Star wars - Samos

capitolo 1 - Un festino imprevisto

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    In una galassia lontana lontana …

    Capitolo 1 – Un festino imprevisto

    Coruscant. Città delle città. Faro dei pianeti. Vista dallo spazio è geometria, ordine, splendore. Ti sembra quasi di sentire una fanfara di trombe celebrative mentre ti avvicini alla sua atmosfera. Vista in volo radente è caos. Un febbricitante intreccio di razze, linguaggi, cibi, idee. Dicono che vedere Coruscant è come vedere la galassia: impossibile girarla tutta nell’arco di una vita. Puoi iniziare da zero ogni giorno, hai sempre l’occasione di essere un virtuoso cittadino della repubblica, magari di salire per la luminosa scala del successo studiando e lavorando con buona lena, di farti amicizie che espandono i tuoi orizzonti. Oppure, come tanti, puoi scegliere la via breve, più rapida, più seducente. Non c’è bisogno di essere un sith per cadere nel baratro dell’istinto.

    Una lussuosa Flying-limousine bianca snodabile lunga sette metri vola tra i vicoli innevati del polo nord della città-pianeta, a tre metri d’altezza. Nello spazioso abitacolo si sente una di quelle musichette che vanno di moda nei peggiori bar della galassia e i passeggeri emanano diversi profumi, perlopiù di fiori. Fulmini viola si ramificano in tutta la zona. Il droide protocollare alla guida del velivolo afferma con tono allarmato: «Bzz … non c’è problema, la tempesta finirà nell’arco di quattro … ore … bzz». Un coro di lamentele in varie lingue si leva dalla zona passeggeri. Per giunta la musica rallenta di colpo e si interrompe. Un ragazzo magro e ben vestito si alza in piedi sistemandosi la lunga frangetta nera e dice: «Quattro ore?! Non esiste! Dobbiamo essere tutti alla sfilata tra meno di mezz’ora. Droide, apri la portiera sul retro». Il droide gira la propria testa di 180° e gesticola spiegando: «Viste le condizioni meteorologiche, chiunque esca da questo mezzo ha il 34% di probabilità di morire folgorato entro dieci secondi, per non parlare di un’esposizione alle intemperie più prolungata». Il ragazzo attraversa il corridoio tra i passeggeri seduti ai lati, si sporge verso la zona guidatore e spegne il droide, preme un pulsante giallo per sbloccare la portiera a poppa, ritorna nella zona passeggeri osservato dai presenti, apre la portiera di poppa e il forte vento gli pettina all’indietro i capelli rivelando il suo bellissimo viso, dolcemente spigoloso.
    Lui guarda verso il basso, indeciso. Una ragazza dalla pelle magenta e dalle piccole corna bianche sulla nuca è seduta vicino alla portiera. Lo prende per il polso sinistro con entrambe le mani e gli dice concitata: «No! Aspetta! Ci saranno altre sfilate. Sei ancora giovane, avrai tante occasioni per farti notare. Come ti chiami?». Il ragazzo non le risponde. Inizia ad andare sicuro verso l’uscita e la ragazza magenta lo trattiene a stento, ma quando entrambi giungono pericolosamente vicini ai fulmini lei si spaventa e si ritrae lasciando di scatto la presa, facendolo cadere in avanti. “Fama e gloria, arrivo” pensa il ragazzo mentre cade verso la strada innevata, pronto ad atterrare. Un fascio di fulmini si abbatte su di lui, folgorandolo a mezz’aria.
    Il suo corpo impatta a faccia in giù sulla neve, carbonizzato. Lo spettacolo della sua morte è visto da tutti i passeggeri attraverso il pavimento trasparente della limousine. In un attimo di sconcerto, tutti si alzano in piedi e si ammassano verso la zona guidatore per mettersi al riparo. «Come chiudiamo la portiera?» chiede qualcuno nel mucchio. «Riaccendiamo il droide, la chiuderà lui» dice qualcun altro. Il droide viene riacceso e portato di fronte alla portiera di poppa. La ragazza magenta gli ordina: «Droide, chiudila». Il droide avanza con passo incerto, si sporge per chiudere la portiera e viene colpito da tre fulmini. Tutti gli strumenti elettronici a bordo vanno in corto circuito emanando brevi scariche. Il droide rimane attaccato alla portiera e cadendo verso il basso la chiude involontariamente, atterrando poi sul cadavere del ragazzo. Cala il silenzio. Guardando fuori dai finestrini insonorizzati i passeggeri vedono una tempesta muta e i lampi circondano la limousine come se cercassero di trovare un qualche minuscolo pertugio da cui entrare. Uno dei passeggeri, un chagrian blu dalle lunghe corna brune, rompe il ghiaccio: «Quattro ore, signori e signore, solo quattro ore di attesa, o magari meno. Niente che non si possa risolvere con un visore a realtà virtuale e qualche buon gioco. Ed ecco che …». La ragazza magenta lo interrompe: «È appena morto un ragazzo e tu pensi a questo? Comunque ci sono interferenze elettriche, il mio portaricordi olografico non funziona». Il chagrian prova a indossare il proprio visore e incrocia le dita: «Andiamo… andiamo… Ah! Maledetto. Non va». C’è un attimo di silenzio imbarazzante e tutti si siedono ai propri posti. Il chagrian: «E se ci sentissimo un po’ di musica?». La ragazza magenta: «E con cosa? Niente elettricità, hai presente? Non possiamo fare niente, nemmeno leggere un libro elettronico». Il chagrian guarda in basso verso il ragazzo carbonizzato e dice: «Potremmo pregare per la sua morte». La ragazza magenta si alza in piedi infastidita: «No, scusate, ma ogni volta si finisce sempre per litigare. Ci sono migliaia di religioni qui su Coruscant, quindi per il quieto vivere è meglio non fare niente, o magari ognuno preghi dentro di sé, mentalmente». Detto questo si rimette a sedere per timidezza.
