mi ritengo la persona più adatta per questo lavoro, in quanto ci so fare con le persone, e sono sempre disponibile, pronta ad ascoltare qualsiasi persona, rozza o buona e a far venire il sorriso a chiunque col mio fenomenale senso dell'umorismo - disse Sara gesticolando e cercando di sembrare normale.
    - Bene, le faremo sapere.
    - Bene, ci conto - disse Sara e strinse la mano al capo. Se non puoi batterli stringi loro la mano.
    Uscì sorridendo e con grande orgoglio per il suo favoloso talento nel fare una bella prima impressione.
    Poi si diresse verso vari negozi e lasciò loro i curriculum per lavorare come commessa.
    Era soddisfatta. Chiamò Camillo per comunicarglielo ma non rispondeva. Il telefono di Camillo squillava da dentro il cesso della stazione.
    Ci rinunciò e tornò a casa.
    Coriandolo si risvegliò in un letto dove intorno c'erano sparse donne nude e bottiglie di vino. Si accese una sigaretta e si alzò con l'alzabandiera.
    - Uhm, non mi tange sapere cosa sia successo, la vita è un mistero, e per chi fa il detective è meglio che lo rimanga o perderebbe il lavoro - disse, poi rise.
    Una delle donne si alzò di colpo e Coriandolo notò che aveva il cazzo. Deglutì e cercò di non pensare ai possibili avvenimenti.
    Mei aveva dormito bene dentro una cabina telefonica e quando si rese conto di aver perso il volo con Huiliang, si preoccupò.
    Chiamò la moglie al telefono.
    - Plonto? Huiliang? Mi dispiace se abbiamo pelso il volo, ti amo, non mi licoldo niente... - disse Mei.
    - Tlanquilla, mi hai chiamato ieli sela, hai detto che volevi limanele qui, e io ho detto cazzo, no, poi ho detto va bene, e quindi, ok, limaniamo, baby, e limoniamo tutto il giorno - disse Huiliang.
    Mei era felice, bastava chiedere alla fne.
    Stefano dormiva in aria e tentava di capire come aveva fatto a ubriacarsi essendo un fantasma.
    Paola era rimasta sveglia tutta la notte davanti il pub dove avevano bevuto, aspettava che qualcuno la aggredisse per vendicarsi della vita bastarda e schifosa. La vita per lei era così bastarda e schifosa che voleva prenderla a calci nelle palle per frantumarle.
    Sara tornò a casa e vide Camillo che la aspettava bevendosi un po' di latte Kefir.
    - Ehi, Sara, ti aspettavo, come va?
    - Bene, forse troverò un nuovo lavoro, così magari torno a vivere da sola. Ho fatto solo finta, i miei mi stanno ancora sul cazzo e li ammazzerei, ma visto che c'era da bere ho fatto finta di niente. Me ne voglio andare via di qui il prima possibile.
    - Mi sembra giusto, e se vuoi posso aiutarti, magari vengo a vivere da te e ti do' una mano con l'affitto.
    - Grazie, ma non c'è problema, penso di farcela anche da sola.
    - No, ad essere sincero lo faccio più per me, che per aiutarti, cioè lo so che sei in grado di farcela da sola, ma anche io voglio andarmene di casa, dopo un po' diventano pesanti i miei, così pensavo che se andiamo a vivere insieme è molto più figo, no?
    - I tuoi sono sempre disponibili per te e ti amano un sacco, non capisco dove sia il problema, comunque, ok, se volevi venire perché ti andava e basta bastava dirlo, no?
    - Appunto - disse Camillo e sorrise.
    Sara si sedette lì vicino a lui a parlare mentre il resto del mondo viveva con energia e intensità.
    Satana si era ubriacato da solo e aveva passato la notte a piangere.
    Quel mattino si era svegliato con l'ispirazione malvagia giusta ed ebbe una nuova idea per distruggere uno dei due, tra Sara e Camillo. Visto che non ci era riuscito con Sara stavolta avrebbe provato con Camillo, e non ci sarebbe andato alla leggera.

    Edited by Matthew 98 - 4/3/2019, 21:32
     
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    Capitolo 14 - Il dermatologo malvagio


    Satana fece una maledizione piuttosto potente e lanciò uno sfogo di brufoli e di pelle arrossata e rovinata contro Camillo.
    Ballò e festeggiò. Essere cattivo era divertente. Si bevve del vino rosso e brindò al dolore altrui.
    Poi evocò dal suolo più profondo e maledetto della casa maledetta un essere spaventoso e decisamente sadico abilmente mascherato tra gli esseri umani per sembrare buono, delizioso e in cerca di persone da aiutare, invece che da distruggere: un dermatologo.
    Un dermatologo malvagio.
    Era vestito come un classico dermatologo, ma si notava che era malvagio perché al posto della cravatta indossava un papillon. Nei suoi occhi brillavano diamanti trasparenti di odio e di vittime e di voglia di denaro. Vide Satana davanti a sé.
    - Dermatologo malvagio al tuo servizio, chi devo distruggere e squagliare per sempre?
    - Camillo, Camillo Giacometti. È lui il coglione da disintegrare dalla faccia della terra. Lui e la sua amica del cazzo mi hanno stufato, sempre felici, mi lasciano da solo, ti sembra giusto? Comunque, cercalo, verrà lui da te per farsi curare i brufoli che gli ho mandato, e a quel punto intervieni come meglio sai fare... - disse Satana ridendo.
    - Sei veramente uno sfigato lo sai? Comunque ok, ma mi devi pagare prima. Contanti.
    - I soldi li avrai dopo che avrai agito.
    - Niente da fare, sono onesto io.
    - E va bene, quanto vuoi?
    - Mille euro, più altri duemila per il disturbo di aver visto la tua brutta faccia, ti serve un dermatologo, bello, uno vero.
    - E sia, tieni, ora sparisci prima che cambi idea... - disse Satana dandogli la foto di Camillo.
    Il dermatologo uscì dalla casa e guardò la foto di Camillo. Già dalla faccia si capiva tutto di lui. Sarebbe stata una vittima facile.
    Camillo se ne stava a bere caffè con Sara e a spaventare Paola con una maschera di Bill Cosby quando di colpo si sentì qualcosa in faccia.
    Poi lo sentì anche sulla schiena, sul collo, sotto le ascelle e sul petto.
    Si tolse la maschera da Bill Cosby e si guardò intorno. Di colpo tutti risero.
    - Ehi, ma cos'hai Camillo? Pensi ancora di essere più bello di me? - disse Stefano.
    - Sembli Bukowski Camillo, Bukowski da giovane - disse Mei.
    - Camillo, noto la tua lieve intemperanza stratofacciale e corporale, ma non ti devi agitare, sono solo ormoni adolescenziali e post-adolescenziali. Fatti una scopata e passa tutto - disse Coriandolo.
    - Andate a fanculo, e Coriandolo tu non devi mai lavorare? Che cazzo di detective sei? Indaga sul perché sei così coglione - disse Camillo e si alzò per prenderlo a pugni.
    Poi Coriandolo si buttò su di lui e e fecero a cazzotti rotolandosi nel giardino di Sara.
    Si presero a calci e a pugni come infanti felici e giocosi.
    Si rialzarono peggio di prima, e Camillo sentiva sulla faccia che Coriandolo gli aveva scoppiato vari brufoli il cui pus era finito negli occhi di Coriandolo che traballò e cadde contro Sara.
    - Levati, che schifo! - disse Sara.
    Camillo rise con una risata insolita e tornò a sedersi.
    - Ehi, Sara?
    - Sìììì?
    - Sono bellissimo anche così vero?
    - Stai benissimo tesoro.
    - Proprio quello che pensavo - disse Camillo e cercò sul telefono un dermatologo da cui andare.
    Trovò il dermatologo Ezio Mancini e lo chiamò al telefono per prendere un appuntamento.
    - Sì, mi chiamo Camillo, il mio bellissimo viso ha avuto un piccolo inconveniente, e beh, anche il resto del corpo se è per questo, non che non scopi più di te anche in queste condizioni, ma visto che sei un dermatologo, pensavo che potevi aiutarmi, quindi? - disse Camillo.
    - Va bene, posso aiutarti io. Fidati di me. Vieni nel mio studio alle... ora.
    - Bene, quando siete così immediati guardagnate clienti. Bravo, vengo, ciao - disse Camillo e attaccò.
    Sorrise e guardò gli amici.
    - Gente, ho trovato un soccorritore, ci vediamo sfigati - disse Camillo e si avviò verso il dermatologo.
    Sara sorrise, ma qualcosa non le suonava molto giusta. Chi è che fa appuntamenti così immediati?
    Cercò su internet il dermatologo Ezio Mancini e guardò la foto. Papillon. Quel dannato papillon. Spiegava tutto. Era un dermatologo malvagio.
    Strinse il telefono e guardò gli altri.
    - Camillo sta andando da un dermatologo malvagio, dobbiamo fermarlo gente! - disse Sara.
    - Io ho chiuso con la gente malvagia, ora penso solo al miele e ai dolci - disse Paola.
    - Ma cosa confabuli Sara, non essere paranoica, io ho occhio per queste cose, non... aspetta, hai detto dermatologo malvagio? - disse Coriandolo.
    - Sì.
    - Ne conosco. Ne ho sentito parlare. Ho sentito e avuto a che fare con qualche vittima dei suoi attacchi, e ti faccio sapere che... non sono belli da vedere... è una catastrofe galattica, te lo direbbe anche Douglas Adams.
    - Chi? Comunque, almeno se tu mi credi, vieni con me - disse Sara.
    Mei era distesa sull'erba e pensava che l'erba italiana era più erbosa che quella in Cina.
    Coriandolo acconsentì e la seguì.
    Nel frattempo Camillo era arrivato nello studio del dottor Ezio Mancini.
    Qualcosa non quadrava. Sembrava essere uno studio di cartone. Poi provò a dare un cazzotto a una parete e si ruppe.
    - Ma è di cartone? - chiese Camillo.
    - No, è che sei molto forte, complimenti, adesso ti prescrivo questo crema, al modico prezzo di trenta euro.
    - Cazzo, eccoli, bastardo.
    - Grazie, più centonovantanove per la visita.
    - Tieni, ficcatelo nel culo il centesimo. Questi sono tutti quelli che ho potuto rubare a mia madre, ora ho finito il soldi, se me ne chiedi altri ti spacco la faccia finché non diventi simpatico, intesi?
    - Grazie, e ora prendi questo! - disse il dermatologo e tenendo in mano la crema la spremette verso Camillo. Camillo si scansò, poi vide che la crema aveva completamente sciolto la sedia.
    - Oh, cazzo, potente quella crema! -- disse Camillo.
    - Puoi dirlo forte, Camillo Giacometti, e ora ti distruggerò allo stesso modo, mi manda il tuo amichetto Satana! - disse il dermatologo malvagio.
    Camillo imprecò e uscì dallo studio in fretta.
    Corse verso la strada e poi corse a perdifiato verso la salvezza. Sentiva il corpo esplodergli di energia.
    Mentre era per strada vide il dermatologo malvagio che lo inseguiva spremendo creme sciogli-cemento contro di lui e lanciando fogli con prescrizioni illegibili e taglienti come l'acciaio.
    Camillo era seriamente spaventato.
    Di colpo mentre correva andò a sbattere contro Sara che lo cercava insieme a Coriandolo.
    - Sara! È... è....
    - Sì, so tutto. Adesso ci penso io a lui, ti aiuto, non preoccuparti - disse Sara sorridendo.
    Tirò fuori la katana del padre e in un certo senso gli era grata per avergli insegnato a combattere.
    Coriandolo preparò una lente di ingrandimento esplosiva pronta da lanciare al dermatologo.
    - No! Aspettate ragazzi, ci penso io a lui. Ci penso io, a questo stronzo - disse Camillo, spingendo Sara e Coriandolo via.
    Il dermatologo si fermò e sorrise, poi gli spruzzò le ultime gocce tossiche della crema contro di lui.
    Lui la evitò e la crema andò a sciogliere un pezzo dell'impermeabile di Coriandolo.
    - Maledetto! Adesso ne ho solo altri venticinque così! - disse Coriandolo incazzato.
    - Come osi... dermatologo del cazzo, adesso te la faccio pagare io, per avermi rotto le palle e per l'impermeabile del mio amico! - disse Camillo e si concentrò di colpo come se dovesse andare al cesso.
    - Cazzo, Coriandolo, spostiamoci, qui si mette male! - disse Sara e lo prese per il braccio trascinandolo al sicuro.
    Camillo iniziò a urlare come Goku quando si trasforma in super saiyan. Era incazzatissimo. Gridò e col corpo che tremava alzò le braccia e fece schizzare proiettili di pus contro il dermatologo malvagio fino a coprirlo completamente, sia lui, che l'intera zona.
    Poi si avvicinò e gli strappò un crema dalle mani e spremendola fino all'orlo lo sciolse completamente, sia lui che il suolo fino a farlo cadere nelle viscere dell'inferno.
    Camillo gettò la crema e ansimò stanco. Il suo corpo era tornato a posto. Aveva eliminato tutte le tossine.
    Sara e Coriandolo si avvicinarono di nuovo.
    - È la cosa più schifosa ed eroica che ti ho visto fare finora, insieme a quando mi hai aiutato con mio padre - disse Sara.
    - Un simile fenomeno può essere soltanto spiegato attraverso un analisi del corpo umano più accurata, andrò a studiarmi i libri di Esplorando il corpo umano con più attenzione - disse Coriandolo.
    - Grazie, grazie, ragazzi - disse Camillo. Poi mandò a fanculo il dermatologo facendogli il dito e insieme a Sara e Coriandolo si avviò verso casa.
    Satana vide la scena e lanciò incazzato un tavolo contro il pavimento spaccandolo.
    - Non è l'unione fa la forza, o chi fa da sé fa per tre qui, questi sono ossi duri, ohi, ohi - disse Satana e pianse.

