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Come al solito ci ho messo una vita 😓 Ma stavolta i capitoli sono due (ci ho messo 5 mesi a scrivere il primo e una settimana a scrivere il secondo)
CAPITOLO 26
Il principe allungò una mano verso il piatto più vicino, poi esitò qualche istante e infine la ritrasse svelto, quasi si fosse scottato. -Come sai di poterti fidare?- domandò. Ashya sospirò e ripensò a Sarja, all'espressione che aveva quando aveva portato la cena per sua Altezza e alla delusione che aveva provato a celare, quando lui aveva ordinato che non entrasse nella stanza. -È l'ultima persona al mondo che potrebbe farvi del male.- Com'era prevedibile, quelle parole non furono sufficienti per convincere l'erede al trono. -È una donna saggia.- spiegò allora il ragazzo -Sa bene che se voi doveste morire e scoppiasse una guerra nessuno, qui a palazzo, sarebbe al sicuro. Lei compresa.- I segreti non gli erano mai piaciuti molto, ma col tempo era diventato bravo a mantenerli. Quell'argomentazione sembrò da subito essere più efficace, infatti il principe allungò di nuovo la mano e afferrò una focaccina rotonda; non la portò subito alla bocca, ma iniziò invece a osservarla con fare inquisitorio. -Se preferite che prima l'assaggi io, non avete che da dirlo.- suggerì il valletto. Non mangiava nulla dalla notte precedente. Il figlio del re non rispose nemmeno, si limitò a lanciargli la focaccina. -In pratica- disse poi -non hai scoperto nulla.- Ashya mandò giù il primo morso di pane senza nemmeno masticarlo, voleva solo provare il sollievo di avere qualcosa nello stomaco. -Nulla di concreto, in effetti.- ammise -Ma adesso ho un quadro più chiaro della situazione.- Guardò di sottecchi l'erede al trono, mentre quello finalmente si arrischiava a mettere un boccone sotto i denti. Sebbene dovesse avere una fame da lupi masticò molto lentamente, l'espressione corrucciata come se il sapore fosse stato tremendo. Quando infine deglutì, il ragazzo smise di trattenere inconsciamente il fiato. -Sembra quasi tu abbia un piano.- commentò il principe. -Un'idea, per lo più.- Anziché rispondere l'altro addentò un altro pezzo di focaccina; con più sicurezza, questa volta. -Pare ci sarà una grande festa, tra qualche giorno.- continuò allora il valletto. -Non è una novità.- ribatté il figlio del re -Per mio padre ogni occasione sembra buona per dare una festa.- Ashya decise di sputare il rospo prima di poter cambiare idea. -Questa volta dovreste partecipare.- Il cambio di umore del principe fu così palese e repentino che parve raggelare l'intera stanza e, pur di non guardarlo in volto, il giovane tenne lo sguardo fisso sul pezzo di focaccina che aveva in mano. Aveva la forma di una mezzaluna. -Hai ragione.- disse sua Altezza, ma era difficile interpretare il suo tono senza vedere la sua espressione -Perchè complicare la vita ai miei attentatori? Offrire loro il collo sarebbe molto più cortese.- Il ragazzo trattenne una smorfia e sollevò lo sguardo. -Nessuno sarebbe tanto ardito da attentare alla vostra vita davanti a tutta la corte.- dichiarò -E sicuramente non qualcuno che ha tentato di uccidervi con del veleno.- L'erede al trono serrò le labbra tanto forte da farle impallidire e i suoi occhi si assottigliarono in uno sguardo furioso. Anche se il valletto non avrebbe saputo dire cosa davvero lo avesse fatto arrabbiare, se il suo tono troppo spavaldo o il semplice fatto che avesse ragione. -Se ora veniste assassinato, cosa ne sarebbe di voi?- decise di insistere, prima che l'uomo potesse iniziare a urlargli contro -La malattia, la miracolosa guarigione, l'omicidio, la vostra stessa esistenza: sembrerebbe tutta una farsa architettata da vostro padre.- -Quindi è meglio che io mi dipinga un bersaglio sulla schiena e vada là fuori?- sibilò il principe. Ashya tentennò, si sforzò di chiudere gli occhi e fare un respiro profondo. Doveva far ragionare il figlio del re, non farlo arrabbiare, così soppesò con più cura le parole successive. -Se non lo fate, che senso avrà avuto lasciare la sala del tesoro?