We've got to get in to get out

Avevano combattuto fino allo stremo contro se stessi per dimenticare tutto ciò che avevano passato, tutto il tempo che avevano lasciato indietro e ora non ricordavano neanche il perché.

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  1. Brat Fitzparker
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    Take a rest, as a friend, as an old memoria.

    -Puoi restare- disse Jane secca. Le era costata una fatica indescrivibile dirlo, ma aveva deciso così.
    -Jane..grazie- Mary non era entusiasta, neanche un po’, tutto di quel posto la faceva sentire vuota, senza valore, come era senza valore quell’appartamento, e quel drogato con cui avrebbe dovuto dividere la casa. Jim, il drogato. Ma quello che non sapeva, era quanto quella casa così vuota fosse in realtà più piena di quanto la sua vita fosse mai stata.
    -Oh, non ringraziarmi, ho appena reso la tua vita un inferno. Ora dovrai trovarti un lavoro, e dovrai badare a te stessa, perché a me di te non importa un cazzo. Se non paghi vai fuori, se mi procuri guai, vai fuori. Se anche solo respiri rumorosamente e la cosa mi da fastidio sei fuori, tutto chiaro?- Jane rifletté sull’idea di dirle che era merito di Jim se poteva restare, ma lasciò perdere. Doveva accorgersi da sola di quanto fosse buono, di quanto fosse migliore di entrambe, doveva andare da sola oltre l’apparenza, non doveva essere certo lei a mostrarglielo.
    -Si, certo, mi troverò un lavoro- risposte Mary, ma in effetti non aveva idea di come fare, di dove cercarlo, o di come tenerselo: non aveva mai lavorato in vita sua. Ormai aveva abbandonato del tutto l’idea di andare a scuola, anche solo rientrare in casa per raccattare la sua roba l’avrebbe fatta uscire di testa. Ora ragionava su che genere di lavoro avrebbe potuto fare, ma tutto ciò che le veniva in testa le faceva accapponare la pelle. Non sarebbe mai riuscita a lavare i piatti sporchi nel quale qualche principe aveva mangiato, nel quale anche lei prima mangiava, e anche se non avesse dovuto servire membri dell’alta società, certamente si sarebbe sentita inferiore a chiunque fosse stato seduto a quei tavoli, ma aveva bisogno di quella casa. Voleva un posto dove stare e sembrava sicura della sua idea di tenersi ben stretto quel tetto sotto cui dormire.
    Jane, dal canto suo, era sicura che sarebbe durata poco. Riusciva quasi a intravedere il groviglio di pensieri che affollavano la mente della biondina, e i patti erano chiari: niente lavoro, niente casa. Se non altro, anche se per poco, avrebbe avuto qualcuno che facesse la spesa, invece di dimenticarsene perché era troppo fottutamente fatto.
    -..e mi dovresti anche prestare dei vestiti puliti- continuò Mary.
    -Ah no, non avrai i miei fottutissimi vestiti, se proprio devi, chiedi a Jim- deglutì. Jim, il drogato. Le faceva paura, ecco tutto. Non riusciva neanche a guardarlo in faccia. Perché? Aveva mille risposte a questa domanda, ma nessuna di quelle era stata partorita da un suo personale ragionamento. Le avevano insegnato ad avere paura dei tipi così, e lei ne aveva paura, tutto qui. Non percepiva quello che poteva essere, vedeva solo quello che c’era da vedere, e non si soffermava a pensare che le cose, magari, potessero essere di più di quello che sembrano, perciò anche solo l’idea di indossare i suoi stessi vestiti le dava i brividi, ma era stanca e sporca, voleva solo lavarsi, cambiarsi e dormire un po’, anche quel vecchio divano sfondato, adesso, riusciva a sembrare confortevole e poi avrebbe dovuto conviverci, no? Tanto valeva..così si avvicinò a Jim, che se ne stava steso sul letto, le mani sotto la testa, e fissava il soffitto. Pensava al suo tempo, lo faceva spesso, quando era presente a se stesso, ed era una cosa che non sopportava fare. Si rendeva perfettamente conto di essere patetico, di non valere più niente, di meritare la fine che stava facendo perché aveva fallito. Poteva essere grande, poteva farcela, ma aveva fallito. Still it’s hard, hard to see, fragile lives, shattered dreams. E per quanto Jane gli avesse sempre detto che non era stata colpa sua, in fondo, lui sapeva che non era così.
