Anime di metallo

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    *corre gridando Gabrieeeeeeelll*

    vai caprettta, vai XD!!

    CITAZIONE
    e sei quei 3 fossero gli stessi che hanno ucciso Margot?

    secondo me sono quei tre :unsure: !!

    non ci resta che attendere il seguito per scoprire che hanno fatto quella notte....
     
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    @Ylenya:
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    E' un'ottima alternativa! *corre gridando Gabrieeeeeeelll*

    Sapevo che avresti colto al volo questa opportunità! :D

    CITAZIONE
    Ronnie e Gabriel in un unico capitolo! E' fantastico!

    Sospettavo anche che l'avresti trovato fantastico! XD

    CITAZIONE
    Lo dico io... che il tutto forse si riduce ad un'unica notte... e sei quei 3 fossero gli stessi che hanno ucciso Margot? Oddio sarebbe troppo inquietante la cosa... però credo di esserne convinta...
    Però non riesco ancora a capire cosa c'entra Rick in tutto questo... mah staremo a vedere...

    Su questo non dico niente, anche perché non voglio spoilerare. XD

    @Pavone:
    CITAZIONE
    non ci resta che attendere il seguito per scoprire che hanno fatto quella notte....

    Il seguito arriverà moooolto presto. ^^
     
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  3. GÆBRIEL
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    Noi attendiamo! :bounce.gif:
     
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  5. GÆBRIEL
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    CITAZIONE (»Milù Sunshine» @ 18/7/2013, 16:54) 
    Bene!


    Dillo che piace anche a te!!! :xD:
     