    Edited by Matthew 98 - 7/4/2019, 23:41
     
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    Capitolo 15 - La festa dei complimenti


    Camillo si alzò dal letto della camera in affitto che aveva preso con Sara. Camminò barcollando inciampando su qualche bottiglia. Faceva ripetizioni di inglese ai ragazzini delle medie e il Baby Sitter. Sara era riuscita a trovare un lavoro come commessa part-time in un negozio di vestiti e come cameriera la sera all'Old Wild West. Il colloquio al ristorante non era andato molto bene.
    La vita poteva anche non avere molto senso, o essere crudele, ma il senso era che se non fosse stata così sarebbe stata un infinito purgatorio di ripetizioni.
    Camillo vide Sara che dormiva, così andò a guardarsi allo specchio. Poi dallo specchio notò l'immagine di Sara riflessa ed ebbe un sussulto da film horror di quarta categoria.
    - Ehi, Sara, mi hai spaventato, cazzo.
    - Buh, oggi sono nel mood "Stefano".
    - Fico, ma oggi è l'otto marzo, giusto? Auguri.
    - Auguri? Ma come ti permetti Camillo, partecipi anche tu in questa assurda festa, commerciale e insulsa, volta alla vendita di mimose e all'oggettificazione delle donne, e inoltre se proprio vogliamo essere onesti, non è neanche una festa, ma una ricorrenza, atta a far riflettere sull'importanza della parità dei diritti di cui a nessuno frega più un cazzo, perché è più importante comprare il nuovo IPhone e postare foto con le boccucce su instagram, quindi come cazzo di permetti di farmi gli auguri, mi sento profondamente offesa. Auguri per cosa? Per festeggiare? No, durante questa giornata non si festeggia.
    - Cosa? Mi dispiace, io non volevo... io volevo solo...
    - Sto scherzando, ahahahaha, dovevi vedere la tua faccia, oh mio dio, tutto impanicato, ahahahaha.
    - C'ero cascato in pieno - rispose Camillo ridendo.
    - Grazie per gli auguri comunque. Adesso possiamo anche dimenticarci della giornata come tutti gli altri.
    - Certo, funziona così.
    - Dobbiamo andare all'università adesso? - domandò Sara.
    - Sì, ci deve passare questo doposbronza, andiamo a bere qualcosa al bar?
    - Ovvio - disse Sara.
    Si lavarono, si vestirono e uscirono.
    Tripletta epocale. Tre funzioni fisiologiche.
    Volarono al bar con l'aria malata e afflitta di Baudelaire.
    Entrarono e si bevvero un caffè e due bottiglie di Heineken grandi. Poi uscirono fintamente felici nell'anima e nello spirito.
    Si teletrasportarono all'università e si sedettero per seguire la lezione. Era un corso di scrittura. Un corso di scrittura per imparare a scrivere. Per imparare a scrivere. Per imparare a. Per imparare. Per.
    Di colpo videro Paola seduta accanto a loro e sussultarono.
    Sara gridò.
    - Ah! Che cazzo ci fai qui? - domandò Sara spaventata.
    Paola era diversa. Si era tagliata i capelli fino al limite, fino a sembrare un maschio ed era piena di cicatrici fatte con la lama sulla faccia.
    - Ma che cosa hai fatto alla faccia, Paola, io, non ti riconosco più... - disse Camillo fintamente preoccupato.
    - Pensi che io sia abbastanza brutta? Non pensi più che io sia carina, vero? Vero? Dì la verità. Ho bisogno che tu mi dica che non sono carina, Camillo, ti prego...
    - Ma veramente neanche prima eri carina, Paola... - disse Camillo.
    - Oh grazie! - disse Paola e lo baciò in bocca.
    Camillo sgranò gli occhi e la spinse via.
    - Ma che ti prende? Te non stai bene, ti stai rovinando...
    - Sì, quello che ha detto lui - disse Sara.
    - Silenzio! Devo ascoltare, devo imparare a scrivere, così pubblicherò un libro in cui spiegherò al mondo come devono andare a fanculo gli uomini, e cazzo, non avvicinatevi! - disse e tirò fuori un taglierino.
    Sara si mise le mani sul viso, imbarazzata e si spostò da un'altra parte. Camillo alzò le spalle e la seguì.
    Paola rimase lì a tremare e a guardarsi intorno spaventata. Il mondo era cattivo, tutti volevano attaccarla, doveva essere forte per non farsi attaccare.
    A distanza di tutto questo scenario apocalittico Coriandolo ricevette l'ordine dal suo capo di lavorare a un caso. Decine di persone ammazzate da un orso di peluche. Apparentemente. Coriandolo aveva provato a spiegare al suo capitano che non era un vero detective, e che era lì solo per cazzeggiare e prendere i soldi dal distretto di polizia, ma lui non voleva sentire ragioni, e quindi eccolo lì ad indagare, tentando di immedesimarsi in un vero detective, magari uno di quelli geniali della televisione o del cinema.
    Mei rendeva felice la moglie e pensava nel frattempo a cosa diavolo stesse accadendo in Cina negli ultimi tempi.
    Stefano giocava a fare lo psicopatico e a nascondersi nei vicoli bui, e nelle scale sudicie per spaventare i passanti e i disperati colpiti dalla vita.
    - Oh, poverini, odiate tanto il genere umano, vi fa schifo la gente? Adesso odierete anche i fantasmi! - diceva Stefano mentre agiva a quella maniera. Consapevole del comportamento del fratello, non faceva niente per fermarlo.
    Satana indagò nel database di Camillo e dei suoi pensieri e capì come si sarebbe divertito quella mattina di quel giorno qualsiasi di inverno.
    Camillo provava a seguire la lezione, mentre al contempo parlava e disegnava cazzi sul banco, quando notò che tutti gli studenti si voltarono verso di lui.
    - Ehilà! Avete il torcicollo? - domandò a voce alta.
    Si alzarono tutti come automi e lo fissarono. Poi lo sommersero di complimenti.
    Sei grande Camillo, ma come fai, sei un genio, ti adoro, nessuno è come te, di quelli come te ne nascono uno ogni mille anni, sei bellissimo, fenomenale, fantastico, irripetibile, delizioso, impeccabile, sei una garanzia, sei dio...
    Camillo iniziò a sudare freddo e si spaventò.
    - C-cosa succede? Che vi prende? Io... Ma no... cosa dite... io... - disse Camillo preoccupato.
    - State esagerando, ehi, Camillo, che ti prende? - domandò Sara.
    Camillo si alzò, prese la sua roba e uscì dall'aula spaventato senza dire niente a Sara.
    Sara imprecò e lo seguì, insieme a tutta l'università che voleva fargli i complimenti e avere un suo autografo.
    Camillo corse per i corridoi, fino all'uscita, completamente nel pallone. Odiava i complimenti. Gli erano quasi alle costole. Non ce la faceva più. Uscì e corse fino a ritrovarsi in un vicolo cieco.
    La massa lo raggiunse e lo esaltavano come automi in una messa. Il cuore gli batteva forte.
    - No! Aspettate! Vi sbagliate! - disse Camillo.
    Sara tirò fuori la katana, e con essa fece il salto con l'asta e lo raggiunse volando sopra all'intera folla.
    - Aiuto! Fermali, cazzo, non ce la faccio.
    - Non so come aiutarti... io... non so come aiutarti perché sei un idiota cagone che non sa neanche aiutarsi da solo, provaci te a risolvere il problema, se ne sei in grado, o non ne sei in grado? Devo chiamare il Baby Sitter per il Baby Sitter? Oh, aspetta, no, sei troppo piccolo, e probabilmente i tuoi genitori ti odiano perché non sei perfetto come dovresti essere... - disse Sara bombardadolo di insulti.
    La folla era troppa.
    O no?
    - Idiota, coglione, incapace, sfigato, fallito, sei un insicuro pezzo di merda che gioca a fare il serio, l'unica cosa seria che fai è quando accetti il tutto, come parte integrante, come me - disse Sara.
    Camillo ascoltò e ritrovò coraggio. Divenne un Camillo muscoloso e gigante e afferrò la folla delicatamente per poi lanciarla nello spazio circostante. Si sgonfiò e tornò normale.
    - Seguimi! - disse a Sara.
    Corsero verso la stazione e presero un treno che stava per partire giusto in tempo, stile I guerrieri della notte. Poi proseguirono verso un' imprecisata meta, in quella strana giornata della donna e in quella festa dei complimenti più gratuiti.

