Anime di metallo

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    Ma non ti starò viziando un po' troppo? :P
    Tu chiedi e io posto...




    Capitolo 62.
    Dimenticare la voce della signora Tray - si chiamava Sylvia ed era la moglie di Kenneth da poco meno di due anni - non era possibile, questo Gabriel lo sapeva bene: erano passate un paio d’ore dal loro incontro, ma non riusciva a togliersela dalla testa, e difficilmente ci sarebbe riuscito, almeno nel giro di poco tempo.
    «Siete stati così gentili a venire.» Forse si era accorta del suo sguardo assente, dal momento che aveva preferito rivolgersi a Maya, piuttosto che a lui. «Sono sicura che Kenneth sarebbe felice di sapere che siete qui.»
    Di che cosa potesse davvero interessare a Kenneth, Gabriel non era affatto sicuro, ma sospettava di gran lunga che avrebbe preferito poter vivere la propria vita, piuttosto che vedersela stroncare a trentasei anni.
    «Non potevamo mancare» le aveva risposto Maya. «Gabe è davvero molto provato dalla morte di Kenneth.»
    Gabriel non sapeva se fosse il termine giusto.
    Sì, forse lo era.
    Non era stata la morte di Kenneth, però, a sconvolgerlo così tanto.
    «Non è più in lui» aveva proseguito Maya. «Spero che possa riuscire ad accettare la realtà.»
    Realtà.
    Qual era la realtà?
    Era quella che appariva sempre più evidente o quella che lo stesso Gabriel aveva cercato di negare?
    Kenneth era morto.
    Kenneth era stato ucciso.
    La consapevolezza era sempre più forte; tra le due facce della stessa medaglia era quella che Gabriel aveva sotto gli occhi.
    Girare la medaglia sarebbe servito soltanto a notare qualcosa di ben più sconvolgente, che confermava la veridicità anche del lato più visibile.
    «Sylvia è una persona a posto» osservò Maya, distraendolo soltanto per un istante dai suoi pensieri. «Probabilmente anche Kenneth era cambiato.»
    Gabriel annuì.
    «Probabilmente sì.»
    Il funerale si sarebbe svolto l’indomani, nelle prime ore del pomeriggio. Dopo lui e sua moglie sarebbero ripartiti per Starlit Spring. Si prospettava una lunga agonia.
    «Senti, Gabe...»
    Maya s’interruppe.
    Gabriel alzò gli occhi verso di lei.
    «Dimmi.»
    La vide scuotere la testa.
    «No, non era niente di importante.»
    Sembrava stanca. Era una di quelle sere in cui probabilmente le sarebbe bastato stendersi sul letto per sprofondare nel sonno.
    “Meglio così” si ritrovò a considerare.
    Il pensiero successivo lo folgorò come una saetta. Doveva fare una telefonata urgente.

    Kelly alzò il ricevitore.
    «Chi parla?»
    «Scusa per l’ora.» Sembrava la voce di Gabriel. «E scusa anche se non mi senti bene. Mi è stato difficile trovare un posto da cui telefonare.»
    Kelly aggrottò le sopracciglia.
    «Che ore sono?»
    «Mezzanotte passata. Dormivi?»
    «Ovvio che dormivo» rispose Kelly. «Mio zio s’è beccato un virus intestinale e mi toccherà aprire il bar all’alba!»
    «Scusami...»
    «Mi sembri fuori di te» osservò Kelly, a quel punto. «È successo qualcosa al funerale?»
    «Deve ancora esserci, il funerale.»
    «Comunque è successo qualcosa?»
    «Forse.»
    Kelly sbuffò.
    «Mi hai chiamato per parlarmi dei tuoi dubbi interiori o hai qualcosa di più sensato da dirmi?»
    «Hai ragione, scusami.»
    «Quante volte hai intenzione di chiedermi scusa?»
    «Lo so, Kelly, hai ragione... Però c’è una cosa importante di cui dovrei parlarti di persona. Possiamo vederci nel pomeriggio?»
    «Non sarai al funerale?»
    Gabriel la lasciò spiazzata.
    «Non credo che ci andrò. Non posso aspettare. Devo tornare a Starlit Spring prima che sia troppo tardi.»
    «Troppo tardi per che cosa?»
    Gabriel non le rispose.
    «Ci vediamo domani, Kelly. Ti chiamo io appena arrivo a Starlit Spring.»
    «Aspetta un attimo» lo pregò Kelly. «Dimmi almeno cos’hai in mente.»
    «Non posso farlo ora» ribadì Gabriel. «Ho un’altra chiamata da fare, e non mi resta altro che sperare di ricevere risposta.»