    Un jawa, un basso esserino incappucciato di cui si distinguono solo gli occhi arancioni luminescenti, dice lentamente con voce stridula e rauca: «Potremmo fare una cosa nuova, potremmo raccontarci delle storie … ». Una donna umana di mezza età molto ben curata risponde eccitata: «Uh, storie, che bello! Come i selvaggi. Ho sentito che nei pianeti senza tecnologia la gente parla in continuazione e ricorda interi libri a memoria, libri scritti su carta o addirittura su pelli di animali». Il jawa: «O pelli di … persone …». Tutti guardano il jawa con apprensione, poi scoppiano a ridere nello stesso istante. Qualcuno dice: «Ah, ma dai. Pelli di persone. Ma stai zitto, ah ah». Il jawa: «Ok, se vuoi sto zitto». «No, era per dire. “Ma zitto”, nel senso che fa ridere, ecco, se vuoi continua». Si sente un tuono talmente forte da oltrepassare percettibilmente i vetri insonorizzati. Il velivolo trema e tutti alzano le spalle abbassando la testa d’istinto. L’atmosfera si fa pesante e goccia dopo goccia inizia a piovere, a dirotto. Il jawa: «Allora, la volete sentire una storia? … ». I passeggeri, un po’ per il singolare carisma del jawa, così misterioso nel suo cappuccio, un po’ perché non hanno altro da fare, sono tutt’orecchi. « … È una storia di poteri jedi e sostanze vietate …». Qualcuno solleva appena i palmi facendoli tremare e dice: «Uuuuh», a metà strada tra lo spaventato e l’ironico. Il jawa dice: « … Vi siete mai chiesti come fanno i jedi a essere sempre lucidi, scattanti e rapidi?». La ragazza magenta risponde: «Lo sanno tutti. I midichlorian. Sono batteri simbionti che gli danno capacità speciali». Il jawa: «E secondo te di che cosa si cibano i midichlorian? Droga, te lo dico io». Tutti ridono. La ragazza magenta è divertita; mette le mani avanti facendo cenno di frenare al jawa, dicendogli: «Aspetta, aspetta. Non so da dove vieni, ma in questo pianeta le droghe sono illegali. In alcune situazioni è illegale anche solo parlarne».Il jawa: «Dubito che qualcuno ci senta, dato che siamo nel bel mezzo di una tempesta elettrica. Niente registrazioni». La ragazza magenta: «Ma potrebbero vederci e leggere il labiale». Il jawa: «Finché sui finestrini scorrerà acqua nessuno potrà vederci con precisione, sembra che non smetterà di piovere per un bel po’. E poi quello che ho nello zaino non è stato dichiarato nell’elenco ufficiale delle droghe, per cui è perfettamente legale».
    «Miao».
    Un timido miagolio. Tutti si guardano attorno per capire da dove viene. Il jawa estrae dal suo zaino un piccolo felino bianco dagli occhi blu scuri e se lo mette tra le braccia. La ragazza magenta si impietosisce: «Ooh… ma che carino. Me lo fai tenere?». Il jawa: «Se mi dai cento crediti te lo faccio toccare per dieci secondi». E lei: «Cosa?!». Il jawa, un po’ infastidito, risponde: «Succede sempre così con le nuove droghe. Bisogna dare una dimostrazione le prime volte». E lei: «Ferma, ferma. Mi stai dicendo che hai cosparso questo felino di una qualche polvere che fa effetto a contatto?». Il jawa passa una mano sul dorso del felino contropelo e poi dice: «Visto? Niente polverine». Lei prende un fazzoletto nero dalla sua borsetta, lo passa sul felino, poi lo annusa e lo guarda da varie angolazioni, anche controluce e poi guardando il jawa gli dice: «Sembra che non ci sia niente. Scommetto cento crediti che se lo tocco non mi succede niente». Il jawa si alza in piedi sul suo sedile tenendo il felino e dice: «Avete sentito tutti? Scommessa accettata. I soggetti della scommessa siamo io, ovvero Kaptaichi, questo felino, ovvero Samos e tu … come ti chiami?». La ragazza magenta: «Zaya». Lei si alza dal suo sedile e allungando le braccia dice: «Ok, dai qua» . Il jawa: «No, no. Devi stare seduta o cadrai». E lei per niente convinta: «Sì … va bene, come no». Lei si siede e il jawa le passa il felino. Kaptaichi la guarda nascondendo un ghigno sotto il cappuccio e le dice: «Immagina un suono, ma è un suono che si sente con il cuore, questa è la forza». Zaya: «Chi ha parlato?». L’intero universo si mette a girare dentro di lei e le stelle tracciano linee eleganti tintinnando … Si sente in quest’ordine gli occhi bruciare, le labbra raffreddarsi e le mani sparire al tatto.


    Edited by CB-PR - 15/6/2017, 20:39
     
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    Innanzitutto, è un grosso mattone, nel senso che esteticamente è un unico blocco, e l'impatto visivo ne risente. La storia è vista in maniera diversa da quella che avevi già postato, ma a quanto capito il succo rimane lo stesso. Lo vedo migliorato come stile sintattico.
     
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  3. Correttoredibozzeperromanzi
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    grazie :) vedrò di scrivere spezzando un po' d'ora in poi
     
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    Compimenti, anche secondo me è più fluido e dettagliato di prima, bravo, continua così e credo proprio che verrà fuori una gran bella storia.
     
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  7. Correttoredibozzeperromanzi
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    ... In questo momento, al tempio jedi di Coruscant, l’ologramma del piccolo felino viene proiettato al centro della sala del consiglio …
    «Sento un fremito nella forza». «Qualcosa di positivo, spero». «No, maestro, provate a focalizzarvi sul futuro. Sento miliardi di vite … imploreranno aiuto, e la causa è connessa a questo felino, o forse è proprio lui che in futuro …». «Il destino non è scritto». «Ma come è possibile che vi sfugga un segnale così chiaro? Concentratevi. Come fate a non sentire?». «E che cosa dovremmo fare? Ucciderlo, forse? Vogliamo passare da difensori dei deboli ad assassini di neonati?». «No. Penso che dovremo limitare la sua libertà». «In prigione senza processo né colpevolezza, intendi?». «Calma, ordine, ordine! Propongo che sia trovato ed esaminato. Che vengano scelti due padawan e che vengano mandati a incontrarlo». Nella sala gli anziani pongono il loro sguardo su due padawan, due gemelli umani. Hanno capelli biondi rasati, profilo greco e occhi castano chiaro. Il primo, Gaw, è vestito con una tunica color avorio e il secondo, Falaric, seduto alla sua sinistra, è vestito con una tunica beige scuro. Un anziano del consiglio, simile a un porcospino, si alza a fatica e dice: «Gaw, Falarik, questa è una missione per voi due. Siete ancora padawan, ma la vostra resistenza agli influssi mentali è notevole e adatta allo scopo. Osservare e parlare: non vi chiediamo nulla di più. Intanto facciamo eliminare tutte le copie di questo video dalla rete, ma non sarà facile. C’è sempre qualcuno che salva i propri video in locale».
    I due padawan escono dalla sala e si incamminano per i corridoi del tempio. Prendono un ascensore e Falaric preme il pulsante per scendere al piano terra. Gaw incrocia le braccia, guarda verso l’alto con noncuranza e dice: «Non so tu, ma io non sento niente». Falaric percepisce che Gaw sta usando la forza per apparire calmo e, continuando a guardare dritto verso lo spiraglio tra le due ante della porta dell’ascensore, risponde: «Nemmeno io. Hai mai pensato che c’è un limite tra anzianità e vecchiaia?». Gaw ci pensa un po’ su e poi inizia a ridere, ma è una risata finta, e Falaric se ne accorge. Falaric: «E la nostra missione sarebbe di percepire la forza di quel piccolo felino a chissà quanti anni luce di distanza fino ad avercelo davanti in persona? Non va bene. Dovremo meditare, e molto, e in caso non trovassimo niente, dovremmo spostarci in un altro quadrante della galassia, meditare ancora e così via. Non sarà una passeggiata». Gaw: «Dividiamoci. Gli anziani ci hanno detto di cercarlo, ma non hanno specificato di farlo insieme».
