MAGUS

by The Aster

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    Vedo che il racconto sta premendo sull'acceleratore,

    Come ho già detto, questi sono dei capitoli introduttivi. Preferisco postarli più rapidamente degli altri che verranno, per non far perdere il filo a chi legge.

    CITAZIONE
    credo che ci saranno risvolti molto interessanti

    Ci puoi scommettere :D

    CITAZIONE
    potremo avere a che fare con una situazione poco prevista dai protagonisti

    Sì e no :D
     
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    Capitolo 6

    Il Caso n.51. La Torretta di Legno



    «Strano, com’è che non me lo ricordo?»

    Celeste sbuffa e tira fuori l’iPad dalla Borsa di Mary Poppins.

    «Perché era uno dei Casi in rosso, probabilmente?» Avvia l’aggeggio e me lo passa «Tu di quelli te ne sbatti. Io no. Mi tormentano nei sogni. Tra l’altro, questo è pure un Caso idiota, per quanto semplice. Cazzo, mi fa una rabbia pensare di non poterlo risolvere da sola, nemmeno adesso che è passato al giallo!»

    «Perché?»

    Lei mi si para davanti ed inclina un poco la sedia a rotelle.

    «Pronto? Perché non ci posso salire sulla torretta, idiota riccioluto!»

    «Ah… Vero… Scusa…»

    Dando una controllata rapida alle informazioni raccolte nella LS, scopro che in cima a questa fantomatica Torretta dovrebbe trovarsi qualcosa di davvero strano.

    Peròòò… non viene specificato cosa sia esattamente questo “qualcosa”.

    «Se finora non te l’ho proposto» prosegue la mia amica, «è perché ci mancava ancora un tassello essenziale per proseguire con le indagini. Un elemento che, finalmente, è nelle nostre mani».

    Capisco… Centra il contenuto di quella carpetta gialla che Letta le ha dato.

    «Ed è a questo punto che entro in gioco io?»

    Celeste annuisce e riprende a far girare le ruote.

    «Salirai tu in cima alla piattaforma della Torretta. Sarai i miei occhi».

    «Ricevuto».

    Mentre ci lasciamo alle spalle Passo della Cavalletta, mi immergo più accuratamente negli appunti del Caso.

    A quanto leggo, la Torretta in questione dovrebbe risalire alla seconda guerra mondiale…

    Mi viene in mente quello che mi ha raccontato un giorno il nonno, cioè che Monte Cono è stato utilizzato a lungo come nascondiglio dai Partigiani; e dopo come quartier generale dagli Alleati.

    Logico, perciò, che in giro ci sia ancora roba militare.

    E ora che ci penso, ricordo che qualche anno fa Donato il Meccanico ha scovato, per puro caso, un ordigno inesploso mentre cercava qualche fungo selvatico per il risotto.

    Il poveretto per poco non ci lasciava le penne.

    Morire per un risotto…

    Cipicchia, che fine imbarazzante sarebbe stata!

    «Spingimi!»

    «Come scusa?»

    «Ridammi l’iPad e spingi. Inizia la salita».


    «Oh… Va bene».

    I minuti passano…





    Cipicchia, più andiamo avanti, e più la strada pende verso l’alto!

    Io sbuffo fatica e sudore ad ogni metro percorso. Nel frattempo, la principessa Celeste è concentrata nella lettura dei fogli che c’erano dentro la carpetta gialla.

    «Mi dici… che ti ha dato… Letta?» le ansimo.

    Che stanchezza…

    Se penso che non siamo nemmeno arrivati al primo dei cinque tornanti…

    «I progetti della vecchia rete elettrica» risponde Celeste. «Quella di oggi l’ha inglobata, quindi è difficile distinguere l’una dall’altra. Grazie a questi disegni, invece, ci leviamo la seccatura dalle palle».

    «E… a cosa… ci servono?»

    «Ci servono!»

    Qualche altra spiegazione in più no, eh?

    «Okay, ma… quanto manca? Dov’è… questa torretta… di preciso?»

    «C’è un pertugio, nascosto dalla vegetazione, sulla strada tra il secondo e il terzo tornante. Alla Torretta si arriva esclusivamente da lì».

    D’impulso blocco me stesso e la sedia a rotelle, poi punto lo sguardo in alto.

    «Scherzi… vero?»

    E fu così che il tempo, per me, iniziò a scorrere lentamente…





    «Per quanto ancora te ne starai lì a poltrire?»

    «Dammi altri cinque minuti…» imploro Celeste.

    Quanti chilometri avrò fatto, spingendo in su questa ingrata schiavista che io reputo mia amica?

    10?

    30?

    50??

    100???!

    Boh…

    So soltanto di essere crollato a terra non appena Celeste mi ha ordinato – esatto, avete letto bene, ordinato, non chiesto! - di fermarmi, perché eravamo a destinazione.

    Cipicchia, la maglietta mi si è appiccicata addosso per il sudore! La sento come una seconda pelle!

    Per giunta, muoio di sete. A saperlo prima, mi sarei portato appresso dell’acqua. Magari avrei anche chiesto alla nonna di preparare qualche panino, perché incomincio a non vederci più dalla fame.

    «Muovi il culo, idiota riccioluto. Ci rimane poco tempo. Dobbiamo esser di ritorno prima che faccia buio».

