Il Principe Nascosto

di Agonia.Altrui.Company

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    Grazie a entrambe per aver letto il capitolo! Una curiosità: il primo paragrafo è abbastanza vago? L'ho scritto con l'intenzione di non far capire precisamente ai lettori in quale situazione si trovi Ashya.
     
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    Credevo che il Principe fosse più saggio e bendisposto. O mi sono fatto un'idea sbagliata, o lui nasconde qualcosa, un qualcosa che spiegherebbe il perché non voglia (o non possa) uscire allo scoperto. Che ne so, magari tengono in ostaggio qualcuno a cui lui tiene...

    Per quanto riguardo la situazione attuale di Ashya, ho creduto che fosse in uno stato in bilico tra vita e morte, e in questa condizione qualcosa in lui si è risvegliato.
     
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    Mi piace la tua riflessione sul principe :D Per quanto riguarda Ashya, in realtà ha gridato per attirare l'attenzione dei cavalieri, nella speranza che lo salvassero...
     
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    CAPITOLO 16

    Il forte odore di medicinali gli pizzicava il naso.
    Polsi e caviglie dolevano laddove erano stati legati.
    Suoni lievi giungevano alle sue orecchie.
    Prima di arrischiarsi ad aprire gli occhi, Ashya trasse un respiro profondo, accogliendo con gioia la sensazione dell’aria fresca che gli feriva la gola e i polmoni. Sentì il petto dolere nello sforzo di espandersi, e fu magnifico.
    Era ancora vivo.
    Per un po’ si accontentò di restarsene lì, immobile, mentre aspettava che la sua mente si schiarisse un poco; c’era così tanto silenzio che, per un momento, credette persino di trovarsi nella propria tenda, su quella piccola altura in mezzo al deserto.
    Abbandonò ben presto quell’idea, man mano che i suoi ultimi ricordi si facevano più nitidi.
    Chi lo aveva salvato? Dei nomadi di passaggio, forse, o l’esercito nemico che marciava sulla capitale. In quel momento non sembrava avere molta importanza.
    Il ragazzo provò a sollevare le palpebre, ma qualcosa glielo impedì. Allora alzò una mano tremante e cercò a tentoni, fino a che non riuscì a togliersi la pezza umida dal viso.
    Fece una smorfia quando la luce gli ferì gli occhi e combatté contro l’istinto di richiuderli; la prima cosa che riuscì a mettere a fuoco fu un soffitto di pietra levigata.
    Si puntellò sui gomiti, per mettersi a sedere, e lasciò scivolare le gambe fuori dalla branda, finché i suoi piedi non toccarono il pavimento. Probabilmente si mosse troppo in fretta, perché ebbe un improvviso capogiro e vide il mondo farsi completamente nero. Sentì il bisogno di rimettere, ma lo scacciò con dei respiri profondi.
    Attese che la vista gli si fosse schiarita, poi sollevò le mani davanti a sé e osservò le bende sgualcite che gli cingevano i polsi. Iniziò a disfare la medicazione, che doveva essere vecchia di almeno un giorno, mentre si domandava per quanto tempo fosse rimasto incosciente.
    Finalmente, Ashya fece vagare lo sguardo nella stanza che aveva attorno: riconobbe subito le mensole di legno, gli unguenti meticolosamente disposti, la sottile finestra che lasciava entrare la luce del mattino.
    Corrugò la fronte: non poteva davvero essere tornato là.
    -Qualcuno ha deciso di tornare dal regno della notte.- lo apostrofò il medico di palazzo.
    Il giovane si voltò di scatto e lo vide lì, nella sua elegante toga verde e blu; il suo cipiglio sembrava persino più scontroso del solito e il ragazzo non gli rispose. Osservò l’uomo mentre quello, senza degnarlo di uno sguardo, si dirigeva verso alcuni scaffali. Lo vide osservare i medicinali con aria intenta, borbottando parole incomprensibili. Alla fine prese alcuni barattoli e andò a sedersi al suo piccolo tavolo, dove si mise al lavoro.
    Nessuno dei due parlò per diversi minuti e l’unico suono, lì nella stanza, era il familiare crepitio di mortaio e pestello. Ashya, che aveva sempre adorato quel rumore, iniziava a trovarlo insopportabile.
    Si decise a parlare.
    “Come sono arrivato qui?”
    Quelle parole rimasero a galleggiare nella sua testa perché, quando provò a pronunciarle, dalla sua gola non uscì che un verso sibilante. Si portò le mani davanti alla bocca e iniziò a tossire convulsamente, sentendo le lacrime pungergli gli occhi.
    Solo quando la crisi fu passata si accorse che il vecchio gli stava di fronte.
    -Bevi.- gli ordinò quello, porgendogli una piccola ciotola di rame.
    Il giovane la accettò con mano tremante, non mancando di sbirciarne il contenuto; il liquido al suo interno era scuro e maleodorante, ma il ragazzo non vi avvertì alcun sentore di veleno, così lo trangugiò tutto d’un fiato. Lo sentì bruciare lungo la gola, ma si trattava di quel pizzicore salubre provocato da alcuni medicinali.
    Il dottore gli strappò di mano la ciotola, con le sue dita pallide e adunche, poi tornò verso lo scrittoio. Anche nei suoi giorni migliori l’uomo era tutt’altro che affabile, ma in quel momento pareva addirittura ostile.
    Il giovane sospirò e portò lo sguardo verso la porta, pensando al palazzo che vi si apriva oltre: proprio non riusciva a dare un senso a quella situazione.
    -C’è molto silenzio.- commentò distrattamente
    La sua voce era ancora molto roca.
    Il medico stava rimettendo al loro posto erbe e medicinali e, da prima, sembrò ignorarlo.
    -Sono tutti nella parte orientale del palazzo.- gli rispose invece, dopo un lungo momento, senza degnarlo di uno sguardo -Probabilmente sperano di riuscire a vedere il principe.-
    Il ragazzo si voltò di nuovo verso di lui, gli occhi neri improvvisamente spalancati e attenti.
    -Il principe?- ripeté -Quale principe?-
    A Seripaz non c’erano principi, ma il sovrano di Wawaru aveva otto figli; forse l’uomo si riferiva a uno di loro, anche se il ragazzo non riusciva a immaginare cosa potesse farci un principe warui alla corte di Pathbahea.
    Il vecchio grugnì.
    -Perché,- replicò -tu quanti nei hai guariti?-
    Ashya corrugò la fronte e aprì bocca per ribattere, ma non avrebbe nemmeno saputo da dove cominciare. Così richiuse le labbra e abbassò lo sguardo verso il pavimento, laddove i suoi piedi toccavano la pietra. Tentò di riflettere.
    Il principe doveva aver mentito.
    Lo aveva fatto per salvargli la vita?
    Il giovane scosse il capo: non avrebbe avuto molto senso.
    In primo luogo era stato proprio il figlio del re a cacciarlo in quella situazione, quindi per quale motivo avrebbe dovuto decidere di salvarlo? Cosa ne avrebbe ricavato? Il ragazzo dubitava che lo avesse fatto per puro altruismo.
    Era forse accaduto qualcosa, dal loro incontro, che potesse aver spinto il principe a cambiare idea?
    Ashya si coprì gli occhi con i palmi delle mani e inspirò a fondo. La verità era che, da quando era arrivato a Jaharra, aveva la sgradevole sensazione di girare in tondo, prigioniero di una gabbia dorata; era come se una catena invisibile lo tenesse legato al palazzo, impedendogli di fuggire.
    -Devo incontrare il principe.- mormorò.
    -Una fortunata coincidenza.- sbuffò il medico -Anche sua Altezza vuole incontrarti.-
    Il ragazzo riaprì gli occhi e prese al volo ciò che il vecchio gli aveva lanciato; si trattava di un fagotto di stoffa. Il giovane lo sollevò con entrambe le mani, lasciando che si dispiegasse, e lo guardò senza capire: non era un fagotto, ma un caftano. Un caftano di seta decorato da splendidi ricami d’argento, che brillavano sul verde e il blu della veste. Le maniche erano bianche, molto ampie e si stringevano all’altezza dei polsi.
    Il giovane aveva visto mille volte quella toga sfilare lungo i corridoi, indossata dai valletti personali del sovrano.
    -Indossalo.-