    Edited by Matthew 98 - 16/3/2019, 20:11
     
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    Capitolo 16 - Pietro Orsini


    Sara e Camillo aspettarono nella metro chiedendosi dove cazzo stessero andando. Non importava. Lontano dalla finzione, questo bastava.
    Camillo iniziò un discorso.
    - Sai, grazie per... avermi aiutato, sicuramente meglio i tuoi insulti che dei complimenti finti da gente finta mandata da Satana...
    - Ma?
    - Ma vaffanculo per gli insulti, non è stato molto carino, poi mi sembra che quando parlavi dell'essere perfetti e dei genitori parlavi di te stessa.
    - Sì, è molto probabile. Ogni insulto deriva da ciò che pensiamo di noi stessi.
    - Che sfigata che sei allora - disse Camillo ridendo mentre Sara gli diede una botta sulla spalla. Si inclinarono ridendo mentre nella metro un vecchietto li guardava stranito e un barbone rideva e parlava con gente a caso. Poi si baciarono e subito dopo si domandarono perché.
    Quando la metro si fermò Camillo prese l'iniziativa ed esortò Sara a seguirlo.
    Fecero la strada per tornare a casa. Era ora di fare quello che dovevano fare. Si sentiva nell'aria. Una aura magica che si sente e si percepisce quando è il momento.
    Entrarono e si fiondarono sul letto mentre si baciavano. Poi Camillo si tolse le maglietta e si abbassò i pantaloni mentre lei si spogliava. Afferrò la scatola dei preservativi che teneva nel cassetto e ne prese uno in fretta. Lo strappò con i denti, se lo mise, nel frattempo che lei era già nuda. Le entrò dentro e la cavalcò come un cavallerizzo con il suo cavallo preferito. Sara godé e finse qualche orgasmo per fargli piacere ma Camillo se ne accorse e la fece smettere. Camillo rotolò giù e rise insieme a Sara.
    - Cos'è che dicono dopo il sesso? - domandò Camillo.
    - Non lo so, ma di solito quello che viene dopo non ha una determinata importanza, a meno che quello che è accaduto durante il sesso non è bastato.
    - E a te è bastato?
    - Non lo so. Non sono una ninfomane e te non te la sei cavata male, quindi ok - disse Sara e si fumò una sigaretta.
    - A posto allora, avevo proprio bisogno di una conferma per togliere le mie insicurezze.
    - Davvero?
    - Cazzo, no - rispose Camillo come fece Sara nel secondo capitolo.
    Di colpo il campanello suonò. Fece un suono bestiale e forte, la suonata era inconfondibile, era proprio una suonata da Coriandolo, da ispettore Coriandolo.
    Camillo aprì la porta in mutande e guardò cosa c'era fuori. E fuori c'era lui. Il coglione Coriandolo con una nuova gatta da pelare.
    - Buongiorno carissimi, interrompevo qualcosa?
    - No, dica pure.
    - Come sapete io sono Coriandolo, non Coliandro, o Nick Belane, o chi diamine pensiate io sia, e quindi ho un problemino con un caso.
    - Ovviamente. Cos'è successo stavolta?
    - Omicidi. Abbiamo a che fare con un serial killer. E pare essere un orso di peluche. È stato avvistato da varie persone compiere gli omicidi. Sembra molto minaccioso.
    - Tu hai a che fare con un serial killer, noi abbiamo di meglio da fare - disse Camillo e fece per chiudere la porta, ma Coriandolo lo bloccò.
    - Aspettate, cavoletti, volete proprio rovinarmi? Accidenti, e sia, vi darò un compenso, un cospicuo compenso monetario, vi pagherò per aiutarmi. Non posso arrestare un orso di peluche, dovete aiutarmi a ucciderlo.
    - Sparagli con la tua pistola, ciao.
    - Non posso, mi è caduta in un tombino, e non voglio dire ai miei superiori che l'ho persa di nuovo.
    - Usa il tuo ju-jitsu, o quel cazzo di stile marziale che hai imparato mentre ti facevi la moglie del maestro.
    - Come fai a saperlo? Comunque non basta, è un osso duro, i peluche resistono ai cazzotti.
    - Va bene, adesso veniamo, comunque seriamente, impara a fare il tuo lavoro - disse Camillo.
    Rientrò in camera e spiegò a Sara la situazione.
    - Perché non me l'hai detto subito? Andiamo, ora - disse Sara e si vestì con uno schiocco di dita. Bizzarro.
    I tre uscirono in cerca dell'orso. Coriandolo tirò fuori una lente di ingrandimento e la puntò sul suolo per guardare le impronte.
    - E butta via quella lente del cazzo, non ti serve qui! - disse Sara prendendogliela e lanciandogliela via.
    - Sara, hai qualche idea? - domandò Camillo annoiato.
    - Certo, prendiamo un po' di miele, e lo spalmiamo su Coriandolo, una preda perfetta! - disse Sara.
    - Perché proprio sul mio essere? Mi rovina l'impermeabile.
    - Ne hai tanti, tranquillo - disse Sara.
    Si fermarono in un supermercato, dove comprarono miele, patatatine e bottiglie di vino rosso.
    - Ma le patatine e le bevande alcoliche a che servono? - domandò Coriandolo.
    - Per noi, dai, togliti l'impermeabile - disse Sara, tenendo un sacchetto di patatine tra i denti.
    Camillo tirò fuori il miele e lo spalmò su Coriandolo modello crema solare tattica sulla schiena della propria ragazza.
    Coriandolo si sentì sporco e infastidito.
    - Mi piacevo di più pulito.
    - Tranquillo, è tutto a posto, ne vuoi una? - disse Sara mentre sgranocchiava una patatina e porgendogliene una.
    - No, grazie, mangio poco, un investigatore ha bisogno di un fisico forte.
    - Peggio per te - rispose Sara.
    Di colpo videro passare per la strada Paola incazzata, con un cartello con la scritta nera a caratteri cubitali: abbasso gli uomini.
    - Ma cos'ha la vostra collega? - domandò Coriandolo stupito.
    - Lasciala perdere, è impazzita - disse Camillo.
    - Andrebbe aiutata in realtà, ma adesso non abbiamo tempo, cazzo, poi io devo anche lavorare - disse Sara preoccupata.
    - Sì, e io alle sei devo fare una lezione con un ragazzo che non sa l'inglese, forza muoviamoci - disse Camillo sfregandosi la mani.
    All'improvviso, l'orso di peluche si lanciò contro di loro di soppiatto. Brandiva un coltello e una lama affilata più lunga del cazzo di Rocco Siffredi.
    Camillo non riuscì a evitarla e gli venne tagliato in due il braccio.
    - Aaaaaaaaaaah, ma li mortacci tua, orso di merda, guarda che hai fatto, questo non si riattacca con la colla - disse Camillo sanguinando come un maiale.
    Poi l'orso si lanciò su Coriandolo per mangiarlo, ma Sara lo trafisse con la katana.
    - Non mi puoi eliminare così facilmente - disse l'orso.
    - Ma tu da dove vieni? - domandò Sara cercando di cambiare argomento.
    - Beh, mi chiamo Pietro Orsini, mio padre era un orso venuto dallo spazio che mi ha partorito scopando con una bambola di pezza mentre era ubriaco il giorno di capodanno. E quindi eccomi qua.
    - Ma che cazzo? Vabbè ormai non mi sorpendo più di nulla, sembra di essere in un libro.
    - Ma quale libro...
    - In ogni caso, con quelli come te si può fare solo una cosa, tagliarli come un cetricolo - disse Sara.
    Camillo seguiva la conversazione e urlava, poi svenne, e anche mentre era svenuto urlava e questo copriva il suono delle conversazioni.
    Sara affrontò l'orso, fece volare le sue spade come birilli, e lo tagliò in due, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, lui la pugnalò al cuore e la uccise.
    Il cuore di Sara esplose e lei cadde a terra insanguinata vicino a Camillo.
    Coriandolo era nel panico.
    - Cazzo, che situazione - disse, poi corse via.
    I due rimasero lì vicini, poi passò per caso Stefano vicino a Camillo ed esultò. Poi volò via continuando ad esultare.
    Quando invece passò Mei li vide e bestemmiò in cinese, poi chiamò l'ambulanza per sicurezza, e se ne andò via pensando alle vagine che profumano di rosa.
    Satana si incazzò e spaccò una palla di vetro che custodiva nella sua collezione. Voleva decidere lui chi muore o meno, e quando. Non voleva che lo decidesse dio.

    Edited by Matthew 98 - 13/6/2019, 20:12
     
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    Capitolo 17 - Mi sento fortunato