    «Sissignora…» sospiro rialzandomi.

    Rasento la parete della montagna come fa Celeste, seguendola come…





    Be’, come l’ombra che sono!

    Cipicchia, i crampi allo stomaco e il formicolio alle gambe mi danno il tormento!

    O be’, per lo meno, da qui il panorama è spettacolare. Riesco a vedere la vasta distesa di terra e colline alberate che ci circonda, percorsa da quel lungo serpente di cemento che è la superstrada, l’unico mezzo di collegamento tra Monte Cono e la città più vicina.

    Sembra quasi di avere di fronte un gigantesco quadro…

    «Piantala di sognare ad occhi aperti, idiota riccioluto. Siamo Arrivati».

    «Ne sei sicura? Non vedo alcun pertugio».

    «È nascosto, ti ho detto. Vedi quei graffi lì a terra?»

    Annuisco.

    «Li ho fatti io con una pietra, così da segnare l’entrata».

    «Aspetta… Sei già stata qui?»

    Annuisce.

    «La settimana scorsa. Un sopralluogo».

    «E ti sei fatta tutta la salita da sola?!»

    Mi stupisco. Quanta forza nasconde Celeste, in quelle braccia secche?

    «Ma certo che no, idiota riccioluto» ridacchia. «All’andata ho preso la navetta e sono scesa a Città Vecchia. Per arrivare qui, invece, mi sono affidata alla gravità e alle mie ruote».

    «Mi sembra una cosa pericolosa».

    «Non lo è stato affatto».

    «Ma perché non me ne hai parlato? Saremmo dovuti venire insieme».

    «Era mercoledì, il giorno delle lasagne».

    «Ah…»

    Be’, non ha tutti i torti. La Locanda ha fatto il pieno di clienti quel giorno.

    Ed io di mance.

    Le lasagne della nonna sono tremendamente apprezzate e richieste.

    Già… mercoledì sarebbe stato impossibile andare con Celeste.

    «E va bene. Ma non ti scordare la promessa che mi hai fatto. Ora siamo una squadra. Non devi più agire da sol-»





    Ehi, aspettate un momento…

    «Spiegami: perché non abbiamo preso la navetta elettrica all’andata, come hai fatto tu, per scendere poi direttamente qui? Non solo saremmo arrivati già da ore, ma mi sarei risparmiato pure questa faticaccia!»

    «Ma che bell’idea. E secondo te, io non c’ero arrivata da sola?» replica Celeste scuotendo la testa, presumo per marcare una mia ingenuità. «Non si può. Quel coglione di Fabrizio non me l’ha permesso settimana scorsa, figurati adesso. Mi ha fatto scendere per forza a Città Vecchia».

    «E il ritorno, allora? Come cipicchia hai fatto?»

    «Semplice. Ho preso la navetta da qui».

    «E l’autista?»

    «Nessuno, con un po’ di sano buon senso, lascerebbe mai una ragazzina di tredici anni, per giunta disabile, da sola in mezzo a una strada».

    «Credo di cominciare a capire…»

    Celeste annuisce.

    «Bravo. Noi due approfitteremo dell’ultima corsa della navetta, cioè di quella che ha portato la cena a Sputa S. Willy».

    Sì, ha senso. E devo ammettere che l’idea dei graffi è stata geniale. Non fosse stato per loro, io non sarei mai e poi mai riuscito a scovare il pertugio in mezzo all’accozzaglia di muschio ed erbacce che ricopre come un velo buona parte della parete.

    «Indossa questo».

    Celeste mi passa un caschetto – preso dalla Borsa di Mary Poppins - con sopra una piccola torcia, dopodiché se ne mette in testa uno simile.

    «E questi?»

    «Me li ha prestati Franco il Muratore. Vedi di starci attento. A proposito, è merito suo se ho saputo di quest’ingresso».

    «E a Franco chi l’ha detto?»

    «Nessuno. Ricordi che la montagna ha tremato, un paio di settimane fa? Be’, la scossa ha causato una piccola frana. Franco si è accorto dell’ingresso sei giorni dopo, mentre si faceva un’idea precisa dei danni alla strada. Io l’ho sentito mentre lo raccontava ai suoi operai».

    Quindi è solo questione di tempo, prima che a qualcun altro venga in mente l’idea di andare in esplorazione.

    «Hai origliato, in pratica» la accuso.

    «Il modo migliore per ottenere le informazioni più importanti».

    Oltrepasso il pertugio. Una sensazione di appiccicume, come se avessi avuto un improvviso faccia a faccia con una grande ragnatela, mi fa rizzare le carni.

    «Bleah, schifo!» affermo pulendomi la faccia con le mani.

    Celeste ridacchia alle mie spalle.

    «È successo pure a me. Per questo ti ho fatto entrare per primo»

    Proseguiamo lentamente in una specie di galleria, abbastanza grande da permetterci di avanzare in fila indiana.

    Un improvvisa e forte puzza di umidità mi sorprende le narici, facendomi storcere il naso. Mi viene da pensare che delle rane potrebbero scegliere questa galleria come habitat.

    Ci sono anche un mucchio di moscerini svolazzanti che potrebbero mangiare, così facendo questi insetti mi lascerebbero in pace e non cercherebbero in tutti i modi d’infilarsi nei miei occhi.