    Il medico non sbagliava: mentre le altre ale del palazzo parevano deserte, quella orientale era gremita di gente. Nobili, servi e perfino soldati, tutti insieme, il loro vociare che riempiva cortili e corridoi. Nemmeno la calura del pomeriggio sembrava capace di farli desistere.
    Mentre si muoveva tra loro, scortato da una giovane guardia, Ashya tentò di cogliere qualche parola, stralci di conversazione: naturalmente parlavano tutti del principe e della sua miracolosa guarigione.
    Alcuni parlavano di un farmaco portentoso, altri sostenevano che il figlio del re fosse stato guarito da uno stregone venuto da lontano; c’era persino chi credeva che il sovrano avesse sfregato una lampada ed espresso un desiderio.
    Gli occhi del ragazzo scrutarono la folla, in cerca di qualche volto familiare; sapeva bene che non avrebbe trovato Falangar ed Eo, lì in mezzo, ma sperava di riuscire a vedere almeno Kveri. O Sarja. La donna, ricordò, gli doveva una qualche spiegazione.
    Prima che riuscisse a riconoscere qualcuno, tuttavia, Ashya raggiunse la grande porta di legno dorato, che recava una corona incisa su entrambe le ante; quando quelle vennero aperte per lasciarlo procedere, tra i presenti calò il silenzio.
    Nel giro di un istante il giovane si trovò dall’altra parte, negli appartamenti reali.
    Fece vagare lo sguardo sui costosi tappeti, poi su lungo gli arazzi che tappezzavano i muri, fino a raggiungere l’intricato mosaico che decorava il soffitto. Si trattava di un’opulenza esagerata, una tale abbondanza di sfarzo e colori che arrivava quasi a dare la nausea.
    Ciononostante, negli appartamenti del sovrano regnava una calma confortevole, ben diversa dal vivace caos che animava il resto del palazzo.
    -Sbrigati.- lo redarguì il soldato.
    Il ragazzo aumentò il passo per tenergli dietro.
    Passando di fronte ad una porta chiusa, piantonata da un paio di guardie, sentì giungere delle voci di donna e i suoi occhi si fecero più sottili: si trattava dell’harem.
    Naturalmente non era quella la sua meta e il soldato lo condusse oltre, verso una scala che conduceva al piano superiore. Saliti i gradini i due raggiunsero un ampio corridoio sui cui lati si aprivano diversi archi di pietra, che offrivano scorci di stanze deserte e lussuose. Da qualche parte, poco lontano, il giovane udì giungere il melodioso suono di un rabab.
    Gli appartamenti reali, oltre che tranquilli, erano anche incredibilmente vasti, come un piccolo castello dentro il castello stesso.
    Strada facendo Ashya prese nota di ogni dettaglio, ogni possibile via di fuga. Non sapeva cosa aspettarsi dal principe ma, dopo il loro primo ed ultimo incontro, era deciso a non abbassare la guardia.
    Il suo sguardo si fermò per un momento sulla schiena della guardia che lo precedeva; aveva un aspetto familiare, lo aveva visto diverse volte lavorando a palazzo. Gli pareva si chiamasse Jagal, o Jakal, ma non si sforzò più di tanto per ricordarlo.
    Infine, i due raggiunsero le stanze del principe.
    La porta era incastrata in un arco di pietra e il ragazzo la riconobbe subito, forse per via della corona che vi era incisa; era più piccola e leggermente diversa da quelle che aveva visto all’ingresso degli appartamenti reali.
    Il soldato si schiarì la voce, poi sollevò una mano e bussò alla porta.
    -Vostra Altezza!- chiamò -Il guaritore è venuto ad incontrarvi.-
    Dall’altro lato della porta la risposta si fece attendere a lungo; Ashya trattenne il fiato e udì la guardia fare lo stesso.
    -Fallo entrare.- ordinò infine una voce attutita.
    Il ragazzo e il soldato si scambiarono uno sguardo, e quest’ultimo gli rivolse un cenno del capo in direzione della porta.
    Lui esitò solo un istante, prima di rilassare i muscoli delle spalle ed entrare nelle stanze private del principe. Si sentiva come un guerriero in procinto di scendere in battaglia, ma non c’era scelta: voleva capire cosa avesse in mente il figlio del re.




