Alex Fedele - A detective story

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    CITAZIONE (»Milù Sunshine» @ 17/7/2013, 16:54) 
    CITAZIONE
    «L’assassino ha costruito un piano ben congeniato ed è riuscito ad ingannarci fin dal primo momento. L’astuzia di questa persona è stata degna di un assassino di un libro giallo e devo dire che sono sorpreso che una mente umana possa arrivare a tanto. Innanzitutto, come dedotto precedentemente, il delitto è stato commesso da uno di questi tre sospetti, che a turno sono stati interrogati. Tutti e tre avevano un movente valido per uccidere la povera vittima e non provate a negarlo, signori. Tutti potevate commettere questo efferato delitto».

    Ottimo! u.u Il protagonista in versione detective da giallo classico, che tiene il suo discorso davanti ai sospettati! :woot: :woot: :woot:

    Felice che ti piaccia :D. Per me il vero giallo è questo :)

    Episodio 2

    Solo per interesse



    FILE 6. Cercasi fama



    Due giorni dopo la risoluzione del caso relativo allo studio legale, in televisione non si parlava d’altro. Gli spazi dei telegiornali dedicati alla cronaca nera parlavano della vicenda all’unisono e ogni volta che arrivavano le ore designate per la trasmissione dei notiziari, vi erano nuovi aggiornamenti, talvolta con particolari talmente minuziosi di cui né io, né Flavio eravamo a conoscenza. Come se non bastasse, le colonne dei giornali si riempivano di pareri di esperti criminologi intenti a motivare con conoscenze e nozioni psicologiche il comportamento dell’assassino. Flavio era nel suo ufficio a guardare l’ennesimo servizio giornalistico dedicato alla questione. La voce della giornalista in tv ultimò l’articolo.
    «L’ultima notizia in ordine di tempo è che la donna arrestata, la moglie della povera vittima, abbia tentato di togliersi la vita in prigione, nella sua cella, utilizzando un ferro sporgente delle sbarre, che costituivano la finestrella della stanzetta. Un agente del penitenziario è però intervenuto in tempo per evitare la tragedia. Sono Rebecca Varesina, a voi studio».

    «Bah, questi assassini» esordì Flavio spegnendo la tv «Credono che la polizia si diverta ad incastrarli. E dopo aver fatto fuori una persona, decidono di suicidarsi, come se la vita fosse una sorta di telefonino a batteria ricaricabile. Non sanno che è una sola?»
    «A quanto pare no» risposi esausto sulla poltrona posta ad angolo del divano. Avevo guardato circa una decina di notiziari in tv, quel pomeriggio. Flavio voleva controllare che il suo nome fosse ripetuto in qualcuno, invece nada.
    Il giornalista di turno si limitava ad affibbiare la maggior parte dei meriti alle forze dell’ordine, menzionando al massimo «l’intervento di un agenzia investigativa», ma non certo il nome del titolare.
    Ci fu un po’ di silenzio, poi Flavio si alzò e andò a sedersi alla scrivania fissando il vuoto con occhi da triglia.
    «Cosa stai facendo?» chiesi perplesso mentre mi alzavo dalla poltrona
    «Sto pensando».
    «A cosa?»
    «Al fatto che nominino Ducato e non me».
    «Be’, è lui l’ispettore … »
    «Certo, ma l’investigatore sono io!» disse spazientito.
    Si alzò dalla sedia della scrivania e raggiunse la vetrata alle sue spalle, gesticolando ampiamente con le mani.
    «Insomma, io ho quindici anni di polizia nelle forze armate come agente principale della squadra capitanata da Ducato!».
    «Ma la squadra è capitanata … da Ducato, quindi è normale che menzionino lui per tutti».
    Mentre intrattenevamo quella interessantissima conversazione, arrivò Bianca.
    «Sono tornata, papà» avvisò.
    «Dove sei stata?» chiedemmo all’unisono.
    Mi guardò prepotente. «E a te cosa interessa?». Poi si rivolse ancora a suo padre. «A scuola».
    «A scuola?» si guardò l’orologio da polso «Ma sono le quattro di pomeriggio!».
    «Uff, sono stata con Barbara ai corsi del laboratorio musicale».
    «Senza avvisarmi?!».
    «Te l’ho detto ieri sera, per ben tre volte, ma tu guardavi quegli stupidi notiziari!».
    Lo guardai e feci: «Colpito e affondato» e scoppiai a ridere.
    «Sai che a ora di pranzo ho dovuto mangiare solo un pacchetto di patatine?!».
    «Ma perché non hai cucinato?! Tanto ai fornelli ci sai fare!».
    «E chi controllava i notiziari?!».
    «E tu, Alex?» mi chiese voltandosi verso di me.
    «Io, cosa?».
    «Non hai mangiato nulla?».
    «Sono andato in un fast food con Andrea».
    «E non potevi portarlo con te?!».
    «L’ho invitato, ma non è voluto venire!».
    «Papà!».
    «Naaa, quella robaccia non fa per me. Salse in quantità industriale, carne grassa fino a farti stare male. Voglio mangiare a casa mia, non in quei stupidi posti».
    «Comunque,» proseguì Bianca «non ho pranzato nemmeno io. Vado a preparare qualcosa per stasera, tanto non ho nemmeno i compiti».
    Flavio si rallegrò e per un attimo ebbi l’impressione di veder comparire delle pietanze nelle sue pupille.
    «Mi metto subito al lavoro» affermò la ragazza indossando il suo grembiule da cucina. Poi uscì repentina dalla stanza e si diresse in cucina. Sentimmo la luce accendersi,il rumore assordante delle stoviglie e lo scroscio dell’acqua proveniente dal lavandino.
    «Posso chiederti una cosa?» domandai a Flavio.
    «Se proprio devi …».
    «Ho notato che nell’ufficio c’è un’altra scrivania» e ne indicai un’altra, più piccola e posta verso il lato est della stanza. «È sempre tua, oppure c’è qualcuno che non conosco ancora?»
    «Sai che sei proprio un ficcanaso matricolato?»
    Risi leggermente, poi col pensiero lo mandai al diavolo. Quando ci vuole, ci vuole.
    Dopo qualche secondo di esitazione, finalmente rispose: «In questo ufficio lavora anche un mio assistente. Si chiama Sergio. Si occupa di cose burocratiche, pratiche cartacee, gestione degli appuntamenti, capisci cosa intendo, credo».
    «Un segretario».
    Alzò lo sguardo dal quotidiano sportivo e mi guardò irritato. «No, non un segretario, il mio assistente burocratico».
    «Qual è la differenza, scusa?».
    «Nel nome, naturalmente» aprì il minifrigo e prese una Beck’s. «Fa più scena».
    «Come no … e dov’è adesso? Non l’ho mai visto in questi giorni».
    «Essendo molto giovane, è uno stupido, proprio come te»
    «Eh?».
    «Ha circa trent’anni e così mi ha chiesto le ferie. È in Brasile, sulle spiagge di Rio».
    Finì la birra in un baleno, poi si alzò dalla scrivania. «Vado a fare quattro passi»
    «Ma io ho notato anche un’altra cosa» riattaccai.
    «Dimmi» asserì digrignando i denti.
    «Sulla tua scrivania e anche nella tua camera da letto, c’è una foto di un bambino. Non può essere Bianca, è un maschietto».
    «E tu vuoi sapere chi è, giusto?».
    «Non è tuo figlio?».
    «Bingo».
    «E come si chiama?».
    «Fabio. Dimmi, chi ti paga per estorcermi informazioni private?».
    Lo ignorai. «Ma è qui a Torino?»
    «No,» disse a metà tra l’esasperazione e la frustrazione «vive fuori perché studia medicina, ma comunque ti informo che tra un po’ di giorni tornerà a casa, perché ha deciso di proseguire qui gli studi» uscì prima che potessi rivolgergli qualsiasi altra domanda.
    Mi diressi in cucina e vidi Bianca affaccendata a trecentosessanta gradi.
    «Ti serve una mano?».
    Mi guardò dall’alto verso il basso. «Un uomo in cucina?».
    «Perché? Hai detto che tuo padre sa cucinare».
    «Rettifico: Tu, in cucina?».
    «Perché ti sembra così strano?».
    «Mi sembri un po’ … imbranato per gli affari di casa. Basta vedere come pieghi le tue magliette».
    «Ho vissuto da solo, per un periodo, sai? Ero minorenne e mamma aveva necessita di lavorare fuori per portare soldi a casa. Leonardo si era appena trasferito negli States e così mamma, grazie alle sue conoscenze, persuase un giudice a farmi controllare da alcuni assistenti sociali».
    «Ti controllavano?!» chiese indispettita mentre le porgevo un pomodoro.
    Annuii. «Dovevo rimanere solo con Andrea. Parlo dell’anno scorso,» cominciai a tagliare del sedano «dunque per qualche mese si assicurarono che fossi abbastanza responsabile, almeno per le cose di primaria importanza».
    «E hai passato il test?».
    «È stato un caso raro, in Italia, ma si sono verificate molte situazioni. Inoltre avevo alcuni zii che abitavano proprio di fronte casa, dunque si impegnarono ad aiutarmi. Ad un certo punto, trovammo un accordo: io e mio fratello ci saremmo recati a casa degli zii per le cose di primaria importanza, come ad esempio i pasti e altre faccende del genere». Presi una bottiglietta d’acqua dal frigo. «Invece, per dormire, fare i compiti e rilassarci potevamo usufruire di casa nostra».
    «Cioè vivevate in due case, praticamente» mise a bollire delle verdure.
    «Centro».
    Diedi un’occhiata nella pentola che bolliva sul fuoco.
    «Minestrone, eh?».
    «Che c’è? Non ti piace?».
    Feci una smorfia.
    «Sii maturo. Mangia quello che prepara la mamma».
    Non la sopportavo quando faceva così.