    Naive era in attesa, seduta sui gradini davanti alla porta, quando Gabriel arrivò. Erano le undici e tre quarti del mattino, passate da pochi minuti.
    «Spero che quella che mi hai descritto come una questione di vita o di morte lo sia davvero» disse, alzandosi in piedi. «Se continuo a saltare giorni di lavoro, non so come la prenderanno al salone.» Si avvicinò a lui. «Per fortuna tutte le clienti concordano sul fatto che nessuna fa i colpi di luce bene come me... e se non sarò licenziata sarà soltanto per questo.»
    Gabriel la guardò con occhi assenti.
    «Quanto tempo credi che impiegheremo per raggiungere Starlit Spring?»
    «Dipende dal traffico» rispose Naive. «In un’ora potremmo cavarcela. Almeno hai una vaga idea di cosa fare, una volta che sarai là.»
    Gabriel scosse la testa.
    «A parte parlare con Kelly, no.»
    «Kelly?»
    «Devo chiederle conferma di un fatto... soltanto lei potrebbe saperlo, oltre al diretto interessato.»
    «Dato che non hai idea di cosa fare, entra in casa» gli suggerì Naive. «Potremmo riflettere, studiare un piano d’azione...»
    Gabriel annuì.
    «Forse dovremmo.»
    «E forse dovresti anche spiegarmi cos’hai in testa.»
    Finalmente vide Gabriel sorridere.
    «Cosa faresti se ti dicessi che non lo so, che cos’ho in testa?»
    «Chiamerei tua moglie e la pregherei di venirti a prendere immediatamente.» Naive gli lanciò uno sguardo perplesso. «A proposito, come sei arrivato fino qui? Non mi sembra di vedere la tua macchina.» Rovistò nella borsa alla ricerca delle chiavi. «Vieni dentro.»
    Aprì la porta, mentre Gabriel la informava: «Sono venuto in treno. Prendere l’auto di Maya avrebbe significato allarmarla.»
    Naive spalancò gli occhi, girandosi verso di lui.
    «Maya non sa che sei qui?»
    «Le ho lasciato un biglietto» ammise Gabriel. «Sono uscito mentre lei si faceva la doccia, dicendole che andavo a fare due passi. In realtà ho preso un taxi per andare in stazione e sono partito. Nelle poche righe che le ho scritto l’ho pregata di andare da sola al funerale di Kenneth, di inventarsi una scusa e di pregare affinché non mi succeda niente.»
    Naive alzò gli occhi al cielo.
    «Non le hai chiesto anche di riflettere attentamente prima di chiederti il divorzio?»
    «Spero che non ce ne sarà bisogno.»
    «Lo spero per te. Ora, però, pretendo una spiegazione dettagliata, dall’inizio alla fine, dei motivi per cui mi hai chiamato all’una meno un quarto e ti sei presentato qui stamattina.»
     
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  2. GÆBRIEL
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    Gabriel finalmente!!! :wub:

    Milù, credimi, non mi stai viziando... ti pregoooo posta l'altra parte!!! Plissssssssss!
     
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    OK, ma è l'ultimo aggiornamento del giorno... e secondo la mia concezione di giorno, non intendo dalle 0.00 alle 24.00, ma da quando mi alzo a quando vado a dormire. :D




    Seduto al tavolo della cucina ben arredata, le cui pareti erano tempestate di fotografie incorniciate di Heaven Emerson, Gabriel teneva gli occhi fissi sul bicchiere d’acqua che Naive gli aveva messo davanti.
    «Allora?» insisté la sua amica, seduta di fronte a lei.
    «Non è facile da raccontare» ammise Gabriel, alzando lo sguardo. «A volte ho creduto che sarei impazzito, se avessi insistito nel tenermi tutto dentro.»
    Naive rimase in silenzio, come a esortarlo a continuare.
    «Come ben sai, un tempo io e Kenneth eravamo grandi amici» proseguì quindi. «Non è certo un legame di cui posso andare fiero.»
    Naive annuì.
    «Posso capire cosa significa.»
    «Già, nessuno meglio di te.»
    «Vedi, siamo sulla stessa lunghezza d’onda...» Naive si mordicchiò il labbro inferiore. «Anzi, forse io sono messa peggio. Mia sorella aveva un ruolo attivo nei traffici di suo marito...»
    «A proposito» la interruppe Gabriel, «Quello che aspetti di sentirti dire potrebbe essere spiacevole per te.»
    «C’entra mia sorella, non è vero?»
    «Sì.»
    «Tanto so quello che devi dirmi» puntualizzò Naive. «Tu eri amico di Kenneth, e Kenneth all’epoca subiva un po’ troppo l’influenza di quel delinquente da quattro soldi di suo cugino.»
    «Che, tra parentesi, probabilmente l’ha ammazzato.»
    «Sicuramente» lo corresse Naive. «Sicuramente l’ha ammazzato.»
    «Vedo che non hai dubbi.»
    «Non ne ho mai avuti, fin da quando ho scoperto che Kenneth era morto in un incidente d’auto» confermò Naive. «Ci sa fare con i motori: dopo la morte di Margot è stato lui a subentrarle. Prima, però, aveva già a che fare con lei. L’ha uccisa lui e tu lo sai bene.»
    Gabriel raggelò.
    «Cosa intendi dire?»
    «Esattamente quello che ho detto. Tu frequentavi Kenneth e Dean all’epoca...»
    Gabriel la interruppe: «Dean non mi è mai stato simpatico. Ho sempre cercato di evitarlo, quando potevo.»
    «A quanto pare, però, non l’hai evitato abbastanza per non venire a sapere che cos’ha fatto a Margot.»
    Gabriel fece un profondo respiro.
    «Io c’ero.»
    Naive non disse nulla. Si limitò a fissarlo con occhi sbarrati per quella che gli parve un’infinità di tempo.
    «Tu hai visto Dean uccidere Margot?» gli chiese infine.
    Gabriel si affrettò a negare.
    «Non l’avrebbe mai fatto davanti a me.»
    «Eppure tu lo sai.»
    «Diciamo che lo sospetto fortemente. La sera in cui Margot fu uccisa, doveva consegnare dei soldi a Dean. Si erano dati appuntamento davanti a un locale che poi ha chiuso pochi mesi dopo, c’eravamo anche io e Kenneth. Pensavo che Margot avesse già dato a Dean quello che gli doveva, dal momento che a un certo punto si era allontanata con lui e Kenny. A quanto pareva non era così: più tardi tornò. Dean e Kenny la chiamarono a gran voce e io mi unii a loro. Lei fece per andarsene, ma poi Dean e Kenneth la seguirono. Io me ne andai. Per quella sera avevo già visto abbastanza. Soltanto molto tempo dopo mi sono reso conto che, se fossi andato con loro, forse sarei riuscito a salvarla.»
    Naive scosse la testa.
    «Non è così.»
    «Sì, invece.»
    «Ti dico di no, Gabriel. Se tu fossi andato con loro, probabilmente avrebbero ucciso anche te.»
    «Può darsi.»
    Naive lo fissò a lungo.
    «C’è una cosa che non capisco, nel tuo racconto.»
    Gabriel si rese conto che quello era il momento della verità.
    «Che cosa?» domandò a Naive, seppure avesse compreso perfettamente.
    «Hai detto che Margot era già andata via con Kenneth e Dean. Dove e perché?»
    Gabriel abbassò lo sguardo.
    «Temo che, per te, sarebbe meglio non saperlo.»
    «Invece devo sapere» replicò Naive. «Nulla fa più male dell’incertezza.»
    «Credo invece che, quello che sto per dirti, sarà molto peggio.»
    Naive negò con decisione.
    «Non è possibile.»
    «Allora è giusto che tu sappia» concluse Gabriel. «Quella sera Dean deve averla convinta a fargli un certo favore, magari con la scusa che i soldi che aveva portato con sé non erano abbastanza.»
    Naive lo fissò.
    «Che genere di favore?»
    «Aaron, il fratello di Kenneth era preoccupato per l’influenza che Dean aveva su di lui. Quella sera decise di raggiungerlo al locale insieme a un amico. Quando Dean iniziò a lamentarsi, Kenny cercò di difendere Aaron - tra l’altro nessuno di noi l’aveva visto - e di scaricare tutte le “colpe” sul suo amico...»
    «Non capisco» replicò Naive. «Non riesco a comprendere che cosa possa c’entrare Margot in tutto questo.»
    «Dean decise che l’amico di Aaron doveva morire» concluse Gabriel, «E chiese a Margot di manomettere la sua macchina.»
    Quando gli occhi sbarrati di Naive si posarono su di lui, Gabriel comprese che l’amica non aveva messo in dubbio il suo racconto.
    «Quindi Margot ha aiutato Dean a uccidere l’amico di Aaron.»
    Gabriel scosse la testa.
    «Non è andata così.»
    «E come, allora? Quel tale s’è salvato?»
    Gabriel annuì.
    Naive gli sembrò sollevata.
    «Meno male...»
    «Aspetta, non ho ancora finito. S’è salvato, sì, ma soltanto perché quella che Margot ha manomesso non era la sua macchina.»
     