    Il ragazzo richiuse la porta alle proprie spalle e, per prima cosa, si fece un’idea generale della stanza: si trattava di un ampio salotto, disseminato di tappeti e cuscini. Un arco di pietra a sesto acuto dava sulla camera, dove Ashya poteva intravedere un imponente letto a baldacchino.
    La luce si riversava nella sala attraverso una fila di finestre, alte e strette, e faceva scintillare i candelabri spenti e gli intarsi dorati dei mobili. La stanza si trovava al primo piano e, in caso di pericolo, quelle finestre avrebbero costituito una via di fuga ardua, ma praticabile.
    -Ben ritrovato.- disse il principe, e l’altro spostò finalmente su di lui la propria attenzione -“Ashya”.-
    Eccolo.
    Giaceva con eleganza sopra un’ottomana di legno intarsiato, rivestita di velluto scuro; teneva le gambe raccolte e un gomito appoggiato ad un bracciolo, usando il braccio per reggere il capo.
    Indossava una semplice veste da camera, come la prima volta che lo aveva visto, ma portava anche un gran numero di gioielli, tra i bracciali dorati e i monili che gli cingevano il collo.
    Alla luce del giorno sembrava ancora più pallido; i lunghi capelli, che gli ricadevano sciolti sulle spalle, brillavano al sole e parevano quasi bianchi.
    Era proprio lui, il “principe nascosto” che aveva trovato nella sala del tesoro. L’erede al trono di Pathbahea, con la sua voce da uomo e il viso delicato di un ragazzo. La stessa persona che aveva chiamato le guardie, condannando Ashya ad essere divorato dalle sabbie del deserto. Infine, a quanto pareva, era anche colui che gli aveva salvato la vita.
    Per un lungo momento, i due rimasero in silenzio. Si osservavano a vicenda, come se non sapessero cosa aspettarsi l’uno dall’altro.
    -Non credevo vi avrei rivisto.- disse il ragazzo, se non altro per rompere il silenzio.
    Il figlio del re parve indugiare, indeciso sul da farsi; alla fine, un sorriso sottile si aprì sul suo volto.
    -Infatti.- ribattè -Non era nei miei piani.-
    Ashya si prese un momento per capire come si sentisse nei confronti del principe. Odio? No, non lo odiava: nonostante tutto continuava a sentirsene attratto, incuriosito. La sensazione di condividere con quell’uomo un flebile legame era ancora lì, intatta e inspiegabile.
    -Allora, perché mentire?- domandò, inclinando il capo.
    -Sei troppo insolente.- lo apostrofò l’altro -Dovresti inchinarti, in presenza del tuo principe.-
    Sembrava divertito.
    Il ragazzo strinse i pugni e serrò le labbra; tuttavia, se era così che il principe voleva giocare, decise che non gli sarebbe costato nulla accontentarlo.
    Trattenne un sospiro e si mise lentamente in ginocchio; posò le mani a terra, davanti a sé, e si chinò fino a sfiorarle con la fronte, com’era uso a Pathbahea.
    L’uomo ridacchiò, un suono limpido e gradevole.
    -Mi piace vederti in ginocchio. Credo che andremo d’accordo.-
    Ashya sollevò appena lo sguardo e osservò il principe di sottecchi, mentre quello si alzava dal divano con calma studiata, i piedi candidi e nudi che si posavano silenziosi sul tappeto. Lo guardò avanzare tra i cuscini e fermarsi a due soli passi da lui.
    Da quella distanza, valutò il ragazzo, avrebbe potuto squarciare la gola del principe nel giro di istante. Certo, solo se avesse avuto con sé una lama e delle intenzioni ostili.
    -Sei il guaritore che è stato capace di curare la misteriosa malattia dell’erede al trono.- gli disse l’uomo; non poteva vedere il suo viso, ma era sicuro che stesse ancora sorridendo -Dovresti gioirne.-
    Non era la verità. Tuttavia il principe lo sapeva bene quanto lui, quindi Ashya non aveva motivo di dar voce a quel pensiero.
    -Alzati, adesso.- gli ordinò il figlio del re.
    Da qualche parte, fuori da quella stanza, dei bambini stavano giocando e il vento portava le loro voci allegre fin lì.
    Il ragazzo obbedì e si rimise in piedi; sollevò appena il mento, puntando lo sguardo sul viso del suo interlocutore. Probabilmente si trattava di una sfrontatezza da parte sua ma, in tutta onestà, non avrebbe saputo dove altro guardare.
    Il principe corrugò appena la fronte, ma non lo rimproverò: sostenne il suo sguardo per alcuni istanti, poi si voltò e tornò verso il proprio seggio. Quando si voltò, per accomodarsi sull’ottomana, sorrideva di nuovo.
    -Da adesso in poi sarai mio servo e medico personale.- gli disse, mettendosi seduto e raccogliendo una gamba, le dita delle mani che andavano ad intrecciarsi all’altezza della caviglia -Vivrai al solo scopo di servirmi. Almeno, finché questo resterà il mio desiderio.-
    Ashya sollevò le sopracciglia, sorpreso e quasi divertito da una richiesta tanto irragionevole e improvvisa. Non una richiesta, in effetti, ma un ordine: il principe gli stava ordinando di giurargli fedeltà.
    L’uomo dovette riuscire a leggere qualcosa nella sua espressione, o forse nel suo silenzio. Il sorriso lasciò il suo volto.
    -È il minimo che tu possa fare, non credi?- gli domandò, appoggiando il mento sul ginocchio e inclinando il capo -Sono la persona che ti ha salvato la vita.-
    -Lo avete fatto, è vero,- ribattè il ragazzo -ma solo dopo aver firmato la mia condanna a morte.-
    Come un bambino che libera una lucciola dal bicchiere in cui l’ha intrappolata.
    -Ti sbagli.- rispose prontamente il principe -Ti sei intrufolato nella sala del tesoro del sovrano di Pathbahea. A ben vedere, ti sei condannato da solo.-
    Questa volta fu Ashya a corrugare la fronte, senza sapere come ribattere.
    Ancora una volta, i due si scrutarono a vicenda; in quel momento l’intero palazzo sembrava tacere, nemmeno una cicala che osasse frinire nei giardini sottostanti o un soldato che abbaiasse ordini oltre le mura di quella stanza.
    Fu il ragazzo, infine, a parlare di nuovo.
    -Se dovessi rifiutare?- domandò.
    Gli angoli della bocca del principe si sollevarono.
    -Questa volta ti farei seppellire così in profondità, che nemmeno il Grande Padre riuscirebbe a tirarti fuori.-
     