    Le porte dell’ascensore si aprono velocemente. Falaric e Gaw attraversano il portico d’accesso al tempio, dalle imponenti colonne, e giungono all’uscita. File di macchine volanti si stagliano contro il tramonto. Falaric si ferma e dice: «Va bene. Io percorro la galassia in senso orario e tu in senso antiorario».
    Passa un mese.
    Gaw e Falaric sono a molti quadranti di distanza l’uno dall’altro e stanno meditando nella posizione del loto ognuno a bordo della propria navicella, nel buio spaziale puntinato da astri lontani. Essendo gemelli le loro forze sono collegate strettamente anche a grandi distanze. Gaw usa la sua forza per percepire le intenzioni di Falaric, e Falaric dice sia mentalmente sia con la sua voce: «Io non ho trovato niente, e tu?». Gaw risponde a fatica: «Nemmeno io. Niente». Falaric percepisce nervosismo in Gaw, e inventa subito una scusa per andare a fargli visita dalla parte opposta della galassia. Falaric: «Ti sento in pericolo. Tutto bene? Sto arrivando. Adesso sposto tutta la mia attenzione sul mondo materiale: devo pilotare, e in fretta. Tieni duro». Gaw va in agitazione, perde la concentrazione e non riesce a parlare mentalmente, così usa la radio e dice ad alta voce: «No! Ma che cosa … Non venire! Falaric! Sto bene!». Ma la frequenza di Falaric è disturbata … da Falaric. Gaw si concentra. Nessuna risposta mentale da suo fratello, che fa dei rapidi calcoli prima di andare in modalità iperguida. Passare dal centro della galassia è fuori discussione, quindi decide di andare al di sopra di essa e poi fare un secondo salto verso la posizione di Gaw. Falaric guarda le stelle stirarsi all’infinito davanti a sé mentre supera la velocità della luce. Salto completato, destinazione raggiunta. Virando a destra ammira lo spettacolo degli spettacoli. La galassia è tutta lì davanti a lui. Miliardi di vite contro una. Secondo salto. Gaw vede la navicella di Falaric schizzare fuori dal buio e fermarsi, sente che la frequenza non è più disturbata e dice: «Eccoti, Falaric, mi sei mancato, ma sei venuto fin qui per nulla … aspetta … Il felino. Sento la sua presenza». Falaric dice con finta apprensione: «Ho problemi coi motori, non riesco a ripartire». Gaw bluffa: «Non ti sento bene, ripeti». Falaric (usando il suo potere mentale): «Ho problemi con la mia navetta, non parte». Il monitor di bordo di Falaric indica “nessun problema rilevato”, ma Gaw non lo sa. Gaw guarda il proprio indicatore di ossigeno che segna “83%” e dice: «Mi dispiace, vorrei aiutarti, ma sto finendo l’ossigeno. Devo atterrare su Hoth a fare il pieno. Spero tu ne abbia abbastanza. Tieni duro, non sprecare ossigeno. Sarò di ritorno tra breve». I motori della navetta di Gaw si illuminano mentre lui parte. Falaric rimane calmo nella sua astronave, in attesa che Gaw ponga la sua attenzione mentale dovunque tranne che su di lui. Gaw rimane in orbita e va dall’altra parte del pianeta. Entrambi percepiscono che il felino sarà presto in vista.
    Gli occhi blu scuri del piccolo felino sono in ammirazione verso ciò che lo circonda, oltre il suo cappuccio di tela grigio: le dune di neve lambite dal forte vento di Hoth e un’enorme nave cargo, vagamente a forma di balena, recante un logo che copre tutta la sua fiancata sinistra:“ic-59”. Migliaia di casse vengono caricate all’interno della nave per mezzo di droidi operai simili a grandi scorpioni. Le stanze interne tirate a lucido, felini che parlano di nuove droghe e di un carico importante. «Col nuovo dispositivo non c’è problema. Passeremo inosservati, e per di più il nostro tragitto non è su rotte commerciali né militari». «E se qualcosa andasse storto a chi chiederemo aiuto?». «Aiuto?! Se ci scoprono finiremo in carcere a vita, o peggio. Chiedere aiuto non è un’opzione». La nave cargo dà ai suoi occupanti, tutti felini, un gran senso di sicurezza. Decollo. Ed è subito spazio.
    Gaw e Falaric vedono la ic-59. Falaric accende i motori e parla via radio con Gaw. Falaric:«Ci hai messo poco a ricaricare l’ossigeno». Gaw: «Basta chiacchiere, scopriamo le carte. Mi stai dando ai nervi. Se fossi io a dovermi sacrificare per miliardi di vite lo farei. Forse con riluttanza, ma alla fine lo farei». Falaric: «Ma tu non sei lui». Gaw: «La forza parla chiaro, è un sith. Non agire per il male minore significa agire per il male maggiore». Falaric: «Non costringermi a scegliere tra te e lui». Le navicelle di Gaw e Falaric iniziano a darsi battaglia, entrando in un turbinante gioco mortale. Gaw ha previsto questa situazione ed è dotato di quattro cannoni laser, di cui due abilmente nascosti. Falaric, che ha sperato in una soluzione pacifica fino all’ultimo, ha solo due cannoni laser e fa il meglio che può, accelerando fortemente. “Ti conosco, fratello” pensano entrambi. Gaw viene colpito a un reattore e urla: «Miliardi di vite! Miliardi! Sai contare? Una vita non può valere tanto! Sei offuscato dal suo potere mentale. Quel felino sarà la nostra rovina». Falaric: «Non sarà la rovina di nessuno. Le persone possono cambiare». Gaw: «È troppo forte. Ti sta controllando. È ora di finirla». Lampi di laser rossi. Comunicazioni concitate via radio: «Navette repubblicane, qui cargo ic-59! Non sparate! Siamo davanti a voi!». Risposta di Falaric disturbata da un forte rumore di fondo: «Davanti a noi dove?». «Davanti ai vostri cannoni laser! Siamo in linea di tiro». Falaric: «Negativo, non vediamo niente». Gaw risponde: «Lo vedo, anzi, lo sento, è qui davanti». Gaw spara. Bagliori di laser nel buio. Solo le stelle come testimoni. A bordo della ic-59 si avverte il colpo e tutto trema. I laser creano esplosioni abbattendosi sulla nave cargo, dotata di dispositivo occultante. Falaric ne intravede appena i contorni, ma è troppo tardi. Impatta contro la nave cargo e muore sul colpo. Gaw non ha il tempo di disperarsi, è troppo impegnato a pilotare. Tenta di sparare ancora sulla ic-59 ma i suoi cannoni laser si inceppano. Gaw: «Se vuoi una cosa fatta bene, falla con le tue mani». Posiziona la sua astronave vicino alla coda della ic-59 e rispolvera le sue doti da hacker. Le sue dita pigiano rapidamente su un tastierino e dopo qualche minuto su uno dei suoi piccoli schermi compare una scritta “porta bersaglio 1 aperta”. Gaw esulta stringendo un pugno, come afferrando la vittoria «Sì». La ic-59 è ancora invisibile e Gaw pilota guidato dalla forza. Dopo una serie di porte a tenuta stagna, lui si ritrova in un grosso deposito senza luci, pieno di scaffali e casse metalliche fissate tra loro con cavi neri. I fari della sua navetta illuminano le pareti bianche. Usando il tastierino, Gaw, richiude la porta e fa un rilevamento sulla vivibilità dell’ambiente. “Ossigeno nell’ambiente esterno 16%”. Lui esce dalla navetta, trovandosi in un ambiente senza gravità; accende la sua spada laser bianca per sicurezza e viene subito subissato da una pioggia di colpi laser arancioni che, essendo le uniche fonti di luce dell’ambiente oltre ai fari della navetta, creano un’illuminazione psichedelica attorno a Gaw. Una parata, un’altra parata, una decina di colpi vengono ribattuti ai mittenti in una piroetta, uccidendoli. Un colpo sfiora il suo occhio sinistro, facendogli perdere la concentrazione; un altro colpo gli trapassa lo stinco destro, facendolo urlare, seguito da un colpo fatale alla gola. Gaw muore con gli occhi aperti. La sua spada laser si spegne, gli sfugge di mano, e continua a ruotare lentamente a mezz’aria. Un felino adulto si avvicina e la prende, poi si avvicina al cadavere di Gaw e dice: «Un jedi. Questo lo conosco. L’ho visto in un video». «E da quando i jedi si occupano di sostanze illegali?». «Non ci riguarda, ormai è morto. Dobbiamo riparare i danni e rimetterci in viaggio». «Riparare i danni? Andiamo in sala comandi, ti faccio vedere quanti danni abbiamo subìto». Intanto la ic-59 continua inesorabile ad andare alla deriva.