    -Jim…- la voce uscì flebile dalle labbra di Mary, aveva cambiato idea non appena aperta la bocca, e sperava che lui non l’avesse sentita, ma così non fu. Jim la stava guardando.
    -Dimmi-
    -Mi.. servirebbero dei vestiti, Jane.. ha detto di chiedere a te- il ragazzo si mise a sedere.
    -Quindi?-
    -Quindi cosa?-
    -Chiedi-
    -Te l’ho già chiesto- Jim si limitò a sollevare un sopraciglio.
    -Potresti.. prestarmi dei vestiti?- Lui non rispose, semplicemente si alzò.
    -Impara a chiedere le cose in maniera diretta, ragazzina, o nessuno ti darà niente, qui- l’aveva detto con un tono di voce caldo, quasi paterno: gli faceva tenerezza quella ragazza, così infantile, così vuota, ma in lei vedeva qualcosa. Lui vedeva del buono in tutti.
    Tornò pochi minuti dopo con in mano una vecchia maglietta dei The Strokes e dei pantaloni neri mezzo stracciati. Glie li porse e il suo sguardo cadde sulla sua vecchia chitarra, poggiata al muro, alle spalle di Mary. Lei intanto si sentiva in imbarazzo, non sapeva esattamente cosa dire, se ringraziare, o stare semplicemente zitta. Stava per aprire bocca, quando lui la superò per avvicinarsi allo strumento, davanti al quale si accovacciò.
    Era una vecchia Squire rossa come il fuoco, pasticciata qui e là con un pennarello indelebile e coperta di adesivi e pezzi di nastro isolante, messi per nascondere il legno nei punti in cui si era staccata la vernice. Dietro il manico, incisa nel legno, c’era una piccola J che ormai sembrava più il segno di un colpo che un segno voluto. Le corde erano vecchie e coperte di ruggine, avrebbe dovuto cambiarle, forse, ma non aveva troppa importanza se non veniva usata.
    Stava lì a prendere polvere, a morire, in silenzio, come lui. Non la suonava da anni, e ogni tanto si ritrovava a guardarla ancora come si guarda una donna che tanto hai amato e che ora, semplicemente, rimane un ricordo lontano nella tua mente.
    La biondina si avvicinò silenziosamente a Jim, e per una volta il suo cervello intuì qualcosa, nell'espressione del ragazzo: un profondo e malcelato desiderio di riprenderla in mano.
    -Perché non la suoni un po’?- chiese. Lui si voltò a guardarla, ma non disse niente.
    -Lui non suona da anni- la voce di Jane irruppe nel silenzio, chiara e forte, risuonando nella stanza vuota.
    -E perché non lo fai?- il ragazzo ora guardava di nuovo lo strumento e la nostalgia aveva lasciato spazio alla rabbia, quella isterica e infantile che ti fa venire le lacrime agli occhi.
    -Non sono affari tuoi- rispose, secco, distogliendo lo sguardo e nascondendolo, da chi poi? Probabilmente da se stesso.
    Si alzò e andò in bagno. Poco dopo tornò con un laccio emostatico e una siringa. Aveva pensato abbastanza. Accese la radio, alzò il volume. Nirvana. Come as you are.
    Legò il laccio emostatico stretto sul braccio.
    Take a rest.
    Infilò la siringa al centro della necrosi, nell’incavo del gomito destro.
    As a friend.
    E, semplicemente, spinse lo stantuffo, iniettando il contenuto.
    As an old memoria... memoria..
    Lo sguardo di Mary si fece inorridito, ma non riusciva a voltarsi, a non guardarlo.
    Ed ecco che davanti a lei, il ragazzo si lasciava cadere sul letto, sconfitto da se stesso.
    And I swear that I don’t have a gun, no I don’t have gun..

    Mary trovò un lavoro, o si. Ci mise una settimana, ma lo trovò.
    Il più semplice, il più ignobile, ma il migliore che poteva trovare per fare tanti soldi e in fretta.
