Addio

[Contest: Dall'Argomento al Racconto - 5° turno EBBREZZA]

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  1. The Aster
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    Addio





    Sento qualcosa giungere da lontano al mio orecchio destro, un suono che risveglia la mia coscienza, un rumore che ascolto da almeno tre anni e che mi si ripresenta sempre alla stessa ora. Sollevo lentamente le palpebre, sapendo già cosa sarà la prima cosa che i miei occhi vedranno: il suo sorriso.
    E’ distesa sul letto, davanti a me, nella stessa posizione in cui sono io, di fianco. I suoi lunghi ricci color nocciola non risentono della pressione sul cuscino; d'altronde, come potrebbero?
    I suoi occhi neri, più simili a dei pozzi senza luce, mi fissano come se fossi l’uno e il tutto di questo mondo. Indossa una veste lunga, verde, che le scopre le spalle.
    Mi alzo, anche lei fa lo stesso. Tendo la mano destra verso di lei, anche stavolta m’imita. Stiamo quasi per sfiorarci, quando quel suono si fa risentire con insistenza. Ho ancora il braccio alzato, sono indeciso, cosa che lei pare apprezzare, visto come ride.
    Il braccialetto digitale che ho al polso sinistro risuona, sospiro e abbasso l’altro braccio. Lei non ride più.
    Mi giro e controllo l’ora, sono le quattro e quarantotto del mattino, il che vuol dire che sono in ritardo di tre minuti al secondo appuntamento.
    Non va bene.
    Apro il cassetto del comodino e tiro fuori una delle piccole fiale, la scuoto un po’ e tolgo il piccolo coperchio.

    «Non berla.» Dice alle mie spalle.

    Non le do ascolto e mando giù il liquido tutto d’un fiato. Mi rigiro, la vedo scomparire piano piano, con quei suoi occhi sul punto di piangere.

    Il traffico di primo mattino è la terza cosa che più detesto, la seconda sono i semafori rossi. Mai una volta che ne trovi uno che sia sul punto di diventare verde. Batto nervosamente l’indice sul volante, in attesa di poter finalmente andare a lavoro.
    E sì, può sembrare strano, ma a me piace molto il mio lavoro, in fondo, me lo sono scelto io: faccio il consulente informatico, cioè aiuto le persone che hanno delle esigenze o problemi in fatto di computer e derivati.
    Sono sempre stato bravo con questi aggeggi elettronici, e il bello che la mia conoscenza in questo campo non viene da studi e ore passate sui libri: come dico sempre ai miei amici, è l’esperienza sul campo che conta.
    Finalmente il semaforo è verde, se il tizio davanti a me si decide a partire, forse sono anche in tempo a fare colazione al bar.

    «Ci prendiamo un cornetto?»

    Per poco non investo con la macchina di fronte, perché compare sempre nei momenti meno opportuni?
    Faccio un respiro profondo e ignoro le indicazioni del vecchio per andare in un certo posto. Accosto dopo qualche secondo e cerco nella borsa a tracolla un’altra fiala. So che manca ancora qualche ora al prossimo appuntamento, ma con lei che mi fissa, non posso lavorare.
    Il Dottore aveva ragione, il farmaco in forma liquida è più potente delle pillole, infatti, ogni volta che bevo la fiala, lei sparisce all'istante.

    «Perché lo fai?»
    «Perché sei la prima cosa che detesto.»

    E scompare dalla mia vista. Metto la borsa sopra il sedile del passeggero e riparto. Le sue apparizioni si fanno sempre più frequenti, ma il Dottore mi aveva avvisato che poteva accadere. Forse, nella prossima seduta, farei meglio a dirgli che stanno diventando un po’ troppo frequenti.

    Mattinata pesante, ma molto proficua. Esco dal palazzo in cui ho dovuto compiere l’ultimo lavoro e mi dirigo verso la macchina. Sono da poco passate le due e il mio stomaco non risente la fame; un effetto collaterale del farmaco. Il Dottore dice che anche se non sento il bisogno di mangiare, arrivato un certo orario devo mettere qualcosa nello stomaco. Credo di poter resistere ancora un po’, così da mettere su carta gli ultimi guadagni.

    «Dovresti mettere qualcosa sotto i denti.»

    Rimango immobile con le chiavi della macchina ancora in mano. Non è possibile, ancora lei. No, devo essermi sbagliato, l’effetto della fiala non poteva essere già svanito. Ma quando mi giro e vedo quei suoi occhi neri e quei ricci, capisco di non avere altra scelta. Sospiro, mi appoggio alla portiera della macchina e metto le mani nella borsa: avevo bisogno di un’altra dose.
    Ma non trovo alcuna fiala.