- Sua Altezza corrugò la fronte e distolse lo sguardo, probabilmente cercando di pensare a qualcosa da ribattere; era chiaro che quell'argomentazione aveva avuto un certo impatto, su di lui, ma ora bisognava scoprire se la paura avrebbe o meno avuto la meglio. Nel frattempo che quello prendeva una decisione, era calato un silenzio tale che al ragazzo parve di distinguere nitidamente i passi dei soldati di ronda, sebbene sapesse perfettamente che non si trattava che della propria immaginazione. -Se io dovessi morire, per te non ci sarebbe più alcun posto qui a palazzo.- sancì infine il principe. Ashya annuì, una sola volta, convinto che l'altro potesse vederlo con la coda dell'occhio. -E nemmeno per la tua amica schiava.- Ormai aveva capito perfettamente dove l'altro volesse arrivare. -Tu verrai cacciato, o giustiziato, e lei sarà venduta al miglior offerente.- -Lo so.- disse il giovane -Proteggervi è anche nel mio interesse.- -Infatti.- rispose l'altro, senza ancora voltarsi a guardarlo. Il valletto trovava piuttosto triste che il principe sentisse ancora il bisogno di aggrapparsi a quelle minacce, ma arrivati a quel punto non importava: in un modo o nell'altro, doveva decidersi a lasciare i propri appartamenti. Dovevano vederlo, dovevano vederlo tutti. Solo così sarebbe potuto sopravvivere.
Quando si accorse che lo stava guardando, Eo ingoiò il boccone che aveva in bocca e gli rivolse un piccolo sorriso; un sorriso dolce, sì, ma tutt'altro che luminoso. Ashya si sentì tremendamente in colpa: per il bambino era già abbastanza difficile dover stare lontano da sua sorella e il ragazzo, negli ultimi giorni, era stato troppo impegnato ad occuparsi del principe, per potersi curare anche di lui. La festa, del resto, si sarebbe svolta l'indomani, quindi sua Altezza non poteva che avere la priorità. Eppure, il piccolo non aveva nulla a che fare con quella faccenda; non era giusto, si disse il giovane, che fosse lui a pagarne le conseguenze. Non era giusto che fosse costretto a stare lì da solo, sempre al buio, lontano dall'unica persona che poteva considerare la propria famiglia. Le indagini sull’attentato al principe erano state infruttuose: ormai, dopo due giorni, ogni possibile pista era scomparsa. Sua Altezza aveva accettato di partecipare ai festeggiamenti e, sebbene il rischio che ci ripensasse fosse concreto, fargli pressioni non avrebbe potuto che peggiorare la situazione. Non c’era granché che il valletto potesse fare, quel giorno. Ci rifletté sopra ancora un po', ma ormai aveva preso la propria decisione. Aspettò che il bimbo finisse di mangiare, prima di aprire bocca. -Facciamo una passeggiata.- Dire che Eo fu sorpreso da quelle parole sarebbe un eufemismo: guardò il ragazzo come se quello avesse appena parlato in una lingua sconosciuta. -Una passeggiata?- ripeté il bambino, dopo un lungo momento di esitazione. Ashya annuì. -In giro per il castello.- precisò. Passò qualche istante di silenzio, mentre i due si scrutavano a vicenda nel buio del cunicolo. Il piccolo, alla fine, scosse la testa. -È meglio di no, potremmo metterci nei guai.- mormorò -E mia sorella si arrabbierà di certo, se lo scopre.- Non aveva torto. Il giovane, però, non era disposto a rinunciare. -Allora, già che ci siamo, le raccoglieremo dei fiori.- insistette, con un sorriso furbo -Vedrai che non le riuscirà di restare arrabbiata.- Eo ricambiò il sorriso, ma ancora non parve convinto. -E se qualcuno mi vede?- -Ci sono molti bambini, a palazzo.- ribatté l'altro -Se ti troviamo dei vestiti migliori, nessuno farà caso a te.- Il bambino spostò lo sguardo davanti a sé, sul freddo muro di pietra, quasi potesse vedere i corridoi e le sale che c'erano oltre. Sembrava sul punto di rifiutarsi di nuovo. -Davvero non finiremo nei guai?- domandò invece. Il ragazzo sapeva di non poterlo promettere, ma sapeva anche quale risposta Eo volesse sentire. -Certo che no.- gli rispose, scompigliandogli i corti capelli neri. Cadde una goccia d’acqua, da qualche parte, e il suo debole suono riecheggiò in lungo e in largo per i cunicoli bui.