    Edited by Matteo Del Piero - 21/1/2015, 15:15
     
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    pezzo che introduce vagamente nuovi personaggi e conferma il brutto carattere di Flavio.

    Attendo il seguito.
     
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    Questo mi sembra un capitolo "di stallo", in attesa di qualcosa che arriverà, probabilmente un altro caso.
    Spero che sarà avvincente come il primo! ;)

    CITAZIONE
    Lo guardai e feci: «Colpito e affondato» e scoppiai a ridere.
    «Sai che a ora di pranzo ho dovuto mangiare solo un pacchetto di patatine?!».
    «Ma perché non ti sei cucinato?! Tanto ai fornelli ci sai fare!».

    non hai cucinato
     
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    CITAZIONE (»Milù Sunshine» @ 18/7/2013, 16:46) 
    Questo mi sembra un capitolo "di stallo", in attesa di qualcosa che arriverà, probabilmente un altro caso.
    Spero che sarà avvincente come il primo! ;)

    CITAZIONE
    Lo guardai e feci: «Colpito e affondato» e scoppiai a ridere.
    «Sai che a ora di pranzo ho dovuto mangiare solo un pacchetto di patatine?!».
    «Ma perché non ti sei cucinato?! Tanto ai fornelli ci sai fare!».

    non hai cucinato

    Analisi perfetta ;) correggo subito, grazie mille ;)
     
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    FILE 7. Un nuovo caso per Alex



    «Che scorpacciata!» disse Flavio alla fine della cena.
    Andò a sdraiarsi in salotto e Andrea lo seguì, mentre io e Bianca rimanemmo in cucina.
    «Ti aiuto con i piatti, ti va?».
    «Se vuoi …».

    Inizialmente ci fu molto silenzio, rotto solo dalla voce del cronista di canale nove proveniente dal salotto e dal tintinnare dei piatti. Non ho problemi ad ammettere che tra me e Bianca vigeva ancora un po’ di soggezione, ma poi lei sciolse il ghiaccio.
    «Allora, come ti trovi qui in città?» domandò timidamente.
    «Be’, Torino è una città molto popolata, molto bella»
    «Andrea che ne dice?»
    «Andrea si comporta come un normale ragazzino di cinque anni. Affronta più o meno le novità, anche se per assimilarle ci mette un po’»
    «Sai che mi aspettavo peggio?»
    «In che senso, scusa?»
    «Insomma,» continuò mettendo a posto un piatto «un bambino di cinque anni in casa. Ad essere sincera a me piacciono i bambini, ma credevo che avrei passato il tempo a cercare di accudirlo. Voi uomini siete un po’ inetti, con queste cose».
    «Ci risiamo …» roteai gli occhi in aria.
    «Oh, no. Mio fratello non è quel tipo di bimbo. Don’t worry, be happy, no?» risposi con un sorriso.
    «Sbaglio o è il titolo di quella canzone degli anni ottanta?».
    «Di McFerrin, no?».
    «Sembri un esperto …».
    «No, è solo scena. Non farti ingannare, è l’unica cosa che so!» e scoppiai a ridere.
    Scoppiò anche lei in una risata abbastanza fragorosa.
    Finiti di lavare i piatti, decisi di andare in salotto,ma Flavio era già nel mondo dei sogni, così mi recai in camera mia, dove, senza nemmeno rendermene conto, mi addormentai goffamente, svegliandomi nel cuore della notte ancora con jeans e maglietta.

    Entrai in ufficio la mattina dopo, mentre Flavio parlava al telefono prendendo appunti su un foglio di block notes.
    «Ok. Si, certo» si limitava a ripetere ad ogni singola domanda del suo misterioso interlocutore.
    Posata la cornetta, domandai di cosa si trattasse e, buttandomi sul divano, accesi la tv.
    «Che succede?»
    «C’è del lavoro, ecco che succede».
    «Un caso?»
    «No. Dobbiamo andare ad arare i terreni della fattoria di Nonna Papera … certo che è un caso! Quando imparerai ad usare il cervello?».

    Ci recammo fuori città, in una villetta di campagna abbastanza moderna ed immersa nel verde. Un viottolo di pietra portava ad un’entrata in stile barocco ed arrivai a pensare che chiunque dovesse abitare in quella villa sarebbe dovuto essere un magnate in qualche campo della finanza, o magari della tecnologia. Il giardino che contornava l’abitazione era curato nei minimi dettagli da ben tre laboriosi giardinieri, che si occupavano di potare alberi, siepi e cespugli vari. Nel sentiero in macchina, durato circa trenta minuti, io, Flavio e Bianca, naturalmente con mio fratello Andrea al seguito, parlammo del caso.