    Scommetto la cena di stasera che sono le torce ad attirarli. Ma è buona cosa che le abbiamo. Qua la luce è davvero scarsa. Così, almeno, riesco a vedere dove vado, ed evito le travi di legno in alto prima di martellarci la testa.

    Le faccio presente a Celeste. Lei mi spiega che siccome la galleria è artificiale, hanno usato apposta quelle travi per renderla più stabile.

    Abbasso per un momento lo sguardo e noto due lunghe linee parallele a terra, che sembrano farmi strada lungo la via.

    Devono essere le tracce lasciate dal Celeste nella sua precedente esplorazione in solitaria...

    «Quella laggiù è l’uscita?» domando.

    «Cosa, altrimenti? Il buco del culo della montagna?»

    Ma quanto è spiritosa…

    «Così è questa la Torretta di Legno!» dico impressionato, una volta al suo cospetto.

    Ad occhio credo che, come altezza, arrivi al livello della Locanda. Tutta la struttura è ricoperta da foglie e liane – e ci sta pure qualche lucertola -, ma riesco a distinguere il materiale con cui l’hanno costruita.

    «Perché farla in legno? Non è meglio il ferro?»

    «Vero, ma è probabile che la Torretta sia stata abbattuta e poi ricostruita. Ricordati che si tratta comunque di una cosa di guerra. E a quei tempi, certo il legno non mancava. Monte Cono era pieno di querce, una volta».

    Questo lo ignoravo…

    «Ma non capisco. Che bisogno c’era di costruirla proprio dentro una caverna? A parte le rocce, che potevano avvistare da qui?»

    «Sorvegliare, non avvistare. Adesso la visibilità è scarsa, ma sappi che attorno a noi ci sono carcasse di vecchie jeep, una decina di baracche, e delle fosse che puzzano di merda secca. La mia conclusione, è che questo fosse un accampamento militare segreto. Là in mezzo, dietro quei sacchi di sabbia, c’è persino una mitragliatrice».

    «Ma dai? La voglio vedere!»

    «Tira il freno, idiota riccioluto. Devo prima accendere le luci».

    «Ah, aspetta… È troppo buio. Lascialo fare a me».

    «Non serve. So benissimo dov’è l’interruttore. Settimana scorsa ho lasciato dei segni anche per quello. Certo, se poi tu vuoi rischiare di finire per sbaglio in una delle vecchie latrine a cielo aperto…»

    C’è bisogno di chiederlo?

    «No, grazie. Se torno a casa con addosso quella puzza, poi chi la sente nonna?»

    Celeste mi sorride beffarda, dopodiché prende sicura una direzione. Io la seguo con lo sguardo fintanto che la luce sul caschetto me lo permette. Poi lei svanisce nell’oscurità, tuttavia sento ancora lo sfregamento delle ruote col terreno.

    Ad un tratto, l’eco di un click rimbomba nella caverna. In un primo momento non accade nulla, ma poi la caverna inizia ad illuminarsi piano piano, e tempo qualche secondo, il bagliore aumenta, rendendo così inutile l’aiuto della torcia.

    Mi levo il caschetto e cerco di dare una sistemata ai miei ricci mentre la mia amica fa ritorno.

    «E adesso posso andare a vedere la mitragliatrice?» chiedo.

    «Dopo che sarai sceso dalla torretta. Avvicinati, devo legarti questa fune alla vita».

    «Perché?»

    «Una precauzione. Se cadi e ti rompi qualcosa, poi chi la sente tua nonna?»

    «Vero… Ahia! È troppo stretta!»

    «Chiudi il becco e tieni» Celeste mi dà il walkie talkie. «Il dolore servirà a farti stare più attento. Adesso, ascolta. Ho legato all’altro capo della corda una manetta aperta e te l’ho incastrata alla cintura dei pantaloni. Ti sarà più facile prenderla. Non appena sarai a metà scala, la chiuderai attorno ad un gradino. Chiaro?»

    «Ricevuto…»

    Nonostante l’aspetto vecchiotto, la scala mi sembra in buone condizioni. Ha l’aria resistente, sì, ma non mi sento molto sicuro comunque, nemmeno considerando la precauzione di Celeste.

    Be’, mi faccio coraggio ed inizio a salire, lentamente, imponendomi di non guardare mai giù, per nessuna ragione.

    Non soffro di vertigini, ma preferisco non rischiare di farmele venire proprio ora.

    «Ho faffo!» biascico a Celeste una volta chiusa la manetta, perché ho il walkie talkie tra i denti.

    «Continua a salire!» urla lei da sotto.

    Proseguo, ora più svelto e deciso, ma sempre con addosso un briciolo di cautela. L’idea di scivolare e di rimanere appeso a mezz’aria, come un salame, non mi ispira nemmeno un po’.

    D’altro canto, l’alternativa sarebbe estremamente dolorosa...

    «Non ci posso credere…!» esclamo giunto in cima.
     
