Conseguenze

[Contest: Dall'Argomento al Racconto - 4° turno CONSEGUENZE]

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  1. The Aster
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    Conseguenze




    Ogni giorno, la stessa storia:
    sveglia alle sei e mezza, bagno, il buongiorno ai miei e a mio fratello, colazione, un po' di telegiornale, le bestemmie di mio fratello dall'altra stanza perché non trova i vestiti che gli servono, mia madre che cerca di farlo calmare, mio padre che mi dice che ha un brutto carattere ma non fa nulla, l'attesa alla fermata dell'autobus, i soliti atteggiamenti da mafiosi degli altri ragazzi, il solito fumo delle loro sigarette…
    Detesto la città in cui vivo, il suo squallore, il suo folclore, la noncuranza dei suoi abitanti, genitori che non si curano troppo di quello che fanno i loro figli.
    In questo momento mi trovo sull'autobus, come sempre a quest'ora, diretto nella stessa scuola dove studia mio fratello. Non so nemmeno io perché non mi sono opposto nella scelta di dove andare dopo le medie, c'erano tanti altri istituti in cui potevo iscrivermi e studiare. Forse sono stato troppo ingenuo, forse volevo solo accontentare i miei.
    Arrivo a destinazione dopo mezz'ora di viaggio, ma non ho voglia di scendere. L'autobus riparte, dal finestrino vedo mio fratello che mi guarda arrabbiato.

    «Ma dove cazzo vai?» Suppongo abbia detto. Considerando il suo carattere, avrà messo questa frase tra un paio di bestemmie.

    Il cellulare mi vibra in tasca, lo prendo, guardo il nome di chi chiama sul display e lo spengo. Mi infilo le cuffie nelle orecchie, ascolto la musica a volume alto e aspetto, non so che cosa, ma aspetto. Dopo un'altra mezz'ora arrivo al terminal, mi alzo e scendo, senza togliermi le cuffie. Ho saltato la scuola, non l'avevo mai fatto prima.
    Mi incammino verso quello che, in lontananza, mi sembra un bar. Ho già fatto colazione, ma mi prendo lo stesso un paio di cornetti caldi e un succo di frutta.

    «Ehi ragazzo, non dovresti essere a scuola tu?» Disse un tipo strano coi baffi alla Magnum P.I..

    Ha in testa uno di quei strani berretti che si vedono nei vecchi film, non ricordo come si chiama, forse basco. Assieme a lui c'erano altri due uomini, entrambi vantavano la grossa pancia tipica di chi beve troppa birra e si ingozza senza freni; se fossero una specie animale, probabilmente si chiamerebbero i Panzoni.
    Il barista getta un'occhiata, mi sembra preoccupato per qualcosa. Non m’importa, ignoro sia lui e quei tre e continuo la mia seconda colazione. Sento il rumore di sedie che si spostano, dopo qualche secondo, quei tre si siedono al mio tavolo e mi guardano con un sorriso beffardo. Io avevo già finito il primo cornetto.

    «Hai marinato oggi eh?» Magnum P.I. ride. «Hai fatto bene, con una giornata così bella è un peccato rimanere chiuso in gabbia.»

    Anche gli altri due si mettono a ridere. Noto un rigonfiamento nelle loro maglie, hanno delle pistole, ecco perché il barista continua a guardarmi preoccupato. Credo mi stia suggerendo con gli occhi di andarmene. Una brava persona, cosa rara, almeno dal mio punto di vista.
    Non ho voglia di andare via.

    «Che volete?» Parlo al plurale, ma è a Magnum P.I. che mi rivolgo. Probabilmente è lui che comanda.
    «Visto che non hai da fare oggi, ti andrebbe di guadagnare un po' di euro in più?»

    Questo mi da conferma sull'identità di quei tre, ma non me ne importa. Mi pulisco le labbra dai rimasugli di crema, bevo un po’ di succo e chiedo altre informazioni.

    «Cosa devo fare?»
    «Una cosa semplicissima, devi consegnare un pacco in un certo posto e poi tornare qui entro un'ora.»
    «E se lo faccio, quanto mi date?»
    «Ti basta un mattone?»

    Un mattone, nel loro linguaggio, equivale a 100 euro, non male per una semplice consegna. Mi sta venendo una certa idea, ma ho bisogno di sapere di più, di avere delle certezze.

    «E cosa c'è nel pacco?»
    «Quello non ti deve interessare, l'importante è che lo consegni in fretta e sarai pagato.»

    Magnum P.I. guarda l'orologio, sembra tranquillo ma capisco che sta fingendo, è agitato. Credo di intuire cosa contiene il pacco, adesso so tutto quelle che mi serve.

    «Ok lo farò, ma voglio i soldi subito, devo comprare delle cose.»