    «Una donna d’affari?» ripetei.
    «Già. Pare che una donna,abile personalità nel mondo finanziario, sia stata ritrovata morta nel suo studio in casa. La causa della morte dovrebbe essere un colpo di arma da fuoco che le ha praticamente spappolato il cervello».
    «Delicato …».

    Arrivati alla porta, ci aprì una ragazza sui vent’anni, che indossava un grembiule bianco e che doveva essere la cameriera.
    «Desiderate?».
    «Detective Flavio Moggelli, dell’omonima agenzia investigativa. Poco fa hanno richiesto la mia presenza, signorina».
    «Oh si, certo. Accomodatevi pure» disse facendosi da parte e prendendo fiato. Successivamente, fattoci accomodare in un salottino decorato da dipinti di indubbio valore, continuò «I signori Cerruti saranno qui a momenti. Abbiate la pazienza di aspettare». Poi ci congedò con un sorriso dolce.
    «Guardate che meraviglia!» esclamò Bianca indicando un dipinto posto a destra del caminetto. «Ma quello non è il famoso quadro di Monèt?!»
    «Uao!» esclamai guardandolo «Le dejunèr sur l’herbe, è corretto?».
    «Oui … Ti interessi di arte?».
    «Per niente, ma alle scuole medie avevo un professore di arte che ci costringeva a studiare e analizzare tutte i più famosi dipinti, così ho dovuto per forza imparare a distinguerli».
    Riuscii a farla ridere. Ci soffermammo su parecchi dipinti in quella stanza e devo dire che erano tutte repliche ben fatte dell’Impressionismo. C’erano quadri di Monèt, Renoir, Degàs, Corot, Cèzanne. Insomma, più che un salottino, sembrava una vasta galleria d’arte dedicata ai pittori francesi.
    Intanto Flavio si era acceso una sigaretta e se ne stava seduto su una poltroncina in pelle rosso carminio. Una voce, probabilmente di un uomo sulla trentina, risuonò nell’aria e ci fece voltare di scatto verso l’entrata della stanza che dava sul corridoio.
    «Signore, così mi offende.» esordì lo sconosciuto rivolgendosi a Flavio.
    «Eh?».
    «Mi dispiace doverglielo dire, ma non sopporto il fumo. Le dispiacerebbe spegnere quella sigaretta?»
    «Oh, certo» eseguì imbarazzato. «Mi perdoni».
    «Oh, non fa nulla. Dopotutto non poteva certo saperlo. Sa, il fumo mi rende nervoso perché soffro d’asma».
    «Certo, scusi ancora».
    «Lei deve essere dell’agenzia investigativa, vero? Il Detective Moggelli, se non erro».
    «Nessun errore signor …?»
    «Che sbadato, non mi sono presentato. Mi chiamo Antonio Ferri e sono … » disse socchiudendo gli occhi quasi per appianare il dolore «il figlio della vittima».
    «Condoglianze, allora. Mi dispiace della morte di sua madre»
    «Nessuno se lo aspettava, è successo all’improvviso. E poi il modo …»
    «Partecipo al suo dolore, mi creda» e gli mise una mano sulla spalla.
    L’uomo guardava in basso, con il viso corrucciato, un’ espressione persa. Aveva un pizzetto tagliato sapientemente e i capelli castani ne completavano il viso, dando all’uomo un aria di grande discrezione. Zoppicava in modo evidente dalla gamba destra e nessuno osò chiedergli da cosa dipendesse.
    «Ma non perdiamo tempo, detective. Chi sono queste persone?» disse indicando me e Bianca.
    «Oh. Questa è mia figlia Bianca e quel ragazzino è un mio protetto. Si chiama Alex e dovrebbe essere un detective»
    Protetto?Dovrebbe essere un detective? Ma di che stava parlando?
    «La conduco di sopra, allora. La polizia è già arrivata. L’Ispettore Ducato ha già esaminato il cadavere, ma mi ha consigliato di rivolgermi a lei e l’ho chiamata subito».
    Antonio ci fece salire le scale che conducevano al piano superiore. La villa era davvero particolare. Percorremmo una rampa di scale composta da diversi scalini, ma non ci fermammo. Antonio ci disse che lì c’erano le camere da letto ed i bagni. Percorremmo ancora altri dieci, o forse venti scalini e finalmente arrivammo in un corridoio lungo e stretto adornato ancora con dei quadri di indubbio valore.
    Alla nostra vista una donna ci corse incontro.
    «Meno male che siete arrivati, signori!» disse con un tipico accento campano.
    «Detective Flavio Moggelli. Questi sono mia figlia Bianca ed il mio assistente Alex».
    Assistente?
    «Meno male che siete arrivati, lo ripeto. La polizia ci ha subito raccomandato di ingaggiarvi. Dicono che siete in ripresa dopo un periodo da schifo».
    Chiara e diretta.
    «Oh, non userei proprio la parola schifo, ecco. Mi ero preso un periodo di vacanza, tutto qui».
    «Mi chiamo Wilma Greschi» disse la donna di fronte a noi. «Sono la domestica di casa Cerruti».
    Notammo un uomo che piangeva appoggiato alla porta.
    «Mi scusi, chi è quel tizio che piange vicino alla porta?» chiesi.
    «Oh, il signor Boschi. Cristiano è il fratello della povera signora» forzò le ultime parole, perché dovette trattenere un pianto.
    Wilma, una donna sulla quarantina, rotondetta e con i capelli rossicci raccolti in uno chiffon, era truccata pesantemente. In pochi secondi ci condusse a pochi passi da Cristiano, un uomo dai folti capelli scuri e dai lineamenti giovanili.
    «Signor Boschi» iniziò timidamente la domestica. «Il detective Moggelli vuol parlare con lei».
    Cristiano si asciugò le lacrime e ci rivolse uno sguardo timido. Poi con un cenno mandò via Wilma, che si apprestò subito a consolare Antonio.
    «Cosa vuole da me, detective?» disse in tono straziato.
    «Nulla di particolare, solo conoscerla un po’» lo tranquillizzò.
    «Alex!» una voce risuonò nell’aria come un fuoco d’artificio. Vincenzo Ducato era appena apparso alle mie spalle, in tutta la sua integrità.
    «Ispettore, lieto di rivederla. Come andiamo?»
    «Non c’è male» e con un cenno salutò anche Flavio e Bianca. Si portò una mano al mento e riattaccò a parlare di lavoro. «Ho appena esaminato il cadavere. La scientifica ha detto che la donna è deceduta per un colpo d’arma da fuoco alla testa, ma abbiamo perquisito tutti gli abitanti della casa e non abbiamo trovato tracce di polvere da sparo»
    «Ha controllato gli alibi dei sospettati, ispettore?» domandò Flavio.
    «Certamente. Aspettate un attimo.» La sua voce si alzò di un tono e urlò: «Novato! Vieni immediatamente qui con il rapporto completo!».
    L’agente, un giovanotto dritto e con i capelli pettinati in maniera strana, scattò come una freccia alle parole di Ducato.
    «Lui è Giuseppe Novato, ma credo l’abbiate conosciuto anche qualche giorno fa allo studio legale. È un novellino» disse fiondandogli una paterna e violenta pacca sulla schiena.
    L’avesse data a me, sarei dovuto andare alla ricerca di fegato, costole e cuore.
    «Mi chiamo Giuseppe Novato, signori. Ho venticinque anni e …»
    «Novato!» Lo richiamò all’ordine Ducato.« Ma ti ho chiesto di presentarti? Elenca il rapporto al detective Moggelli!».
    «Giusto, mi scusi signore! Da dove vuole che cominci?»
    «Magari dal principio. Elenca gli alibi dei presenti ai signori e poi prosegui con tutte le informazioni possibili»
    «Subito, ispettore. La domestica, Wilma Greschi e la sua assistente nei lavori casalinghi addetta dalla famiglia, Juliana Anastasi, erano in cucina al momento del delitto. Entrambi affermano di aver lavorato insieme dalle dieci e trenta fino alle dieci a quaranta circa. Antonio Ferri era uscito per portare fuori il cane della famiglia ed è stato via tra le dieci e venticinque e le dieci e cinquantacinque . Ci ha chiesto di domandare ad un suo amico, che di professione fa il calzolaio, ed effettivamente l’uomo afferma di aver parlato con lui, seppur per pochi minuti. Per quanto riguarda Cristiano Cerruti invece, ha affermato di aver dormito fino alle dieci e quarantacinque. Il delitto è avvenuto tra le dieci e trenta e le dieci e quarantadue, ora del ritrovamento del cadavere».
    «E quarantadue?» ripetei. «Mi spieghi come fate ad essere così precisi?».
    «Tutto merito mio!» esclamò la domestica. «Io vedo un sacco di polizieschi, sono pure io un detective, a modo mio, sapete?».
    «Non si esalti troppo, è tra i sospettati» disse Ducato.
    Si rabbuiò in viso.
    «Come diceva la signora Greschi» continuò Novato «è stata proprio lei a controllare immediatamente l’ora esatta del ritrovamento del cadavere. Ha avuto molta prontezza».
    «Già, questo è vero» confermò l’ispettore.
    «La vittima si chiamava Gianna Boschi, di professione faceva l’imprenditrice nel campo dell’edilizia. Aveva sessantadue anni e spesso lavorava direttamente da casa. La Boschi S.p.A. è leader del suo settore e il decesso è avvenuto per colpo da arma da fuoco. La pistola aveva probabilmente un silenziatore, in quanto nessuno ha sentito niente. Inoltre, prima che arrivaste, abbiamo chiesto ai presenti se avessero notato qualcuno di sospetto, o se fosse entrato qualche sconosciuto, ma tutti hanno risposto negativamente. Nessuna porta o finestra ci risulta forzata» concluse.
    «Nessuna porta e finestra forzata?» domandai.
    L’agente parve scosso. «Sì … porte e finestre risultano perfettamente a posto».
    «Ciò significa …».
    Ducato mi anticipò. «Che il colpevole è già tra di noi».
    Ci voltammo e li guardammo. Gli insospettabili erano dei sospetti.