    Sedici anni dopo.
    Samos ha un paesaggio virtuale fatto di cascate al rallentatore e colibrì riflesso nei suoi occhi blu scuri. Niente musica, solo rumori d’ambiente. "Sette ore di fila possono bastare. É ora di alzarsi". Si sfila il casco VR alzandosi in piedi. Lo lascia rotolare sul tavolo mentre la sua console gli dice: «Arrivederci condottiero. Beep beep». Samos apre la porta scorrevole della sua stanza premendo un tasto sulla parete, si mette a quattro zampe sul pavimento metallico della sala comandi e corre lungo il corridoio principale.
    Una falcata, due falcate, - le conta. É lungo un metro e settanta e ha un fisico asciutto e scattante - sessantatré lunghe falcate. Un finestrone in vetrometallo, il confine del suo mondo, è lì, a due centimetri dai suoi occhi. È tutto lì. Finito, come ogni giorno. Appoggia la fronte al finestrone freddo e chiude gli occhi, mentre la condensa si crea su di esso ed evapora ad ogni suo respiro. Fuori, l’oscurità, poche stelle solitarie, ammassi di gas grigio scuro e qualche asteroide nero. Samos è cresciuto lì, a bordo della ic-59, e adesso è in un’area disabitata dello spazio profondo tra una galassia e l’altra. Per quanto ci speri ogni volta, la nave non si allarga nemmeno di un centimetro. Sempre troppo stretta per viverci. Lui ripercorre la strada in senso inverso, giù di morale. In qualche minuto è di nuovo lì, nella sua stanza, davanti al suo casco VR, uno dei due modi per liberarsi. Mette il casco VR in un cassetto, si passa una zampa sul muso, mette un paio di cuffie e prova a collegarsi ad alcune frequenze casuali libere per parlare col primo estraneo disponibile in “audiochat casuale”. Le scritte del programma audiochat sono piccole e fosforescenti su sfondo nero e l'interfaccia minimale con sottili linee grigie scure. Per un curioso fenomeno quantistico, con quel programma si può parlare in tempo reale con utenti in tutto l’universo, ma non si può scegliere con chi parlare. Una volta chiusa una comunicazione non ci si può più collegare con la stessa persona, a meno che non si abbia una fortuna incalcolabile. Praticamente è un giocattolo. Gli utenti parlano in lingue bizzarre e, nel caso fortunato in cui parlano nella lingua della repubblica, chiacchierano di cose a lui incomprensibili, come: «Sono al bar e c'è folla... ho in tasca una carta magnetica con pochi crediti e voglio regalare qualcosa alla mia ragazza ... sono stata a un paio di concerti questo mese ... maledetti ingorghi ...».
    Ogni volta che Samos sente la frase "Siamo usciti in giro a divertirci", sente pulsare dentro di sé un odio vago e indefinito. La circonferenza esterna del suo campo visivo si oscura e si sfoca. Poi, cambiando frequenza, una voce di bambino.
    TheKidd9: «Coff coff. Ciao. Da dove parli?».
    Samos: «Dalla nave cargo ic-59».
    TheKidd9: «Ah, sei in viaggio, bello, e dove andate?».
    Samos: «Da nessuna parte, siamo qui bloccati, da sempre».
    La sua mente ripercorre tutte le centinaia di volte in cui ha detto quella frase agli estranei di passaggio in audiochat. A volte con calma, cercando di essere persuasivo, chiedendo aiuto, a volte urlando e infine insultando.
    TheKidd9 fa una pausa e poi dice: «Forse posso aiutarti. Mio padre lavora nel settore importazioni/esportazioni, se mi dici dove ti trovi possiamo mandare qualcuno a prenderti, se non sei troppo lontano».
    Samos sospira: «Non sappiamo dove siamo, la mappa di bordo è rotta».
    Il bambino risponde subito prendendo in mano la situazione: «Facciamo una cosa. Fotografa il cielo e inserisci la fotografia nel database di ricerca. Traccerai la tua posizione in un minuto»
    Samos: «Abbiamo una sola macchinetta videografica ed è rotta, e poi qui siamo in una nube di gas grigio. Si vede qualche stella, una galassia in lontananza e niente di più. Puoi farmi un favore. Hai un droide?».
    TheKidd9: «Sì, ne ho due».
    Samos: «Potresti metterne uno a spiegarmi come funziona una nave cargo e come ripararla?».
    TheKidd9: «Senti, mi stanno chiamando per giocare online. Se non rispondo subito mi cacciano dalla squadra, ci sentiamo, mantenete viva la speranza».
    Samos guarda verso il basso socchiudendo gli occhi, si passa una zampa sulla fronte e risponde ironico: «Certo...come no»
    Colazione e cena sempre uguali, sempre le stesse tre verdure trasparenti e, fortunatamente, acqua pura riciclata alla perfezione. Nei suoi sedici anni di prigionia Samos ha visto due passeggeri suicidarsi prendendo grosse manciate di pillole anti chinetosi. Altri si sono suicidati mentre lui stava dormendo o giocando nella saletta VR.