La prima tappa furono gli alloggi dei valletti reali e raggiungerli fu divertente, come un gioco: si arrischiarono a scegliere diverse scorciatoie, sbucando da un cunicolo per poi entrare in un altro, muovendosi veloci e silenziosi per non essere visti. Quando finalmente raggiunsero la stanza di Ashya, si sedettero entrambi sul pavimento e rimasero lì per un po', a ridacchiare e a riprendere fiato. Frugarono poi nel grosso baule ai piedi del letto, mettendo a soqquadro la camera intera, alla ricerca di un caftano che potesse andare bene ad Eo; non lo trovarono, ma il valletto riuscì comunque ad arrangiare qualcosa di decente, strappando le maniche ad una piccola tunica e legandole assieme per farne una fusciacca. Un abbigliamento del genere avrebbe di certo insospettito un attento osservatore, constatò il ragazzo, ma per ingannare lo sguardo indifferente di qualche servo sarebbe stato più che sufficiente. Lasciata la stanza, i due s'infilarono di nuovo nei cunicoli. La loro meta era il quartiere meridionale del palazzo: là c'erano le stalle, dei magazzini e poco altro. Ormai era giunta l'ora di pranzo e quella zona sarebbe stata deserta. Ashya uscì per primo dalla galleria e si guardò attorno con attenzione, poi scostò l'arazzo e tese una mano al bambino, aiutandolo ad uscire. Sembrava molto agitato però, dopo aver controllato a sua volta che fossero soli, si rilassò visibilmente. I suoi occhi vagarono qua e là, mentre un sorriso un po' più audace piegava le sue labbra, e infine incontrarono quelli del valletto. -Adesso?- domandò -Cosa facciamo?- L'altro sorrise a sua volta e inclinò il capo. -Tu cosa vorresti fare?- Eo sembrò rifletterci sopra molto seriamente, prima di domandare ancora -Posso carezzare i cavalli?- -Andiamo a chiederlo a loro.- rispose il giovane, prendendolo per mano. Percorsero le stalle reali in tutta la loro lunghezza. Le teste dei cavalli, incuriositi dal loro vociare, facevano capolino una ad una; Ashya si mise Eo sulle spalle, affinché il piccolo potesse carezzare loro i musi e le criniere. C’erano anche i cammelli, impiegati per i viaggi più lunghi: il bambino non negò neanche a loro le proprie attenzioni. I due non se ne andarono finché non ebbero visto ogni singola bestia e il piccolo non si fu inventato un nome per tutte quelle che gli piacevano di più. Lasciate le stalle, raggiunsero un cortiletto di pietra; l’unica persona in vista era una guardia solitaria, appostata su di un camminamento, che non sembrava minimamente interessata a loro. Sul pavimento trovarono un disegno tracciato col gesso e siccome non sapevano di quale gioco si trattasse, ne inventarono uno tutto loro. Purtroppo non avevano molto tempo così, prima che il palazzo si ridestasse dal torpore del mezzogiorno, i due trovarono un giardino dove raccogliere i fiori per Falangar. Ashya si sedette sull'erba a guardare Eo trotterellare di qui e di là, scegliendo per la sorella solo i fiori più belli. Portarlo fuori dai cunicoli era stato un azzardo, ma in quel momento non poteva che essere felice di averlo fatto. Sollevò il viso verso il sole e chiuse gli occhi, godendosi quel calore così intenso da far pizzicare la pelle; avrebbe dovuto ripararsi all'ombra per non scottarsi la faccia, ma quella sensazione era tanto rilassante. Poteva immaginare di trovarsi di nuovo nel deserto. -Ashya.