    Edited by Matteo Del Piero - 19/7/2013, 16:21
     
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    Andò a sdraiarsi in salotto, Andrea andò con lui

    rendi più leggera la frase togliendo la ripetizione.

    CITAZIONE
    «Ci risiamo …» roteai gli occhi in aria.
    «Oh, no. Mio fratello non è quel tipo di bimbo. Don’t worry, be happy, no?» risposi con un sorriso.

    quel ci risiamo è forse un pensiero?

    CITAZIONE
    «Sbaglio o non è il titolo di quella canzone degli anni ottanta?».

    credo che il non non ci voglia

    CITAZIONE
    abile personalità nel mondo finanziario

    metti la virgola dopo finanziario

    CITAZIONE
    un colpo di arma

    d'arma

    CITAZIONE
    addetta dalla famiglia, Juliana Anastasi

    manca la virgola alla fine

    qualcosa mi dice che centra il fumo...
     
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    CITAZIONE (The Aster @ 19/7/2013, 15:11) 
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    Andò a sdraiarsi in salotto, Andrea andò con lui

    rendi più leggera la frase togliendo la ripetizione.

    CITAZIONE
    «Ci risiamo …» roteai gli occhi in aria.
    «Oh, no. Mio fratello non è quel tipo di bimbo. Don’t worry, be happy, no?» risposi con un sorriso.

    quel ci risiamo è forse un pensiero?

    CITAZIONE
    «Sbaglio o non è il titolo di quella canzone degli anni ottanta?».

    credo che il non non ci voglia

    CITAZIONE
    abile personalità nel mondo finanziario

    metti la virgola dopo finanziario

    CITAZIONE
    un colpo di arma

    d'arma

    CITAZIONE
    addetta dalla famiglia, Juliana Anastasi

    manca la virgola alla fine

    qualcosa mi dice che centra il fumo...

    Grazie mille per l'editing :) ... non posso dirti di più, domani continua ;)
     
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    Adoro i gialli della camera chiusa, e questo sembra essere proprio uno di quei casi! *-*

    Credo che i capitoli che seguiranno saranno molto interessanti! <3

    Condivido il parere di Aster, il fumo potrebbe essere molto collegato al caso...
     
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    FILE 8. Deduzioni per una questione scottante



    «Bene, Novato!» esclamò soddisfatto l’ispettore. Il cadavere della donna era lì di fronte a noi, ancora adagiato sulla sedia con lo schienale forse eccessivamente spinto in avanti. Il colpo era arrivato alle spalle della donna e le aveva letteralmente bucato il cranio. I capelli bianchi erano stati inquinati da una folata di sangue rosso che gli annegava il volto invecchiato, ma che comunque, stando alle numerose foto presenti nell’ufficio e ad una gigantografia appesa appena sopra il master in economia e commercio, risultava affascinante.

    «Quindi siete sicuri che il colpo sia partito da dietro, non è vero Novato?» gli chiesi indicando la vetrata rotta alle spalle della scrivania.
    Mi guardò con un’espressione severa che un venticinquenne non dovrebbe nemmeno conoscere.
    «Il fatto che tu sia amico del detective Moggelli, non ti autorizza a ficcare il naso in ogni …».
    L’ispettore Ducato piombò alle sue spalle e aveva assunto un colorito inusuale. Quasi violaceo.
    «Novato!» e il ragazzo sobbalzò.
    «Lui è Alex, anche lui è un detective! È quello che due giorni fa ha risolto il caso dell’avvocato Fratti! E che diamine!».
    Si avvicinò ulteriormente e mi squadrò. «Oh, sei tu».
    «Da almeno diciotto anni, pensa te».
    Scoppiò in una risata, poi si ricompose, aiutato anche dallo sguardo truce del suo superiore. «Io, ecco, mi spiace, ma ero sovrappensiero e l’ho visto solo una volta» tentò di discolparsi con Ducato «e dunque non avevo fatto caso che era il ragazzo dell’altro giorno». Poi si rivolse a me, più umile che mai. «Mi spiace, amico. Ricominciamo, ok?».
    «Abbiamo mai iniziato?».
    Rise ancora e si voltò verso Ducato sorridendo, che però non ricambiò.
    «Che sagoma, comunque sì, il colpo è partito da lì».
    «È probabile che il colpo sia stato inferto da lontano. Forse dal giardino, prendendo accuratamente la mira» osservò Flavio. «Probabilmente il colpevole ha utilizzato un mirino e …».
    «Mah, non direi» mi lasciai sfuggire.
    Flavio e Bianca mi guardarono perplessi, con il primo che, visibilmente irritato trattenne un insulto. «Non vedi che il vetro della porta finestra è infranto?!»
    «Si,» accordai, «ma se il colpo fosse stato inferto da lontano, il vetro non si sarebbe rotto in questo modo, non credi? Quando un colpo parte da lontano, più precisamente con un mirino, di solito il vetro si rompe solo intorno alla forma del proiettile, oppure può rompersi anche estendendosi in altri punti, ma qui» dissi indicando il vetro in mille pezzi «il colpo è stato sparato a distanza ravvicinata, anzi, notando la grandezza del davanzale esterno, non mi stupirei se l’assassino si fosse poggiato sul davanzale e avesse fatto partire il colpo da lì. In fondo siamo al secondo piano, ma è pur vero che quel davanzale può accogliere una persona senza problemi»
    «È anche questa una possibilità» asserì Ducato.
    «Nel dettaglio, che tipo di arma è stata usata?» chiese Flavio avvicinandosi a Novato.
    «Secondo le analisi sulla polvere da sparo, e dalle ipotesi della scientifica, si tratta di una Browning Buckmark 221».
    «Un’arma con la canna lunga» osservò Flavio.