    Qualcuno bussa alla sua porta. «Samos, vieni a fare i compiti». Gli dice sua madre. «E i compiti per cosa? Non diventerò mai nessuno perché noi non usciremo mai di qui. Almeno, non da vivi». La donna entra di fretta nella stanza e risponde: «Non usciremo mai di qui … ma solo se non diventerai nessuno. Devi capire come funziona questa nave. Tu sei giovane, puoi farcela». Samos la guarda con pietà e dice distaccato: «Dubito che un libro di matematica per bambini nasconda chissà quale segreto. È tutto ciò che abbiamo … Ho chattato con molte persone. Dicono che non c’è speranza. Non abbiamo una guida in linea, né un droide, e nemmeno un manuale delle istruzioni cartaceo. Potevamo vivere in un paese in guerra, o devastato da qualche catastrofe naturale. Invece siamo qui bloccati. Poteva andare peggio. Abbiamo il necessario per sopravvivere». La felina, al sentire queste parole, inizia a indietreggiare un passetto dopo l'altro uscendo dalla stanza, abbattuta, con le spalle tremanti e lo sguardo vitreo. Samos aspetta freddo che lei esca e chiude la porta scorrevole premendo un tasto sul muro, rimanendo solo. Regola il volume dell'insonorizzazione della stanza su “muto”, si lascia cadere sul suo letto e piange. Corpo senza abbracci, occhi senza cielo. Si ricorda di quando era piccolo. I suoi genitori lo portarono lì, nella saletta VR, e gli dissero: «Questo casco è un dispositivo di viaggio istantaneo, puoi usarlo solo tu». E lui:«Posso portare i miei asciugamani nel viaggio?». E ancora: «Perché non viaggiamo tutti insieme?». Per sua fortuna ci mise molti mesi a capire che era solo un casco VR. Così ebbe una felice, seppur breve, infanzia.
    Prende a pugni il muro di titanio della sua stanza con tutta la sua ira. Minuscole scariche di energia zampillano dalle sue nocche. Non le vede.
    La parte abitata della ic-59, la testa, ha gravità artificiale, un microclima, un ciclo giorno/notte e una grossa cella ad ecosistema veloce, ricambio d'ossigeno di precisione pilmeriana, un reparto agricoltura autonomo e una mensa automatizzata. La sua cella di alimentazione può andare avanti tranquillamente per secoli senza alcun black-out, danni strutturali a parte. E ce ne sono svariati.
    Riunione giornaliera. Quando si sta tutti insieme gli stridori metallici della nave, che si sentono di tanto in tanto, sembrano meno agghiaccianti. I sette passeggeri della nave, tutti felini, sono seduti al tavolo a forma di falce di luna della sala comandi. La piccola luce sopra al centro del tavolo dà la sensazione di essere in un terzo grado. Negli anni, sono passati gradualmente dal proporre rischiose soluzioni tecniche improvvisate, allo sperare, fino al pregare i loro dei. «Un corso di ingegneria tramite la chat audio casuale. É l'unica speranza». Dice Jumak, il più adulto del gruppo, alzandosi. Ha settant'anni, pelo grigio e occhi gialli, e il suo sogno segreto è di morire sulla terraferma. Un pianeta qualsiasi gli andrebbe bene. Samos rimane seduto, intreccia le dita dietro alla nuca, tenendo i gomiti alti, e risponde seccato: «Un corso via audiochat? Già provato. Nessuno sprecherebbe cinque anni per aiutare una persona che non ha mai visto in faccia. E poi gli ingegneri non si collegano in audiochat. É roba per curiosi perditempo, niente di più. Ho anche chiesto a un ragazzino di piazzare un droide come insegnante davanti al suo microfono, ma per ora niente. L’idea non era male. Sarà per un’altra volta». É il momento raggelante giornaliero. Ci sono quasi abituati. Jumak risponde perentorio: «Va bene, allora, se non ci sono altre proposte, tutti al deposito. Coraggio, è il giorno buono per cercare qualcosa che ci aiuti a liberarci».
    Il deposito della ic-59, nella pancia della balena di metallo, ha proporzioni enormi. Si sviluppa su duecento piani, ognuno largo tre chilometri quadrati e alto dieci metri. Per vari motivi di logistica il deposito non ha un sistema di illuminazione né gravità artificiale né ricambio d'aria. É concepito per essere riempito e svuotato da droidi scaricatori che dovrebbero arrivare a bordo dopo un eventuale atterraggio. I sette stanno attenti a non creare ingorghi di casse, cavi e prodotti fluttuanti, ma di tanto in tanto qualche cassa fa la sua comparsa dal buio come un estraneo in agguato. Jumak ha un passepartout per aprire le casse e lo tiene gelosamente al collo tramite una cordicella di nastro adesivo intrecciato. Ognuno dei sette porta un elmetto grigio con un faretto frontale e il loro fluttuare crea lunghe ombre minacciose nel pulviscolo tra gli scaffali. La scarsità di ossigeno rende la perlustrazione un'esperienza ansiogena. Senza farsi notare, Samos spegne il suo faretto, si nasconde dietro a una cassa e sussurra con voce ansimante: «Aiuto». Nel deposito ogni suono crea un eco sinistro e Chana, l'unica giovane felina a bordo, chiede preoccupata. «Lo sentite? É di nuovo lui». Quando Samos si nasconde nell'ombra e punta Chana, lei diventa subito impressionabile, come regredita alla preadolescenza. Lui usa inconsapevolmente la forza, per confondere la mente di lei. L'ennesima scatola è aperta e al suo interno ... niente. Sono anni che tentano la sorte e, come dei giocatori d'azzardo a cui non ne va mai bene una, i sette si sentono svuotati dall'interno ad ogni tentativo fallito. Ogni cassa dice beffarda "Potreste vivere come gli altri … oggi no". Samos si arrabbia: «Tutte queste casse sono piene di erbe secche e cianfrusaglie elettroniche inutilizzabili, stiamo perdendo tempo». Jumak gli risponde pronto: «Sentiamo, hai di meglio da fare?». Passa qualche ora lì e poi, sentendosi mancare il respiro, decidono che è ora di tornare nella sezione alloggi. Chana ha un barlume nei suoi occhi verdi e dice: «Ancora un ultimo tentativo. Questa cassa. Questa qui». Jumak raggiunge la cassa con un balzo, fa scattare la sua serratura e dentro di essa trova un grosso manuale cartaceo con copertina grigia e scritte nere intitolato "Problemi tecnici". Chana lo prende ed esulta fiera: «É arrivato il momento di studiare questo libro!». E urla di gioia «E vai!».