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    Ottima scelta il modo in cui hai deciso di chiudere l'aggiornamento, presuppone un grande colpo di scena.
    Proprio per questa ragione il prossimo capitolo sarà da spartiacque, secondo me.
    Qualunque cosa vi sia in cima deve essere comunque importantissimo per l'intera storia, un oggetto del desiderio conteso, forse qualcosa di spaventoso
     
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    Ottima scelta il modo in cui hai deciso di chiudere l'aggiornamento,

    Thanks :D

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    Qualunque cosa vi sia in cima deve essere comunque importantissimo per l'intera storia, un oggetto del desiderio conteso, forse qualcosa di spaventoso

    Lo scopriremo sabato, forse XD
     
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    «Non ci posso credere…!» esclamo giunto in cima.

    C'è il tipo con i piedi puliti, là sopra? :D
     
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    C'è il tipo con i piedi puliti, là sopra?

    Lo scopriremo domani :D
     
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    Capitolo 7

    In cima alla Torretta di Legno.



    No, no, no!

    Sono sveglio!

    Strasicuramente sveglio!

    Le mie gambe si lamentano ancora per la scarpinata che Celeste mi ha fatto fare. E se stessi per davvero ancora dormendo, ditemi come cipicchia avrei fatto a leggere gli indizi del Caso sulla LS!

    Oh, andiamo, lo sanno tutti, perfino i bambini. Nei sogni è impossibile leggere. Ed io l’ho addirittura fatto attentamente.

    Inoltre, quando mai nei miei sogni c’è pure Celeste?

    Ma dai!

    È l’unico momento della giornata in cui non la sento dire parolacce.

    Né chiamarmi idiota riccioluto.

    Perciò…

    Perciò…





    Cipicchia!

    Quello che vedo pendere dal soffitto… allora è per davvero un semaforo!

    Non ne avevo mai visto uno dal vivo. Solo alla tele. È uno di quelli che usano in città per il traffico delle auto. Ha tre cerchi, uno rosso, uno giallo, ed uno verde - come i Casi della LS, in pratica -, ma le loro luci sono spente.

    Curioso… non mi sembra vecchio quanto la Torretta. Non gli vedo un filo d’erba addosso. Né ragnatele né polvere.

    KKCCS… KKCCS… KKCCS… KKCCS… KKCCS… KKCCS… TLACK!

    «Allora?» gracchia Celeste dal walkie talkie.

    «Non indovinerai mai cosa c’è quassù! Roba da non credere!»

    «È forse un semaforo?»

    «Esatto, è un…»



    ….

    Eh...?

    «Aspetta… Come lo…?»

    Celeste ride.

    «Mai sentito parlare dei binocoli? Ne ho portato uno la scorsa volta, e lo sto usando giusto adesso per guardarti».

    Mi affaccio dalla piattaforma ed osservo la mia amica. In una mano tiene il walkie talkie. Nell’altra, all’altezza degli occhi, un binocolo.

    Mi saluta.

    Io ricambio.

    «Com’è la visuale?» domando al walkie talkie.

    «Buona, fino a un certo punto. Riesco a vedere la tua brutta faccia, ma non posso andare oltre».

    «Ma non dovevo essere io i tuoi occhi?» obietto.

    «Hai frainteso. Non ne sei che una semplice estensione. Come una prolunga per la vista».

    Sono stato retrocesso ad attrezzo da elettricisti...

    «Un secondo! Se sapevi dall’inizio del semaforo… Che cipicchia ci faccio io qua sopra?»

    «Guardalo ed inizia a contare fino a 19 quando te lo dico. Avrai la tua risposta».

    «D’accordo…»

    Osservo, titubante, l’aggeggio e, al comando di Celeste, mi metto mentalmente a contare.

    1…

    2…

    3…

    Sta a vedere che, non appena avrò finito di dare i numeri, le tre luci si accenderanno di botto.

    5…

    7…

    10…

    Dai, spicciati!

    15…

    17…

    19!

    Allo scoccare del secondo fatidico, e in barba a quanto avevo ipotizzato, i tre cerchi del semaforo si aprono inaspettatamente verso l’esterno, come fossero delle mini porte. Da lì vengono fuori tre simpatici uccelletti di legno con dei cilindri in testa, che si mettono a fare il verso del cuculo.

    «Un semaforo a cucù… Questa sì che è bella!» sostengo sorridendo.

    «Già. Gli uccellacci spaccano il secondo, non trovi?» dice Celeste dal walkie talkie. «La prima volta che li ho sentiti aprir becco mi hanno spaventata a morte. Certo, non come te al cimitero, quando ti sei pisciato addosso».

    Non replicare… Non replicare… Ricordati che sei suo amico…

    «Be’, cosa devo fare ora? Se non siamo qui per il semaforo…»

    «Siamo qui apposta per quel semaforo, idiota riccioluto».

    Non capisco… Se Celeste sapeva già del semaforo a cucù – che sarà pure una cosa strana, lo ammetto, però è parecchio divertente -, a che scopo trascinarmi fin qui?

    «Vuoi forse scoprire chi l’ha messo quassù?» provo a indovinare.

    «Anche. Ma m’interessa sapere per lo più che cosa lo alimenta. Ho letto in un libro che gli orologi a cucù funzionano con un sistema di pendoli e pesi. Ma da qui ho visto che sono assenti. O mi sbaglio?»

    Do una controllata anch’io…





    Ha ragione, non ce sono.

    «Perciò… va a corrente?» ipotizzo.

    Celeste sospira.