    La fortuna va e viene, come le erezioni. O come i cazzi. Ma spesso va via e parte per la tangente, non si fa più sentire per moltissimo tempo, ed è come quel vecchio amico che non sai che cazzo di fine abbia fatto, e non c'è niente che tu possa fare, se non aspettare che ritorni, mentre cerchi di ricontattarlo.
    Fortuna, ci sei?
    Sara si sentì sprofondare in un abisso infinito e incomprensibile di buio totale e di completa incomprensione di qualsiasi cosa stesse succedendo.
    Fu la stessa cosa per Camillo.
    Ma essendo morti entrambi era difficile capire cosa sarebbe successo, o provare qualsiasi emozione. Essere morti era un po' come essere una guardia reale a Buckingham Palace.
    Che succede quando si muore? Molti pensano di saperlo, tutti se lo chiedono, ma nessuno sa la risposta. Perché? Voi vorreste saperlo davvero?
    Sara e Camillo erano nel buio della vita e nella cecità totale degli occhi e della vista. Un unico abisso di morte e dolore insostenibile, ma così insostenibile da essere divertente.
    Poi di colpo si ritrovarono a sentire caldo, molto caldo e presero fuoco, si bruciarono, con delle fiamme passionali. Si ritrovarono all'inferno, mentre urlavano e si chiedevano a che serviva tutto ciò.
    Inferno.
    Inconsistente e caldo inferno.
    La madre di Sara le aveva detto molte volte che sarebbe andata all'inferno, era una persona molto religiosa e quindi come tutti i religiosi e come tutte le madri sentiva il bisogno di far sentire gli altri in colpa, o in questo caso la figlia. Prendere due piccioni con una fava.
    Sara pensava sempre, fanculo, non dire cazzate, non ci andrò mai, o forse sì, ma sticazzi.
    Ma non poteva pensare ci sarebbe finita sul serio un giorno.
    Guardò Camillo cercando un sostegno.
    - Ehi, siamo all'inferno, cazzo, siamo all'inferno, forse incontreremo tutte le persone fighe qua, non come in paradiso! - disse a Camillo.
    - Di fighi bastiamo noi, con gli altri non voglio avere niente a che fare. Hitler? No, grazie.
    - Ma chi se lo incula Hitler, io dico quelli cattivi ma non veramente cattivi, sai, quelli che fanno finta, dai, gli stronzi finti, gli uomini stronzi ma non troppo.
    - Ah ok, allora sì. Però spesso quelli che fanno finta hanno comunque quell'atteggiamento del cazzo che vorresti prenderli a cazzotti.
    - E non è quello il bello?
    - Sì, un po' come se ti dicessi che tu sei impossibile da amare, e ti amo proprio per questo.
    - Sì, un po' tipo così - disse Sara. Poi ci fu uno strano silenzio intervallato da una scoreggia.
    Si fecero un bel viaggetto per l'inferno, senza chiedersi perché a loro ancora non era successo niente.
    Era pieno di gente che veniva torturata in vari modi. Alcuni erano bloccati nel traffico in macchina a un semaforo permanentemente rosso. Ad altri veniva lanciata la merda addosso stile GG Allin. Altri erano costretti a leggere libri incomprensibili dell'università pieni di parole inesistenti atte a creare confusione e frustrazione in chi le legge, e la cui lunghezza minima era di ventisei lettere. Altri erano bloccati in fila o dietro a un tizio alto tre metri davanti a loro al cinema, o a sentirsi insultare dal sergente Hartman per l'eternità. Varie torture da manuale di istruzioni. Mancava qualcuno all'appello però.
    Certo, all'inferno c'era di sicuro Bin Laden e compagnia bella, ma mancava lui. Lui chi? Satana.
    - Satana, dove sei, ci manchi, forse se vieni qui subito non ti sculacciamo - gridò Sara.
    Di colpo ci fu uno scoppio e davanti a loro comparve Satana che piangeva con una scatola di fazzoletti perché aveva appena finito di guardare una telenovelas spagnola.
    - Che volete? - chiese con una voce alterata.
    - Cosa è successo? Perché siamo qui? - domandò Camillo.
    - Siete morti, che volete che vi dica. E ora siete all'inferno. Non decido io chi muore e chi vive ma quel bastardo ai piani alti, io faccio solo il mio dovere e vi torturo. Se avete delle lamentele da fare parlatene con lui. Altrimenti gedetevi il resto della vostra vita da morti, che comunque dura più di quella da vivi, pensateci.
    - Sì, ma te ci torturavi anche da vivi, hai barato, ci devi una seconda possibilità! - gridò Sara.
    - Vero, ma in fondo, dai, ve lo meritavate, non siete proprio delle brave persone, e comunque la noia che passo io è così noiosa che dovevo farlo per forza, capite? Uffa, perché non mi capite, sono incompreso, ma non sono veramente cattivo, perché non mi capite, sono stronzo ma non troppo.
    - Sara, ti riferivi a persone come lui, con stronzo ma non troppo? - domandò Camillo.
    - No, lui è solo un coglione - rispose Sara.
    - Ecco, bravi insultate, vedrete dove vi porterà. Buona fortuna.
    - Aspetta, ma perché ancora non siamo stati torturati? - domandò Camillo.
    - Ottima domanda, beh, perché ancora stanno cercando una tortura adeguata per entrambi, ci vuole almeno un giorno di analisi, un ultimo giorno libero da godervi, poi passerete la vita a soffrire, figo no? Un po' come il giorno prima di sposarsi o avere un figlio, ah, beh, no, voi non potete capirlo, siete troppo giovani, comunque sì, è così - disse Satana.
    - Un giorno solo? Non va bene, facciamo che moriamo davvero invece di essere torturati, che ne dici? - domandò Sara.
    - Sara, ma che cazzo dici? - disse Camillo.
    - Ti piacerebbe, quella è la via facile, poi lo sai, né Dante né i religiosi, né Dio amano molto quelli che si suicidano, quindi ti dice male se provi a farlo, bella - disse Satana.
    - Devi dire a Dio di darci una seconda possibilità, faremo qualsiasi cosa, io ho delle ripetizioni da fare, i ragazzi delle medie non si promuovono da soli, devo lavorare io - disse Camillo.
    - Sì, anche io devo lavorare, aiutaci - disse Sara.
    - Che senso ha passare da una tortura all'inferno a una legale sulla terra? - chiese Satana.
    - È complicato - disse Sara.
    - Adesso basta, mi avete rotto veramente tanto i coglioni, ora me ne vado, godetevi l'ultimo giorno e basta, ciao - disse Satana e sparì.
    Camillo tentò di afferrarlo ma sparì in una nebbiolina prima che potessero fare qualsiasi cosa.
    - Se è questa la situazione bestemmierò per sempre, vediamo se a dio piace - disse Camillo.
    - È inutile, sai quanto frega a lui, siamo come formiche, a lui frega solo dei suoi angeli, del suo paradiso, e che ne so, delle persone famose forse. Noi siamo persone anonime e piuttosto sconosciute, a nessuno importa un cazzo di noi, e adesso ci resta solo un giorno felice.
    - Non è vero dai, ehm... per esempio anche Coriandolo, Stefano, Mei, e Paola ci conoscono. E magari anche qualcun altro, non essere così negativa. Se dovessi vivere il tuo ultimo giorno, vorresti passarla da depressa? - disse Camillo.
    - Cazzo, no. Direi proprio di no.
    - Allora alzati e combatti, oppure facciamo sesso un'ultima volta, che ne dici?
    - Sì, hai ragione.
    - Perfetto, ti va bene anche senza preservativo?
    - No, ci mancano due torture insieme, no, dico hai ragione, bisogna combattere e fare qualcosa qui.
    - Bene, allora direi che non consideriamo l'opzione "godiamoci l'ultimo giorno" ma cercheremo di fare qualcosa. Ok. Beh, non ho niente da fare, quindi ci può stare. Poi voglio sul serio che stai bene te, se stai bene te, sto bene anche io.
    - Bene, è ora di stare bene.
    - Che cosa inquietante, ma è possibile stare bene? - domandò Camillo.
    - Penso di sì, se ci lavori e ti impegni abbastanza a lungo e tenti di essere ottimista - concluse Sara.
    Era questo alla fine. Un lavoro. La vita è un lavoro costante. Ma quando hai occasione di non lavorare? Quando tutto finisce. E non è ancora ora che tutto finisca.

    Edited by Matthew 98 - 4/4/2019, 19:14
     
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    Capitolo 18 - Il paradiso


    Camillo guardò con il binocolo oculare il culo di un'attrice famosa che all'inferno veniva sculacciata come non le piaceva più ormai.
    Sara analizzò la zona cercando di capire se il resto dell'inferno faceva schifo quanto la vita di Eminem da piccolo. No, peggio.
    Ci fu un dissidio interiore. Nessuno sapeva cosa fare. A parte Paola. Paola sapeva cosa fare. Ma questa era un'altra storia.
    No, ma loro sapevano cosa fare, soltanto che non potevano ammetterlo.
    Sara si stufò di aspettare così urlò all'improvviso e spaventò una farfalla fiammeggiante che passava di lì.
    - CAZZO, ALLORA, CHE SI FA? - gridò.
    - Parliamo con dio, no? - rispose Camillo.
    - Prima parliamone con Satana - disse Sara e digitò 666 sul telefono.
    Satana rispose. Era nella sua casa, calmo, molto calmo.
    - Mi dica - disse a Sara.
    - Oh, eccoti, Satana, volevo proprio parlare con qualcuno dei miei problemi, sto molto male, sono depressa, voglio ammazzarmi, mi puoi aiutare?
    - Cosa? Ma veramente io...
    - Non ora Sara, chiedigli se ci fa parlare con dio - disse Camillo.
    - Ci fai parlare con dio? Il tuo capo insomma - chiese Sara a Satana.
    - Io non sono il capo di nessuno! Oh, volevo dire, lui non è il mio capo, uffa. Non ve lo meritate, proprio per niente. Siete meschini, sì, meschini fino al midollo - disse Satana.
    - Per gli amici, bad to the bone, baby - rispose Sara.
    - Non sono tuo amico, sono Satana, no? Non farmi avere conflitti interiori. Va bene, parlateci pure, ma sarà tutto inutile, adesso dio è impegnato a guardare i Simpson, non ha tempo per seguire tutti, ha già la casella di posta elettronica piena fino all'orlo. Soprattutto i fan, i fan li ignora - disse Satana.
    - Io non sono il fan di nessuno - disse Camillo stringendo le braccia arrabbiato.
    - Adesso arrivo, fatevi trovare pronti, fatevi belli, dio è stufo delle scene pietose, le chiese ne sono piene - disse Satana.
    - Pensavo adorasse le scene pietose - disse Camillo imbronciato.
    - Ok, allora ti aspettiamo, nel frattempo passa una giornata gradevole - rispose Sara e attaccò.
    Ci fu un altro silenzio. E un'altra scoreggia.
    - Va bene, stavolta non sono stata io! - disse Sara.
    - E va bene, stavolta ero io - disse Camillo.
    Comprensioni reciproche. Sono importanti.
    Satana viaggiò e viaggiò e li raggiunse all'inferno in un secondo.
    - Allora siete pronti? Che orrore, Sara datti una pettinata - disse Satana.
    - Non rompermi il cazzo adesso, portaci subito, l'orologio fa tic tac, figlio di puttana - rispose Sara.
    Satana annuì. Poi li afferrò entrambi per le braccia e li portò volando verso il paradiso.
    Le nuvole erano soffici. Cristalline, trasparenti, e magiche. Il vento li colpiva, e agitava i loro capelli sinuosi, nel mentre che si dirigevano da dio, o dal supremo, come enunciato nel doppiaggio italiano di Dragonball.
    La sensazione del paradiso era come un'estasi da droga. Un piacere immenso. La migliore botta di eroina moltiplicata per mille volte.
    Bisognava vincere la paura delle altezze, ma sia Sara che Camillo non avevano reali paure, facevano solo finta di averle per far sentire gli altri a loro agio, e aiutare l'immedesimazione.
    Satana li appoggiò sul suolo nuvolare come una mamma diavola e si pettinò le corna e si lucidò la pelle per renderla più scintillante.
    - Tanto fai schifo lo stesso, se lucidi una merda sempre merda rimane - gli disse Sara.
    - Sì, ma fai meno schifo, no? - disse Satana con un sorriso stranamente a suo agio.
    Li accompagnò fino sopra alle scale, e davanti al cancello del paradiso.
    Dio era lì davanti imbronciato e torvo e li guardò con fastidio e disgusto.
    - Che volete? - chiese con una velocità simile a un ceffone.
    - Oh dio, non usare quel tono con me, tu che mi hai tradito! - esplose Satana.
    - Va bene, adesso basta, torna alla casa sulla collina, qua ci pensiamo noi - gli disse Camillo imbarazzato.
    - Ok, ciao - disse e sparì.
    Sara, Camillo e dio rimasero a guardarsi. Il silenzio. Poi ci fu una scoreggia.
    - Non sono stato io - disse Camillo.
    - Non sono stata io - disse Sara.
    Poi guardarono dio.
    - Mh, mh, ok, che volete? Mi avete disturbato. Guardavo l'episodio dei Simpson in cui Bart rischia di essere bocciato. È uno dei miei preferiti. Neanche io ero bravo a scuola. Dovrete dirmi qualcosa di davvero importante per interrompermi - disse Dio con fare teatrale.
    - Ah, e quindi passi così il tempo? Non pensi a tutti quelli che stanno male, e al mondo che va a puttane? - domandò Camillo.
    - A dir la verità non ho mai prestato attenzione al mondo, succede e basta. I miei poteri li uso solo quando voglio. Tipo per vincere quelle fottute missioni su GTA. Altre domande?
    - Perché fai morire i bambini di cancro? E hai fatto vivere Hitler così a lungo? - disse Sara.
    - Uhm, prossima domanda?
    - E dai, rispondi - insisté Sara.
    - Non so neanche chi sia questo Hitler. Allora, che volete? se non vi decidete vado via - disse offeso.
    - Va bene, ecco il problema, noi siamo morti, e siamo andati all'inferno, e domani sarà il primo giorno in cui verremmo torturati per l'eternità. Dacci qualcosa, dai. Aiutaci. Non siamo così cattivi, siamo solo incompresi. In fondo chi è totalmente cattivo, o buono? Possiamo migliorare. Diventare persone migliori. Aiutare gli altri - disse Sara.
    - Nessuno è buono Sara. Qui in paradiso non c'è più nessuno ormai. Sono rimasto solo. Ti rendi conto di cosa voglia dire avere la responsabilità del mondo intero, ed essere solo, qui in paradiso?
    - E allora perché non siete meno severi coi giudizi? - chiese Camillo.
    - È così e basta. Io non decido chi viene qua, lo decide l'anima. Se l'anima si sente buona, ed è realmente buona, viene, sennò sceglie di andare all'inferno. L'inferno è autoindotto. È masochismo.
    - Ma tu ci avevi salvato una volta sulla terra, fallo ancora, no? Non ti ricordi? - domandò Sara.
    Dio fece una pausa. Non voleva ammettere che era stato davvero lui. Il cielo era azzurro e poetico. Eppure nessuno poteva apprezzarlo perché erano tutti presi da inferni personali. Nessuno aveva mai tentato di migliorarsi. La maggior parte delle persone lasciava che le loro vite rimanessero all'inferno così com'erano. Nessuno si lamentava. Era un processo ultra millenario. Che fare con chi vuole davvero migliorarsi? Non puoi sapere se è vero. Ma qualcosa devi comunque fare.
    - Ma il vostro problema è che volete venire in paradiso? Qui è figo lo so, ma... - disse dio.
    - No, riportaci sulla terra, faremo del bene, aiuteremo il prossimo - disse Sara.
    - No, Sara. Non serve aiutare il prossimo. Aiutate voi stessi. Se lo farete, gli altri non dovranno pulire lo schifo che fate per terra, se capite cosa intendo. Ma una cosa dovrete farla. Per essere buoni, e sopravvivere.
    - Cosa? - chiese Camillo mezzo curioso mezzo annoiato.
    - Amare. Amarvi tra di voi, e amare gli altri. Amateli anche quando li criticate. Anche quando ci litigate. Amateli anche quando li odiate. E soprattutto, voi due, amatevi. Se passerete il tempo ad amarvi, non penserete a rompere il cazzo agli altri, come fanno i bulli al liceo che sennò non se li incula nessuno. Questo dovete fare. Potete farlo? - disse e chiese dio.
    Ci fu una pausa. Nessuna scoreggia stavolta. Non c'era tempo. La tensione era alta. Si guardavano tutti con furia come nel buono, il brutto e il cattivo.
    Poi Camillo disse qualcosa.
    - Certo che ci possiamo amare, certo che sì. Già ci amiamo, vero Sara?
    - Certo, ci amiamo noi - disse Sara e baciò Camillo per dimostrare a dio che cos'è l'amore.
    - L'atto fisico non basta. Deve essere vero. Se fate questa cosa potrete venire in paradiso dopo almeno un anno di torture all'inferno.
    - E tornare sulla terra? Ti prego - chiese Sara.
    - Adesso basta, mi avete rotto il cazzo, è finita la puntata. Fatevi un anno di torture all'inferno e poi tornate sulla terra. Poi dite che siete risorti come dio e fatevi una fanbase. E magari fate i coglioni in televisione o su Youtube. Poi diventate famosi e scrivete un libro su come resuscitare. Così fate tornare in vita tutti quanti. Fate questo, o non fatelo, adesso basta che andate a fanculo, ciao - disse dio.
    Poi li spinse giù dal paradiso e li fece cadere verso l'inferno.
    Mentre cadevano l'estasi finiva, e ricominciava il calore disumano. Camillo abbracciò Sara mentre precipitavano e mentre urlavano come checche.
    Atterrarono sul punto di prima ma con la faccia nella merda del gatto di Satana. Perché, pensavate che i gatti andassero in paradiso? Poveri illusi.
    Guardatevi le spalle.
    Ciao.