- Il bambino non aveva gridato, ma il modo in cui aveva pronunciato il suo nome, con voce flebile e tremante, fece scattare in piedi il ragazzo. Dovette sbattere le palpebre un paio di volte, poiché la scena che si ritrovò davanti fu così inaspettata che fece fatica a raccapezzarvicisi. Forse per questo la sua mente sembrò registrare i dettagli nell'ordine inverso: c'era un uomo, sulla trentina, la barba scarmigliata. Indossava abiti di buona fattura, gli abiti che avrebbe potuto indossare un piccolo nobile o un ricco mercante, che però erano lerci e sgualciti. Teneva Eo per un braccio mentre con l'altra mano gli teneva un coltello puntato alla gola. Il bambino era immobile, gli occhi pieni di paura. Il valletto spostò lo sguardo dallo sconosciuto al bimbo e viceversa; non mosse un solo muscolo e non osò proferire parola. -Non è come credi.- disse l'uomo. Deglutì rumorosamente, come se avesse avuto la gola secca. Sembrava parecchio agitato. Ashya stava ancora cercando di farsi un'idea precisa di ciò che stava accedendo, così continuò a tacere. -Non voglio fargli del male.- continuò l'altro, cercando di non alzare troppo la voce -Voglio solo andarmene da qui.- Il giovane corrugò la fronte, unendo i tasselli: le segrete, ecco cos'altro c'era nel quartiere meridionale del castello. Si domandò se, ancora una volta, fosse stato Taliban a farsi fregare. Quel pensiero gli avrebbe di certo strappato un sorriso, in un'altra situazione. Si guardò furtivamente attorno ma, come supponeva, non vide nulla lì vicino che potesse servirgli come arma. -Ehi, ragazzino, dammi un mano. Voglio solo andarmene da questo posto.- ripeté il rapitore, che non riusciva a celare del tutto la fretta nella voce -Non sono un criminale: se non farai scherzi, non torcerò al piccolo un solo capello.- -Se non sei un criminale, come sei finito nelle segrete?- domandò il ragazzo, cercando di guadagnare giusto il tempo necessario per trovare una buona idea. L'uomo emise un grugnito e Ashya si raggelò, vedendo la sua stretta farsi più serrata attorno al povero Eo. -Merce scadente!- sibilò l'altro -Sua Maestà mi ha accusato di volergli vendere della merce scadente!- Il valletto non ebbe difficoltà a credergli e provò per lui un guizzo di empatia; valutò persino l’idea di aiutarlo a fuggire, ma in quel momento il bambino singhiozzò sommessamente. No: chi era disposto a servirsi di un innocente, non meritava di essere salvato. -Sei stato sfortunato.- azzardò -Quello è il figlio di uno dei servi. Non ti servirà a molto, come ostaggio.- Trascorse qualche istante di teso silenzio poi, siccome l'uomo sembrava non aver colto il suggerimento, il giovane decise di insistere. -Io, d'altra parte, sono un valletto reale.- -Lo sei davvero.- mormorò il fuggiasco, con tono vagamente incredulo, dopo averlo squadrato da capo a piedi; corrugò la fronte -Ti stai offrendo di prendere il suo posto?- -Per te non sarebbe un cattivo affare.- Il ragazzo stava per avvicinarsi, ma si bloccò all'istante quando vide l'uomo indietreggiare di un passo. -Sono solo un ragazzino e sono disarmato.- disse allora, alzando le mani -Che minaccia posso mai rappresentare?- Una parte di lui provò un scintilla di divertimento, nel pronunciare quelle parole. -Non fido di te: basta guardarti in faccia per capire che sei un cucciolo di volpe.- Quell'uomo, in fin dei conti, era riuscito a fuggire dalle segrete: non poteva essere l'ultimo degli sprovveduti. Ashya strinse le labbra, poi si accorse di avere gli occhi di Eo su di sé e gli rivolse un piccolo sorriso, sperando servisse a rassicurarlo almeno un poco. -D'accordo.- disse, tornando a rivolgersi al fuggitivo -La porta sud non è molto lontana da qui ed è meno sorvegliata dei cancelli principali. Ti aiuterò a raggiungerla- L'altro esitò un istante, ma alla fine annuì. -Sappi però che se farai del male al bambino, io farò in modo di fartene pentire. Amaramente.- L'uomo era decisamente più alto di lui, più possente, ed era chiaramente in una posizione di vantaggio, ma fu abbastanza accorto da non prendere alla leggera le parole del giovane. Un altro momento di silenzio, un altro cenno del capo.