    I due Panzoni si guardano l'un l'altro, poi Magnum P.I. annuisce e uno dei Panzoni mi da la banconota, mentre l'altro il pacco e un biglietto su cui ci sta scritto il luogo della consegna.
    Prendo tutto ed esco dal bar, ma non seguo le istruzioni del biglietto. Tolgo il cellulare dalla tasca e lo riaccendo, mi compaiono subito ventitré chiamate perse e molti messaggi, tutti dalla stessa persona, ma li ignoro. Ho meno di cinquanta minuti di tempo, ma dovrei farcela, salvo imprevisti. Corro al terminal e prendo il primo autobus in partenza per la città dove sta la mia scuola. Non c'è molto traffico, e dopo venti minuti arrivo a destinazione. Scendo nella piazzetta vicino alla scuola e continuo per la strada principale. Entro in tabaccheria, compro un biglietto del treno e una rivista qualunque. Pago, esco dal locale, butto la rivista ma mi tengo la busta e ci infilo dentro il pacco, poi chiudo stando attento a non fare dei danni o movimenti troppo bruschi.
    Mi restano trenta minuti, mi avvio verso scuola calmo e tranquillo. Arrivato al cancello, metto la busta nello zaino e lo tengo in mano, poi entro e mi dirigo verso il bidello.

    «Buongiorno.»

    Lui mi guarda sorpreso e storto. «E tu perché non sei in classe?»
    «Oggi niente scuola, dovevo fare il vaccino.»
    «E allora che ci fai qua? Entri in ritardo?»
    Scuoto la testa e gli porgo lo zaino. «Mio fratello se l'è dimenticato a casa, non è che glielo può portare lei senza che vada io nella sua classe?»
    Lui fa una smorfia. «Dimenticato eh? Secondo me l'ha lasciato apposta a casa. Bah, dammelo. In che classe sta e chi è?»
    «4D, si chiama Giulio Ponte. Lo riconosce dai capelli tinti di biondo.»

    Mi fa segno di andarmene e se ne va su per le scale. Controllo l'ora sul telefono, ho meno di quindici minuti. Corro via a più non posso verso la stazione dei treni, il cellulare in mano così da tener d'occhio l’ora.

    11 minuti.
    Arrivo nel corso principale, svolto a destra e scendo gli scalini. Mi dirigo verso la seconda traversa e giro l’angolo.

    7 minuti.
    Taglio per il parco facendomi strada tra i passanti e saltando qualche recinzione. Un paio di vigili mi guardano e mi intimano di fermarmi, ma non lo faccio. A un certo punto un cane mi si para davanti e mi blocca il passaggio ringhiandomi contro. Il padrone cerca di calmarlo, aggiro entrambi e continuo.

    2 minuti.
    Arrivo alla stazione e guardo l'orario dei treni, impreco quando vedo che quello che dovevo prendere era partito da poco. Colpa di quel cane, non mi sarei dovuto fermare. Sono costretto a prendere il prossimo.

    1 minuto.
    Mi siedo sulla banchina in attesa, il prossimo treno parte tra venti minuti, ho tutto il tempo di riprendere fiato. Forse sarebbe stato meglio tenere la rivista, almeno avrei avuto qualcosa da leggere tanto per passare il tempo.

    0.
    Sento il pavimento di cemento tremare, un’onda d'urto investe l'aria. Qualcuno urla, dei clacson iniziano a suonare, le persone si voltano indietro e indicano l'alto, qualche nuvola di polvere riesce addirittura ad arrivare dove sono io. Non ho bisogno di girarmi, so bene cosa stanno guardando tutti, quel disastro, in fondo, era opera mia.
    Porto il braccio sinistro a livello degli occhi, alzo la manica della maglietta e mi soffermo per l'ennesima volta su quell'accozzaglia di lividi che era diventato il mio arto. Non è l’unica parte del mio corpo ridotta in quel modo, ma è la più dolorosa.
    Se esiste veramente l'amore fraterno, io non l'ho mai conosciuto.


    Il tempo passa in fretta, e il mio treno è arrivato. Ho fatto una cosa sbagliata? Probabile. Avrei dovuto andare dai carabinieri? Probabile. Dovevo, forse, cercare di parlarne coi miei? Non sarebbe servito a niente. Quando nasci in un paese dove esiste solo la cosiddetta “figura”, cioè l’immagine che uno da e deve dare agli altri, le cose brutte restano in famiglia. Nessuno ne parla, nessuno aiuta, si fa solo finta di niente. Chi nasce buono, è destinato a morire prima del tempo stabilitogli.
    Voi credete in Dio? Io una volta sì, quando ero piccolo e ingenuo. L’altra sera ho visto un film in TV molto particolare, si intitolava “Francklin”. Non so perché mi sia immedesimato così tanto col protagonista della storia, sta di fatto che non mi era mai accaduto prima di piangere a causa di un film. Una cosa mi è particolarmente rimasta in mente, delle riflessioni del protagonista. Così diceva:
    se Dio vuole impedire il male ma non è in grado di farlo, allora non è onnipotente; se è in grado di farlo ma non vuole, allora deve essere malvagio; se non può e non vuole… perché chiamarlo Dio?
    Non me ne importa più nulla.
    Le porte del mezzo si aprono, salgo un gradino e mi volto un'ultima volta verso il passato che stavo lasciando.
    Il colpo di pistola che mi sparò in testa Magnum P.I fu l'ultima cosa che vidi in vita mia.
    ..........................................

    Le conseguenze:
    1-il protagonista decide di non andare a scuola.
    2-entra in un bar e ignora gli avvertimenti del barista.
    3-ascolta quello che i tre uomini gli propongono.
    4-prende una decisione
    5-quando corre verso la stazione viene fermato da un cane e perde il treno per poco.


    Edited by The Aster - 3/11/2013, 14:15
     
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18 replies since 1/11/2013, 10:10   140 views
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