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    Questo principe mi pare un bad bitch, ma tutto sommato mi affascina.
    E poi ha deciso che Ashya doveva essere ripescato quando ormai era già quasi in punto di morte, quindi un minimo di fiducia possiamo concederglielo. :D
     
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    Grazie per aver letto il capitolo. Il prossimo cercherò di scriverlo più celermente, promesso!
    Per quanto riguarda il principe, beh, è colpa sua se ci ho messo tanto: dovevo gestire il dialogo in modo da delineare il suo carattere, senza farlo apparire troppo stronzo o troppo poco stronzo :perplex:
    Ho apprezzato il tuo commento, perchè mi ha fatto capire di essere riuscita nel mio intento :D
     
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    E' esattamente l'effetto che hai dato.
     
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    Mi piace molto, il principe. Hai saputo renderlo molto accattivante, in senso buono. Avrà molto da farci vedere ci scommetto, dato che sta usando Ashya come capro per la sua presunta guarigione.
     
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    Mi scuso tanto, ma ho avuto tempo solo ora di leggere :( ho avuto mille faccende per la testa :wacko:
    Mi piace molto! Inutile dire che il principe continua a piacermi sempre più :wub:
    Mi chiedo cosa l'abbia spinto a uscire dalla sala del tesoro e cosa, invece, a salvare Ashya. Ma soprattutto, mi chiedo perché abbia finto la propria guarigione, sempre che fosse malato, cosa di cui inizio fortemente a dubitare.
    Una sola osservazione:
    QUOTE
    Fece vagare lo sguardo sui costosi tappeti, poi su lungo gli arazzi che tappezzavano i muri

    o "...poi lungo gli arazzi..." oppure "...poi sugli arazzi..."