    2-PROBLEMI TECNICI
    Il manuale è sul tavolo della sala comandi. Samos lo sfoglia e sua madre lo accudisce mettendogli una zampa sulla testa. Gli dice con amore: «Che cos’hai? Ti vedo teso. È qualcosa che riguarda il manuale? È difficile? Vedrai che prima o poi ne capiremo di più». A Samos si rizza il pelo e risponde: «Com’è il mondo là fuori? Ci sono pericoli? Come farò a sopravvivere?». Madre: «Non sarai solo, ci daremo una mano l’un l’altro». Samos passa qualche ora a studiare e poi si chiude nella sua stanza. Pensa che un giorno, forse nel giro di una decina d'anni, lui e i suoi compagni capiranno come aggiustare la nave cargo e sbarcheranno su un pianeta. E ha paura. Si ritrova da solo in un deserto di sale. Tutto sembra più difficile rispetto alle sue solite simulazioni virtuali. I nemici sfoderano abilità e velocità migliorate. Un serpente metallico gli striscia veloce alle spalle e lo morde al collo. Lui sente un dolore lancinante. Prova a togliersi il casco VR ma si accorge di non indossare alcun casco. Cerca di urlare “aiuto”, ma la voce gli si blocca in gola. Si sveglia. É sul suo letto. Dà un'occhiata alla scrivania. Il casco VR è lì, spento.
    Passa un giorno. Risvegliarsi ha finalmente un senso, grazie al manuale. Le azioni della ciurma sono scandite da un ritmo pieno di speranza. Una parola nuova, non usata da tanto tempo: «Buongiorno».
    A cena si parla del primo capitolo del manuale e tutto va bene. Jumak corre un po’ troppo con la fantasia: «Il momento dell’atterraggio sarà la più bella esperienza, poi inizieremo a litigare, garantito». Chana si alza ed esce dalla sala cercando di non sembrare affrettata. Jumak finisce il suo discorso dicendo: «… e ricorda, Samos, per quando saremo liberi, che la musica è vietata dagli dei». Samos risponde stufato: «Miao! Ma me lo dici ogni volta? Tanto non so nemmeno che cos'è la musica. Hai detto che è una cosa che ti fa muovere e che ti accelera il battito cardiaco. Vuoi dire che è una specie di caffeina? Uno stimolante? Una droga?». Jumak si rilassa: «È una cosa che fai bene a non sapere. Attento all’audiochat. Se senti colpi, fischi o applausi ripetuti, disconnettiti». Ripone il manuale in un cassetto come una reliquia. I sei rimasti nella sala cenano e poi vanno ognuno nel proprio alloggio.
    Nella sua stanza Samos si collega in audiochat sperando di trovare qualche ragazza con cui farsi bello. Si sintonizza su frequenze a caso finché non sente la voce di due giovani feline. Il loro nome utente compare in rosa: Floriah18 e Blippy18. Samos sfoggia una voce suadente e profonda, per quanto può, vista la sua giovane età, e chiede: «Disturbo?». Le due ragazze smettono di parlottare tra loro e una delle due dice: «Ma che bella voce, ma wow, fammi indovinare, hai venticinque anni? Anzi... uhm.. facciamo venti?». Samos sorride scoprendo appena i denti: «Fuochino. Di che cosa stavate parlando?». Le due ragazze rispondono all'unisono con tono beffardo: «Di tutto e niente». Samos si mette comodo sulla sua poltroncina in gomma: «Da dove parlate?». Floriah18:«Meglio non dirlo, dovrei essere a lezione adesso». Blippy18:«Anch’io. Parlaci di te per primo». Floriah18:«Come mai il tuo nome utente è scritto in rosa?». Samos: «C'è qualche legge che mi impedisce di scrivere il mio nome in rosa?». Blippy18: «Ahah, Floria, touché per il ragazzo del mistero. Ciò che non si può avere è sempre l'oggetto del desiderio». Samos assume un'espressione interrogativa, poi sorride e dice:«Non ho capito niente, ma va bene così». Floriah18:«Dicci della tua giornata tipo». Samos: «Io... sono qui... da tanto tempo - guarda tristemente verso il basso - sono il capitano di questa nave cargo e gestire le cose in fondo è sempre uguale». Blippy18 e Floriah18 rispondono all'unisono: «Capitano? Ma fammi il piacere...». Il computer emette una voce sintetizzata:«Utenti disconnessi». Samos si toglie subito le cuffie e le butta sul tavolo con rabbia. Poi, sentendosi solo, le indossa di nuovo. «Nuovo utente connesso su frequenza locale», dice il computer. Il nome è in verde. "RagazzaAnonima-ic-59". Samos legge sorpreso: «ic-59?! Chana, sei tu?». Chana risponde allegra: «Il passeggero Samos è pregato di recarsi immediatamente all'osservatorio astronomico».
    Samos attraversa nervosamente a passo svelto il lungo corridoio che collega gli alloggi all'osservatorio. Preme con un artiglio il bottone apri-porta dell’osservatorio ed entra. C'è silenzio e le luci sono spente. I chiaroscuri della nube di gas che li circonda fanno bella mostra di sé nella volta celeste. Chana è lì in piedi mentre si liscia il suo bel pelo arancione chiaro a fasce bianche orizzontali. É dietro a un tavolino pieno di cavi colorati, piccoli monitor e casse stereo. I suoi occhi verdi guardano Samos con aria complice. Lei dice a bassa voce: «Chiudi la porta, stiamo per fare qualcosa di vietato». Samos sente un fremito nella forza e chiude la porta, sforzandosi di non farlo troppo velocemente. Nel momento in cui la porta si chiude, Chana regola l'insonorizzazione della stanza su "muto" e preme play sul mixer creato da lei. Una serie di colpi ritmati fa eco nella grande stanza, seguita da una semplice melodia di basso sintetizzato. É la prima canzone che Samos abbia mai sentito. La voce di Chana, spezzettata a causa di un impreciso campionamento, si intromette nelle battute. «Sai cos'è questa? Sai cos’è questa?» Chiede ripetutamente la voce di lei nella canzone. Samos sorride incuriosito, rivolge i palmi verso l'alto, la guarda e le risponde: «No. – passano tre battute, lui muove la testa leggermente, insieme al ritmo, e poi dice – Bello, mi piace». I tasti del mixer che Chana si è costruita da sola sono verdi fosforescenti e lampeggiano a ritmo. «É musica!». Dice lei ad alta voce abbassando per mezzo secondo il volume della canzone per farsi sentire. Inconsapevolmente Chana ha creato un pezzo in stile big room house. Ha sentito qualcosa di simile da piccola e le è rimasto in mente come un vago ricordo. Preme un tasto che manda in loop la base ed esce dalla sua postazione da dj improvvisata. Ci sono momenti così belli che, per quanto lunghi, durano un istante. Samos e Chana ballano per un istante … Poi escono dalla stanza l’uno a qualche minuto di distanza dall’altra.