    Mentre si discuteva sulla probabile arma, mi avvicinai al cadavere.
    Il colpo era davvero stato inferto da vicino. Aprii la finestra alle spalle della vittima munendomi di guanti fornitomi dalla scientifica. Sul davanzale non erano presenti altre tracce, se non … cenere.
    «Scusate» dissi richiamando l’attenzione di tutti
    «Che cosa c’è?». Ducato si voltò verso di me quasi adirato.
    «Ho notato che sul davanzale ci sono alcune tracce di cenere. Probabilmente il nostro assassino fumava una sigaretta quando ha ucciso la vittima, non credete?»
    Ad interrompere la conversazione fu Cristiano.
    «Mi dispiace deluderti ragazzino, ma mia sorella era un’accanita fumatrice e spesso fumava proprio su quel davanzale».
    «Hai fatto un buco nell’acqua» mi fece notare Flavio e per un momento desiderai buttarlo giù dal Gran Canyon.
    «Bene» cominciò Giuseppe Novato. «Secondo gli ordini dell’ispettore devo chiedervi se qualcuno di voi ha visto la vittima prima dell’ora del decesso, che stando alle analisi, è stimata tra le dieci e trenta e le dieci e quarantadue, ora del ritrovamento del cadavere. Cominciamo con lei, signora Greschi» disse rivolgendosi a Wilma, la domestica.
    «Dica pure, agente».
    «Ha parlato con la vittima, stamattina?».
    «Io, con la signora, stamattina ci ho parlato» disse con inconfondibile accento campano.
    «Ricorda l’ora?».
    «Dovevo ancora entrare in cucina. Prima delle dieci e trenta sicuramente»
    «Può darci qualche informazione in più, signora Greschi?» chiese l’ispettore Ducato.
    «Gli ho chiesto cosa volesse che preparassi per pranzo, ma lei ha detto che non avrebbe mangiato perché aveva molto lavoro da fare ed io ho lasciato l’ufficio. Comunque la conversazione è durata solo pochi secondi, ispettò …».
    «Lei ha dichiarato di aver lavorato in cucina dalle dieci e trenta in poi» proseguì l’ispettore.
    «E lo confermo. In cucina c’è un orologio a pendolo e ho visto chiaramente l’ora. Ripeto, ho parlato con la signora solo per pochi secondi e quello che è successo dopo non so».
    «Bene, signora. Cristiano, proseguiamo con lei».
    L’uomo si avvicinò con fare strafottente, e con gli stessi modi si accese una sigaretta.
    «Dica pure».
    «Lei ha avuto modo di parlare con la vittima?».
    «Purtroppo no. Non ne ho avuto la possibilità. Come ho riferito prima, sono stato a letto fino alle dieci e quarantacinque circa».
    «Non ha notato nulla di strano? Alcun rumore sospetto?».
    «Stavo dormendo. Cosa avrei dovuto notare, scusi?!» domandò scortese.
    Che pazienza.
    «Insomma, lei ha dormito e non ha visto niente, giusto?»
    «Già».
    «Nessun rumore sospetto, nessun …».
    «Ispettore, le ho detto chiaramente di non aver notato nulla di strano. Che c’è? Volete incolparmi a tutti i costi?! Oppure non sapete indagare e ve la prendete con gli innocenti?».
    L’ispettore apparve disorientato, mentre alle sue spalle portavano via il cadavere della vittima, avvolto in una sorta di sacco a pelo.
    «Uh? No, si figuri».
    Novato disse: «Antonio, tocca a lei».
    L’uomo si accomodò e in quegli istanti trasudò un’eleganza totalmente opposta a quella di Cristiano.
    «Lei ha parlato con la vittima, prima dell’omicidio? Ne ha avuto modo?».
    «Si».
    Ducato si illuminò in volto e interruppe ancora l’attività del giovane agente. «Ne è proprio sicuro?».
    «Be’… non proprio».
    Tutti lo guardammo con aria interrogativa.
    «Non guardatemi così» disse cercando di gesticolare per discolparsi. «Io sono effettivamente entrato nell’ufficio di mia madre, ho preso la cartellina che volevo dalla scrivania e ho provato a scambiare quattro chiacchiere con lei. Ma i rapporti tra di noi sono stati molto tesi ultimamente e così non riuscivamo più ad instaurare un dialogo senza litigare. Stamattina, quando sono entrato, era rivolta verso la finestra e ha ignorato le mie domande, così ho lasciato perdere».
    «A che ora?».
    «Erano passate da poco le dieci e trenta, di questo sono certo».
    «Mi sa dire il perché dei litigi, tra voi?»
    «Be’ vede. Io non volevo che lasciasse papà»
    «Quindi i suoi genitori si erano separati?».
    «Si, da circa un anno. I beni di famiglia sono totalmente …» si corresse subito, mal nascondendo un velo di evidente tristezza «erano totalmente intestati a mia madre».
    «Questo vuol dire che suo padre …».
    «No, non è sulla soglia della povertà. Mio padre è morto da due mesi a questa parte. Viveva in un monolocale e il suo cuore ha smesso di battere per una malformazione cardiaca che non gli era mai stata diagnosticata dal medico di famiglia».
    Sembrava tranquillo, conscio del suo dolore, con gli occhi che brillavano come specchi, ma che trasudavano malinconia e insofferenza.
    «Mi dispiace, signor Antonio».
    «Sono cose che capitano nella vita, ispettore».
    «Lei però aveva un ottimo movente, se vogliamo» riprese Flavio.
    «Cosa? Detective, lei … non può sospettare di me!».
    «Sospetto di tutti, signor Antonio».
    L’uomo ci guardò rabbioso e sussurrò qualcosa di poco comprensibile. Poi se ne andò indignato.
    L’ispettore ordinò agli agenti di interrogare anche l’altra domestica al piano inferiore e di riferirgli tutto quanto, ma le parole di quest’ultima si rivelarono pressoché inutili ai fini delle indagini.