    Edited by Niyol - 27/11/2018, 11:13
     
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    Capitolo 17

    Ashya si portò una mano al collo e percorse con le dita la pelle rovinata. Fece ciondolare il capo a destra e a sinistra, godendosi la sensazione di sollievo.
    -Di quelli cosa vuoi farne?- domandò al fabbro, mentre lo osservava avvolgere i due pezzi di ferro dentro uno straccio bianco, per poi riporli in una cassapanca lì vicino.
    L’uomo era alto e robusto, senza barba né capelli.
    -Sono ancora buoni.- gli rispose quello, passandosi una mano sulla faccia nel tentativo di pulirla dalla fuliggine.
    Il ragazzo corrugò la fronte, immaginando il suo collare chiudersi attorno al collo di un altro schiavo; quell’idea gli causò un senso di malessere. Per un momento, pensò di domandare all’uomo se avesse potuto avere le due lamine gemelle, ma sarebbe certamente parsa una richiesta strana e fuori luogo. Il fabbro era già rimasto abbastanza sorpreso quando, una mezzora prima, Ashya si era presentato da lui per farsi togliere il collare, vestito dei colori del sovrano.
    Mentre si allontanava dalla forgia, il ragazzo sentì le proprie forze venire meno; le sue gambe tremarono, minacciando di cedere, e lui fu costretto ad appoggiarsi ad una colonna per impedirsi di rovinare a terra. Il suo stomaco emise un gorgoglio sordo, come il lamento di un animale ferito.
    Mangiare.
    Sì, prima di tutto doveva mangiare qualcosa.
    Con un grugnito, il giovane si rimise diritto. Attese un momento, accertandosi di riuscire a rimanere in piedi, poi si avviò verso le cucine. In quel momento i Bianchi dovevano essere impegnati a preparare la cena per l'intero palazzo e lui sperava di poter approfittare della confusione per racimolare qualcosa.
    Dopo averci riflettuto per un momento, ridacchiò di sé stesso: come servo personale del principe, probabilmente, non avrebbe avuto bisogno di far ricorso a trucchetti e sotterfugi.
    Il sole, a quell’ora del pomeriggio, iniziava a scivolare e nascondersi oltre le torri e le cupole del palazzo, lasciando all’ombra gli splendidi cortili. L’aria era piacevolmente fresca e molti cortigiani avevano lasciato i loro appartamenti per poterne godere.
    Ashya, abituato a passare inosservato, si accorse subito di avere troppi sguardi addosso.
    Iniziò ad avanzare più spedito, tenendo gli occhi incollati alle piastrelle del pavimento, ma quando un uomo vestito di rosso gli si parò davanti, fu chiaro che non sarebbe riuscito a raggiungere le cucine tanto facilmente.
    -Uh! è bruttino come dicono.-
    Il ragazzo sollevò lo sguardo. E poi fu costretto a sollevarlo ancora, poiché la persona che aveva davanti era veramente alta.
    Aveva ampie spalle, una pancia prominente e una testa così grande che avrebbe potuto usarla come ariete. Il suo volto era quasi interamente sepolto sotto la barba, ma ne spuntavano un grosso naso e due piccoli occhi divertiti.
    Il valletto del nobile Barraq, alle spalle del suo padrone, ridacchiò.
    -A vederlo sembra un semplice moccioso.- continuò il cortigiano mentre si frugava la folta barba scura, come se non riuscisse più a trovare il proprio mento -Sei sicuro si tratti di lui?-
    -Non ci sono dubbi, padrone.- gli rispose prontamente l'altro -L'ho visto io stesso mentre entrava negli appartamenti reali.-
    -Mh.- mugugnò l'uomo, continuando a tormentarsi la barba.
    Ashya iniziava a sentirsi a disagio, oltre che affamato, così rivolse ad entrambi un educato cenno del capo e tentò di defilarsi.
    Non ebbe grande fortuna: una grossa mano gli piombò sulla spalla come un rapace, bloccandolo sul posto. Lui tentò di divincolarsi, ma Barraq serrò la presa, costringendolo a soffocare un gemito di dolore.
    -Solleva un po' il mento, marmocchio.- gli ordinò l'uomo -Non riesco a vederti il muso.-
    Il ragazzo pensò di reagire, ma si accorse subito di non averne le forze; prese un respiro profondo e accondiscese al desiderio del cortigiano, mostrandogli il volto.
    Dopo un lungo momento il nobile sorrise soddisfatto, mostrando due file di denti bianchi come perle che rilucevano sotto la barba.
    -Sì, proprio bruttino.- ripeté.
    -Nobile Barraq.- chiamò qualcuno in quel momento, alle spalle di Ashya.
    L'uomo distolse lo sguardo da lui e il ragazzo, trovandosi improvvisamente libero dalla sua presa ferrea, si voltò per scoprire chi avesse parlato.
    In piedi nel corridoio un giovane li guardava; indossava una tunica verde e blu, simile in tutto e per tutto a quella di Ashya.
    Si avvicinò a loro di qualche passo, tenendo il mento alto e gli occhi fissi in quelli dell’uomo.
    -Melfari.- lo salutò Barraq, mal celando una smorfia.
    Gli occhi del nuovo arrivato scivolarono sul ragazzo, lo scrutarono il tempo di un istante e poi tornarono al viso del cortigiano.
    -C'è qualche problema, mio signore?- gli domandò, arricciando appena il naso.
    -No, no, nessun problema.- rispose l'uomo, con un largo sorriso -Io e il piccoletto stavamo solo facendo conversazione.-
    Appoggiò una mano sulla testa di Ashya e gli diede un paio di vigorose pacche, quasi stesse lodando un cane.
    Melfari annuì.
    -Mi duole interrompervi, allora, ma temo dovrete trovare qualcun altro che vi intrattenga.-
    Il ragazzo sentì le grosse dita del nobile Barraq affondare trai suoi capelli; temette che l’uomo avesse intenzione di schiacciargli la testa come se si fosse trattato di una noce, ma si sforzò di restare fermo e non reagire.
    Dopo un lungo istante di silenzio, il cortigiano sollevò la mano e rivolse al valletto un cenno del capo.
    -Naturalmente.- rispose affabile.
    L’altro sollevò il mento e sorrise.
    -Mio signore.- disse all’uomo, facendo un breve inchino -Vieni con me.- ordinò invece ad Ashya con voce gelida.
    Il ragazzo, in un primo momento, lo guardò smarrito, mentre quello si voltava e s’avviava spedito lungo il corridoio.
    Fu la voce del nobile Barraq a spronarlo.
    -Dovresti affrettarti,- gli disse -come un bravo cagnolino.-
    Il giovane lanciò un ultimo sguardo al cortigiano, che sorrideva divertito da sotto la barba, poi decise di seguire il suo suggerimento. Mentre si allontanava non riuscì a distinguere le parole dell’uomo, ma lo sentì ridere forte.