    «Quella di stamattina era l’ultima.» Mi dice sorridente.

    Mi porto una mano al volto come per nascondere a lei la mia irritazione. Va tutto bene, mi dico. Posso andare alla farmacia di turno e prenderne delle altre.

    «Hai lasciato la ricetta a casa.»

    La detesto, Dio quanto la detesto. Mi ci vuole almeno mezzora per tornare a casa, traffico permettendo. E fino ad allora dovrò sopportarla? Non ci penso proprio.
    Faccio mente locale, ci dovrebbe essere un bar in zona. Mi muovo rapido verso destra e giro l’isolato, lei mi segue.
    La detesto.
    Arrivo nel locale e dico al barista di darmi una bottiglia dell’alcolico più forte che ha. Mi guarda storto e mi passa della Tequila, pago ed esco mandandolo a quel paese nella mia testa. Ritorno velocemente in macchina, mi siedo, stappo la bottiglia e inizio a bere.

    «Non farlo, ti farai solo del male.»

    La ignoro e continuo a scolarmi la bottiglia, arrivato a metà non ce la faccio più, mi sento uno schifo.
    Lei è ancora qui, ma almeno ho alterato un poco i miei sensi, questo dovrebbe aiutarmi a sopportarla.

    «Non cambierà nulla, e lo sai.»

    Forse è l’effetto della Tequila, o forse del poco farmaco rimastomi in circolazione, sta di fatto che accendo la macchina, ingrano la marcia, parto e inizio a parlargli.

    «Come mai oggi sei così seccante?»
    «Lo sai bene perché.»
    «Io non so niente, non voglio più avere nulla a che fare con te, mai più.»
    «Non è vero, per questo stai male quando pensi a me.»
    «Non penso più a te.»
    «Menti solo a te stesso, e lo sai, come sai che giorno è oggi, come sai dove dovresti essere.»

    Dannazione, mi gira la testa e mi viene da vomitare. E’ inutile, meglio che mi fermi da qualche parte e chiami il Dottore, lui saprà consigliarmi. Rallento un poco, ma mi basta prendere una fossa che la macchina sobbalza quel tanto che basta a farmi vomitare addosso. Sono confuso e non capisco nulla, nemmeno se quello che mi sta venendo addosso sia un camion o una grossa macchina.

    Mi risveglio in un luogo che sa di disinfettante e di umido. Ho un forte mal di testa e un dolore acuto al braccio. Mi giro quel poco che mi serve a capire che ho del gesso intorno all'arto sinistro.

    «Come ti senti?»

    Non mi ero reso conto che accanto a me c’era il Dottore. Mi sembra alquanto preoccupato per me.

    «Come vuole che mi senta?» Rispondo. «Uno schifo.»
    «Il tasso alcolico nel tuo sangue era alto, cosa hai bevuto?»
    Mi massaggio la testa e cerco di ricordare.
    «Della Tequila… ho avuto un incidente?»
    «E già, un Tir ti ha sfiorato e ti ha fatto fare un bel volo. Per fortuna te la sei cavata bene, hai solo un braccio rotto e una piccola commozione cerebrale.»
    «Che bella fortuna…»
    Mi fa una smorfia e si avvicina con la sedia.
    «Qui fuori ci sono i tuoi amici, sono tutti preoccupati per te. Ho cercato di rassicurarli, ma insistono nel vederti.»
    Chiudo gli occhi un secondo e volto la testa dall'altra parte.
    «Preferirei di no, voglio stare da solo per un po’.»
    Il Dottore sospira rassegnato. «Lei è qui, vero?»

    Già, come poteva mancare lei? Con quel suo sorriso che manda così tanta tenerezza da farmi ritornare il vomito.

    «E’ per questo che ti sei ubriacato? Non potevi semplicemente prendere delle altre fiale?»
    «L’ho fatto, ma lei ritornava sempre più spesso. Poi, a un certo punto, avevo finito il farmaco. Prima dell’incidente avevo deciso di fermarmi e di chiamarla, ma sono successe un paio di cose ed eccomi qua.»
    Ride. «Vedo che almeno non hai perso la voglia di fare lo spiritoso. Era questo no, quello che a lei piaceva tanto di te, il tuo passatempo preferito era farla sorridere.»
    «La smetta…»

    Inizio a singhiozzare come uno stupido, e, come se non bastasse, anche lei lo fa, e sorride pure.