    Forse il semplice fatto di ridursi a tanto aveva iniziato a smuovere qualcosa, nella sua anima vuota, ma nel corso della sua vita non aveva mai fatto altro che vendere se stessa a chiunque fosse degno di comprare la sua immagine, ora, semplicemente, avrebbe venduto se stessa a chiunque fosse stato in grado di pagarla. Era incredibile come una ragazza così casta e pura potesse aver scelto un guadagno così sporco, ma la verità era che, anche se mai l’avrebbe ammesso, era l’unico modo che aveva per sentirsi ancora come una principessa, per sentirsi ancora apprezzata.
    Perciò quella notte aspettava sul ciglio di una strada di cui neanche sapeva in nome. Indossava il suo vecchio vestito, che aveva dovuto lavare a mano e tagliare per renderlo provocante. Si era lavata e profumata, e ora danzava nella sua nuova maschera, che si era premurata di chiamare Sweet lips. Danzava ancora quando la prima macchina si fermò. Dentro un distinto signore in giacca e cravatta sulla quarantina le sorrideva. Quel sorriso magari in un'altra situazione l'avrebbe spaventata, ma ora lei non sentiva niente, non voleva sentire niente. Salì in macchina.
    -Come ti chiami?- chiese l’uomo.
    -Sweet lips- rispose lei. Il lavoro più semplice del mondo.
    -Io sono Kevin, tanto piacere. Ora veniamo al sodo, quanto prendi?- Mary guardò fuori dal finestrino, e vide la sua immagine nel vetro, proiettata dal riflesso della luce sulla sua pelle lucida. Era arrossita. Non aveva idea di quanto chiedere, non sapeva cosa rispondere. –Allora?- la incalzò lui.
    -Non lo so, cosa… vuoi fare?-
    -Sesso- Certo, grazie, tesoro, sei certamente stato d’aiuto, pensò lei, ma in effetti la domanda che aveva posto era stupida. Vendeva se stessa, e lo sapeva. Chiedere cosa l’uomo volesse comprare era stupido.
    -Cento dollari, in contanti- rispose, cercando di sembrare più professionale, più sicura di quanto in realtà fosse. L’uomo sorrise.
    -Va bene, bambolina- disse, fermando la macchina e spegnendola in uno spiazzo oltre il ciglio di una strada di periferia. Così iniziò la sua prima prova.
    Quando scese dalla macchina, si sentiva vuota. Cento dollari bastavano, si disse. Voleva tornare a casa. Si stupì di quanto potesse sembrare confortevole il pensiero di quel buco di appartamento dopo quello che aveva fatto. Si sentiva sporca. Quell’uomo probabilmente era sposato, probabilmente aveva un ottimo lavoro, dei figli, e probabilmente era rispettato e apprezzato da tutti i suoi colleghi, ma era un bastardo. Per lei tutti coloro che assecondavano le proprie pulsioni e ricercavano piacere sessuale da ragazzine che vendevano se stesse perchè non avevano niente non dovevano essere altro che bastardi, e aveva ragione. Per un secondo la sua mente afferrò qualcosa, un’idea, l’idea che non sempre le cose sono quello che sembrano. Ma questa idea l’abbandonò subito. Tentava di pensare ad altro, di pensare a quanto fosse fredda, quella notte, o a come togliersi quello schifoso sapore dalla bocca. Voleva pensare a tutto, qualsiasi cosa, tranne che a quanto fosse finita in basso. Si sentiva patetica, ma adesso, quel suo viso da principessa, era servito a qualcosa.
    La sua verginità per cento dollari.
    Quando entrò a casa, Jane era sveglia e Jim dormiva. Lei era seduta per terra, in camera, dava le spalle alla porta d’ingresso e fissava la sua parete con una sigaretta in bocca. Mary si aspettava che le chiedesse dove fosse stata, da dove venisse, ma il silenzio che riempiva l’aria rimase intatto. Quel silenzio così denso stava diventando opprimente.
    -..ero a lavoro- disse infine.
    -Non te l’ho chiesto- le rispose la coinquilina, senza voltarsi.