    Melfari.
    Ashya ricordava di aver sentito diverse volte quel nome, lì a palazzo, sebbene non vi avesse mai prestato troppa attenzione. Ora, mentre lo seguiva, notò come il valletto fosse alto più o meno come lui. Pensò anche che quella fosse, probabilmente, l’unica cosa che avessero in comune.
    Il valletto aveva i capelli corti e riccioluti, di un castano chiaro, e indossava un fez blu con ricami dorati. Aveva un viso grazioso, seppur piuttosto comune, e una carnagione leggermente ambrata.
    Sarebbe potuto facilmente passare per il figlio di un qualche nobile. O per il suo giovane amante.
    Al contrario lui, anche con addosso quel caftano elegante, continuava a sembrare un figlio di nessuno, un ragazzino cresciuto tra sabbia e stenti.
    Sì, potevano anche avere la stessa statura e gli stessi abiti, ma Ashya e Melfari non avrebbero potuto essere più diversi.
    Il valletto si fermò all’improvviso e il ragazzo per poco non gli finì addosso. Fece un passo indietro quando l’altro si voltò a guardarlo.
    Si trovavano in un corridoio deserto; le torce non erano ancora state accese, ma presto i Bianchi se ne sarebbero occupati.
    Il giovane lo scrutò con occhio critico ed infine arricciò il naso.
    -Non sembri un dottore.- decretò.
    -Me lo dicono spesso.- ribattè lui.
    L’altro sembrò rifletterci sopra per un momento, poi alzò le spalle e cambiò discorso.
    -Cosa voleva il nobile Barraq?- gli domandò.
    -Non saprei.- rispose Ashya.
    A dire il vero era certo che il cortigiano non fosse interessato a lui, quanto invece al principe nascosto.
    Melfari rimase zitto per un momento, prima di annuire.
    -La prossima volta evita di dargli troppa confidenza.- lo rimproverò -Non sei tenuto a parlare con i nobili.-
    Il ragazzo sollevò le sopracciglia.
    -E se me lo ordinassero?-
    Il valletto lo guardò come se la domanda che gli aveva fatto fosse stata la più stupida a cui riusciva a pensare; sospirò e incrociò le braccia al petto.
    -Quelli che indossi sono i colori del sovrano e non di un qualunque nobile.- gli ricordò, indicando con un gesto della mano la tunica che il ragazzo indossava -Dovrai obbedire esclusivamente agli ordini del re e a quelli di sua Altezza, sono stato chiaro?-
    Ashya ne prese distrattamente nota, più concentrato sul proprio stomaco che si contorceva per la fame; tuttavia l’altro sembrava aspettarsi una qualche risposta, così si mise più dritto e si affrettò ad annuire.
    Vide Melfari sollevare un sopracciglio e temette che lo avrebbe trattenuto ancora più a lungo.
    -Bene.- concluse invece quello, pur non sembrando troppo convinto -E cerca di fare qualcosa per quei capelli. E per la faccia che c’è sotto. Sua Maestà odia tutto ciò che non è di bell’aspetto.-
    -Allora deve avere un pessimo rapporto con gli specchi.- si sentì dire il ragazzo, forse guidato da un impulso masochistico, o soltanto troppo affamato per riuscire a ragionare.
    L’altro sgranò gli occhi poi, dopo quel primo momento di stupore, arricciò il naso.
    -Hai appena fatto una battuta di spirito?-
    -Ci ho provato.- rispose Ashya.
    Il valletto rimase in silenzio ancora per qualche istante, lo sguardo tremendamente serio.
    -Beh, non farlo più.- disse infine, tornando a dargli le spalle.
    Il ragazzo aspettò che si fosse allontanato lungo i corridoi, scomparendo alla vista, e finalmente trasse un sospiro di sollievo. Si voltò e tornò a dirigersi verso le cucine.




    Questa volta la fortuna accompagnò Ashya sino alla sua meta, impedendogli di fare altri spiacevoli incontri.
    Varcando la soglia delle cucine, il ragazzo si era aspettato un qualche genere di reazione. Certo, non credeva che tutti i presenti avrebbero interrotto le loro mansioni per guardarlo con occhi sgranati, ma si aspettava quantomeno degli sguardi fugaci, dei commenti sussurrati. Invece i Bianchi erano così indaffarati a cucinare che di lui non si accorsero nemmeno.
    L’aria era satura di odori deliziosi, come quello della carne cucinata e l’aroma delle spezie, e il ragazzo sentì la fame farsi più impellente.
    Allora si mosse a disagio tra i servi, quasi aspettandosi che da un momento all’altro qualcuno lo avrebbe rimproverato, ma ovviamente non accadde; così il giovane recuperò un paio di pagnotte da una cesta che ne era stracolma e un’arancia che stava su un vassoio di frutta. Fece per allontanarsi, poi ci ripensò e ne agguantò un’altra.
    Mangiò in gran fretta, appena fuori dalle cucine; il suo stomaco, vuoto da giorni, gorgogliò e si contrasse per il disappunto, ma affondare i denti nel pane caldo era una sensazione paradisiaca.
    Le arance, invece, non le mangiò. Le fece sparire tra le ampie pieghe del caftano, usò il dorso della mano per pulirsi il viso dalle briciole e si guardò attorno, da una lato all’altro del corridoio, cercando di decidere da che parte andare.
    In fin dei conti, si disse, non aveva importanza: prima o poi si sarebbe comunque imbattuto in qualcuno che sarebbe stato in grado di aiutarlo. Così si incamminò senza una meta precisa, lungo i corridoi invasi dal fermento delle attività serali. Pareva quasi che i vassoi volassero lungo i corridoi, mentre i servitori facevano del loro meglio per restarvi aggrappati.
    Mentre camminava, Ashya si rese conto che le altre persone si muovevano attorno a lui con l’impeto di un fiume che scorre, ma facevano attenzione a non urtarlo e a non intralciare il suo cammino. Era una sensazione nuova e un po’ disorientante.
    Non passò molto prima che il giovane incrociasse lo sguardo di un soldato reale, nella sua livrea verde e blu.
    L’uomo se ne stava di guardia accanto a una colonna e osservò il ragazzo avvicinarsi senza mostrare che un vago interesse; aveva un volto severo, segnato dal tempo, e Ashya ricordò vagamente di aver percorso insieme a lui le strade di Jaharra.
    -Qualcuno ha fatto carriera.- lo apostrofò la guardia, quando furono abbastanza vicini da poter sovrastare il tramestio del corridoio senza dover alzare troppo la voce -E anche piuttosto in fretta.-
    Il giovane decise di ignorare quelle parole e qualunque sotteso potessero nascondere.
    -Sto cercando Kveri.- affermò.
    L’altro digrignò i denti, nel sentire quel nome.
    -Beh, non lo troverai qui.-
    Quando il ragazzo corrugò la fronte l’uomo sbuffò, sollevò una mano e si grattò il petto, facendo tintinnare la maglia di ferro; concesse un lungo sguardo annoiato al viavai di servitori, poi tornò a guardare il proprio interlocutore.
    -Si è recato nella regione di Dassad a capo di un manipolo di soldati.- spiegò -Sembra che laggiù ci siano stati dei disordini. Una scaramuccia, nulla più- un angolo della sua bocca si piegò verso l’alto -ma in fin dei conti a che serve tenere un cane feroce, se ogni tanto non lo mandi in giro a mostrare le zanne?-
    Il soldato ridacchiò, grugnendo, ma il valletto non si sentì affatto di condividere la sua ilarità: anche mettendo da parte il fastidio per quel commento ingiurioso, quella che aveva appena ricevuto restava una pessima notizia.
    -Quando tornerà a palazzo?- si trovò a domandare.
    La guardia si strinse nella spalle.
    -Potrebbe essere questione di giorni, così come di settimane.-
    Ashya si portò una mano al mento, ponderando l’entità del problema. Era un contrattempo non indifferente, questo sì, ma non avrebbe sconvolto i suoi piani; li avrebbe soltanto rimandati. Avrebbe dovuto chiedere ai due di aspettare ancora, ma sembrava non esserci altra scelta.
    -Ti ringrazio.- disse al soldato, voltandogli le spalle.