    Quella notte Chana porta il mixer nella sua stanza, sapendo che nessuno le fa mai visita. Indossa un paio di cuffie professionali, si mette seduta alla poltrona girevole nera davanti al suo mixer, visualizza un orizzonte acquoso oltre il pavimento e dopo un momento di raccoglimento inizia a manipolare un suono. Da un minimale e insignificante sintetizzatore, il numero dei menu davanti ai suoi occhi cresce notevolmente nel giro di un minuto. “Ancora un po’ di equalizzazione e dovrei avere una bozza di partenza”. Preme play e un lontano coro di flauti si staglia su un sottofondo di onde gravi e soffuse. Chiude leggermente i pugni e li sente pulsare. “Sta succedendo. Finalmente qualcosa di sensato. Un suono che ha effetto sul corpo”. Il suono acquisisce intensità e lei si alza in piedi lentamente, con gli occhi bene aperti e la mascella rilassata in un sorrisino incredulo. Chiude gli occhi e in cuor suo viaggia verso epoche antiche, con la piena coscienza che, oltre che in una semplice nave cargo, oltre che in un semplice ammasso di gas grigio e asteroidi, lei si trova in un pulviscolo intelligente di galassie. Sente le gambe alleggerirsi e le sembra di levitare. Si toglie le cuffie e “atterra”. Troppe emozioni in poco tempo. Prende una grossa boccata d’aria e si passa le zampe sul volto asciugandosi una lacrima di commozione. Si rimette le cuffie, dà una mappatura 3d al suono che ha appena creato e si butta sul letto guardando il soffitto, mentre il suono le pervade il corpo. “È la mia musica, e per quanto forse non piacerà a Samos, a me piace”.
    Viene il mattino. Le luci interne della nave passano da un timido arancione al giallo chiaro. Dal secondo capitolo di “Problemi tecnici” in poi, il manuale è tutto un mistero. Seduto al tavolo a falce di luna, Samos si gratta il mento, piega la testa di lato e chiede: «… e che accidenti è un caricamento visuale selettivo?». Jumak: «Magari lo spiega in un capitolo successivo». Samos: «Non ha senso. È un manuale a difficoltà crescente. Chi l’ha scritto dà per scontato che noi lettori conosciamo il gergo tecnico». Jumak lascia trapelare tensione e dice: «Fidati, guarda oltre». Samos: «Va bene, lo spulcio da cima a fondo e vi dico» E passa due ore a setacciare le righe del manuale, dopodiché, sfiancato, batte un pugno sul tavolo e dice: «Non lo spiega. Lo cita in continuazione, ma non lo spiega». Jumak allunga una zampa per afferrare il manuale e Samos lo trattiene prendendolo per la copertina. Jumak: «Dammi, controllo io …». Samos fa resistenza e una pagina del manuale si strappa. Jumak urla: «Hai visto che cosa hai fatto? Vattene. Anzi, tu e Chana, andatevene! Ognuno al proprio alloggio». I due eseguono e ognuno nella propria stanza si collegano in audiochat locale. Chana: «Ho una nuova canzone da farti sentire». Samos si stende sul suo letto con le cuffie alle orecchie e schiocca le dita al ritmo della musica, mentre la canzone di Chana ha un qualche misterioso effetto sulla sua mente. «Bellissima, quanto ci hai messo a farla?». Nel suo campo visivo appare Jumak che gli toglie le cuffie e gli dice: «Fa’ sentire … ah! E che cos’è questa? Musica?!». Samos dice: «Come hai fatto a entrare?» e cerca di non scomporsi malgrado la forza lo pervada in ogni suo nervo, e dice: «E comunque sono solo suoni, non fanno male a nessuno». Jumak: «Quello che fa male lo decido io. D’ora in poi niente più audiochat». Samos rimane senza parole, assistendo inerme alla fine di uno dei suoi due mezzi di svago. Jumak: «E sei anche in locale! – afferra il microfono – Con chi parlo? Chana, sei tu?». Chana riattacca subito. Jumak esce dalla stanza di Samos con le sue cuffie e il suo microfono in mano, staccando i cavi al suo passaggio, diretto verso la stanza di Chana. «Dove stai andando?» Sussurra Samos tra sé e sé. «Dove stai andando?» chiede con voce moderata, un po’ più allarmato di prima. E poi lancia un lungo urlo: «Dove stai andando?». Jumak è a due passi dalla stanza di Chana e a quell’urlo si ferma, si volta e dice: «Ecco qualcosa che tua madre avrebbe dovuto fare tanto tempo fa». Dà un pugno sullo sterno a Samos e il ragazzo cade a terra, distrutto più dalla sua stessa ira che dal colpo. Tutti gli altri assistono alla scena, ma nessuno muove un dito. Chana vede distrutto il suo mixer, che ha costruito con tanta buona lena e pazienza. Samos e Chana hanno finito le lacrime, ognuno nella sua stanza.
    3- Senza parole
    Intanto, al tempio jedi, un’umana viene ascoltata a tarda sera nella sala del consiglio dai jedi anziani. È bassa, ha corporatura esile, pelle scura, occhi lilla, sopracciglia bionde e capelli biondi raccolti sulla nuca in un chignon di dreadlocks. «Il mio nome è Zaya, Vorrei porre alla vostra attenzione un problema di vecchia data. Mi risulta che sedici anni fa due jedi sono morti nell’orbita di Hoth. Il file dice solo “Gaw e Falaric non comunicano più con il consiglio. Presunti morti. Nave cargo ic-59 alla deriva senza aiuti. Problema chiuso”. In allegato c’è la posizione della nave aggiornata in tempo reale. Qualcuno di voi ne sa di più?». Il più anziano, Malsokee, un onodone dalla lunga proboscide, preme un tasto sul suo tablet, manda in proiezione un ologramma della ic-59 e risponde: «A bordo di questa nave cargo alla deriva c’è un potenziale sith dal grande potere sopito. Abbiamo deciso di non intervenire più e abbiamo motivo di credere che egli non uscirà mai di lì». Zaya tenta di mantenere la calma, ma le sue sopracciglia si corrugano tradendola: «Ma così facendo lo avete obbligato a vivere rinchiuso a vita e lo avete di fatto condannato ad abbracciare il lato oscuro». Malsokee: «Mi dispiace, ma è una questione di numeri. Di grandi numeri. Abbiamo due satelliti muniti di telescopio che sorvegliano la nave di continuo senza farsi notare». Zaya: «Posso almeno vedere chi stiamo punendo?». Malsokee: «No. È per la tua incolumità. Il suo sguardo potrebbe influenzarti». Zaya risponde prima che una qualsiasi emozione le nasca dentro: «Va bene, scusatemi. Problema chiuso». Gira i tacchi e si dirige verso l’uscita. Malsokee: «Aspetta, hai fretta? Fatti guardare negli occhi». Zaya si sente morire dentro. Sa che nulla sfugge allo sguardo penetrante di Malsokee. Malsokee è davanti a lei, in concentrazione. Zaya sa che prima o poi tremerà e invece … niente. Non lascia trapelare nulla. Si sente rinvigorita dalla forza, ma non dal lato luminoso. È qualcosa di diverso. Anzi è lei a riuscire a vedere nella mente di Malsokee. Vede lo sguardo di Samos da piccolo. Malsokee: «Va bene, vai pure». Zaya è incredula. Esce dalla stanza facendo attenzione a non avere un passo né troppo veloce né troppo lento. Ed è fuori.