    Edited by Matthew 98 - 17/4/2019, 08:06
     
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    Capitolo 19 - Ritenta


    L'inferno si passa sempre in due. Da solo è meno divertente.
    Camillo e Sara si ritrovarono invischiati in un anno terribile. Più di quello di John Fante.
    Quanti anni terribili in vita si passano che sono terribili quanto essere torturati per un anno intero all'inferno, o peggio, per l'eternità? Pensateci. La vostra vita non fa così schifo. Non quanto quella dei due protagonisti di questo libro durante quell'anno terribile.
    Un anno che sembrava mille anni.
    Ognuno ha i suoi inferni personali, le proprie torture che non sopporterebbero mai. Se non costretti. Perché poi è quello che succede. In vita. Sopporti e vai avanti. Vivi da semi-vivo il resto dei tuoi giorni. Ti abitui. Fa sempre male, ma diventa quasi normale.
    Ma facendo un passo indietro, dopo che Camillo e Sara atterrarono sul suolo dell'inferno per la seconda volta iniziò la fine.
    Si guardarono intorno e sapevano che mancava poco. Come passare l'ultimo giorno da persona felice, se potessi scegliere? Loro scelsero qualcosa.
    - Cazzo Sara, domani ci tortureranno per un anno. Che vuoi fare prima che inizi tutto ciò?
    - Merda, è tipo l'ultimo giorno delle vacanze estive prima di tornare a scuola, oh, ci sono, vediamoci tutti quelli che vengono torturati e ci facciamo due risate.
    - Ottimo, ho pure i pop corn - disse Camillo e ne tirò fuori due scatole, rubate dal paradiso mentre dio era distratto a pensare ai Simpson.
    E così fecero. Tra gente costretta a vedersi i cinepanettoni per sempre, e gente che doveva scalare montagne infinite con un masso dietro la schiena era difficile capire quale fosse il più esilarante. Fa sempre ridere quando non sei te al posto loro.
    Finiti i pop corn, passarono il tempo a cagare in testa a Mussolini e a bullizzare Saddam Hussein. Microbi.
    Poi si stancarono della vita. Era faticoso. Si rotolarono su un prato di erba finta vicino a una capra affamata e dormirono lì. Andarono in catalessi, addormentati l'uno sull'altra.
    Svegli il mattino presto, Camillo strangolò il gallo e gli intimò di tornare sulla copertina dei Corn Flakes.
    - È ora Sara, penso che non ci vedremo per tanto tempo. E forse sarà questa la vera tortura.
    - No, queste frasi appena sveglia no. Non ci voglio pensare. Hai un po' di erba? - disse e domandò infine Sara.
    - Magari. Senti, andrà tutto bene. Qualsiasi cosa succederà, sappi che finirà. Niente è per sempre, e anche il peggior libro finisce prima o poi. Tranne IT di Stephen King, quello non finisce mai.
    - Esatto, e comunque cosa ne sanno di noi? Noi siamo forti. Io ero arrivata... beh, sicuramente non ultima a una gara di nuoto da piccola, buttalo via.
    - Ecco, apppunto - disse Camillo.
    Poi arrivò Satana succhiando da una cannuccia il suo succo al sangue dal suo bicchiere di carta riciclata. Stronzo, ma non troppo. Sempre.
    - Eccovi. È ora. Scusate. È il mio dovere. Qualcuno dovrà pure fare il lavoro sporco. Ma siete fortunati. Vi è stata concessa un'altra possibilità. Non buttatela! Cazzo. Ecco le torture. Tu, Camillo, so quanto ami la gente...
    - Quanto te guarda - rispose Camillo.
    - Appunto, che ne dici di un bell'anno bloccato in una stanza piena di gente educata che ti fa i complimenti per qualsiasi cosa? Anche per la fidanzatina che non esiste?
    - Dico che è una merda. Poi ce l'ho una fidanzata io.
    - Sara?
    - No, Federica la mano amica - rispose Camillo.
    - E tu Sara? Per te ho una bella cosa in serbo. Un bell'anno ad allenarti con la spada, arti marziali super estreme, con maestri così severi che ti mancherà il paparino. E anche il Paperino. Sì, e se torni depressa, non ti aiuta nessuno lì. Buona fortuna - disse Satana.
    - Ma veramente... ehm, cazzo. Hai vinto. No, seriamente hai vinto. Mi torturi per un anno. Ma questo non ti riempirà il vuoto che hai dentro. Rimarrai annoiato e demente per tutto il tempo. Non risolverai niente. Cazzo, i satanisti hanno bisogno di incontrarlo Satana - disse Sara.
    - Parole, parole, dialoghi, basta, è ora... vi concedo un saluto - disse Satana.
    Sara sorrise e guardò Camillo. Poi si baciarono e si diedero un abbraccio di addio. Un addio di 365 giorni.
    - Ne torneremo da 'sta merda. Te lo prometto - disse Camillo.
    - Comunque anche se non dovessimo è stato un piacere - rispose Sara.
    - Ok... - rispose Camillo e interruppe il discorso.
    Satana schioccò le dita come Giorgio e Carlo di Capitan Mutanda e teletrasportò i due non-eroi, non-niente, verso il loro destino.
    Tanti saluti. Se tornate dall'inferno raccontatelo. Renderà le conversazioni più interessanti.
    Camillo entrò in una stanza bianca e trasparente piena di gente, e lo invasero di amore.
    - Caaaaaazzzo - disse e si squagliò.
    Sara si ritrovò con una spada in mano e davanti a lei due maestri pelati e baffuti. I loro baffi risero. Lei no.
    Iniziò per lei un allenamento stile Kill Bill se non peggio e iniziò il gioco della depressione. Vinci se riesci a dimenticarti che sei triste.
    Gioca e vinci.
    Gratta e vinci.
    Gratta e perdi.
    Ritenta.
    Ritenta e sarai più fortunato.
     