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  4. GÆBRIEL
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    Sento che mi sfugge qualcosa...
     
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    Per il momento è abbastanza normale che ti sfugga qualcosa! :D
    Passiamo comunque alle cose serie. u.u Siccome a Natale siamo tutti più buoni e il giorno di Natale è passato da appena sette mesi, ho pensato che avrei potuto postare anche la prima parte del capitolo 63... :P




    Capitolo 63.
    Pamela aveva ancora gli occhi fissi sul telefono quando udì dei passi alle sue spalle. Erano leggeri, quindi non erano quelli di Patricia.
    Si girò e, senza troppa sorpresa, vide sua madre, che la fulminava con gli occhi.
    «Perché mi guardi così?» protestò. «Sapevi come sarebbe finita.»
    Lei scosse la testa.
    «Speravo che tu prendessi una decisione migliore. Voltare le spalle a Melvin non è mai la soluzione migliore.»
    Pamela si morse la lingua. Non voleva dire niente che infastidisse sua madre, in quel momento, ed era sicura che qualsiasi parola avesse pronunciato avrebbe ottenuto l’effetto che si stava sforzando di evitare.
    I rumorosi passi di Patricia anticiparono il suo arrivo.
    «Mamma, smettila.»
    Pamela vide la madre girarsi verso Patricia.
    «Patty, lo sai anche tu...»
    Lei la interruppe: «So che tu non avrai mai il coraggio di lasciare da parte Melvin una volta per tutte. Ti ha dato quello che desideravi, ma adesso ti sta prendendo più di quanto ti abbia mai offerto. Ne vale la pena?»
    «È sicuramente la soluzione più semplice. Se solo Pam se ne fosse resa conto, non avrebbe preso decisioni avventate.»
    Quella di abbandonare Tom Harvey non era stata affatto una decisione avventata.
    «So che lavori per Melvin» gli aveva comunicato Pamela, non appena le aveva risposto al telefono. «Stavolta è inutile che ti sforzi di negare, perché lo so perfettamente. La nostra collaborazione è chiusa.»
    Tom aveva cercato di replicare, ma Pamela non aveva dato importanza alle sue proteste.
    «Io e te abbiamo chiuso» aveva concluso. «Se non ti sta bene, io non so cosa farci, ma dovrai comunque fare a meno del mio aiuto.»
    «Non vedrai un soldo» le aveva ricordato Tom.
    Era stato uno sforzo notevole, per Pamela, puntualizzare che non le importava nulla del denaro. Non era così e Tom lo sapeva perfettamente, ma si era detta che, seppure la sua volontà di arricchirsi non si fosse placata, avrebbe trovato un’altra soluzione.
    Patricia sembrava soddisfatta della decisione che aveva preso.
    «Per la prima volta dopo tanto tempo posso dire che ti ammiro, Pam.»
    La loro madre aveva scosso la testa, con aria desolata.
    Patricia, imperterrita, aveva proseguito: «Melvin Emerson va fermato, e rendersi sua complice non è il modo migliore per farlo.»
    «Nessuno lo fermerà mai» aveva obiettato Pamela. «È impossibile.»
    «E allora perché hai voltato le spalle a Tom?» le aveva chiesto la madre. «Non riesco a capire il tuo strano comportamento.»
    «Perché ne ho semplicemente abbastanza» le aveva spiegato Pamela. «Sono ancora giovane per puntare a qualche preda ambita. Ho dato un’occhiata alla casa dei Craven. Il fidanzato di quella poveretta che è stata ammazzata probabilmente ha un discreto conto in banca. Se riesco a convincerlo che io posso rimpiazzare Natascha, non avrò più niente di cui preoccuparmi per il resto dei miei giorni.»
    «Ancora questa idea di conquistare un uomo ricco?» Il tono di Patricia era meno critico di quanto Pamela si fosse aspettata. «Sai, forse potrei riuscire ad approvarti, se fossi sicura che questo ti impedisse di fare altre stronzate.»
    Rincuorata dalle parole della sorella, Pamela sorrise.
    «Qualora Ralph Craven non volesse saperne, gli potrei sempre chiedermi di presentarmi qualche suo amico benestante.»
    Patricia annuì.
    «Ottimo.»
    Con una certa sorpresa, Pamela la vide infilarsi la giacca.
    «Dove vai?»
    «A fare quello che tu preferisci evitare» rispose Patricia, più gelida di quanto Pamela potesse immaginare. «Melvin Emerson va fermato, e stare qui a parlare del più e del meno non è il modo migliore per riuscirci.»
    La madre cercò di fermarla.
    «Aspetta, Patty, dimmi almeno cosa vuoi fare.»
    «Voglio trovare Melvin» si limitò a dire Patricia, prima di avviarsi verso la porta.
    La aprì, oltrepassò la soglia, la richiuse alle proprie spalle e scese le scale con la sua solita camminata pesante.
    «Pensi anche tu che ci stia nascondendo qualcosa?» domandò Pamela alla madre. «Dato che non può sperare che Melvin si materializzi dal nulla, è possibile che sappia dove si trova?»