    «È questo il punto. Giorni fa, in biblioteca, ho spulciato attentamente in ogni riga, parola, disegno, e sbavatura del progetto dell’attuale rete elettrica. Però non ho scovato nulla che potesse ricondurre alla piattaforma o all’esistenza di questa caverna».

    Ecco perché ci servivano i progetti di quella vecchia…

    «E le carte che ti ha dato Letta?» domando.

    «Niente di niente, cazzo! Avevo sperato in qualche appunto sbiadito, ma per quanto lo abbia cercato, non sono riuscita a trovarlo, né ho dato una spiegazione al funzionamento del semaforo. Da lì riesci a notare qualcosa? Che ne so… Un cavo della corrente nascosto, una grande batteria, una chiave a molla… Insomma, stronzate del genere?»

    «Aspetta che guardo meglio».

    Faccio il giro della piattaforma e ne scruto ogni angolo. Già che ci sono, sbircio pure tra le crepe del pavimento in legno. A parte qualche scarafaggio, non vedo nulla che potrebbe stare alimentando il semaforo.

    O forse sarebbe più corretto chiamarlo orologio?

    Mah…

    Nel frattempo, i tre uccelletti si sono rintanati nel marchingegno.

    «Celeste, non ho trovato niente».

    La mia amica sospira dal walkie talkie.

    «Be’, fa nulla. Ci resta un’ora di tempo. Qua attorno ci dovrà pur essere qualcosa…»

    «Che faccio? Scendo?»

    «Se non vuoi piantare radici lì…»

    Una volta a terra, io e Celeste perlustriamo il perimetro della Torretta alla ricerca di segni di uno scavo. Significherebbe la presenza di un cavo interrato. Secondo Celeste, è improbabile che ci sia, in caso contrario lo si vedrebbe spuntare dal terreno e salire in cima alla piattaforma; ma la mia amica non è tipo da escludere alcuna eventualità.

    Passa mezz’ora e non troviamo nulla. In compenso, io avvisto la mitragliatrice di cui mi aveva parlato Celeste, e approfitto della concentrazione della mia amica su di una determinata zona per fare una pausa.

    In fondo, me la merito.

    La mitragliatrice è parecchio arrugginita, ma resta comunque una forza! C’è un vecchio elmetto militare gettato lì a fianco. Lo raccolgo e me lo metto in testa. Poi prendo possesso della mitragliatrice e fingo di essere un soldato impegnato in battaglia.

    «Taratatatatata!» sussurro piano, così da non farmi sentire da Celeste.

    Con una ventina di rapidi colpi, immagino di trivellare la parete di una delle baracche.

    «Taratatatatata!»

    E il tetto cade a terra con un tonfo di campana.

    «Taratatatatata!»

    Quindi lo faccio a brandelli.

    Poi passo al prossimo obiettivo: la Torretta. Ruoto di 180 gradi la mitragliatrice, prendo la mira, sfioro lentamente il grilletto e…





    … e Celeste compare all’improvviso alla mia destra. In mano ha una vecchia rivoltella, puntata contro di me.

    «Bang!» esclama lei.

    Emetto un verso di gemito misto a sorpresa e casco a terra di lato. Fremo con tutto il corpo per un paio di secondi. Poi esalo un lungo respiro, sgrano gli occhi, e tiro fuori la lingua.

    Il soldato Lucio è caduto coraggiosamente in battaglia.

    Morto stecchito.

    «Come attore, fai davvero schifo» afferma Celeste, liberandosi della rivoltella.

    «Trovato niente?» le domando rimettendomi in piedi e pulendomi i pantaloni.

    Lei scuote la testa.

    «No, ma ci riproveremo domani. Magari veniamo un po’ prima. Adesso andiamo, o rischiamo sul serio di mancare la navetta».

    Le faccio il saluto militare.

    «Sissignora!»

    «E levati quel cazzo di elmetto dalla testa! Sei ridicolo!»

    «Sissignora…»

    Era già buio quando uscimmo dalla galleria. Fabrizio, l’autista della navetta, non era contento di vederci, ma ci ha fatto salire lo stesso – come previsto da Celeste -, non risparmiandoci, però, una bella e lunga – anche troppo – ramanzina.

    Specie a Celeste. Non era felice di rivederla.

    Mi sa che non potremo più contare sulla navetta per il ritorno.

    Bisognerà inventarsi qualcosa per domani.

    «Mi sembri tranquilla» dico a Celeste, dopo che l’ho aiutata a sedersi e la navetta ha ripreso la discesa.

    «Perché? Non dovrei?»

    Mi accomodo nel sedile accanto.

    «Be’, di solito ti arrabbi molto quando troviamo ostacoli nel risolvere un Caso».

    «Ti ricordo che è passato dal rosso al giallo da poco. Mi aspettavo delle difficoltà. Dovremo, semplicemente, continuare con le indagini. Tutto qui».

    L’ha presa bene. Allora, i miracoli accadono sul serio.

    «Tutto sommato, è stato divertente, non credi?» affermo.

    «È anche questo il bello dei Casi, idiota riccioluto».

    «Quella mitragliatrice, poi, era una forza! Se potessi, me la porterei a casa. Al nonno piacerebbe».

    «E faresti venire un infarto a tua nonna».

    «Ed ecco perché ho detto “se”».

    Rido. Lo fa anche Celeste.

    «Secondo te, li risolveremo tutti, prima o poi?» domando. «Coloreremo di verde la LS?»