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    Capitolo 56.
    Quella sera avevano scelto un luogo migliore, rispetto a quello per cui avevano optato appena ventiquattro ore prima.
    Yuma notò l’auto di Ronnie parcheggiata a lato della strada, attraversò e salì a bordo.
    «Finalmente ce l’abbiamo fatta» osservò, con un sorriso sulle labbra.
    Ronnie si girò a guardarla.
    «Già.»
    «Mi dispiace per ieri» mormorò Yuma. «Non avrei dovuto andarmene, solo che, quando ho visto che Dean mi aveva seguita...»
    «Non preoccuparti» la interruppe Ronnie. «Quello che conta è che siamo qui oggi e che nessuno abbia potuto impedirci di vederci.»
    «Ma nessun luogo è sicuro, né casa tua né dove sto adesso. Mio padre potrebbe trovarmi...»
    «Non accadrà» la rassicurò Ronnie. «Andrà tutto bene.»
    Avviò il motore e partì.
    «Dove mi stai portando?» volle sapere Yuma.
    «Non lo so» ammise Ronnie. «Andiamo da qualche parte, fuori città. Che cosa ne pensi?»
    «Spero che nessuno ci segua.»
    «Appunto per questo preferisco allontanarmi da Starlit Spring» le spiegò Ronnie. «Se qualcuno ci seguirà ce ne accorgeremo e ci comporteremo di conseguenza.»
    Yuma annuì.
    «È una buona idea.»
    Voleva chiedere a Ronnie che cosa gli fosse successo esattamente, la sera precedente, quando lei se n’era andata, ma preferì aspettare. Parlò di argomenti meno importanti, gli raccontò qualcosa a proposito di Heaven, Eric e Naive, e rimase in attesa.
    Erano partiti da poco meno di venti minuti quando Ronnie si fermò lungo una strada isolata.
    «Che cosa ne pensi?» le chiese. «Va bene qui?»
    Yuma si limitò ad annuire.
    Rimase a fissarlo a lungo, nell’oscurità.
    «Mi dispiace per come me ne sono andata, quando ci siamo rivisti.»
    Ronnie rimase in silenzio.
    «Davvero, non avrei dovuto» proseguì Yuma. «È stato un errore.»
    «No, non è stato un errore» replicò Ronnie, finalmente. «Tutto quello che ho fatto è orribile, non capisco come tu possa riuscire a stare qui, seduta accanto a me, senza scappare un’altra volta. Chiunque, al posto tuo, finirebbe per farlo.»
    «Non m’importa niente di cosa farebbe un’altra ragazza al posto mio» obiettò Yuma. «Quello che conta è quello che sto facendo io... e io non mi fermo davanti a quello che hai fatto: quello che è successo non è colpa tua.»
    «Sì, invece.»
    «No, Ronnie, non hai scelto tu di farlo accadere. Ho trascorso quasi tutta la mia vita con persone che hanno agito in malafede - mio padre, mia madre - e per quanto riguarda te...»
    Ronnie la interruppe: «Che cosa c’entra tua madre?»
    «C’entra.»
    «Non è stata forse lei una delle poche persone che hanno fatto qualcosa di buono per te?»
    Yuma annuì.
    «E allora perché parli di malafede?» le chiese Ronnie. «Non ha molto senso.»
    «Mia madre mi ha aiutata e, se non fosse morta, avrebbe impedito a mio padre di fare quello che ha fatto» rispose Yuma, «Ma questo non fa di lei una santa. Mio padre vendeva auto rubate - e chissà quante altre cose ha fatto di cui non sono informata - e lei le rendeva vendibili.» Fece una pausa, guardò fuori dal finestrino, poi riprese: «Vorrei tanto che non fosse così, ma non posso negare la verità.»
    Ronnie non rispose.
    «Sei sconvolto, vero?» gli chiese Yuma. «L’idea che anche mia madre abbia commesso certi reati è davvero così terribile?»
    A quelle parole Ronnie si girò verso di lei.
    «No.»
    «Davvero?»
    «Per me è tutto come prima» la rassicurò Ronnie. «Non ti giudicherò in modo diverso per quello che ha fatto tua madre. Inoltre non credo che dovresti metterla sullo stesso piano di tuo padre. È vero, avrà anche commesso dei crimini, ma non ha mai agito conto di te. Tuo padre, invece, ti ha rovinato la vita.»
    «E vi metterà fine, prima o poi.»
    «Non succederà.»
    «Sì, invece.»
    Ronnie scosse la testa.
    «Perché dovrebbe?»
    «Perché le cose sono cambiate» gli confidò Yuma. Inspirò profondamente, in attesa di trovare il coraggio di liberarsi del peso del più grande dei suoi segreti. «Vedi, Ronnie, io ho avuto un figlio, nato ad agosto.»
    Ronnie spalancò gli occhi.
    «U-un figlio?»
    Yuma abbassò lo sguardo.
    «Sì, ormai non posso più negarlo.»
    Ronnie le parve sinceramente sorpreso.
    «E perché dovresti negarlo?»
    «Perché è...» Yuma s’interruppe. «No, non posso dirtelo. Sono sicura che mi giudicheresti per questo.»
    Ronnie alzò gli occhi al cielo.
    «Credi davvero che io sia nella posizione per poter giudicare qualcuno? Tu stessa hai letto la mia lettera, sai che di scheletri nell’armadio non ne ho pochi. Io ho tolto la vita, tu l’hai data: penso che quello che hai fatto tu sia molto meno grave di quello che ho fatto io...» S’interruppe di colpo e si girò verso di lei. «Aspetta un attimo... tu hai avuto un figlio... ma con chi?»
    Yuma si sforzò di non chiudersi nel silenzio più totale.
    «È... è figlio di...» Si fermò, non poteva andare avanti. «Non mi sembra il caso di parlarne, Ronnie, davvero.»
    «Devo quindi credere che sia stato concepito durante uno stupro?»
    Le parole di Ronnie la colpirono più di quanto avrebbe creduto.
    «No... cos’hai capito?» Scosse la testa, rifiutando anche solo quel pensiero. «Come puoi pensare che io abbia permesso a mio padre...»
    Ronnie la interruppe: «Non stavo comunque dando la colpa a te! Non è certo responsabilità tua se...»
    «Non è andata così, in ogni caso.» Yuma valutò le alternative. Forse raccontare a Ronnie la verità era la soluzione migliore. «Ho avuto una relazione con Dean.» Guardò Ronnie e fu certa di averlo lasciato spiazzato. «Lo so, è stata una cazzata, ma...»
    «È stato quello che sentivi allora» replicò Ronnie. «Non puoi dire che si tratti di una cazzata, anche se ora la pensi diversamente.»
    Yuma negò.
    «Non è così. Credevo che a Dean interessasse davvero qualcosa di me, ma quando sono rimasta incinta sono diventata un pericolo per lui. Voleva che abortissi... e ora vuole che dia in adozione mio figlio, se si può parlare di adozione per quello che ha in mente lui.»
    «Per questo ti cercava, ieri?»
    Yuma annuì.
    «Ci siamo incontrati oggi.»
    «Vi... vi siete incontrati?!»
    «Sì.»
    «Come ha fatto a trovarti?»
    Yuma sospirò.
    «Mi ha dato un appuntamento.»
    «E tu ci sei andata?» Ronnie strabuzzò gli occhi. «Perché l’hai fatto? Avrebbe potuto essere pericoloso.»
     
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  7. GÆBRIEL
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    Uff... ma perchè si finisce sul più bello? :( Continuaaaa!