    Patricia non era certa di poter rintracciare Melvin, ma il fatto che Dean si fosse fidato di lei abbastanza da spingersi a certe confidenze era un buon punto di partenza.
    Si erano incontrati soltanto un paio d’ore prima, in quella che avrebbe dovuto essere una piatta e monotona mattina di ottobre.
    «È sempre un piacere vederti, Patty» aveva osservato una voce, alle sue spalle, mentre camminava lungo le vie del centro.
    Si era girata e le era comparso davanti agli occhi Dean Tray, quello che molti anni prima era stato il ragazzo dei suoi sogni e che, se avesse potuto tornare indietro, avrebbe evitato. Ci sarebbero state altre soluzioni, oltre ai documenti falsi e alla fuga, per una ragazza che avesse davvero avuto la testa sulle spalle.
    “E io, senza Dean tra i piedi, forse sarei diventata davvero una ragazza con la testa sulle spalle.”
    «Per me è molto meno piacevole» aveva risposto, sincera.
    Dean non era stato infastidito da quel commento. Si era limitato a un lieve sorriso, fissandola con attenzione.
    «Io e te dobbiamo parlare» le aveva comunicato, infine. «È stata davvero una fortuna incontrarti per caso.»
    Per quelli come Dean Tray, Patricia lo sapeva bene, il caso non esisteva. Se lui desiderava vederla e si era trovato a percorrere la sua stessa strada poteva significare soltanto che l’aveva seguita. Avrebbe dovuto esserne infastidita, ma in passato era stata talmente assuefatta dalle manie di Dean da non farvi nemmeno caso.
    «Dimmi tutto» lo aveva esortato.
    «Non qui» aveva precisato Dean. «È un genere di discorso che non si può fare lungo una strada pubblica. Vieni con me.»
    L’aveva seguito.
    Dean l’aveva condotta verso un parcheggio fuori città.
    «Sali in macchina» le aveva ordinato, indicandole la sua automobile.
    Ancora una volta Patricia aveva fatto quello che lui le diceva.
    Erano saliti entrambi.
    «Allora?» gli aveva chiesto Patricia. «Che cosa vuoi?»
    «È molto semplice» aveva risposto Dean. «Devi aiutarmi a liberarmi di quello che per me potrebbe diventare un grosso problema.»
    Le aveva parlato di Melvin.
    Le aveva raccontato di Yuma.
    Per quanto Patricia riuscisse a immedesimarsi in quella sventurata ragazza, non riusciva a credere che avesse potuto fidarsi di Dean.
    «Yuma ha avuto un figlio» aveva aggiunto lui. «Se Melvin dovesse scoprirlo, ucciderà entrambi. Purtroppo non posso sperare a lungo nel silenzio di Yuma: so che, messa alle strette, finirà per confessare a Melvin quello che abbiamo fatto.»
    «Non è un problema mio» aveva obiettato Patricia.
    «È anche un problema tuo, invece» aveva replicato Dean. «Vuoi che qualcuno sappia chi sei davvero? Io posso confermare che sei Patty Miles.»
    Patricia era rabbrividita.
    «Non farlo, ti prego.»
    «Non lo farò, se mi aiuterai» le aveva promesso Dean.
    «A fare cosa?»
    «È molto semplice: c’è un solo modo per evitare che, prima di essere ammazzata da suo padre, Yuma gli racconto cosa c’è stato tra me e lei.»
    «Quale?»
    Per un attimo aveva pensato che Dean volesse un aiuto per eliminare Melvin. Per quanto non avesse intenzione di immischiarsi in certe faccende, avrebbe addirittura potuto arrivare a valutare quella possibilità.
    Non era questo, però, che Dean aveva in mente.
    «Tappare la bocca per sempre a Yuma prima che suo padre arrivi a lei.»
    Era seguito un interminabile momento di silenzio.
    A quel punto, trattenendo a stendo i conati di vomito, Patricia aveva spalancato la portiera.
    Se n’era andata senza una parola, ripensando al male che Melvin le aveva fatto e che sua madre aveva coperto.
    Quello che aveva subito lei, era niente in confronto a ciò che Yuma aveva dovuto sopportare. Non avrebbe permesso a Dean di avvicinarsi a lei... e non l’avrebbe permesso nemmeno a Melvin.
    “Devo parlare con Michel” si disse, ripensando ai fatti di quella mattina. “È l’unico che possa aiutarmi.”
    Si precipitò a casa di Kelly James, dove sperava di trovarlo.
    Suonò il campanello.
    Non ottenne risposta.
    Suonò ancora il campanello.
    Ancora una volta non ricevette risposta, così come non accadde al terzo, al quarto, al quinto tentativo...
    Michel non era in casa.
    “Sono ancora al punto di partenza.”
     