    Ashya si allontanò dal trambusto, cercando rifugio nella zona del palazzo che ospitava l’armeria; lì i corridoi erano più tranquilli, a quell’ora della sera. Infatti, eccetto alcune sporadiche sentinelle, il ragazzo non incontrò nessuno.
    Si avvicinò ad un arazzo decorato con un’ordinata composizione di forme geometriche e floreali; si assicurò che nessuno lo stesse guardando e scivolò velocemente dietro il drappo. L’oscurità della galleria lo accolse da subito come qualcosa di familiare e rassicurante e lui si lasciò sfuggire un sospiro. Iniziò a spostarsi con cautela, cercando di non rovinare il proprio caftano.
    Si diresse verso il Formicaio dove, ne era piuttosto sicuro, avrebbe trovato radunati gli schiavi.
    Erano passati solo pochi giorni dall’ultima volta che Ashya aveva percorso quei cunicoli, eppure aveva la sensazione che fosse passata una vita. Si domandò se Falangar ed Eo stessero bene, se avessero mangiato abbastanza, se il cibo avariato li avesse fatti stare male durante la sua assenza. Allungò il passo, riprendendo velocemente dimestichezza con le strette gallerie, impaziente di raggiungerli.
    Quando finalmente raggiunse l’ampia sala circolare, gli schiavi erano ancora lì. Molti, tra loro, si voltarono verso di lui, vagamente allarmati; tuttavia dovettero riconoscerlo, o semplicemente non gli diedero troppa importanza, perché tornarono presto al loro muto raccoglimento.
    Il ragazzo si guardò attorno ma, in un primo momento, non riuscì a trovarli. Gli passò per la mente l’irrazionale pensiero che Falangar ed Eo potessero trovarsi all’affumicatoio; che fossero rimasti là ad aspettarlo per giorni, fiduciosi di vederlo presto arrivare.
    A quel punto, però, notò due figure minute sollevarsi da terra e andargli incontro, facendosi strada tra gli uomini e le donne che affollavano il Formicaio.
    Ashya tirò un sospiro di sollievo.
    I due si fermarono a pochi passi da lui e lo scrutarono in silenzio. La ragazza aveva in volto un cipiglio persino più cupo del solito mentre Eo lo guardava diffidente, quasi stentasse a riconoscerlo.
    All’improvviso il valletto percepì la mancanza del proprio collare non più come un sollievo, ma come un tradimento; si sentì arrossire mentre Falangar squadrava il suo caftano, e dovette combattere l’impulso di nascondere il viso.
    -Dobbiamo parlare.- le disse sottovoce dopo aver lanciato uno sguardo al cancello, all’altro capo della sala, per assicurarsi che non ci fossero guardie in ascolto.
    Dopo un istante lei annuì e gli fece cenno di seguirla dentro uno dei cunicoli. Mentre obbediva, il ragazzo vide Eo correre appresso alla fanciulla e aggrapparsi alla sua logora tunica, come se avesse paura di essere lasciato indietro.
    -Chiederò aiuto a Kveri.- spiegò Ashya, una volta che i tre furono al sicuro nelle tenebre -Lui vi farà fuggire dal castello.-
    Falangar sollevò le sopracciglia e dischiuse le labbra. Portò una mano sulla schiena del bambino.
    -Il primo cavaliere?- recitò il piccolo -Perché il primo cavaliere dovrebbe aiutarci?-
    -Lo farà.- sentenziò il giovane -Lasciò il deserto per cercare la principessa Shaknaari. Quando gli parlerò di te e di Eo, vi aiuterà senza dubbio.-
    Se prima la schiava era sembrata sorpresa, ora era a dir poco allibita. Allungò le mani verso il valletto, e quando lui gli porse la sua iniziò a tracciarvi sopra delle parole.
    “È suo padre?”
    Ashya deglutì e lanciò un’occhiata al piccolo schiavo, che se ne stava ancora aggrappato alle vesti della giovane.
    -Credo di sì.- rispose, tornando a guardare lei.
    E fu allora che, per la prima volta, vide il viso di Falangar illuminarsi un poco. Un flebile spiraglio, qualcosa di molto simile alla felicità. E forse alla speranza.
    All’improvviso, al ragazzo parve che il volto della schiava fosse il più bello che avesse mai visto.
    Lei tracciò svelta alcune parole sulla schiena del bambino e anche gli occhi di lui si illuminarono.
    -Mi sorella dice che dovremmo sbrigarci!- disse, dimenticando quasi di trattenere la voce -Il momento migliore per fuggire è questo, durante la confusione della sera.-
    Ashya sentì un peso sul petto, nel sentire quelle parole, e le sue labbra si strinsero per un istante in una linea pallida e sottile.
    -Non possiamo.- mormorò con rammarico -In questo momento Kveri non si trova a palazzo.-
    Ed ecco che quel barlume di speranza si spense.
    Falangar si lasciò sfuggire un sospiro che era il suono stesso della rassegnazione, mentre il suo sguardo scivolava via lungo le pareti del cunicolo; gli occhi di Eo si riempirono di lacrime e lui nascose il viso nella stoffa, le mani che vi si aggrappavano così forte da tremare.
    Il valletto credette che il suo cuore si sarebbe spezzato.
    -Ma tornerà!- si affrettò a rassicurarli -Potrebbe volerci del tempo, ma tornerà. Vi chiedo solo di aspettare ancora un po’!-
    Sentì la propria voce incrinarsi alla fine della frase e si scoprì molto vicino alle lacrime. Tuttavia non avrebbe pianto. Quei due avevano bisogno che lui si mostrasse tranquillo e sicuro.
    La schiava scosse piano la testa e ancora una volta gli prese la mano.
    “Non c’è più tempo. Domani verrò portata al mercato.”
    -Il mercato?- ripeté lui.
    Sembrava che la sua mente si rifiutasse di elaborare quell’informazione.
    Falangar annuì.
    “Per essere venduta.”
    Ashya rimase stordito da quella notizia. Si appoggiò con la schiena al muro di pietra e si portò la mano libera alla testa, poiché all’improvviso sentiva una forte emicrania.
    Il mercato.
    Per essere venduta.
    Falangar stava per essere portata via.
    Immagini terrificanti gli balenarono alla mente; scene di ciò che avrebbero potuto farle, di quello che avrebbero potuto costringerla a fare.
    Il ragazzo non riuscì nemmeno a prestare attenzione alle dita della schiava, che avevano ricominciato a tracciare parole sopra il suo palmo.
    “Eo”
    “Prenditi cura”
    “Per favore”
    Probabilmente gli stava chiedendo di proteggere il bambino, quando lei non avrebbe più potuto occuparsene. Lui annuì distrattamente, mentre nella testa aveva già iniziato a considerare ogni possibile soluzione: non avrebbe permesso che la ragazza fosse venduta e portata via chissà dove.
    Sarebbero potuti scappare anche senza l’aiuto del primo cavaliere. Evitare le sentinelle non sarebbe stato difficile, sfruttando i cunicoli. Però c’era il problema dei cancelli: era improbabile che i soldati li lasciassero incustoditi. Forse avrebbero potuto sfruttare il cambio della guardia. Sì, poteva funzionare.
    Si sarebbero nascosti da qualche parte in città, in attesa che Kveri facesse ritorno a Jaharra.
    Tuttavia, Ashya cos’avrebbe fatto dopo? Di certo non sarebbe potuto tornare a palazzo come se niente fosse, ma anche andarsene sembrava sbagliato. In fin dei conti, aveva un accordo con il principe.
    Falangar gli mise una mano sulla spalla e lo scosse gentilmente, strappandolo ai suoi pensieri.
    -Il principe.- mormorò il ragazzo sollevando lo sguardo su di lei, che corrugò la fronte senza capire.
    -Il principe!- ripeté trionfante.
    Si staccò dal muro e prese la schiava per le spalle. Lei sussultò, sorpresa da quel gesto improvviso, ma non tentò di divincolarsi.
    -So di non essere stato di grande aiuto sino ad ora.- le disse lui, cercando i suoi occhi nel buio -Anzi, sei stata tu ad aiutarmi più di una volta. Però ti chiedo di lasciarmi fare un ultimo tentativo.-
    La ragazza lo guardò titubante, poi scambiò uno sguardo con Eo, ancora aggrappato alla sua tunica. Infine, tornò a guardare il valletto e annuì.
    Lui rispose a sua volta con un cenno del capo e si voltò, incamminandosi lungo il corridoio. Fece solo pochi passi, però, prima di tornare dai due schiavi. Tirò fuori dalle maniche un paio di arance e, dopo aver depositato la prima tra le mani di Falangar, si chinò a porgere la seconda al bambino.
    Il piccolo si asciugò gli occhi con il dorso della mano, accettò il regalo e, in cambio, regalò al giovane un piccolo sorriso.
     