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    Capitolo 20 - Cambiamo enti


    Gli anni passano. I traumi restano. Ma vabbè. Vabbè, pensavano Camillo e Sara. Uno in più uno in meno che differenza fa. Quell'anno li aveva profondamenti cambiati nel corpo e nello spirito. Esseri umani nuovi. Nuovi soldati a lavoro verso la vita. Al servizio di tutti, o quasi. Forse solo di loro stessi, ma comunque.
    L'anno numerico non importava sul serio. Era qualcosa intorno agli anni '10. Gli anni peggiori e migliori della storia.
    Sara si stava allenando duramente e aveva raggiunto il perfetto connubio tra stress estremo e patologico in tutto il fottuto corpo e pace mentale e fisica. Spirito riallineato coi polmoni e qualsiasi altro organo del corpo. Tranne il cuore. Il cuore era rinchiuso per non farlo uscire. Un paradosso.
    Camillo aveva lentamente migliorato l'accettazione dei complimenti e si domandava se in effetti non fossero veri. Chi lo sa, magari non era poi così male neanche lui.
    Le due anime lottavano separate, divise da prove ardue e inutili, ma il reale senso del perfezionamento corporeo e spirituale veniva trovato solo alla fine di tutto.
    Di colpo mentre stavano sopportando tutto ciò, si interruppe ogni processo di distruzione verso di loro. Finì così, come iniziò. In fretta e senza dare la possibilità di adattarsi.
    Sara poteva soltanto dire: "Nonna, portami a casa". Ma non voleva suonare come Kurt Cobain. Spesso si lotta per la propria originalità. Ma prima o poi ti rendi conto che se sei realmente originale, non devi seriamente preoccuparti di esserlo. E questo si applica a ogni aspetto della vita.
    - Oh cazzo, è finita? Finalmente, questi complimenti mi uccidono - disse Camillo.
    - Era ora, avete finito di torturarmi, zucconi pelati! - gridò Sara ai maestri.
    Loro risero e si rifiutarono di attaccarla perché il codice delle arti marziali glielo impediva. Poi cambiarono idea.
    La attaccarono in due.
    Sara vide la scena e usò la spada come un'asta per volare e superarli in aria. Mentre era in aria agitò le due dita medie delle mani e rise. Poi atterrò. Loro si avvicinarono e fecero partire un colpo alla velocità della luce. Sara parò il colpo con un dito e con il braccio destro li colpì in fretta con la spada e li mise cacca-o.
    Poi fuggì verso la libertà.
    Satana li aspettò davanti l'ingresso dell'inferno. In un certo senso era felice. Ma non poteva ammetterlo. La prima regola del diavolo è non affezionarsi a nessuno. Ed era stancante.
    Sara correva così velocemente che tutto si fece accelerato, come quando torni ubriaco a casa alle tre di mattina.
    Camillo camminava arrogante e pavoneggiandosi, firmando fogli e fazzoletti ai suoi fan dell'inferno.
    Poi si incontrarono, finalmente.
    Stettero a guardarsi per un bel po' senza sapere cosa dire.
    Poi Camillo ci provò lo stesso.
    - Mi scusi chi è lei, la conosco?
    - Certo, coglione che mi conosci, a meno che non ti è partito anche l'altro lato del cervello - rispose Sara.
    - Da adesso signor coglione, prego. Ho una certa riconoscenza in questo luogo, non mi faccia fare brutte figure, signora.
    - Ok, sei partito, beh, peccato, mi eri mancato...
    - Davvero? - chiese Camilo speranzoso.
    - No - disse Sara.
    - Ma signora, non faccia così - disse Camillo avvicinandosi per abbracciarla.
    Sara interpretò l'abbraccio come un attacco e lo afferrò per il braccio sbattendolo a terra in automatico.
    - Ma che le prende? - disse Camillo.
    - Cazzo, scusa, è un riflesso condizionato. E comunque perché parli come Coriandolo adesso? - chiese Sara.
    - E te perché ti comporti come Paola? - chiese Camillo.
    In tutto questo Satana li guardava aspettando che si decidessero a voltarsi verso di lui per guardarlo, finché perse la pazienza e gridò.
    - CAZZO! FATELA FINITA! NON VI STATE AMANDO, VOLETE RESTARE QUI? CHE FASTIDIO - disse Satana.
    - Ah, sei tu, dai portaci sulla terra subito, o ti faccio vedere sulla tua pelle cosa ho imparato in un anno - disse Sara.
    - Non quel tono con me, come ti permetti? - disse Camillo.
    - Basta, non vi sopporto più e sono passati solo pochi minuti - disse Satana.
    Si avvicinò verso di loro e li prese per caricarli sulla sua schiena.
    - Pretendo un viaggio in prima classe, almeno, te puzzi e la tua schiena è piena di peli - disse Camillo.
    - Non fare il sofisticato adesso - disse Sara.
    Satana li ignorò e li portò sulla terra il più in fretta possibile.
    Quando atterrarono Sara chiamò al telefono tutti quanti, e diede appuntamento a casa per un festa. Poi si rese conto che era passato un anno e non aveva più una casa e un lavoro, così optò per il solito parco. Satana tornò alla casa sulla collina e loro si ritrovarono tutti e sei al parco. Qualcosa era inceppato però.
    - Non so nemmeno perché sono venuta, ci sono tre maschi qui, disgustoso, e sono anche tanti quanti le donne, ci dovrebbe essere almeno una donna in più, misogini di merda! - disse Paola.
    - Camillo! Non mi eri mancato per niente - disse Stefano.
    - Perché tu sei diventato un fantasma e io sono andato all'inferno? - domandò Camillo.
    - Perché servono entrambi le versioni, no? E comunque era una mia scelta - disse Stefano cercando di cambiare discorso.
    - Mi elavate mancati! Pensavo foste molti! - disse Mei.
    - Esatto anche io avevo dedotto che eravate morti, da quello che era successo con quell'orso poco magnanimo. Beh, festeggiamo allora! - disse Coriandolo tirando fuori un po' di erba che aveva sequestrato a dei giovani liceali.
    - Mi sembra che qui siete tutti peggiorati, solo io invecchio bene come il vino - disse Camillo.
    - Non avete idea di cosa ho fondato quando eravate via! Un movimento che unisce le donne contro gli uomini, povere donne maltrattate contro voi mostri, Sara e Mei, se volete potete unirvi. Siamo già a diecimila membri, anzi, membre - disse Paola.
    - Wow, allora c'è anche gente più malata di me, mi sento molto meglio - disse Sara.
    Dopodiché si fumarono tutti l'erba di Coriandolo, ma era piena di merdate chimiche e tagliata con allucinogeni ed ebbero un viaggio mistico e trascendentale verso nuovi orizzonti. O più semplicemente un orrorifico trip verso le proprie paure più profonde.

    Edited by Matthew 98 - 19/4/2019, 10:39
     
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    Capitolo 21 – O no?


    Le visioni li portarono verso zone inaspettate. Zone inesplorate e fastidiose. Prima le luci. Luci forti e scintillanti. Poi gli animali, le creature del buio. Il buio nella luce. Camillo e i soci del gruppo di gente idiota vedevano le creature spaventose.
    Il corpo tremava per il terrore, per la paura. La paura per la vita, e la cupezza dell’esistenza.
    Camillo si portò le mani alla testa tentando di capire cose stesse succedendo e tentando di impedirle di esplodergli di soppiatto.
    Sara vomitò addosso a Paola e si tuffò in una piscina brillante e abbagliante nel parco solare. Quando atterrò nell’acqua lo fece a rallentatore. Era nuda e allargò le braccia mentre nuotava sott’acqua, alla ricerca del dollaro di Nevermind.
    Roba vecchia.
    Coriandolo affrontò i sensi di colpa e il conflitto interiore che comportava essere un investigatore irresponsabile e incapace. Si sentì in colpa per ciò che era successo e per aver messo i suoi amici in pericolo. Ma ormai era troppo tardi.
    Mei iniziò a parlare una lingua aliena e incomprensibile, parlava in quella maniera rimbombante con un’anatra simpatica che passava di lì per caso.
    Paola perse ogni strumento difensivo e diversivo e si rilassò mentre camminava col suo corpo albero. Le sue braccia erano diventate rami di albero, e tentò di capire come grattarsi il capo. Un vero grattacapo.
    Stefano piombò in ricordi di infanzia e ebbe allucinazioni in cui vedeva sua madre giocare con Camillo e non con lui. Gridava ma non lo sentiva nessuno. Chiedere attenzioni era come giocare a biliardo con una corda, o suonare Stairway to heaven con il triangolo.
    Era tutta una ricerca verso la scala del paradiso, ma era difficile da raggiungere. Impossibile, cazzo, lontana anni luce.
    Sei personaggi in cerca di una dose migliore. Si muovevano in quella landa tutt’altro che desolata. Bambini che giocavano nella sabbiera li guardavano stupiti, erano così piccoli, eppure già si chiedevano cosa stesse diventando la società odierna. Se era possibile passare dalla Divina Commedia di Alighieri alla pazzia più totale in così poco tempo.
    Che fine aveva fatto la società?
    Era forse destinata ad essere ridotta a una simile autodistruzione e inconsapevole impulsività verso la propria fine?
    Sì, a quanto pare.
    Quelle sei persone erano lì, ma semplicemente, non erano realmente lì. Era tutta una finzione. Una nebbiolina piena di ovatta.
    Sara spiò con l’occhio di lince l’ambiente, mentre la nausea e i maiali volanti erano completamente dominanti su tutto il resto, e non poté fare a meno di notare il ritorno dell’orso cattivo. L’orso di peluche. L’orso mangia-frutta, che aveva mangiato anche il lupo. Era lì con la lama affilata, pronto a colpire. Camminava zigzagando, diventando grande, poi piccolo, poi a testa in giù.
    Era così difficile trovare un ordine al tutto. C’era una confusione… una confusione madornale. Non era quello il momento. Non era il momento adatto per combattere quello. Non era il momento adatto a fare niente. In quelle condizioni come si faceva a fare qualsiasi altra cosa che non fosse sbavare a terra e guardare le lumache?
    Sara mandò giù la saliva, e le sembrò di inghiottire un macigno. Notò che l’orso la vide e arrabbiato allargò la testa con la fronte accigliata verso di loro. Si avvicinò con furia omicida e Sara sentì il corpo andare nel panico più totale e si sentì in dovere di avvertire tutti gli altri.
    Si avvicinò a Camillo e tentò di farlo rinvenire.
    - E-eeeehi, C-camillo, lo vedi quello? Cazzo, capito, no? Cazzo non farmi spiegare, che… boh, aiuto – disse tentando di esprimersi ma le risultava difficile.
    Camillo rise e salutò l’orso, ma per lui era soltanto una banana gigantesca. Nella sua mente risuonava la canzone Eptadone degli Skiantos, e l’unica cosa che poté dire a Sara fu:
    - C’hai una banana gigantesca.
    Sara rise, e si dimenticò per un momento dell’orso. Poi se ne dimenticò completamente e nella mente ebbe lo stesso pensiero ripetuto rimbombato rimbambito di morte.
    Poi l’orso gridò e lei si voltò guardandolo. Tentò un approccio pacifico.
    - Eh, oh, coso, orso-come-ti-chiami, veniamo in pace, basta, no?
    - No, io no – disse e mosse la lama.
    Sara lanciò un nuuuuuuuoooooooooo rallentato stile Luke Skywalker e tirò fuori la sua katana parando il colpo.
    Lo scontro delle due spade si risolse in un rumore orribile che fece un gran fracasso, che provocò a Sara un mal di testa.
    L’orso si trasformò e divenne un tenero elefantino rosa. Poi divenne una cacca rosa come quella di Arale e la guardò ridendo.
    Il resto della zona circostante ondeggiava e tremava e le onde si scagliavano con fragore su tutti loro.
    Paola guardò con chiarezza l’orso. Le apparve come Bill Cosby. Tutto ciò la spaventava a tal punto che non poteva muoversi.
    Mei vide l’orso e le apparve come Jackie Chan che le diceva di non preoccuparsi, che avrebbe risolto tutto lui.
    - Ah, menomale allola! – disse ridendo in maniera più acuta del solito.
    Stefano si avvicinò verso Sara e le suggerì di usare il formaggio. Per cosa? Formaggio? Niente aveva senso.
    Sara si concentrò sul suo allenamento. Su tutto quello che le avevano insegnato. Poi ricordò la lezione più grande.
    Saper perdere.
    L’importante era vincere sé stessi. Bastava che facesse quello. Vincere sé stessa.
    Impugnò la katana con forza e tagliò in due la merda in verticale, poi la pugnalò al cuore.
    Esplose di colpo e tutto il parco si riempì di cotone rosa, e merda marrone.
    I sei eroi non esultarono, non fecero niente. Rimasero lì a schiamazzare senza rendersi conto di nulla. Solo Sara sapeva che qualcosa era successo. Qualcosa era successo, vero? O no?
    La polizia venne la sera e li arrestò tutti per disturbo alla quiete pubblica, tranne Coriandolo e Stefano, per ovvi motivi.