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    Kelly riappese il telefono. Quando aveva udito la voce di Gabriel si era preparata a qualche confessione strana. Non si era aspettata, però, che in quel momento fosse a casa di Naive Doyle e che entrambi fossero intenzionati a raggiungerla a Starlit Spring. Soprattutto, però, non avrebbe mai potuto immaginare che Gabriel le ponesse la domanda che invece le aveva posto.
    «Quando Rick Craven morì, era lui a guidare o era Ronnie?»
    Kelly aveva preso a tremare.
    «Perché lo vuoi sapere?»
    «Perché qualcuno ha tentato di uccidere Ronnie di recente» le aveva risposto Gabriel. «Se era lui a guidare quella macchina, il motivo è quello.»
    Non aveva voluto aggiungere altro, con la promessa che le avrebbe comunicato di persona le proprie teorie non appena si fossero visti.
    Kelly guardò l’orologio appeso alla parete.
    Era passato ancora troppo poco tempo da quanto aveva ricevuto la chiamata di Gabriel, avrebbe dovuto attendere ancora a lungo prima di vedere arrivare lui e Naive.
    Quando la porta si aprì, il suo pensiero istintivo fu che si trattasse di uno dei soliti clienti arrivato un po’ in anticipo; magari qualcuno che, avendo litigato con la moglie a causa delle pietanze dietetiche che lei si ostinava a servirgli visti i suoi problemi di salute, aveva deciso di allontanarsi da lei in anticipo e di recarsi allo Starlit Cafè in anticipo.
    Non era uno di quei clienti.
    «Michel!» esclamò Kelly, con una certa eccitazione. «Che cosa ci fai da queste parti?» Gli corse incontro. «Devo forse pensare che tu sia ossessionato da me al punto tale da sentire la necessità di vedermi a ogni ora del giorno e della notte?»
    Michel rise.
    «Non penso proprio.»
    «Eppure sei venuto.»
    Lui le strizzò l’occhio, indicandole la porta della toilette.
    «Magari sono venuto per andare in bagno.»
    Kelly annuì.
    «Avrei dovuto aspettarmelo.»
    «In realtà, però, non sono venuto per questo. Diciamo semplicemente che mi faceva piacere vederti.»
    «Ma che gentile» ribatté Kelly. «E poi mio zio dice sempre che gli uomini mi evitano...»
    Michel ridacchiò.
    «Quelli che temono che tu abbia delle mire su di loro sicuramente.»
    «Che esagerato!»
    «Per fortuna, da quanto mi hai chiarito che amerai Ronnie Craven per tutto il resto dell’eternità, mi sento molto più tranquillo.»
    Kelly sospirò.
    «Hai intenzione di continuare ancora per molto con questa storia?»
    «Non mi pare di averne parlato più di tanto.»
    «Soltanto accennare a quello che ti ho confidato sarebbe parlarne troppo» lo avvertì Kelly. «Sei proprio così sicuro di non avere oltrepassato il limite?»
    «Che cosa c’è di male, in fondo?» insisté Michel. «Secondo me dovresti parlare a Ronnie dei tuoi veri sentimenti nei suoi confronti.»
    «Magari gli scriverò una lettera da consegnargli soltanto dopo la mia morte» azzardò Kelly. «È un buon metodo?»
    Michel scosse la testa.
    «Sinceramente non credo. Quello che è successo negli ultimi tempi mi porta a temere che Ronnie non morirà di morte naturale... È molto più probabile che tu sopravviva a lui, piuttosto che il contrario.»
    Kelly s’irrigidì.
    «Tu lo sai?»
    Michel spalancò gli occhi.
    «Che cosa?»
    «Perché Dean Tray vuole ucciderlo.»
    Michel abbassò lo sguardo.
    «No.»
    «Stai mentendo.»
    Michel scoppiò a ridere.
    «Perché lo pensi?»
    «Perché è la verità. C’entra l’incidente, non è vero?»
    Con aria innocente, Michel le domandò: «Quale incidente?»
    «Va bene, come ti pare» si arrese Kelly. «Ne riparleremo quando Ronnie sarà già morto. Ci stai?»
    «Ne riparleremo quando Dean non sarà più un problema» le promise Michel. «Ti prometto che ti racconterò tutto quello che so.»
    Kelly sorrise.
    «Bene. Così mi piaci.»
    «Anche tu mi piaci quando non hai la solita aria da zitella incazzata» ribatté Michel. «Ora scusami, ma è meglio che vada.»
    «Di già? Devo pensare che anche quando non ho l’aria da zitella incazzata la mia presenza sia irritante?»
    Michel la rassicurò: «Niente affatto, solo che devo incontrare Heaven. Ci sono alcune cose di cui vorrei parlare con lei.»
    Kelly annuì.
    «Capisco.»
    «Vedi, lei è coinvolta direttamente...»
    Kelly non lo lasciò finire: «Ho detto che ti capisco, non c’è bisogno che tu mi dia altre spiegazioni. Vai da lei, prima che sia troppo tardi.»
    «Adesso non esagerare» replicò Michel, serio. «Non credo che ci sia questo rischio.»
    «È sempre meglio stare sicuri» obiettò Kelly. «Prima arrivi e meno è probabile che sia troppo tardi.»
    Michel sembrò apprezzare le sue parole.
    I loro sguardi si incrociarono per un attimo, prima che lui si girasse e si dirigesse verso la porta. Soltanto un attimo prima di uscire si fermò e tornò a voltarsi.
    «Kelly?»
    «Dimmi.»
    «Vorrei solo che, se qualcosa dovesse andare storto, tu sapessi che ti voglio bene.»
    Kelly si sentì come trafitta da una moltitudine di lame.
    «È un addio?»
    Michel sorrise, ma era un sorriso carico di tristezza.
    «Spero di no.»
    Non aggiunse altro e se ne andò.
    Kelly tenne gli occhi fissi sulla porta che si richiudeva, domandandosi quanto tempo avrebbe impiegato prima di riuscire a distogliere lo sguardo.