    Samos finisce di piangere e fa le fusa, mentre la forza lo rinvigorisce internamente. Apre gli occhi e guarda verso la sua porta chiusa. Il suo sguardo viene acceso dalla forza, e ritorna magnetico come quando era bambino. Ma con un sentimento tetro. É come in ipnosi. Esce dalla stanza con passo pesante, sicuro. Incrocia Jumak nel corridoio e gli dice con aggressività latente: «Studieremo il manuale. E lo studieremo tutti. Io e Chana siamo giovani, abbiamo una mente fresca». Jumak si abbandona al flusso di energia mentale di Samos e dice con lo sguardo perso nel vuoto: «Sì».
    -
    Subito dopo la sua udienza, Zaya esce dal tempio e prende la sua modesta motocicletta levitante bianca. Parte verso i bassifondi mentre il suo corto mantello bianco svolazza stirato dall’accelerazione. Migliaia di insegne colorate le scorrono accanto. Una serie di grandi pannelli pubblicitari viola raffiguranti un granchio rosso che beve da una lattina sono posti uno accanto all’altro lungo tutto il viale in modo da creare un effetto di animazione stop-motion agli occhi di chi guida ad alta velocità. Dall’alto del tempio, Malsokee tiene d’occhio la forza di Zaya, ma una volta che lei parcheggia nel cuore dei bassifondi, pieno di gente di tutte le razze che fa abuso di droghe, il contatto mentale diventa difficoltoso. Troppa energia caotica alberga in quei portici e tunnel malfamati. Zaya si mette un caschetto respiratore filtrante; segue un percorso che si addentra nel sottosuolo, scendendo per scale arrugginite e passando attraverso salette male illuminate nelle quali si spargono fumi violacei allucinogeni. Zaya mostra la sua spada laser spenta attaccata alla cintura e dice: «Sto cercando Payorook, qualcuno l’ha visto?». Due colpi di tosse sono l’unica risposta che ottiene. Zaya mostra i palmi e usando la forza dice: «Se sapete dov’è Payorook fatevi avanti». Una ragazzina dai capelli grigi, deturpata dalla droga, si alza in un tremito e risponde in un sussurro: «Ti ci porto io». Zaya si allontana con un passetto laterale e risponde: «Va bene, fai strada». Arrivano in un lungo tunnel di pietra, alto appena da starci in piedi. La ragazzina tossisce forte, sviene e cade per terra. Zaya impone il suo palmo destro sulla sua schiena e le trasmette un po’ di forza, giusto il necessario per farla rinvenire. La ragazzina spalanca gli occhi, si rivolge a Zaya, tenta di prenderla per le spalle e le dice: «Dammene ancora! Ancora!». Zaya si divincola agile e risponde: «Tu non vuoi la mia energia, tu vuoi portarmi da Payorook senza chiedere nulla in cambio».
    Payorook è seduto su un tavolino triangolare coperto di fiches d’alluminio quadrate e carte da sabacc, a contare i suoi crediti. È facile fare una faccia da poker quando sei un rettile a sangue freddo. «E tu chi sssei? – chiede Payorook vedendo Zaya entrare nella sua saletta – Fffuori di qui!». Zaya: «Possibile che non ti ricordi di me? Sono Zaya. Ti ho salvato dai creditori in cambio di informazioni qualche mese fa. Non è passato tanto tempo». Payorook scende dal tavolino e le intima: «Togliti il casssco». Zaya: «Prima attiva le ventole dell’aerazione». Payorook: «E sssprecare tutto quesssto ben di dio nebulizzzato? Questa droga non cosssta poco» Zaya: «Ecco cento crediti, valgono anche per le informazioni che mi darai. Cinquanta ora e cinquanta dopo». Payorook glieli prende di mano, li conta e risponde: «Sssì, Agli ordini». Le ventole ripuliscono l’aria della saletta e Payorook chiede: «Bene, di che cosssa vogliamo parlare?». Zaya: «Raccogli in questa saletta un po’ di gente e offri lorodello spaccacervello». Payorook solleva il suo sopracciglio destro e risponde malizioso: «Al ripario dagli sguardi dei jedi, eh? Mi piace». La saletta si riempie in meno di un minuto e i due parlano per qualche minuto. Payorook fa una breve ricerca nelle reti informatiche illegali e mostra a Zaya il video di Samos da piccolo. Payorook: «Ah, sssì, ora che lo vedo ricordo. È ssstato famoso per un breve periodo, poi nesssuno riuscì più a trovare il suo video… Tutto qui? Posso avere gli altri cinquanta crediti?». Zaya: «Ho un problema. Non ne sono sicura, ma penso che i jedi anziani mi osservino. Ho sentito storie in giro. Storie di un sith che è riuscito a nascondere la propria forza». Payorook si lecca il muso con la sua stretta lingua biforcuta: «Bene, bene; io te lo dico, ma non uccidermi se pensi che io ssstia mentendo. Te lo dico e basssta. Se non ti sta bene, quella è l’uscita». Zaya: «Ti ascolto. Ti prometto che qualunque cosa tu dica non ti ucciderò. È la parola di una jedi. Ma abbiamo poco tempo. Al consiglio si staranno insospettendo».
    4- Midichlorian
    Payorook ascolta Zaya per cinque minuti, dopodiché risponde: «Un metodo per ssspegnere la propria forza, eh?». Zaya: «Ma non per sempre, ovviamente». Payorook: «Immagino che esista un qualche veleno in grado di uccidere i midichlorian. Forse dovrai asssumerne dosi piccole in modo costante, ma sto solo ssspeculando. Conosco un medico che fa sperimentazioni diciamo poco trasssparenti. Kauyl Kipshorn, sul pianeta di Leenog. Non dico che lui ne sappia qualcosa, ma credo che ti potrà mettere in contatto con le persone giussste. Adesso dammi gli altri cinquanta e sparisci, mi ssspaventi i clienti». Zaya esce da quel labirinto di tunnel, sale sulla sua motocicletta e vola via dai bassifondi, osservando inorridita la fila di persone in procinto di entrare nei tunnel. “Adesso mi serve solo una scusa per andare su Leenog”. Dà un’occhiata alle notizie sul suo palmare scrivendo “Leenog” e legge: «Assassino sconosciuto fa strage al polo sud di Leenog». “C’è sempre una notizia, qualunque sia il pianeta”. Manda un messaggio di testo al consiglio dei jedi con scritto: “Probabile aspirante sith su Leenog. Stanarlo cambierà l’opinione pubblica riguardo ai jedi in senso positivo sul pianeta. Sfrutto mio tempo di riposo per questa mia personale missione. Che la forza sia con noi». In quel momento nella sala del consiglio i jedi anziani ricevono il messaggio. Malsokee dice: «Altre questioni ci attendono. L’aiuto di Zaya non è fondamentale, ha ancora molto da imparare».
     
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