    «È quello il mio obiettivo, l’ultima meta. Vedrai, Lucio» Celeste fissa decisa la cima di Monte Cono, «un giorno, salirò perfino su Lacrima d’Angelo».

    Fingo un colpo di tosse.

    «Sei la mia ombra. È sottinteso che dove vado io, vieni pure tu, idiota riccioluto».

    Sorrido e mi stiracchio un po’ le braccia.

    «Non vedo l’ora di tornare a casa. Muoio di fame».

    «Lo credo, sono quasi le nove. Pure il mio stomaco rompe».

    «Vuoi cenare alla Locanda?»

    «Non posso. Il tuo puzzo di sudore mi ha contagiato. Una volta a casa, dovrò darmi una bella lavata. Può darsi che mi toccherà buttare nella spazzatura questi vestiti».

    Esagerata…

    E comunque, non capisco cos’ha da lamentarsi. Tutta la fatica l’ho fatta io.

    Emano quest’odore con orgoglio!

    «Ehi, ti va di fare un gioco?» mi chiede la mia amica.

    «Perché no? Così ammazziamo il tempo».

    «Bene. Allora… facciamo il Gioco degli Incantesimi».

    «Mai sentito».

    «È piuttosto semplice. Basta che ci siano almeno due persone per giocarci. Uno fa lo Stregone, l’altro la Vittima».

    Ed io penso già di sapere chi sarà la Vittima.

    «Lo Stregone scaglia l’Incantesimo» continua Celeste, «e la Vittima, ovviamente, è destinata a subirlo. Il gioco consiste nel fare in modo che non accada. Così vince la Vittima. In caso contrario, ha la meglio lo Stregone».

    «Sembra divertente. Ci sto».

    «Bene, allora inizio io. Farò lo Stregone».

    Ma dai? Non me lo sarei mai aspettato.

    «O spiriti che infestate le anime degli innocenti» inizia a recitare Celeste, fissandomi seria e toccandomi la fronte con l’indice della mano sinistra «accogliete la mia supplica. Per questo ragazzo, la notte che verrà sarà lunga e piena di tormenti. Che subisca il castigo. Cinque magiche parole apriranno la strada del destino».

    «Però… Ma te l’eri preparata?»

    Lei sorride.

    «Può darsi».

    «Quindi… che devo fare?»

    «Come ho detto, dovrai impedire che il mio Incantesimo ti colpisca. Ma non ci riuscirai».

    «Ne dubito. Non con l’avventura di oggi. Son sicuro che, dopo aver riempito per bene la pancia, mi farò una bella dormita. Altro che “notte lunga e piena di tormenti”».

    «Non sottovalutare lo Stregone, Lucio. Ricordi? “Cinque magiche parole apriranno la strada del destino”. Eccotele».

    Celeste china la testa verso il mio orecchio e sussurra piano piano:

    «Li hai fatti… i compiti?»

    Ah…





    Me li son scordati…





    Mannaia!
     
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    OMG, il semaforo a cucù! :woot:
    Non mi aspettavo che potesse trovare una cosa del genere e devo ammettere che è stato un bel colpo di scena, ancora di più del fatto che non è chiaro il suo funzionamento.

    Non mi sorprende che Lucio non abbia fatto i compiti. :D
    Mi verrebbe da chiedermi quando li abbia fatti Celeste, ma da lei mi aspetto che li abbia fatti, in qualche momento.
     
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    OMG, il semaforo a cucù! :woot:
    Non mi aspettavo che potesse trovare una cosa del genere e devo ammettere che è stato un bel colpo di scena, ancora di più del fatto che non è chiaro il suo funzionamento.

    I misteri di Monte Cono riservano quasi sempre delle sorprese inaspettate XD

    CITAZIONE
    Non mi sorprende che Lucio non abbia fatto i compiti. :D
    Mi verrebbe da chiedermi quando li abbia fatti Celeste, ma da lei mi aspetto che li abbia fatti, in qualche momento.

    Se fai caso, nel secondo capitolo Lucio descrive Celeste come la più intelligente della classe. Con tutta probabilità, li avrà fatti prima di incontrarsi con lui, se non direttamente in classe. :D
     
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    li avrà fatti prima di incontrarsi con lui, se non direttamente in classe.

    Giusto.
     
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    Ecco, scusate il ritardo :D

    Il colpo di scena mi ha stupito, sono sicuro che sia solo il preludio di chissà quanti altri. Un'osservazione: il personaggio di Celeste mi piace particolarmente, secondo me sarà ancora più approfondito nei prossimi aggiornamenti e personalmente lo spero, trovo che possa veramente dare molto
     
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    Il colpo di scena mi ha stupito, sono sicuro che sia solo il preludio di chissà quanti altri.

    Si vedrà :D

    CITAZIONE
    Un'osservazione: il personaggio di Celeste mi piace particolarmente, secondo me sarà ancora più approfondito nei prossimi aggiornamenti e personalmente lo spero, trovo che possa veramente dare molto

    Sono felice che lei ti abbia colpito, perché è un personaggio a cui tengo molto. :D Nella storia ha il suo ruolo e lo compirà come una tigre furiosa XD
     
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    Yes but No.