    Era passato parecchio tempo, ormai, da quando Michel era sparito, ma mancava ancora un po’ all’ora di punta in cui i frequentatori abituali dello Starlit Cafè decidevano di accorrere in massa per metterla a conoscenza delle proprie opinioni sul senso dell’esistenza umana.
    L’uomo che entrò non evocò in Kelly alcun ricordo. Lo scrutò con attenzione. Era intorno alla cinquantina, con occhi chiari e i capelli brizzolati dai quali si intravedeva ancora qualche sfumatura ramata.
    «Buon pomeriggio» lo accolse, con uno dei classici sorrisi radiosi e palesemente finti che i suoi clienti erano abituati a conoscere.
    «Buon pomeriggio a lei, signorina.» Lo sconosciuto prese a guardarsi intorno. «È proprio un bel locale questo.»
    Il sorriso di Kelly si fece più spontaneo.
    «Sono felice che le piaccia. Sa, il titolare è mio zio, ma sono stata io a scegliere l’arredamento.»
    «Questa è la prova che lei ha buon gusto, signorina...» La guardò con aria interrogativa. «Posso avere l’onore di sapere il suo nome?»
    «Kelly» si ritrovò a rispondere, senza pensarci troppo. «Kelly James.»
    D’altronde non c’era modo di tenere segreta quell’informazione: a Starlit Spring tutti sapevano come si chiamasse.
    L’uomo annuì.
    «Non le spiace, vero, se non le dico il mio?»
    “In realtà non me ne frega un accidente.”
    Kelly fece una risatina, finta tanto quanto il sorriso raggiante con cui aveva accolto quello strano cliente.
    «No, non mi dispiace, dato che non ho l’abitudine di chiedere i dati personali a chiunque entri nel bar» rispose, con prontezza. «A proposito, che cosa posso servirle?»
    Lui non rispose alla sua domanda.
    «Fa bene a non chiedere il nome a chi entra. Alcuni, come me, ad esempio, dopo averglielo detto sarebbero costretti ad ucciderla.»
    Kelly sospirò.
    «Capisco. È un agente segreto o qualcosa del genere?»
    «No» si affrettò a rispondere lui. «Però ho cambiato idea: il mio nome glielo posso dire ugualmente.»
    «Anche se dopo dovrà uccidermi?»
    L’uomo rise.
    «Mi chiamo Melvin Emerson, signorina, e se glielo dico è proprio perché sono qui per ucciderla.»
     
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    «Mi chiamo Melvin Emerson, signorina, e se glielo dico è proprio perché sono qui per ucciderla.»

    se la uccide non mi fa nè caldo nè freddo perchè kelly è un personaggio abbastanza neutro, però se fa una brutta fine.... :( :cry:

    dai, il continuo perfavoreeeeeeeeeeeee :crybaby: :bounce.gif: :bounce.gif: :bounce.gif: :bounce.gif:
     
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    CITAZIONE (PÅvoneBiÅnco @ 26/7/2013, 13:42) 
    CITAZIONE
    «Mi chiamo Melvin Emerson, signorina, e se glielo dico è proprio perché sono qui per ucciderla.»

    se la uccide non mi fa nè caldo nè freddo perchè kelly è un personaggio abbastanza neutro, però se fa una brutta fine.... :( :cry:

    dai, il continuo perfavoreeeeeeeeeeeee :crybaby: :bounce.gif: :bounce.gif: :bounce.gif: :bounce.gif:

    Continuerò a postare mooooolto presto. ^^
     
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  10. GÆBRIEL
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    Coooosa? Quel pazzo, scaricatore di porto, figlio di ******* di Melvin vuole uccidere Kelly? No, no e no!!!

    Milù il continuo.... adessooooo!
     
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    Cos'avranno mai fatto di male gli scaricatori di porto per meritarsi che Melvin sia paragonato a loro? :D
    Direi che posso comunque procedere con la prima parte del capitolo 64...
    Aggiornamento: non saranno soltanto 66 + l'epilogo, ma 67 più l'epilogo, perché lavorando al 66 mi sono accorta che sta venendo moooolto più lungo di quanto ipotizzavo. ^^




    Capitolo 64.
    Il tempo sembrava scorrere troppo velocemente, portando via con sé tutto ciò che trovava lungo la propria strada.
    «So dove può essere» gli aveva confidato Patricia quando, dopo numerosi tentativi, era riuscita a rintracciarlo. Sembrava piuttosto sicura di sé, e Michel aveva voluto crederle.
    Ne aveva parlato con Heaven.
    «Sei davvero sicuro che quella donna sia attendibile?» aveva subito obiettato la ragazza. «Se fossi al posto tuo, non penderei dalle sue labbra.»
    «Non credo che ci siano altre soluzioni» aveva ammesso Michel. «Non abbiamo nessun altro appiglio, dobbiamo accontentarci di quello che abbiamo.»
    Adesso Heaven camminava accanto a lui, spingendo la carrozzina del piccolo Ron.
    «Mi vuoi spiegare almeno cos'hai in mente?» insisté la ragazza. «Non mi hai ancora detto nulla di preciso.»
    Michel alzò gli occhi al cielo. «Ti hanno mai detto che in certi momenti non c'è tempo per le spiegazioni?»
    Heaven sospirò.
    «Va bene, come ti pare. Spero che, qualsiasi idea tu abbia in testa, non sia necessaria la tua morte per portarla a termine.»
    Michel proferì in un poco raffinato gesto scaramantico.
    «Vorrei almeno sperare che saremo ancora tutti vivi.»
    Gli parve di notare un filo di preoccupazione sul volto di Heaven.
    La ragazza li chiese subito: «Che cosa pensi che accadrà?»
    «Non possiamo prevederlo in anticipo» ammise Michel. «Vada come vada, spero che potremo rivederci.»
    Gli occhi di Heaven si fecero imploranti.
    «Ti prego, aiuta mia sorella.»
    Michel annuì.
    «Farò il possibile.»