    Nella stanza rimanemmo io, Flavio, Ducato, Novato, Bianca e Andrea.
    «Cosa ne pensate?» ci chiese l’ispettore.
    «Nulla di che. Gli indizi sono ancora troppo pochi per trarre conclusioni» affermò Flavio.
    Qualcuno aveva ucciso la povera vittima con un colpo di pistola: questa era l’unica cosa certa su cui potevamo far affidamento. Sul davanzale, poi, avevamo ritrovato della cenere di sigaretta, ma la signora aveva la consuetudine di affacciarsi sul davanzale per fumare e questo portava fuori strada molte delle mie ipotesi iniziali.
    Mi affacciai al davanzale e volsi il mio sguardo verso l’alto. Poi mi diressi dall’ispettore.
    «Ispettore …».
    «Sì?».
    «Che stanza c’è al terzo piano?»
    «Novato ha perquisito tutta la casa. Sopra c’è solo una camera da letto, ed è quella di Cristiano».
    «Ok, grazie».
    Un particolare destò la mia attenzione. Appena sopra il davanzale della finestra, a far da contorno ad essa, c’era una colonnina di pietra che impreziosiva il tutto. La colonna era disegnata in stile barocco, ma aveva qualcosa che non andava. A distanza di circa dieci centimetri l’uno dall’altro c’erano due segni spessi circa un centimetro e che si protraevano per una buona decina.

    «Ispettore, posso accendermi una sigaretta, non è vero?».
    «Ma che domande sono? Certo che puoi, ma perché me lo chiedi?».
    «Credevo che sapesse del problema del figlio della vittima. Non sopporta il fumo».
    «Be’ poco prima di far rientrare i sospetti faremo arieggiare la stanza. Fuma pure, se ti aiuta a riflettere».

    Bianca si allontanò da suo padre e, con Andrea, si avvicinò al davanzale.
    «Trovato nulla?».
    «Uh? No, no, ancora niente … »
    «È per caso in difficoltà, signor detective?».
    «Bah, direi di no».
    «E allora chi è il colpevole?» chiese curiosa.
    «Non posso dirtelo, se non trovo le prove, Bianca».
    A noi si avvicinò Flavio.
    «Cosa state farfugliando, voi due?»
    «Ma niente!» dicemmo insieme.
    Ci guardò attraverso i cerchi di fumo che esalava e la sua espressione apparve spaesata, quasi disorientata.
    Poi buttò la sua sigaretta in quello che doveva essere una sorta di posacenere della casa. Ma il posacenere della signora Boschi era commisurata alla sua ricchezza. Un contenitore di bronzo, raffigurante un angioletto, alto almeno mezzo metro e ripieno di sabbia, foglie portate lì dal vento, e altre cicche di sigaretta.
    Guardai il “posacenere” ancora per qualche istante, poi sobbalzai. La prova era arrivata. Ed era più tangibile che mai.
     
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    Non ti edito perché sono col cellulare in una mano e il gelato nell'altra.
    Storia interessante, ma credo che dovresti lavorare di più durante le interrogazioni dei sospettati. Cioè; va bene così come la stai raccontando, ma non riesco a calmarmi durante i dialoghi con i possibili colpevoli. Non so se mi sono spiegato...
     
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    CITAZIONE (The Aster @ 20/7/2013, 22:01) 
    Non ti edito perché sono col cellulare in una mano e il gelato nell'altra.
    Storia interessante, ma credo che dovresti lavorare di più durante le interrogazioni dei sospettati. Cioè; va bene così come la stai raccontando, ma non riesco a calmarmi durante i dialoghi con i possibili colpevoli. Non so se mi sono spiegato...

    Buon appetito xD, be', è una bella cosa che non ti calmo con le parole :D ... cercherò di lavorarci di più nell'editing. Più tardi l'altro file ;)
     
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    Bene, la prova è sul posacenere. U.U
    Al momento sinceramente non ho idea, però, di cosa possa essere. :unsure:
     
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    FILE 9. La verità e la lettera



    «Bene, signori». I sospettati erano rientrati nella stanza su espressa richiesta di Ducato. Pochi secondi prima ero andato da lui e gli avevo chiesto di radunare di nuovo tutti i protagonisti di quello spiacevole gioco per chiarire un po’ le cose. Il mio gesto non andò esattamente a genio a Flavio, che dal canto suo era restìo ad assumersi le responsabilità di una deduzione proveniente da un ragazzo della mia età.
    «Il nostro collaboratore, Alex Fedele, ha annunciato di avere novità riguardanti al caso. Vi prego di ascoltare attentamente ciò che ha da dirvi». Si scostò e nell’aria sentii sussurrare frasi come: «Ma è solo un ragazzino», oppure «qui vogliono prenderci in giro».
    Mi appoggiai alla porta dell’ufficio e la chiusi alle mie spalle, suscitando perplessità.
    «Partiamo da un presupposto» iniziai appoggiandomi alla porta. «L’assassino è in questa stanza. Secondo il rapporto che voi stessi avete contribuito a stilare, nessuno di voi ha notato cose sospette. Nessuno di voi ha aperto a sconosciuti e inoltre la polizia stessa ha detto che nessuna entrata è stata forzata».
    «Quindi?» disse Wilma con impazienza.
    «Quindi l’assassino è uno di voi. Antonio, lei è l’unico che avrebbe potuto, in base al movente …».
    Mi interruppe in malo modo, alzandosi così velocemente da sembrare uno shuttle in procinto di partire. «Cosa vuoi insinuare?!».
    «Non la sto accusando, Antonio».
    Parve calmarsi.
    «Devo però fare delle critiche all’omicida. Il killer, infatti, ha lasciato tracce inequivocabili della sua colpevolezza e le ha seminate grazie ai suoi comportamenti.
    «Cosa vuoi dire?» domandò Flavio.
    «Ricostruiamo i fatti, vi va? Secondo alcune supposizioni della scientifica, il delitto deve essere avvenuto nel lasso di tempo che va dalle dieci e trenta fino alle dieci e quarantadue, ora del ritrovamento del cadavere. L’omicida avrebbe quindi impiegato circa dodici minuti per eliminare la vittima, ma non è detto che li abbia utilizzati tutti. Come sapete, l’ora stimata è solo una supposizione e spesso è un fattore che può variare. La signora Wilma è entrata nella stanza ed ha parlato, seppur per pochi secondi, con la signora Boschi. Questo vale a dire che alle dieci e trenta la donna era ancora viva e vegeta, mi seguite?»
    «Confermo» disse la Greschi con fare ruspante.
    «Tuttavia, anche il signor Antonio afferma di essere entrato per prendere delle cartelline dimenticate, ma nel tentativo di instaurare un dialogo con la vittima, non ha ottenuto buoni risultati. Tutto corretto?».
    «Sì» disse Antonio.
    «No, invece. Non lo è affatto». La folla ebbe un sussulto.
    «Ma mia sorella» precisò Cristiano «non parlava con mio nipote da tempo. Questo posso confermarlo io».
    «E se io vi dicessi che la signora Boschi era già morta, quando suo figlio è entrato per prender la cartellina?».
    Silenzio assoluto. Totale. Di tomba. I presenti mi guardavano scioccati e di tanto in tanto strabuzzavano gli occhi.
    «Mi sarei accorto se mia madre fosse stata morta, no?».
    «Lei ha affermato che sua madre era voltata con la sedia verso la finestra. Lei non le ha visto la faccia o peggio la testa, lei ha visto solo lo schienale della sedia, conferma?».
    Annuì leggermente.
    «Signor Cristiano,» lo interpellai e lui mi guardò. «Vuole che le spieghi come ha fatto ad uccidere sua sorella, o ce lo spiega direttamente lei, senza troppi fronzoli?».
    Tutti si voltarono verso di lui e la stanza divenne più gelida degli igloo al Polo Nord. I suoi occhi di ghiaccio scrutavano ogni singolo millimetro della mia persona e per un momento pensai che tentasse di scappare, ma ebbi torto.
    «Sei un idiota, lo sai?»
    Non mi scomposi più di tanto, anzi affermai: «Signor Cristiano, mi perdoni, ma qui l’idiota è lei».
    «Ok, Sherlock. Spiegami come avrei fatto ad uccidere qualcuno mentre dormivo».
    Lei non stava dormendo, signor Cristiano» mi scostai dalla porta ed esaminai distrattamente alcune copie di bilanci aziendali. L’utile della Boschi S.p.A. era stato di circa quattro milioni di euro, quell’anno. Ora capivo come diamine potevano permettersi tutto quello. «Prima mi sono affacciato sul davanzale e ho notato che l’unica stanza sopra l’ufficio della signora Boschi è la sua».
    «E quindi? Questa non è una prova contro di me!».
    «Ha ragione, Alex» disse Novato.
    Ha usato una corda, non è vero?».
    I suoi occhi si sgranarono.
    Insistetti. «Ha usufruito di una corda per calarsi dal piano superiore fino al davanzale di questa finestra. Ha legato la corda probabilmente ai pomoli del letto ed è sceso lentamente al piano di sotto. La corda però, complice la sua forzatura per atterrare il più lentamente e soprattutto silenziosamente possibile, è strusciata sulla colonnina che sta sopra la cornice della porta finestra. Ispettore, faccia controllare. Su quella colonnina ci sono due segni molto, molto simili e sono tra loro paralleli».
    «Continua» disse Flavio. «Vediamo dove arrivi».
    «Dopo essere atterrato sullo spazioso davanzale della porta finestra, lei ha estratto l’arma e a sangue freddo ha sparato alla testa della povera vittima. Come scritto nel rapporto della polizia, l’arma era ovviamente inclusa di silenziatore. Non contento, però …»
    «Ora basta! Sono tutte cazzate! Non starò qui un minuto di più, a farmi spacciare come assassino. Non potete condannarmi così!» urlò accendendosi una sigaretta.