    «Tu lo sai.» Continua il Dottore. «Lei ti appare spesso solo quando cade questo giorno, e sei ben conscio del perché, ma lo rifiuti. Ti stai uccidendo l’anima rinnegandola.»
    «Basta…»
    Il Dottore mi alza delicatamente, mi mette a sedere sul letto e mi fissa.
    «Non ci sei ancora andato, per questo stai male. Non le hai detto addio, per questo stai soffrendo. Per quante medicine io possa darti, saranno inutili se tu non vai da lei.»
    «Non voglio…»
    «Dovrai farlo, o non potrai andare avanti. Starai male fino a quando avrai vita.»
    Mi solleva a forza e passa il mio braccio destro sopra la sua testa.
    «Dove… dove mi sta portando?» Che domanda stupida.

    Piove, l’acqua scorre a catinelle, mi bagna i capelli e i vestiti, sento le scarpe affondare tra erba e fanghiglia. Il Dottore è rimasto in macchina ad aspettarmi, dice che è una cosa che devo fare da solo.
    Mi avvio sul sentiero con lei al fianco, tra i luoghi dell’ultimo riposo permesso agli uomini. Non so bene se quella che mi sta scorrendo sul viso sia pioggia o acqua salata, in fondo sono uguali. Una persona profonda direbbe che anche il cielo è in grado di piangere.
    Questa si che è un’affermazione stupida.
    Sono arrivato, la sua tomba si trova vicino a un grosso albero. Dovevo aspettarmelo, lei amava la natura. Probabilmente i suoi genitori avevano scelto apposta quel punto.
    Adesso mi ritrovo davanti alla sua lapide, riconosco quella foto, l'avevo scattata io durante il nostro viaggio in Spagna.
    Quanti anni sono passati da allora? Tre? Quattro? Ma che importa, che serve ricordarselo?

    «Ciao.» Comincio a dirgli. «Ti sei trovata un bel posto, forse un po’ fuori mano, per questo ci ho messo così tanto a venire a salutarti.»
    Ma quanto sono stupido.
    «Sai, ho pensato a quali parole usare, mi sono scervellato a trovare il modo giusto per dirti addio… ma poi mi sono detto… perché? Perciò, invece di mentirti, ti dirò solo la verità.»
    Adesso ne ho la certezza, quelle che mi solcano il viso sono lacrime.
    «Ti odio… ti detesto…» Non riesco a trattenere la rabbia. «Perché… mi hai fatto questo? Perché?»
    Do un pugno sulla lapide, mi faccio male, ma non m’importa.
    «Perché… mi hai fatto innamorare di te… se poi dovevi lasciarmi così, eh?... Perché?»
    Altro pugno, altra fitta di dolore.
    «Perché… dicevi di amarmi…»
    Smetto di crearmi altri danni alla mano destra, ma non posso fare a meno di continuare a piangere.
    «Perché… te ne sei andata?... Perché?»
    «Non è vero.» Dice lei. «Io sono sempre stata con te, sempre. Sono nel tuo cuore, e tu lo sai.»
    «Sta zitta!»
    «Le mie sono le parole del tuo cuore, della tua anima. Ti dai una colpa che non ti appartiene, e sai anche questo. Io non sono morta a causa tua, è successo e basta.»
    «Non doveva succedere! Ti odio! Ti odio! Ti odio!»
    La sento ridere da lontano, la sua voce è come un eco.
    «Non è vero.»

    Un’ora dopo vidi la figura del Dottore farsi avanti lungo il sentiero, ha in mano un ombrello, la pioggia non ha smesso un attimo.

    «Stai comodo?»
    Lo dice perché sono seduto a terra, con la sua lapide a farmi da schienale.
    «Come ti senti?»
    Dal suo punto di vista, devo avere un aspetto orribile.
    «Una meraviglia.»
    Ride. «La tua faccia dice il contrario.»
    «Ma si è guardato allo specchio?»
    «Spiritoso… allora, lei è qui?»
    Scuoto la testa e mi alzo da terra pulendomi i pantaloni.
    «Sono da solo.»
    «Beh, non so dirti se questo sia un bene o no, sta a te stabilirlo. Ora vieni, ti accompagno a casa.»
    «Solo un momento, per favore.»

    Mi volto e fisso la sua foto, poi mi abbasso e le do un bacio, promettendole che sarei ritornato a trovarla molto presto.

    «Adesso possiamo andare.»

    Edited by The Aster - 1/12/2013, 17:50
     
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