    Ronnie era affacciato alla finestra nel momento il cui il campanello suonò. Non aspettava nessuno e, anzi, sarebbe dovuto uscire di lì a poco: aveva promesso a Kara che l'avrebbe portata a fare un giro.
    Andò a rispondere al citofono, sperando che non fosse qualcuno intenzionato a fargli perdere troppo tempo.
    Erano Heaven e Michel.
    Non si sarebbe mai aspettato di trovarli insieme a suonare alla sua porta.
    «Cosa volete?» domandò.
    «Facci entrare» gli ordinò Heaven. «Fallo subito.»
    Non gli piaceva il tono insistente della ragazza, ma il fatto che fosse venuta insieme a Michel lo spinse ad aprire.
    Fu proprio Michel il primo ad entrare. Dietro di lui, qualche istante più tardi, comparve Heaven insieme al nipote.
    Kara corre incontro alla ragazza.
    «Hai portato Ron con te!»
    Ronnie si accorse che gli occhi della bambina brillavano.
    Rabbrividì nel ricordare il commento che aveva fatto sua figlia la prima volta in cui aveva visto il bambino.
    «Perché non sposi Yuma?» gli aveva chiesto, «Così Ron diventerebbe mio fratello!»
    Sperò solo che Kara non ripetesse quel commento proprio davanti a Heaven. Fortunatamente fu proprio la sorella di Yuma a rompere il silenzio.
    «Sapevo che saresti stata contenta di rivederlo. Che cosa ne dici se io e Ron ti facciamo compagnia mentre il tuo papà ha qualcosa da fare?»
    Qualcosa da fare?
    Ronnie le lanciò un'occhiata interrogativa, ma Heaven finse di non accorgersene.
    «Dobbiamo andare» gli spiegò Michel. Abbassò la voce, per non farsi sentire da Kara, prima di aggiungere: «Yuma potrebbe essere in pericolo.»
    Ronnie sentì il cuore che gli rimbalzava in gola.
    Yuma.
    Yuma.
    Yuma.
    Yuma.

    Si sentì spiazzato e avvertì un brivido gelido.
    Yuma.
    Yuma.
    Yuma.

    «Ronnie, sei sicuro di sentirti bene?» gli chiese Michel. Sembrava seriamente preoccupato. «Non mi avevi mai detto di essere debole di cuore.»
    «Il mio cuore non ha niente che non va» replicò Ronnie, riuscendo finalmente a pronunciare qualche parola.
    «Allora andiamo» lo esortò Michel. «Non c'è tempo da perdere!»

    Non appena la porta si richiuse, Kara domandò: «Dove sono andati?»
    Heaven si concentrò, nella speranza di riuscire a mostrare alla bambina un sorriso radioso.
    «Avevano una cosa da fare.»
    Era sicura che Kara non si sarebbe fatta bastare quella spiegazione.
    «Sì, ma cosa?»
    Kara Craven aveva carattere.
    "Beh, se non altro Ronnie ha una figlia simpatica. Yuma avrebbe potuto trovare di peggio."
    Heaven, sicura di sé, dal momento che aveva ancora un asso nella manica, precisò: «Non si tratta di cose da bambini.»
    Kara sbuffò.
    «Non è giusto! Ai bambini nessuno dice mai niente! Ci trattate come se fossimo bambini per colpa nostra!»
    Heaven sorrise.
    Per avere soltanto sei anni, Kara era piuttosto sveglia.
    «Le cose da bambini sono interessanti» le spiegò, «Mentre le cose da adulti sono noiose. Tuo padre e Michel si stanno occupando di qualcosa di molto noioso.»
    «Quindi anch'io da grande farò cose noiose?»
    Quella era davvero un'ottima domanda.
    «Credo di no» rispose Heaven, pronta. «I bambini più intelligenti non fanno cose noiose nemmeno quando crescono.»
    «Tu fai cose noiose?»
    Heaven sorrise.
    «Non quando sono con te!»

    «La tua macchina è in garage?» chiese Michel, mentre scendevano le scale.
    Ronnie si girò verso di lui e gli lanciò uno sguardo perplesso.
    «Ha importanza?» «Sì, dato che non possiamo prendere la mia.»
    «Se vuoi...»
    «Il garage è chiuso a chiave?»
    Ronnie spalancò gli occhi.
    «Che razza di domanda è?»
    «Non stare a preoccupartene e rispondi!»
    «È chiuso a chiave, ma la macchina è fuori.»
    «Pessima notizia» borbottò Michel. «La tua auto, quindi, è inservibile tanto quanto la mia. Fatti venire un'idea.»
    «Come sarebbe a dire che la mia macchina è inservibile?» sbottò Ronnie. «Che cosa c'entra il fatto che fosse o non fosse in garage?»
    "Devo anticipargli qualcosa" decise Michel.
    Non aveva alternative.
    «Pare che il nostro caro amico Dean Tray abbia l'abitudine di manomettere le auto di chi non rientra nelle sue simpatie, e mi risulta che in cima alla sua lista nera ci siano proprio i nostri nomi. Non mi pare una bella premessa.»
    «Quindi dici che ha...»
    «Non so se l'abbia fatto» lo interruppe Michel. «In ogni caso non ci conviene usare né la tua me la mia.»
    «Quella di Heaven allora?»
    Michel scosse la testa.
    «Siamo venuti fino qui a piedi. Anche la macchina del suo ragazzo potrebbe essere stata manomessa.»
    «E quindi?»
    «Quindi ci serve qualcuno che ci presti una macchina.»
    «Qualcuno che...» Ronnie strabuzzò gli occhi. «Chi potrebbe prestarci una macchina?»
    «Non ne ho idea. Perché non ci pensi tu?»
    «Non...» Gli occhi di Ronnie si illuminarono. «Un'idea potrei averla...»
    «Ottimo» ribatté Michel. «Era proprio quello che speravo.»
    Vide Ronnie risalire le scale e incrociò le dita.
     