CAPITOLO 27
C'era poco tempo, di lì a breve il gli abitanti del palazzo avrebbero ricominciato a popolarne sale e corridoio, i cortili si sarebbero riempiti di sonnolenti cortigiani e i soldati di ronda avrebbero dovuto mostrarsi più vigili e attenti. Inoltre, mentre conduceva il fuggitivo alla porta sud, Ashya non aveva ancora ideato alcun piano. Fondamentalmente, le ipotesi erano due: trovare un modo per neutralizzare l'uomo, ma questo avrebbe potuto mettere Eo in grave pericolo, o aiutarlo a fuggire, e in questo caso avrebbe dovuto trovare un modo per convincere le guardie ad aprire il portone. Se normalmente sarebbe stato più propenso a scegliere il primo approccio, il pensiero di Falangar lo tratteneva dal farlo. La ragazza non lo avrebbe mai perdonato per aver messo a rischio la vita del suo fratellino. Lui stesso non sarebbe riuscito a perdonarselo, a dirla tutta. Lanciò uno sguardo alle proprie spalle dove l'uomo procedeva cauto, tenendo d'occhio tanto i dintorni quanto il valletto davanti a sé. Per poter procedere più speditamente aveva sollevato il bimbo e lo teneva per la vita, con un braccio, mentre con la mano libera ancora gli puntava contro il coltello. Eo teneva le mani avvinghiate al braccio che lo reggeva, come temendo che da un momento all'altro lo avrebbe lasciato cadere; le sue gambe, invece, ciondolavano inermi. Fu quel dettaglio, in particolare, a riecheggiare nei ricordi del ragazzo, dandogli i brividi. Tornò a guardare davanti a sé e inspirò profondamente: avrebbe cercato di convincere i soldati. Ashya si fermò nel corridoio e sbirciò oltre le colonne, verso la porta sud; era più piccola e meno sfarzosa di quella principale, situata ad est, ma anche lì, sotto il sole del primo pomeriggio, un paio di soldati montavano la guardia. Il valletto si morse il labbro, poi si rivolse al rapitore. -Lascia parlare me.- -Non cercare di fregarmi.- lo avvertì l'altro, aggiustando la presa sul proprio ostaggio. Lui si limitò ad annuire, poi lasciò il rifugio offertogli dal colonnato e si incamminò verso la porta. Non si preoccupò di controllare che l'uomo lo stesse seguendo: poteva sentire i suoi passi. Tra loro e le guardie si apriva un ampio cortile e il ragazzo decise di avanzare lentamente, per evitare di mettere i soldati in allarme prima del tempo. Nella peggiore delle ipotesi, aveva pensato, avrebbe dovuto tentare di neutralizzare i due uomini. Una delle guardie notò subito la loro presenza: dapprima non rivolse loro che una rapida occhiata ma, accortasi che si dirigevano proprio in quella direzione, iniziò ben presto a seguirli con lo sguardo. Ashya camminava proprio davanti agli altri due e sperava di riuscire a nascondere la figura di Eo il più a lungo possibile. Sentiva il cuore accelerare i propri battiti: da un momento all'altro il soldato si sarebbe accorto che qualcosa non andava e si sarebbe messo in guardia. Il suo socio, allertato, avrebbe fatto lo stesso. Far passare il bambino come parente di un cortigiano era impensabile, e di certo le guardie non avrebbero lasciato fuggire un prigioniero solo per proteggere il figlio di un qualche servo. Anche dire loro che si trattava del figlio di Kveri era fuori questione e comunque non gli avrebbero mai creduto. Mancavano ormai pochi passi quando le cose, ancora una volta, presero una piega diversa da quella che il ragazzo si era preparato ad affrontare. Venne suonato un campanaccio, da qualche parte sopra le mura, e subito dei suoni identici iniziarono a fargli eco, diffondendosi a macchia d'olio in tutto il castello. -Cos'è successo? Hanno dato l'allarme!