    -Ma questi si- sbottò, sventolandole davanti alla faccia le banconote. –Cinquanta le tieni tu, cinquanta le tengo io- Jane allora si voltò e vide quella ragazzina, che fino ad allora era sembrata così incredibilmente pulita, sobria, rispettabile anche nella miseria, vestire i panni di una prostituta da quattro soldi. Se fosse stata sua madre si sarebbe alzata e le avrebbe dato uno schiaffo, se le fosse importato, le avrebbe fatto notare quanto fosse patetica, quanto fosse disposta ad arrivare in basso per non fare il minimo sforzo, per non vedere le sue manine arrossarsi e indurirsi per il lavoro. Preferiva sporcarsi le mani di sperma e sudore di uno sconosciuto, che di avanzi della cena di qualcun altro, ma non le importava, e quindi non disse niente, si limitò a prenderle i soldi di mano.
    -Domani vai a fare la spesa- le disse. –Compra qualcosa di decente. Non possiamo andare avanti a birre e condimenti, di tutte le cose di cui potrei morire, la malnutrizione è quella meno interessante-
    -Perché, di cosa vorresti morire?- chiese Mary. Jane valutò la possibilità di risponderle male, dirle che non erano affari suoi, ma era troppo stanca e troppo sbronza. Era troppo stanca, ed era troppo tardi, per fare la stronza.
    -Un colpo di pistola, o pastiglie- un brivido strisciò su per la schiena della ragazza. Pastiglie, che idea orribile. Non funzionava. Voleva dirlo, forse, voleva scoppiare a piangere ancora, abbracciare Jane e addormentarsi così, come se fosse sua madre. Ma lei non era sua madre e in questo mondo non le era concesso piangere, e per la prima volta da quando era successo pensò che forse sarebbe stata meglio se fosse morta quella notte con la sua famiglia, pensò che magari non avrebbe visto il proprio declino, e che magari non si sarebbe dovuta abbassare a tanto.

    Quando Jane aprì gli occhi, Jim era sveglio. Sedeva davanti alla sua chitarra, e la fissava, ancora.
    Era la prima volta che capitava per due giorni di fila.
    -Jim...- mugugnò. La testa le scoppiava. Aveva finalmente soddisfatto la sua voglia di bere, la notte precedente. Era andata a lavoro, ma l'avevano cacciata. Non poteva permettersi di saltare neanche un giorno, e lo sapeva, sapeva che sarebbe andata così. Rientrando a casa era passata al 7-11 di quel quartiere per comprare niente più che una bottiglia di Rum. Ne era bastata metà per portarla via, per costringerla a barcollare avanti e indietro per la stanza, per portarla a letto con Jim e lasciarlo dormire, mentre si sedeva a pensare, guardando l'enorme puzzle del suo passato, e ora il sangue si addensava sotto la sua fronte, facendola pulsare. Lui non rispose. -Jim!- alzò la voce.
    -Mi manca, Jane...- rispose lui. Sussurrava, mentre sfiorava appena le corde dello strumento con una mano.
    -Allora suonala- disse lei, mettendosi a sedere.
    -Non posso... non.. non la merito. Lei mi ha dato ali e non le ho sapute usare e..- era di nuovo fatto. Lo era troppo, ancora.
    Jane si alzò e si avvicinò a lui, prendendolo per le spalle. Voleva dire qualcosa, ma non sapeva cosa. Non era mai stata brava a parlare, in questi momenti, e non voleva tirare fuori le solite stronzate di circostanza. Voleva solo poter fare qualcosa, ma non c'era niente da fare, Jim era come un malato terminale a cui restava poco tempo. Cosa poteva dirgli? Niente. Poteva solo essere lì, accanto a lui. Poggiò la testa contro la sua schiena, e pianse.
    Per cosa piangeva? Per lui, per se. Piangeva perchè il mondo era ingiusto e il vittimismo in certi casi era tutto quello che gli restava. Diventava la tua migliore scusa per autocomiserarti.
    Mary ancora dormiva, e ora anche Jim piangeva, silenziosamente.
    Qualche volta semplicemente ne avevano bisogno, e non volevano essere visti da nessuno, ma avevano condiviso anche il sangue, tra loro, ora qualche lacrima non sembrava contare più di tanto.
    And i swear that I don't have a gun, no I don't have a gun...
     
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