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    Heaven parve sorpresa nel vederlo rientrare.
    «Non andavate di fretta, voi due?»
    «Andiamo di fretta, infatti» confermò Ronnie. «Ho solo dimenticato una cosa.»
    «Qualcosa di cui proprio non potevi fare a meno?»
    Ronnie prese le chiavi della casa di Maya e gliele sventolò sotto agli occhi.
    «Qualcosa di cui non posso fare a meno.»
    Era una fortuna che Maya, preoccupata dall'idea che Kara potesse avere dimenticato a casa qualcosa, gli avesse lasciato una copia delle chiavi.
    Mentre usciva guardo l'orologio.
    Lei e Gabriel sarebbero tornati a casa in serata. Esisteva la concreta possibilità che non si accorgessero di nulla, o almeno così sperava.
    «Hai risolto?» volle sapere Michel quando lo raggiunse.
    «Direi di sì.»
    «Quindi sai dove possiamo trovare una macchina?»
    «Esatto.»
    Michel lo guardo con ben più ammirazione di quanto Ronnie pensasse di meritare.
    «Andiamo, allora.»
    «Ti avverto, però, che ci sarà un po' di strada da fare.»
    «Allora speriamo di non incontrare Dean.»
    Ronnie si sforzò di essere ottimista.
    «Andrà tutto bene. Anche perché, se qualcosa non dovesse andare bene, Gabriel scoprirebbe che abbiamo preso la sua macchina e mi ucciderebbe.»
    «Gabriel non ti ucciderà, se qualcosa andrà male» replicò Michel. «In quel caso saremmo già morti quando lo verrà a sapere.»

    Entrarono in casa. Ronnie non impiegò molto per trovare le chiavi dell'auto di Gabriel. Esitò un attimo.
    «Forse non stiamo facendo la cosa più giusta.»
    Michel gli strappò le chiavi di mano.
    «Non abbiamo altre soluzioni quindi, di conseguenza, prendere la macchina di Gabriel è la migliore.»
    Uscì e si diresse verso l'auto.
    Ronnie lo seguì.
    Quando lo vide piazzarsi al posto di guida, cercò di protestare: «Non pensarci nemmeno! Quella è la...»
    Michel lo ignorò.
    «Sali!»
    Era troppo tardi per obiettare. Era stato lui ad avere avuto l'idea di utilizzare l'automobile di Gabriel e adesso era opportuno che affrontasse senza tirarsi indietro la situazione nella quale si era infilato spontaneamente.
    Ronnie salì.
    «Dove dobbiamo andare?»
    «Nell'unico posto in cui Melvin può avere portato Yuma.»
    Ronnie si sentì raggelare.
    «Yuma è con lui?»
    «Penso di sì, ma non ne sono sicuro.»
    «E se invece fosse con Dean?»
    «Spero di no. Per proteggere il proprio segreto non esiterebbe a ucciderla.» Michel avviò il motore. «Per quanto sia assurdo a dirsi, in questo momento Melvin potrebbe essere meno pericoloso di Dean.»
    Ronnie abbassò lo sguardo.
    «Spero che tu abbia ragione.»
    «Lo spero anch'io.»
    Michel uscì dal cortile e, non appena fu in strada, accese lo stereo.
    «Non mi sembra il caso di accendere la musica» obiettò Ronnie.
    «Non dobbiamo farci notare» precisò Michel, alzando il volume.
    Ronnie spalancò gli occhi.
    «Ascoltare musica rock a tutto volume lungo la strada ti pare il modo migliore?»
    Michel annuì.
    «Essere notati è il modo migliore per non essere notati.»
    «Quello che dici non ha senso.»
    «Invece ne ha eccome» obiettò Michel, offeso. «Se passa un'auto con la musica a tutto volume, la gente non pensa che chi la sua guidando si voglia nascondere, quindi nessuno presterà troppa attenzione.»
    «Va bene, va bene, se lo dici tu» si arrese Ronnie. «Io, comunque, rimango del parere che tu abbia qualche rotella fuori posto.»
    «È probabile» ammise Michel. «Se fossi completamente sano di mente me ne sbatterei le palle di Melvin, di Yuma, di Dean, di te e di tutti gli altri. Non avrei mai accettato la proposta di quel venduto di Harvey e sarei rimasto a Dark River.»
    Ronnie si ritrovò a chiedersi come sarebbero andate le cose se Michel non fosse tornato a Starlit Spring.
    Yuma sarebbe stata ugualmente in pericolo?
    Lui e Yuma si sarebbero rivisti?
    Tutto, ancora una volta, sembrava ruotare intorno a Yuma.
    Ronnie non poté fare a meno di chiedersi dove fosse, con chi fosse e, infine, se stesse pensando a lui.
    «Sei davvero sicuro di dove sia?» chiese a Michel.
    L'altro alzò gli occhi al cielo.
    «Possibile che tu non sappia fare altro che ripetere le stesse domande? Ovvio che non posso essere sicuro di niente! L'unica certezza, nella vita, è la morte. È inutile dire che spero di poter rimandare la nostra il più possibile. E anche quella di Yuma, naturalmente, altrimenti non sarei qui.»
     
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    noon puoiii laasciarciiii coosììììì :crybaby:

    Ci sarà da pazientare un po'. :D
     
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    Ci sarà da pazientare un po'.

    capisco. comunque spero non troppo :)!
     
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