- l'uomo si era fatto più vicino e Ashya sentì chiaramente la sua voce nell'orecchio, nonostante la cacofonia circostante. Il ragazzo non rispose, continuò invece a tenere lo sguardo fisso sulle due guardie: non prestavano loro la benché minima attenzione, anzi, si erano voltati verso il portone ed erano impegnati a sollevare la spranga che chiudeva gli spessi battenti di legno. Anche un terzo uomo arrivò, correndo, per aiutarli nel compito. -Non è un allarme.- disse il giovane lanciando uno sguardo al rapitore, per assicurarsi che non facesse nulla di avventato, poi tornò a guardare davanti a sé. Là, oltre il cancello, lungo la strada lastricata. Quella che all'inizio non era altro che una sagoma indistinta continuò ad avvicinarsi, fino a prendere le sembianze di una piccola compagnia di cavalieri. Il valletto trattenne il fiato: in qualche modo, sapeva chi si trovasse in testa al gruppo ancora prima di riconoscere il famoso mantello nero, o la lunga treccia del medesimo colore. -Dobbiamo andarcene.- disse al fuggitivo, voltandosi a fronteggiarlo. -Stai scherzando?- ribatté quello, quasi ringhiando -La porta è propria là, davanti a noi, spalancata!- Lui stava per rispondergli, quando vide del movimento con la coda dell'occhio e subito si guardò attorno. Soldati, servi, persino qualche cortigiano iniziarono ad affollare il cortile; sembrava che il ritorno della Pantera richiamasse un discreto numero di spettatori. Anche il rapitore si accorse del loro arrivo e si voltò istintivamente a guardarli, così Ashya decise di approfittare di quel momento prima che la situazione potesse farsi ancora peggiore. Scattò, rapido come un rettile, e afferrò con entrambe le mani il coltello dell'uomo, dalla parte della lama, in modo che non potesse usarlo per fare del male ad Eo. Poi, prima che l'altro potesse riprendersi dallo stupore, gli diede un calcio ad una gamba per fargli perdere l'equilibrio e si spinse in avanti, usando il proprio peso per farlo cadere all'indietro. Finirono a terra tutti e tre, in un confuso ammasso di arti, sangue che spillava e imprecazioni strozzate. Il ragazzo si mise a cavalcioni sul fuggitivo e strinse più forte la presa sull'arma, sentendo l'acciaio che penetrava ancor di più nella carne, nel tentativo di strappargliela di mano. L'uomo lasciò andare il bambino e usò la mano libera per colpire in faccia il valletto. Lo colpì dritto su una guancia e la sua testa scattò di lato, mentre il sapore del sangue gli riempiva la bocca, ma il giovane non lasciò la presa sul coltello. Lanciò uno sguardo al bimbo che incespicando si era allontanato di qualche passo, per poi voltarsi, tremante, ad osservare la scena; avrebbe preferito se fosse corso via, ma in quel momento non aveva il fiato per dirgli di farlo. E, in ogni caso, fu ben presto costretto a riportare la sua attenzione sull’uomo, quando questo lo afferrò per i capelli nel tentativo di levarselo di dosso. -Cosa sta succedendo?- domandò una voce profonda, raggelando entrambi. Il primo cavaliere era sceso da cavallo e si era avvicinato, il destriero dal manto scuro ancora tenuto per le briglie; lo sguardo gelido del guerriero non tradiva la confusione che doveva provare davanti a quella scena. Ashya sentì la presa dell’uomo allentarsi, su di lui come sul coltello, così liberò la testa con uno strattone e nello stesso strappò l’arma dalle mani dell’altro, gettandola a qualche passo di distanza; rimbalzò un paio di volte sul pavimento lastricato, disegnando una sottile scia di sangue. Il fuggitivo si riebbe abbastanza da imprecare e tentare di nuovo di colpire il ragazzo, ma quello balzò via, andando a frapporsi tra l’uomo e il piccolo Eo. -È scappato dalle segrete!- gridò in quel momento un soldato che, col fiato corto, si stava facendo largo tra la folla -Ha strangolato una guardia ed è scappato!- -Pietà! Per il Grande Padre, chiedo pietà!