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    Noooooooo, Eo sarà separato dalla sorella... :cry:

    Mi chiedo come sia stata maturata questa decisione.

    Ma soprattutto mi chiedo quanto tempo passerà prima che Ashya si ritrovi di nuovo a rischiare la vita.
     
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    ...oh, è questo che stiamo facendo?

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    Noooooooo, Eo sarà separato dalla sorella...

    Dai un po' di fiducia ad Ashya... magari stavolta non combina cazzate :D
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    Mi chiedo come sia stata maturata questa decisione.

    Probabilmente il supervisore degli schiavi ha deciso che era inutile tenerla a palazzo
    CITAZIONE
    Ma soprattutto mi chiedo quanto tempo passerà prima che Ashya si ritrovi di nuovo a rischiare la vita.

    Probabilmente molto poco
    Grazie per aver letto il capitolo anche se pubblico una volta ogni morte di papa :lol:
     
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    Nessuno è più odiato di chi dice la verità

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    Allora vediamo di farlo morire più in fretta questi Papa :D
    Comunque anch'io trovo molto triste la separazione dei due schiavi (sono così cariniii) e soprattutto molto... "provvidenziale" la lontananza di Kveri.
    Ashya è davvero sfortunato... oppure è la sua creatrice ad essere crudele :fisch:
     
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190 replies since 9/11/2017, 21:52   1677 views
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