    Edited by Matthew 98 - 6/5/2019, 23:27
     
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    Capitolo 22 – Nuova prigione, vecchie maniere


    Sara si risvegliò dentro una cella puzzolente e vomitevole e si domandò cosa cazzo fosse successo. L’unica cosa che ricordava era di un orso. Un orso cattivo. Stereotipicamente cattivo. La nausea e il fastidio non passavano facilmente.
    In cella con lei c’era un uomo torvo. La guardava molto, ma molto male. Diceva di chiamarsi Jesus. Fece fatica a capire cosa voleva, così si voltò e guardò davanti a lei, tentando di ignorarlo. Poi sentì un sospiro. Si voltò di nuovo, stavolta verso di lui, e notò che era sparito.
    - Cazzo - disse Sara, e sentì un brivido.
    - Aiuto, sono prigioniera! Degli uomini malvagi mi tengono prigioniera! Vi denuncerò! Poliziotti cattivi! – sentì gridare Paola.
    Strinse le sbarre e guardò di lato per vedere se era effettivamente Paola.
    La vide. Era lei.
    - Che belo! Pieno di done qui! Ma che bluto, così sola qui! - sentì dire Mei.
    Che situazione di merda, pensò.
    Nel frattempo, in un’altra prigione c’era Camillo, solo soletto.
    La vita si passa in compagnia, ma è un viaggio solitario.
    Camillo sentì il culo fare boccucce per la paura.
    - Ehi, fatemi uscire di qui! Parlerò solo in presenza della mia banana gigantesca! - gridò.
    Una guardia lo raggiunse e lo fece uscire dalla cella.
    - Seguimi – disse.
    Lo portò in una stanza e gli fece firmare un verbale, e nel frattempo prese le sue generalità. Mentre Camillo aspettava che la guardia spiegasse tutto al giudice pensò a Sara e a cosa fosse successo a lei.
    Nel giro di qualche ora uscirono tutti fuori, con una denuncia e una fedina penale sporca.
    Sara si cercò nelle tasche la katana e notò che non c’era. Questo le fece pensare il peggio. Se la polizia l’aveva presa era nella merda.
    Si sarebbe fatta un’infinità di anni in prigione per possesso di quell’arma.
    Il panico le crebbe in fretta.
    Paola la guardò e la abbracciò per calmarla.
    - Vedo, che sei agitata ma devi stare tranquilla, è tutto passato, ci sono qua io ad aiutarti, in fondo se non ci si aiuta tra donne, lasciamo vincere gli uomini, e noi non vogliamo questo – disse piangendo di gioia.
    - Lasciami, ci manchi solo te – disse Sara.
    - Paola, se tu volele puoi ablacciale me! – disse Mei, ancora mezza confusa e contusa.
    Mentre Paola abbracciava Mei, Sara chiamò Coriandolo al telefono.
    - Ehi, Coriandolo abbiamo un problema – disse Sara.
    - Di quale problema sta parlando mademoiselle?
    - Del fatto che non ho più la mia katana, ho paura che l’abbiano sequestrata…
    - E non pensi che se te l’avessero presa a quest’ora saresti ancora lì? No, devi stare tranquilla Sara, ci ha pensato il tuo amico Coriandolo ad aiutarti. Prima che la polizia ti arrestasse ti ho preso da parte e ho sfilato la katana dal tuo taschino. Nessuno si è accorto di niente.
    - Wow, grazie, mi hai salvata. Non pensavo fossi abbastanza sobrio da fare una cosa del genere…
    - È il mio lavoro, e in fondo sono abituato alla droga, beh, ciao, te la restituirò la prossima volta – disse Coriandolo e attaccò.
    Sara era perplessa. Anche Coriandolo serviva finalmente a qualcosa? Chi l’avrebbe mai detto, pensò.
    Guardò le due “amiche” e capì alla svelta che doveva tagliare la corda, qualunque fosse.
    Riusciva quasi a specchiarsi, mentre guardava il cranio rasato di Paola e si immergeva in un vuoto cosmico guardando i capelli neri di Mei.
    Doveva inventarsi una scusa per sparire di lì, una scusa che ricordava l’adolescenza.
    - Ehiii, scusatemi, ma ho un impegno urgentissimo, il cane mi ha mangiato i compiti e devo andare a riscriverli, arrivederci, bastarde schifose – disse Sara con garbo e femminilità.
    - Ma quale cane, tu non possedele animali – disse Mei con la sua aria da stalker.
    - Mei, lascia libera la nostra amica, le donne devono essere libere come un liceale dopo l’esame di maturità, non farla agitare, Sara se devi andare vai pure! Prendi la vita con filosofia! – disse Paola.
    - Grazie, cazzo – disse Sara e camminò verso la sera del suo cuore, verso la personalità intrinseca che cercava. Quella di Camillo. Il sole brillava forte e l’atmosfera marina e ignorante che si respirava allietava il cuore che faceva bum bum, come un bimbo che caga nel bosco.
    Camillo chiamò al telefono Sara mentre camminava assolutamente a caso, e solamente per fare scena. Una scena scema.
    - Pronto? Sara? Tutto a posto? Ti senti in grado di aiutarmi a ripristinare lo status quo, ovvero trovare di nuovo dei lavori, e una camera in affitto?
    - E lo status qui e qua? – chiese Sara con stupidità.
    - Non fare la battutina del cazzo da Milhouse, qui ci vuole un serio cambio di scena da dio. Una specie di flashforward paraculo, che ne pensi?
    - Ma è perfetto. Proprio perfetto. Non quanto te.
    - Davvero pensi che io sia perfetto?
    - No, parlavo di me – disse Sara e rise in maniera strana, poi si chiese il perché subito dopo. Tossì un attimino e cercò di tornare seria.
    - Ma non è un po’ come barare così? – domandò Sara.
    - Neanche tanto, alla fine quando le cose si fanno pallose tutti barano. Tu non usavi i trucchi su GTA quando perdevi per la millesima volta?
    - No, io ci so giocare.
    - Beh, ci siamo capiti – disse Camillo. Poi attaccò il telefono e rise. Gli mancava la voce di Sara. La prigione fa questo effetto.
    Poi schioccò le dita e col potere del guanto di Camillo fece tornare tutto come prima accelerando il tempo molto in fretta. Tutto si fece scorrevole e stupido.
    Si risvegliò nudo con la faccia sulle tette di Sara. Poi si svegliò anche lei, senza vestiti come Camillo. Erano pieni di vomito e la camera era a soqquadro. Il dopo sbronza era così micidiale che fare cose come ricordarsi il loro nome o leggere un libro erano impossibili.
    - È tornato tutto come prima quindi? – domandò Sara.
    - A quanto pare sì. Oh cazzo, devo lavorare adesso, ci vediamo alla prossima – disse Camillo vestendosi in fretta e dirigendosi verso la porta.
    - Dove cazzo credi di andare? Non mi lasciare da sola, scopami. Cazzo, Camillo scopami. Scopami! – disse Sara.
    - Lo facciamo dopo, poi devi lavorare anche te – disse Camillo e uscì.
    Sara sbuffò e tirò fuori il vibratore.
    Poi di colpo alzò lo sguardo e vide Camillo rientrare.
    - Vabbè dai, un minuto prima o un minuto dopo non faranno male a nessuno – disse Camillo togliendosi i vestiti.
    Sara sorrise.
    A volte cambiare idea, era decisamente una buona idea.

    Edited by Matthew 98 - 6/5/2019, 14:10
     
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    Capitolo 23 - Ora del fuoco


    Tornare indietro era impossibile, nella vita reale. Ma questo non importava. Non era quello il problema. Il problema era il presente. Autodistruggersi sembrava sempre la soluzione, anche se non aveva alcun senso.
    Sara sapeva che la vita era stupida. E che ogni persona e ogni rapporto facevano cagare al cazzo. Questo probabilmente lo sapeva anche Camillo, e questo li teneva uniti. Per non si sa quanto.
    Paola soffriva più di tutti e ne dava prova anche il suo aspetto.
    Passava il tempo a casa a battere al computer il suo nuovo romanzo contro gli uomini. L'avevano tradita e quindi il naturale atteggiamento era quello. Ma non l'avevano tradita tutti gli uomini, solo Bill Cosby.
    Quando un uomo che sembra simpatico e buono ti stupra ti senti tradita dalla vita.
    Forse avrebbe ucciso un uomo quella sera. Un uomo che la amava. Mai quelli che la odiavano.
    Quell'anno aveva portato con sé molti risultati. Era diventata un attivista che Greta Thunberg levati. Andava a manifestare contro gli uomini e creava eventi su facebook. Era molto seguita e rispettata. Come può accadere il femminazismo? Come il nazismo, ma con la fica.
    La cosa stava prendendo una piega pericolosa.
    Molte sue fan si sentivano in dovere di uccidere i loro mariti o di tagliare loro il cazzo stile Lorena Bobbitt.
    Zac. Un colpo secco.
    Quel pomeriggio doveva svolgersi in piazza una sua manifestazione in cui si sarebbe bruciato vivo uno stupratore.
    Paola aveva chiamato al telefono Sara e Mei per chiedere loro di venire.
    Sara disse subito di no, ma Paola le promise una pizza, quindi perché no?
    Mei acconsentì anche se poco convinta.
    Sara andò all'evento e portò Camillo con sé per vedere se l'avrebbero ucciso insieme allo stupratore.
    - Non voglio morire, ho ancora molti anni da vivere e molti porno da guardare! - disse Camillo a Sara.
    - Ti faccio un favore, la vita fa schifo - disse Sara a Camillo.
    - Ma Benigni dice che è bella, uffi, piantala di essere realistica... - rispose Camillo.
    Sara lo ignorò.
    Lì in piazza c'erano soltanto donne. Guardarono tutte Camillo male, come un criminale. Lui faceva finta di niente e salutava allegro e nervoso.
    Tra la folla incontrarono Mei, che si unì a loro, anche se Sara aveva fatto di tutto per evitarla.
    Poi videro Paola sul palco che parlava e diceva la sua.
    - Eccoci tutte qui riunite per bruciare questo uomo di merda, non ne abbiamo bisogno di persone così! Il vostro pericolo maggiore sono gli uomini, fateci caso. Esseri disgustosi e riprovevoli, non ci vuole pietà e compassione in questi casi, altrimenti diamo loro motivo di continuare. Io parlo a nome di tutte, è chiaro. Prima la mia vita era bellissima e splendida, poi... è stata fatta in mille pezzi e ci hanno cagato sopra, e a loro non importa un cazzo di noi! Proprio niente. Guardate questo pezzo di merda, che ha fatto nella vita? Violentare donne a caso. E morirà senza fare altro... volete forse che si possa redimere uno così? Tanto la galera non funziona, e chi c'è stato lo sa. Quindi adesso... è ora del fuoco! - disse Paola.
    - Buuuuu, dov'è la pizza, la mia amica ha fame! - gridò Camillo venendo fulminato da diecimila sguardi cattivi intorno a lui.
    - Che ci fai qui Camillo? Comunque, dicevo, è ora del fuoco! - disse Paola e prese una tanica di benzina e la svuotò addosso allo stupratore che era lì bloccato, senza poter fare niente.
    La polizia guardava senza intervenire. La costituzione era cambiata.
    Mei era spaventata e abbracciava Sara stritolandola per la paura.
    - Aiuto, non sono queste le done che piacele a me! Cattive! - disse.
    Paola accese un fiammifero e lo lanciò sull'uomo che prese fuoco e iniziò a urlare in maniera disumana e mostruosa.
    Sara guardava annoiata e invidiosa, e voleva la sua pizza.
    Camillo ebbe un conato di vomito.
    Paola fece una risata malvagia e disse al microfono:
    - Non ci sarà nessuna pizza!
    Sara si sentì profondamente offesa e choccata. Passi per l'uomo bruciato ma la pizza era importante.
    Incazzata si diresse verso il palco andando a sbattere contro le tette di tutte.
    Poi salì e andò verso Paola. La guardò sorridendo, poi le diede un pugno in faccia e la fece cadere sulla folla.
    Scese immediatamente e gridò a Camillo di scappare.
    Camillo fu infine preso e con lui anche Sara.
    Furono presi entrambi a pugni da tutte le donne incazzate e si risvegliarono all'ospedale.
    Camillo sognò Camila Cabello che cavalcava un cammello pensando a un cavallo che beveva la camomilla.
    Sara sognò un ragno verde.
    Stefano si chiese se tutto ciò era opera di Satana, ma no, era opera degli esseri umani.