- implorò allora il fuggiasco, rotolando con poca grazia su sé stesso fino ad inginocchiarsi davanti a Kveri. Il primo cavaliere gli gettò un’occhiata; poi il suo sguardo vagò verso il valletto, che stringeva i pugni sanguinanti, e ancora un po’ più in là, dove il bambino ancora tremava di terrore. Infine tornò a guardare l’uomo e portò una mano all’elsa della propria spada. -Non lasciare che guardi.- disse, nella lingua dei nomadi. Ashya colse al volo il suggerimento e si voltò verso Eo, cingendolo con le braccia; lo sentì sussultare per la sorpresa, ma poi il piccolo si aggrappò ai suoi vestiti e schiacciò la faccia contro il suo petto. Kveri doveva essere stato rapido e preciso: alle proprie spalle il ragazzo udì solo il suono della lama estratta dal fodero, un gorgoglio raggelante e infine il debole tonfo di un corpo che si accasciava a terra. Gli spettatori, tutt'attorno, restarono in silenzio ancora per qualche attimo, confusi dalla scena cui avevano assistito; poi iniziò a sollevarsi una cacofonia di mormorii, qualche idiota persino applaudì. Il ragazzo continuò a stringere a sé il bambino e a sussurragli che andava tutto bene, che era tutto finito. Fece per carezzargli la schiena, quasi istintivamente, ma si accorse che il palmo ancora sanguinava con abbondanza, così richiuse la mano. Ora che l'adrenalina stava calando provò una fitta di dolore, quando le dita andarono a premere sui lembi di carne tagliata. Quando vide dipingersi sul lastricato l'ombra del primo cavaliere che incedeva su di loro, si voltò a guardarlo da sopra la spalla. Come al solito l'espressione dell'uomo non era facile da decifrare, così si limitò a squadrarlo da capo a piedi e constatare che, come aveva già immaginato, fosse tornato perfettamente incolume dalla sua spedizione a Dassad. -State bene?- domandò il nomade; usò la lingua comune, questa volta. Ashya annuì e, improvvisamente, si accorse di non sapere come comportarsi: lo avevano aspettato per giorni e giorni e, finalmente, Kveri era tornato. Il ragazzo riportò lo sguardo sul bambino, che continuava a tenere il viso nascosto nelle pieghe del suo caftano; non era esattamente così che aveva sperato andasse il loro primo incontro. Si voltò di nuovo per incontrare gli occhi del primo cavaliere e, stavolta, gli parve di riuscire a scorgervi dentro le domande che iniziavano ad affollargli la mente. In effetti, rifletté, l’ultima volta che si erano visti il giovane non riscuoteva certo le simpatie del sovrano, mentre adesso indossava proprio i suoi colori. Si sarebbe anche domandato chi fosse quel bambino: chissà che la carnagione di Eo non avesse già destato in lui qualche sospetto. Avrebbe reso tutto più semplice. Il valletto chiuse gli occhi per qualche istante, cercando di mettere ordine nei propri pensieri, ma li riaprì non appena sentì che il bimbo gli veniva strappato dalle braccia. Gli occhi di Falangar, in ginocchio davanti al ragazzo, dardeggiavano di rabbia; non era lui, però, il bersaglio di quello sguardo, bensì il nomade alle sue spalle. -Falangar- iniziò il giovane, ma lei lo interruppe subito. Un’unica parola. Mal pronunciata, sì, ma dal chiaro significato. “No.” Ashya ebbe un piccolo sussulto, sorpreso dalla fermezza nella sua voce, poi si voltò verso Kveri. L’uomo distolse lo sguardo da quello della ragazza, senza sembrare troppo sorpreso dal suo atteggiamento, e incontrò i suoi occhi; poi lanciò una lunga occhiata attorno a sé, al cortile invaso dai curiosi. Era di nuovo calato il silenzio, quasi che tutti se ne stessero col fiato sospeso. Forse aspettavano con ansia che la Pantera mietesse un’altra vittima. -Andate.- disse il primo cavaliere. Aveva parlato a bassa voce, ma il suo tono era stato perentorio. Il ragazzo, che aveva seguito il suo sguardo, annuì e si rimise in piedi; anche Falangar si rialzò, tenendo il fratellino stretto tra le braccia, e insieme lasciarono il cortile senza guardarsi indietro.