    Aspettai qualche secondo. Poi continuai sicuro, voltandomi di spalle ed esaminando i soprammobili dell’ufficio.
    «Cristiano, le annuncio che lei si è appena condannato da solo» sussurrai.
    Mi voltai e vidi che tirando dalla sigaretta mi guardò quasi con compassione. «Davvero? E perché mai?».
    «Perché lei si è appena fatto un clamoroso autogol, accendendosi quella sigaretta! Sul davanzale sono state trovate tracce di cenere, lei lo sa bene. Per sviare le indagini ha detto che sua sorella fumava su quel davanzale, è corretto?»
    «Lo confermo. E allora?».
    «Ma lei deve essere già sceso con la sigaretta in bocca. Da quando è qui si è acceso davanti a noi almeno tre o quattro sigarette e prima, quando ci siamo conosciuti, il suo alito era già pesante per via del tabacco, quindi lei aveva già fumato. Stavolta però la sua passione per il fumo le è costata cara. Ho notato infatti, che lei si accende una sigaretta nei momenti in cui avverte tensione, o avverte comunque un pericolo. Se l’è accesa adesso che la sto incolpando, l’aveva accesa quando aveva deciso di commettere il delitto e anche quando è stato interrogato dall’ispettore, non ricorda?». Mi voltai verso Ducato, che annuì in maniera solenne.
    «E questa ti pare una prova sufficiente, idiota?» disse con gli occhi vitrei.
    «Oh, no di certo, cretino. Ma lei dovrebbe fare una bella ramanzina al negozio di cosmetici di sua sorella, anzi, se vuole sporgo denuncia per lei».
    «C-Cosa? Cosa centra adesso il negozio di cosmetici di mia sorella? Stai andando fuori di testa?» disse basito.
    Lo sfidai con il sorriso che mia madre aveva sempre definito «irritante».
    «Sua sorella indossava un rossetto molto acceso ed era una fumatrice accanita, proprio come lei. Le sue sigarette sono depositate in quel contenitore» continuai indicando il grosso posacenere «appena sotto la finestra dove si recava a fumare, come da lei stesso ammesso, abitualmente. In questa casa anche Wilma fuma, infatti dalla tasca posteriore del suo jeans spunta un pacchetto di Marlboro. Tuttavia anche Wilma ha un rossetto forte, quasi identico a quello che indossava sua sorella».
    «Aspetta, vuoi dire che la prova è …» disse Flavio.
    «La prova è così evidente!» esclamai. ««Suo nipote Antonio non sopporta il fumo ed ha chiesto al detective Moggelli di spegnere la sigaretta che stava fumando nel salottino al piano di sotto»
    Il volto di Cristiano si fece paonazzo.
    «Se Wilma, o sua sorella, oggi avessero fumato, non crede che sul filtro della sigaretta sarebbero state ritrovate tracce di rossetto? Invece controlli pure il posacenere. Facendolo, potrà notare come il filtro delle sigarette sia completamente privo di alcun segno».
    Ci fu silenzio.
    «Ho solo fatto due più due, signor Cristiano, cosa che a lei appare complicata, a quanto pare».
    Tentò di rispondere, probabilmente con un’altra stupidaggine, ma si bloccò.
    «Inoltre,» continuai vedendo che avevo campo libero «sono sicuro che in camera sua troveremo la corda che ha usato per scendere al piano superiore. Troveremo anche l’arma del delitto, magari nascosta nell’armadio, o sotto il letto. O magari in giardino, signor Cristiano? Forse l’ha nascosta nelle siepi. Ricapitolando, ha usato una corda per calarsi al piano inferiore, è atterrato sul davanzale, impugnato l’arma col silenziatore e fatto fuoco, uccidendo sua sorella.
    «E se le venisse in mente di incastrare suo nipote, non le riuscirebbe lo stesso. Lei ha un fisico aitante, lei è l’unico, ad avere un fisico aitante, a dir la verità. Suo nipote Antonio ha una gamba che non gli permette di camminare bene, mentre Wilma non è certamente il tipo che si calerebbe con una corda da un balcone».
    Pazientò qualche momento e vidi che le sue mani si erano inumidite e che lui cercava di asciugarsele premendole ripetutamente contro le cosce.
    Si lanciò in un applauso demenziale. «Bravo, ragazzino. Bella deduzione». Si accese un’altra sigaretta. «Questa è forse l’ultima da uomo libero, no?».
    Annuii.
    «Zio! Come hai potuto?!» urlò Antonio.
    Oh, tua madre era una fottuta bastarda, niente di più e niente di meno».
    Antonio si avvicinò repentinamente a suo zio, probabilmente per picchiarlo, ma Novato lo trattenne e l’uomo parve calmarsi.
    «Qual è il suo movente?» domandai.
    Assaporò per un po’ la sigaretta, prima di rispondere. «Avevo collezionato vari debiti, a causa della mia passione per il poker online» spiegò sfacciatamente. «Ultimamente dovevo una grossa somma ad un mio amico, figlio di uno strozzino, che minacciava di uccidermi. Qualcosa come» tirò ancora dalla sigaretta «diecimila, forse dodicimila euro. Avevo chiesto un prestito a mia sorella, ma lei me l’aveva negato. Aveva negato aiuto a suo fratello. Non è forse un crimine, questo?» disse guardandomi con malinconia.
    Non risposi.
    «Che c’è? Hai perso la lingua, detective?».
    Cos’è che stabilisce un crimine? Le pene? La legge? La burocrazia? O forse siamo noi, con la nostra storia, la nostra coscienza, la nostra mania di protagonismo? In macchina riflettei ancora a lungo sul caso dei Boschi, una vicenda che mi aveva colpito. Nonostante ripensassi a Cristiano, non riuscivo a spiegarmi razionalmente il motivo del suo gesto. La morte non si procura. Mai.