    Edited by Matthew 98 - 27/5/2019, 23:07
     
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    Capitolo 24 - Il piano


    Svegliarsi all'ospedale può diventare una routine. La routine è la fine di ogni cosa interessante, e le persone noiose lo sanno. Andare e tornare dall'inferno, lotte quotidiane che tutti devono sopportare. Nella vita non trovi sempre la soluzione all'enigma.
    Camillo si sentiva quasi bene, ma non importava tanto questo. Sapeva che qualcosa bolliva in pentola. L'autore aveva in serbo per lui qualcosa, e non saperlo gli dava fastidio e gli faceva paura. Un po' come i religiosi hanno paura di ciò che dio ha in serbo per loro. Ecco perché essere atei è facile, tranne dover sopportare i credenti.
    Sara sapeva che si sentiva di merda, e non doveva pensarci troppo. Per tutta la vita aveva cercato di autodistruggersi in qualunque modo. Alcol, droghe, entrare in case maledette...
    Funzionava? No, ma continuava a provarci. Sapeva che Camillo non faceva molto per impedirglielo e non sapeva cosa pensare di tutto ciò. Non che volesse che gli venisse impedito, comunque. La vita è già piena di gente che vuole impedirti di fare qualsiasi cosa. E generalmente sbagliano. L'importante è capire quando si sbagliano e continuare a fare comunque quel cazzo che ti pare.
    Coriandolo sapeva di essere discretamente bravo con le donne e non pensava ad altro tutto il giorno. La fica era fonte di distrazione dal risolvere casi e dal lavorare, ma non si lamentava. Anche perché non c'era nulla di cui lamentarsi.
    Paola si era ripresa dal pugno di Sara e soffriva dentro di sé per il tradimento, ma non lo dava a vedere. In ogni caso se fosse stato un uomo a colpirla le avrebbe dato più fastidio. Mentre si ritrovava a fare quei discorsi misogini al contrario a quella folla si stava lentamente rendendo conto che qualcosa non le quadrava. Non si sentiva felice. Aver tirato su tutto quel teatrino di odio non la rendeva felice. Le aveva soltanto creato una paura maggiore verso gli uomini. Scrivere il libro era diverso, quando scrivi, scrivi cazzate e non succede niente, quando inizia a diventare esagerato come fare manifestazioni in piazza e bruciare persone, è un problema. E come era possibile che le permettessero di fare una cosa del genere? Non era forse irreale tutto ciò? Quei pensieri nuovi e inediti le affollavano il cranio pelato. Le mancavano i capelli, sentiva una netta divisione tra le due versioni di se stessa. Quando si concluse la manifestazione firmò autografi sulle tette, sulle mutandine e sui vibratori. Non voleva vedere più nessuno. Poi venne Mei verso di lei preoccupata.
    - Cala Paola, pensi davvelo quele cose? Mi spaventi... - disse Mei.
    - Mei, va bene così, è personale, complicato, non mi aspetto che tu lo capisca... non quando neanche io lo capisco... - disse Paola.
    - Ehi, vaffanculo, rispetta la mia specie, qualcuno decente c'è! - gridò Stefano che passava di lì per caso.
    Paola non aveva mai avuto problemi con Stefano, essendo un fantasma non aveva certo paura che la violentasse.
    - Va bene, va bene, adesso fatemi andare... - disse Paola.
    Satana sbucò dal cielo volando glorioso. Atterrò davanti a lei.
    - Paola! Sto guardando quello che fai! Accidenti a te! Andrai all'inferno, probabilmente.
    - C'è niente di più banale che tu possa dire a un peccatore che non sia, andrai all'inferno? - domandò Paola seccata.
    - Ah, beh, hai ragione, c'è anche... ehm... cazzo... eh, beh, continua così, a me non me ne importa un cazzo! Basta che tagli il cazzo a Camillo, mi sta sul cazzo! - disse Satana e volò via spargendo terrore e raccapriccio.
    - Quello è un coglione, sempre inferno di qui e inferno di là... - disse Paola seccata.
    Camillo si risvegliò dal coma-non-coma e fece un bel respiro quando rinvenne come Mia Wallace dopo la botta di adrenalina. Uma Thurman insegna.
    Sara era nel mondo dei sogni inconsci e voleva rimanerci. Voleva dormire per sempre, o almeno per cinquant'anni. Il problema era sempre risvegliarsi. Quando si risvegliava la mattina, e lentamente tornava a ricordarsi della sua vita, della sua esistenza, e del mondo, era il momento peggiore. I sogni ti portano via dalla realtà per quello che durano, ma poi devi tornare a svegliarti ed affrontare tutta quella merda di ogni giorno, rimboccarti le mani e lavorare. Il fatto che Sara fosse ancora viva era un gran bel lavoro, ma era difficile da spiegare in una frase.
    Camillo si girò verso Sara e andò verso di lei per svegliarla.
    - Ehi, Sara, sveglia, ho un piano.
    - Non mi disturbare adesso, forse riesco ancora a fare finta che sto dormendo e... cazzo, vabbè troppo tardi. Dimmi.
    - Paola e tutto il suo movimento, le sue manifestazioni e la messinscena che ha tirato su, sono una merda, sei d'accordo?
    - No, ha ragione, dai.
    - Cosa?
    - Scherzavo, dai, continua.
    - Beh... un'idea per farlo finire e per farle perdere credibilità ce l'ho... - disse Camillo.
    Ci fu un cambio di scena. Camillo era stato chiaro. Coriandolo voleva dargli ascolto. Alla centrale di polizia non badavano al problema, ma lui l'eroe impavido l'avrebbe risolto. No, in realtà voleva solo trombare, ma per fortuna nessuno gli avrebbe letto il pensiero. Si vestì al meglio che poté. Indossava una giacca e pantaloni eleganti e una cravatta e scarpe ben abbinate. Si sistemò i capelli col gel e si mangiò una mentina. Poi andò a comprare una rosa dal fioraio e si diresse verso la casa di Paola. Suonò al campanello e la aspettò.
    Paola gli aprì.
    - Ehi, buon pomeriggio mia dolce stella del cielo, la tua bellezza strato facciale è paragonabile soltanto al sole e alle montagne, ai fiumi e ai laghi! E questa rosa risplende coi tuoi occhi come un tramonto poetico e rigeneramente ineluttabile! No, scherzi a parte, volevo vedere come stavi, la manifestazione mi ha fatto preoccupare per la tua salute mentale - disse Coriandolo ridendo.
    - Coriandolo, non voglio visite adesso, non è un buon periodo...
    - Ma come? Una come te deve sentirsi bene e felice, saresti stupida a non trattarti bene!
    - Eh, forse hai ragione, dai entra - disse Paola.
    Coriandolo entrò e lei lo fece accomodare sul divano.
    - Bella casa, mi emoziona sapere che vivi bene, a parte quello sgorbio di quadro, quello ti consiglio di levarlo - disse Coriandolo serio, poi rise.
    - Giusto, lo farò, ma non ti facevo un esperto di quadri... - disse Paola e rise.
    Parlarono per un po' di cose a caso. Poi Paola gli domandò se avesse fatto una cazzata con la manifestazione.
    - Beh, me lo chiedi sul serio? Devo dirti di sì, Paola. Tu hai tanti difetti, così come li ho io, siamo solo due esseri umani nel ponte pericolante della vita e dobbiamo farcela e andare avanti, ma sono proprio i tuoi difetti che ti rendono bellissima, non devi dimostrare niente, e quella roba è solo controproducente, per te e per tutti, fatti amare, perché te lo meriti! O Almeno quando sei normale e non imiti Hitler, stai cadendo troppo in basso con tutta questa faccenda, e fidati che può solo peggiorare - disse Coriandolo avvicinandosi a lei.
    - Lo sai, forse hai ragione, è probabile che tu abbia ragione, ma ora è tardi. Forse. Ho soltanto paura. E non serve a niente quella. Dopo quello che mi è successo ho avuto paura a farlo con chiunque, proprio chiunque. Ma ora tu sei così gentile... e...
    - Lasciati andare, io ho risolto molti misteri nella mia vita, ma spesso mi risveglio la mattina confuso chiedendomi il senso della vita, e lo sai cosa concludo?
    - Cosa?
    - Che probabilmente il senso della vita è semplicemente guardare una come te negli occhi e domandarsi cosa ti riserverà il giorno in cui ne capirai il vero significato. Anche perché per quanto bello deve essere sicuramente pesante - disse Coriandolo ridendo.
    - Ti do una mano a capirlo allora... - disse Paola e lo baciò.
    Si sentì liberata da qualcosa. Forse qualcosa di greve e antico. Voleva lasciarsi andare sul serio.
    Coriandolo lavorò con la lingua e fu un bacio lungo e appassionato.
    Poi si tolsero i vestiti e iniziarono a darci dentro.
    La finestra della casa non aveva tende e si vedeva tutto. La luce filtrava e li illuminava di gioia.
    Sara e Camillo sgattaiolarono nel buio del sole e malvagi malvagi si sentivano adagi. Sara tirò fuori la videocamera e riprese la scena dalla finestra di Paola mentre Camillo rideva malvagio.
    - Che schifo vederli mentre lo fanno, sembra di vedere un porno con i tuoi amici come attori protagonisti! - disse Sara.
    - Poco male, tanto non ti ci devi masturbare su quel video, Sara - disse Camillo.
    - Certo, ovvio... - rispose Sara.
    Finito il rapporto Sara fermò il video e lo salvò, poi corse via con Camillo pronta a caricarlo su Youtube quando sarebbe tornata a casa.
    Coriandolo era felice, anche Paola.
    Ma cos'era la felicità?
    Forse solo l'atto di positività verso il dolore del mondo.

    Edited by Matthew 98 - 26/6/2019, 09:54
     
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