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    Heilà Ast!! Sto leggendo questa tua nuova opera, sono arrivata al capitolo 3; ti ricordavo in un'altro stile. Forse più cupo e malinconico.

    Motivo per cui sono piacevolmente rimasta sorpresa da questo racconto qui, il tipo di narrazione che hai usato, fresco e scorrevole che lascia piccoli sorrisi tra le righe.

    CITAZIONE
    Ah…





    L’essere stato difeso da una ragazza, tra l’altro disabile, mi colloca, forse, al livello più basso nella scala sociale?

    Dovrei vergognarmene?




    I puntini di sospensione che usi tra i paragrafi, che rispondono alle domande senza che ci sia bisogno di dire nulla, rendono davvero il tutto molto simpatico :D

    Anche se via via, l'intrecciarsi con qualche figura misteriosa, rende la lettura ancora più interessante.


    Riprenderò appena possibile ;)

    Ps. Adoro Celeste!
     
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    Heilà Ast!!

    Heiquà Socia!! :D

    CITAZIONE
    ti ricordavo in un'altro stile. Forse più cupo e malinconico.

    In effetti...

    CITAZIONE
    Motivo per cui sono piacevolmente rimasta sorpresa da questo racconto qui, il tipo di narrazione che hai usato, fresco e scorrevole che lascia piccoli sorrisi tra le righe.

    Già, questa è una storia più semplice (si fa per dire) XD

    CITAZIONE
    I puntini di sospensione che usi tra i paragrafi, che rispondono alle domande senza che ci sia bisogno di dire nulla, rendono davvero il tutto molto simpatico :D

    Grazie :D Ho preso spunto dai vecchi fumetti di Topolino che leggevo da piccolo. I puntini sospensivi, se usati al momento giusto, hanno il loro perché :D

    CITAZIONE
    Ps. Adoro Celeste!

    E ciò mi fa molto piacere :D
     
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    Capitolo 8

    Quattro chiacchiere.



    «Belle le stelle, non è vero?»

    Annuisco.

    «Spettacolari. Mi sono sempre chiesto come fanno a sbrilluccicare così».

    «Dipende da tanti fattori. Nel nostro caso, centra l’altitudine di Monte Cono. Se le si osserva da più in basso, non emettono lo stesso splendore. Specie nelle città. Colpa di smog e luci artificiali».

    «Però si vedono ugualmente. O sbaglio?»

    «Sì. Ma ribadisco, non con la stessa brillantezza».

    «A scuola ho imparato che alcune stelle non esistono più da tempo».

    «È corretto. La maggior parte si sono spente da migliaia di anni».

    «E nonostante tutto, la loro luce continua a raggiungerci. Una cosa che… mi affascina. È come se quelle stelle non volessero essere dimenticate».

    «Questo è un bel pensiero».

    «Ti ringrazio. Ma ora dimmi...» mi guardo attorno «… come ci sono arrivato io qui?»

    Il Forestiero ride pacatamente.

    «Semplice. Stai sognando».

    «A sì? Be’, questo spiega come mai sto seduto sull’altalena» inizio a dondolarmi, «e in pigiama, tra l’altro. Ma non mi illumina sul perché ci sei anche tu. Nemmeno ti conosco. Ti ho incontrato soltanto una volta».

    «Oh, ti sbagli. In realtà, non ci siamo mai incontrati».

    «Bugiardo. È successo giusto ieri».

    «A sì? E in che momento della giornata?»

    «Era notte, me lo ricordo perfettamente».

    «Una notte come questa?»

    Annuisco.

    «Una notte come questa».

    «E dove, di preciso?»

    «Sempre qui, al parco giochi».

    «Interessante…»

    Annuisco una seconda volta.

    «Solo che ieri ci stavi seduto tu qua sopra».

    «E com’ero vestito?»

    «Con lo stesso completo di adesso».

    E sei ancora scalzo, vorrei aggiungere.

    Inoltre, m’innervosisce il modo in cui mi guarda il suo animaletto.

    Mi vedrà forse come spuntino?

    «E ciò non ti suggerisce niente?» chiede il Forestiero, accarezzando con l’indice la testolina della palla di pelo che spunta dal taschino della camicia.

    «Dovrebbe?»

    «Prova a rifletterci su».

    «Uhm…»





    Freno di colpo l’altalena, colpito da un’idea.

    «Forse… pure ieri non è stato altro che un sogno?»

    Il Forestiero applaude.

    «Molto bene, Lucio. Molto bene».

    «Com’è che conosci il mio nome?»

    «Perché questo è il tuo sogno, creato dalla tua testa, la parte del corpo dove risiedono ricordi e informazioni. Infatti, è per questa ragione che non mi azzardo a sedermi sull’altalena della tua amica dalla lingua tagliente».

    E già. Credo che Celeste non la prenderebbe affatto bene, nemmeno in un sogno.

    «Per farla breve, io qui non sono che un ospite» prosegue il Forestiero. «Un ospite molto curioso e, per certi versi, invadente, che sta giocando col tuo cervello».

    «Be’, vorrei che la smettessi. Non si gioca col cervello altrui. È da maleducati».

    «Vero, hai ragione» ride il Forestiero. «Permettimi di presentarmi. Almeno così la smetterai di riferirti a me con l’appellativo “il Forestiero”».

    «Mi leggi nel pensiero?»