    In serata cenammo in un ristorantino giapponese, e anche se il sushi non era propriamente il mio piatto preferito, mi abbuffai.
    «Che bravi, che siete stati!» continuava a ripetere Bianca con un sorriso.
    Mio fratello invece disse: «Anche io voglio fare il detective, Bianca».
    La ragazza lo guardò dolcemente e lo accarezzò.
    «E perché?».
    «Così ho un lavoro … e posso sposarti».
    Flavio ed io alzammo gli occhi contemporaneamente dal nostro piatto, mentre Bianca ci lanciò un’occhiata indistinta. Inevitabile che scoppiassi a ridere, attirando l’attenzione di tutti i presenti. Flavio mi seguì a ruota e le nostre risate riempirono l’intero locale, con i signori del tavolo vicino che probabilmente si stavano chiedendo se fossimo normali o meno.
    «Ma sei piccolo» gli disse con ironia.
    «Ma tu mi aspetti, vero?».
    «Sicuro» alzò la mano in segno di giuramento. «Sei il maschio più serio, qui dentro».

    La mattina dopo ricevetti un pacco postale specificatamente indirizzato a me. Flavio stava per aprirlo, ma Bianca glielo strappò letteralmente dalle mani e me lo diede.
    Beato buonsenso.
    Sul pacco, avvolto in una cartata arancione piuttosto spartana, c’era il seguente messaggio:

    PER ALEX.
    NON FARLO APRIRE AD ALTRI, SEGRETO DI FAMIGLIA!
    TI SERVIRÁ, CI SCOMMETTO.
    LEONARDO


    Mio fratello. Solo lui poteva scrivere questi messaggi al tempo stesso criptici e comici.
    Andai dunque in camera mia e notai che all’interno del pacco c’era una lettera. Poi scostai un mucchio di carta di giornale e la puzza di inchiostro stantìo riempì praticamente tutta la casa. Trovai una lettera ed una confezione in titanio. Guardai a destra e a sinistra e mi assicurai di non essere finito in una rivisitazione della saga di Star Trek.

    Lessi prima la lettera:

    Caro fratellino,

    Ok, hai diciotto anni e chiamarti così è quasi ridicolo … ma è divertente, che ci posso fare? Spero tu non abbia fatto l’ingenuo come al solito e abbia aperto il pacco da solo.

    Spero tu stia bene, quello che ti mando è un incentivo per riuscire nel tuo sogno. La mamma mi ha detto che devo comunque esercitare le mie funzioni di fratello maggiore, ma attualmente il mio gruppo di studio è in gita di istruzione a Dorchester, nel Massachussets e dunque, come faccio? Però ogni tanto ti posso mandare qualcosa di interessante, non ti pare? Al nostro campus di Miami mettono a disposizione ogni apparecchiatura elettronica ed ogni laboratorio tecnico ed io ci vado matto per queste cose, lo sai.

    Nel pacco c’è una penna un po’ particolare, prova a far scorrere il tappo verso il basso e mettitela addosso. Peccato non poter vedere la tua faccia!

    Un abbraccio enorme e ricordati che ti vedo, pure a chilometri di distanza!

    Leonardo

    Conoscendo mio fratello avrei dovuto avere paura, davvero paura. Una volta, quando avevo appena due anni,e lui cinque, mi fracassò un vaso di fiori sulla testa, perché stavamo giocando a Gugliemo Tell e quella cosa della mela. Da allora odio i vasi. E pure le mele, a dirla tutta.
    Presi la scatola in titanio ed estrassi la penna. Era lunga circa dieci, dodici centimetri, non di più e interamente nera. Aveva un design elegante e all’apparenza innocuo. Provai a fare come aveva detto. Abbassai il tappo fin dove possibile e poi me l’appoggiai a dosso. Nulla di strano per i primi due secondi, poi dovetti mollarla e fui ribaltato al di là del letto, cadendo rovinosamente sulla gamba sinistra!
    «Dannazione!» urlai.
    Entrò Andrea.
    «Che cosa c’è, fratellone?».
    «Facevo … facevo ginnastica, non preoccuparti» lo rassicurai con un sorriso da ebete.
    Fece spallucce e tornò in camera sua.
    Ma cosa diamine era stato? Non so quanti volt avevo ricevuto in corpo, ma di sicuro erano tanti. Presi di nuovo la scatola e vidi che sul fondo c’era un ulteriore biglietto.

    Ah, dimenticavo, appoggiandotela sulla pelle potresti accusare una leggera micro scossa elettrica da circa 350 volt. La prima scossa è programmata per far male(ehi, modifica del sottoscritto!) e per far restare in piedi la persona,in quanto è solo un test fisico, ma da adesso, ogni volta che la userai su una persona, questa cadrà immediatamente al suolo, senza accusare danni permanenti, si intende. La micro scossa dura circa mezzo secondo, ma è abbastanza potente da far crollare a terra un gigante come un sacco di patate. Può essere usato anche a distanza, ma ad un raggio d’azione di circa dieci metri, non di più. Mira bene quando devi sparare e soprattutto, ricaricala ogni tre giorni. L’idea di base è quella della stun gun, hai presente? Ma la mia stun pen, come detto, è innocua, totalmente innocua e non disperde elettricità fisica, ma solo aerea, basandosi sulle reazioni ambientali e tutta una serie di cose che non sto qui a spiegarti, perché in materia sei più ignorante di una capra.

    Leonardo

    P.S. Piaciuta la scossetta? Tienila nascosta, quella penna. E tienila lontano da Andrea. Ti saluto.


    A volte detestavo mio fratello. Osservai la penna e la misi nella custodia. Solo lui poteva fare esperimenti su oggetti così. Era fissato e da quando mia madre gli aveva detto di controllarmi lo era diventato ancor di più. Prima l’orologio cellulare-navigatore, ora una stun – pen, la prossima volta avrei chiesto un hangar liofilizzato. Mi sarebbe servito per sdraiarmi e per custodirci dentrotutti i miei sogni.

    Edited by Matteo Del Piero - 2/9/2013, 15:17
     
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  14. Melvin II
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    Il File tre e quattro sono all'altezza dei primi due. La curiosità e l'attesa sono ben costruiti nel quarto. Bello ed divertente l'inizio del "duelllo" professionale tra Flavio ed Alex.
     
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    bello anche questo, soprattutto la parte riguardante Stefano.
    Se permetti, vorrei suggerirti al cune cose per un futuro caso alquanto... particolare: specchi, prismi, immagini residue, allucinazioni da panico.
    Io ti ho dato gli indizi, adesso sta a te lavorare di fantasia, buo divertimento XD
     
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2134 replies since 12/7/2013, 11:48   11182 views
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