-Mi dispiace.- mormorò il ragazzo, quando fu certo che il bambino si fosse addormentato -Non avrei mai immaginato potesse accadere qualcosa di simile.- Falangar annuì e continuò a carezzare la testolina di Eo, appoggiata sul cuscino. Avrebbero potuto cercare rifugio nei cunicoli, ma il piccolo aveva bisogno di farsi una bella dormita, così erano tornati nella stanza di Ashya. I due rimasero in silenzio ancora per un po'; erano entrambi seduti sul letto, l'una a destra e l'altro a sinistra del bambino, come due statue guardiane. Fu di nuovo il valletto a rompere il silenzio. -Kveri è tornato.- disse soltanto. Non ricevette risposta e la quiete tornò ad invadere la camera, l'unico suono sembrava essere quello del respiro profondo e regolare del bambino. -Oggi lo ha protetto senza nemmeno sapere chi fosse.- continuò il giovane, guardando Eo con un mezzo sorriso -Io credo che dovremmo dirglielo.- La fanciulla strinse le labbra e corrugò la fronte, come se una fitta di dolore le avesse attraversato il corpo. Allungò una mano e prese quella di lui, attirandola a sé; solo allora, trovandosi sotto gli occhi la fasciatura che il ragazzo aveva improvvisato, si ricordò delle ferite. Sollevò su di lui due occhi preoccupati. Lui tentò di rassicurarla con un sorriso e tirò su la manica, offrendole la pallida pelle all'interno dell'avambraccio. Dopo un attimo di esitazione, forse il tempo di trovare le giuste parole, la serva iniziò a scrivere. “Sai perchè tutti accorrono al ritorno del primo cavaliere?” Ashya scosse la testa, in realtà non aveva trovato ci fosse nulla di strano. “Perchè ogni volta che torna da una missione, porta una testa in dono al re. Come una specie di trofeo.” Il ragazzo s'incupì un poco e, dopo aver riflettuto un momento, lasciò uscire dalle labbra un sospiro amaro. -Deve trattarsi di un capriccio di sua Maestà: Kveri non farebbe mai una cosa del genere di propria iniziativa.- “Pensi di conoscerlo così bene?” Di primo acchito quelle parole lo infastidirono, ma il valletto sapeva bene che Falangar voleva soltanto proteggere il proprio fratellino. Inoltre, doveva ammetterlo: con la sua fama di guerriero invincibile e spietato, il primo cavaliere non sembrava certo il miglior candidato al ruolo di padre. -Conosco la sua gente.- ribatté -I nomadi sono un popolo onorevole e non sono dei selvaggi, come vengono chiamati.- Era così: gli uomini del deserto potevano non avere leggi, ma a loro non servivano proprio perchè sapevano bene cosa fosse giusto e cosa sbagliato, e vivevano di conseguenza. Ashya, che aveva avuto modo di chiamarli amici e di essere chiamato amico a sua volta, nutriva per loro il massimo rispetto. -Quando ne ho avuto bisogno, lui mi ha aiutato.- insistette, vedendo la fanciulla tutt'altro che convinta -Proprio come hai fatto tu.- La serva lo guardò negli occhi, con intensità, come se vi stesse cercando dentro qualcosa. Alla fine abbassò lo sguardo e scosse il capo. “Non ancora. Non posso ancora fidarmi di lui.” Il ragazzo non sapeva quanta di quella riluttanza dipendesse Kveri e quanta invece dal timore, di lei, di essere separata dal bambino, ma era giusto così. Era giusto, si ripeté il giovane, che potesse prendersi il tempo che le serviva. -D’accordo.- le disse -Aspetteremo.- Falangar continuò a guardare Eo, ma il valletto vide le sue spalle rilassarsi e la sua espressione farsi più serena; la dolcezza con cui guardava il fratellino era qualcosa di meraviglioso, una di quelle cose che meritano davvero di essere protette. Senza pensarci troppo Ashya si sporse in avanti, appoggiando la testa a quella di lei. La fanciulla non si scostò e restarono così, in silenzio, per un tempo che sarebbe difficile quantificare. Che bello sei il mondo fosse stato tutto lì, in quella piccola stanza, loro tre gli unici abitanti. Il ragazzo sorrise e gli piacque pensare che, magari, lei stesse indugiando sulla stessa fantasia.
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