    «Più che altro, sei tu a consentirmelo. Sono nella tua testa, ricordi? Ad ogni modo, piacere di fare la tua conoscenza. Io sono Johnjack».

    «Puoi ripetere? Non credo di aver afferrato il tuo nome».

    «Johnjack».

    «Mi serve un piccolo chiarimento. Ti chiami John, oppure Jack?»

    «Il nome è Johnjack. Unica parola».

    «Un nome bizzarro…»

    «Sai com’è. Mi piacevano entrambi, quindi li ho fusi in uno».

    «Questo significa che te lo sei scelto da solo. Non è il tuo vero nome».

    «Diciamo che è quello con cui mi farò conoscere da adesso. Ho avuti così tanti nomi, in vita mia, che non rammento più con quale ho iniziato. Potrà non sembrarti, ma sono molto, molto, molto, molto, molto, molto, vecchio».

    «Sono un mucchio di molto».

    «Normale, quando si è al mondo da tantissimo tempo».

    «Sarà… E quindi, signor Johnjack, che cosa ti porta dentro la mia testa?»

    «Era la maniera più veloce per parlarti dato che, in questo momento, mi trovo a migliaia di chilometri da qui, impegnato in una faccenda alquanto… incatenante. Giungere fisicamente a Monte Conto, per me, è impossibile. Per lo meno, fino ad altre ventiquattrore».

    «E cosa mi devi dire di così urgente?»

    «Ho intenzione di candidarti al titolo di Magus».

    Resto in silenzio a riflettere su ciò che ho appena sentito.

    «Vorrai dire Mago» provo a correggerlo.

    «No. Magus».

    «Che differenza c’è?»

    «I Magus esistono».

    «Tu sei un Magus?»

    «Esatto».

    «E che cosa sarebbe un… Magus?»

    «Un individuo benvoluto dalla Magia, cui essa concede poteri straordinari affinché la aiuti a mantenere l’equilibrio nel mondo. La Magia ama la vita, il Magus ha la capacità di sostenerla. Ma nonostante io sia un Magus, non mi serve di leggerti nel pensiero per captare il tuo scetticismo. Dubiti delle mie parole».

    «L’hai detto tu che siamo in un sogno» riprendo il dondolio. «Nei sogni, tutto è possibile. Perfino l’impossibile. Come la Magia. O questi “Magus”. Nella realtà cose del genere non esistono. Non hanno motivo di farlo».

    «In molti considerano i sogni una sorta di magia. Lo sapevi?»

    «No. Ma questo non cambia la mia opinione».

    «Vorrà dire che te ne darò prova».

    «Cos’hai intenzione di combinare?»

    «Lo capirai da te» Johnjack sorride, poi mi dà le spalle. «E quando sarà, sempre se mi vorrai incontrare finalmente in carne ed ossa, dovrai allora recarti al cimitero di Città Vecchia. Domani. Entro la mezzanotte. Là io sarò».

    «Sai, per essere un forestiero, sei ben informato sulla geografia di Monte Cono».

    Johnjack sorride ma non mi risponde.

    Allora lo faccio io al posto suo.

    «Giusto. Sei nella mia testa».

    S’incammina e solleva una mano per salutarmi, senza voltarsi.

    «Vedi di non mancare».

    Svanisce poi nella nebbia grigia che ingloba l’intero parco giochi.

    Me compreso.

    Quando riapro gli occhi, fatico a capire dove mi trovo. La testa pulsa e mi sento piuttosto frastornato. Per i primi secondi, ho la sensazione di stare ancora sognando. Poi riesco a fare mente locale, e mi rendo conto di essere nella mia stanza, seduto alla mia scrivania, con la guancia poggiata sopra il quaderno e la visuale su Bitorzoluto, il mio bonsai.

    Devo essermi addormentato mentre facevo i compiti…

    Raddrizzo la schiena e mi stropiccio gli occhi. Osservo poi il quaderno. Dovevo rispondere ad alcune domande di Storia e fare un tema di Italiano per domani. Ora, le prime le ho fatte, ma per quanto riguarda il tema, mi accorgo di non essere arrivato a scrivere nemmeno metà foglio.

    Mi secca ammetterlo, ma è tutta colpa di Celeste. Il suo Incantesimo ha funzionato a meraviglia.

    Scommetto che aveva calcolato tutto, ancor prima di propormi quello stupido gioco.

    Scommetto che se l’è pure inventato apposta.

    Che perfida!





    Che ore saranno?

    Uhm…





    Cipicchia, le due passate!

    Sarà meglio andare a nanna. Cercherò – sbadiglio - di finire il tema di Italiano domattina in classe.

    Il barattolo delle mance è a terra. Forse mi sarò agitato nel sonno e l’avrò fatto cadere. Fortuna che non si aperto.

    Evito di inciamparci e m’infilo sotto le coperte, ma non prendo subito sonno. Ripenso al sogno assurdo che ho fatto. La presenza di Forestieri a Passo della Cavalletta deve avermi influenzato parecchio, se la mia testa è arrivata a crearne uno tanto strambo.

    Mi sa che c’è pure lo zampino del Gioco degli Incantesimi. Deve aver dato un tocco di magia al sogno.

    Già, magia…





    Magus…





    Che razza di cipicchiata!

    «’Notte, Bitorzoluto».
     
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