    @Ronnie: lo so, forse non è il momento adatto, maaaa.... baciala... secondo me lei aspetta solo questo! Siete fatti per stare insieme! *disegna cuoricini per aria*
     
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    Uff... ma perchè si finisce sul più bello? :( Continuaaaa!

    davvero, deve sempre finire sul più bello :muro: ... credo che sia un pallino che hanno gli scrittori (me compresa, anche se non sono una scrit.)

    CITAZIONE
    @Ronnie: lo so, forse non è il momento adatto, maaaa.... baciala... secondo me lei aspetta solo questo! Siete fatti per stare insieme!

    dai Ronnieeeee.... non fare il timidone, cogli l'attimo per una buona volta... però pensavo di peggio quando scopriva del figlio di Yuma, a proposito non gli chiede il nome?

    mi ero scordata della morte di Natasha: mi è davvero dispiaciuto taaantooo :(
    evvai quella cornuta rompipalle s'è tolta dalle scatole una volta per tutte :clap: :clap: :clap: :clap: :g-milu:
     
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  9. GÆBRIEL
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    CITAZIONE (PÅvoneBiÅnco @ 19/7/2013, 09:21) 
    a proposito non gli chiede il nome?

    Giustooo! :woot: Voglio vedere che faccia fa! Ihihihi :xD:
     
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    @Ylenya:
    CITAZIONE
    @Ronnie: lo so, forse non è il momento adatto, maaaa.... baciala... secondo me lei aspetta solo questo! Siete fatti per stare insieme! *disegna cuoricini per aria*

    Rieccoti che parli con Ronnie! *-*

    @Pavone:
    CITAZIONE
    davvero, deve sempre finire sul più bello :muro: ... credo che sia un pallino che hanno gli scrittori (me compresa

    Tu stessa sei la prima! u.u
    Mi sto ancora chiedendo che cosa la protagonista del tuo romanzo non si dimenticherà più per tutta la vita! XD

    CITAZIONE
    però pensavo di peggio quando scopriva del figlio di Yuma, a proposito non gli chiede il nome?

    Lo scoprira moooolto presto il nome. ^^ In pratica nel prossimo aggiornamento lo scoprirà. ;)
    Quindi state tranquille entrambe, presto succederà! u.u

    CITAZIONE
    evvai quella cornuta rompipalle s'è tolta dalle scatole una volta per tutte

    Povera Nat! :cry: :lol:
     
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  11. GÆBRIEL
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    CITAZIONE (»Milù Sunshine» @ 19/7/2013, 15:25) 
    @Ylenya:
    CITAZIONE
    @Ronnie: lo so, forse non è il momento adatto, maaaa.... baciala... secondo me lei aspetta solo questo! Siete fatti per stare insieme! *disegna cuoricini per aria*

    Rieccoti che parli con Ronnie! *-*

    Io parlo sempre con Ronnie... anche nei miei sogni...

    Ti ho detto che l'ho sognato vero? :unsure:

    CITAZIONE (»Milù Sunshine» @ 19/7/2013, 15:25) 
    CITAZIONE
    però pensavo di peggio quando scopriva del figlio di Yuma, a proposito non gli chiede il nome?

    Lo scoprira moooolto presto il nome. ^^ In pratica nel prossimo aggiornamento lo scoprirà. ;)
    Quindi state tranquille entrambe, presto succederà! u.u

    :woot:
    Voglio l'aggiornamento... adesso...
     
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    Non mi avevi detto di averlo sognatooooo! :woot: :woot: :woot:
    Ora pretendo di sapere cosa faceva nel sogno. U.U
    Consideralo uno scambio equo: io in cambio ti offro la conclusione del capitolo. XD




    «Ho lasciato Ron con Heaven.»
    «Ron?»
    Yuma rabbrividì.
    Non avrebbe dovuto pronunciare il nome di suo figlio proprio davanti a Ronnie.
    Si sentì avvampare.
    «Mi dispiace.»
    «Di che cosa?» si stupì Ronnie. «Gli hai dato un bel nome.»
    Non sembrava particolarmente infastidito da quella scoperta.
    Yuma si ritrovò a sorridergli.
    «In realtà è un nome che mi è sempre stato indifferente» ammise, «almeno prima di conoscere te. Tu hai cambiato la mia vita.»
    Ronnie scosse la testa.
    «No, Yuma, non esagerare.»
    «Non sto esagerando» ribadì Yuma. «Non avrei mai potuto incontrare una persona migliore di te.» Si accorse che Ronnie stava per replicare, perciò si affrettò a proseguire: «Non m’importa niente delle tue obiezioni, non m’importa se pensi che il contenuto della tua lettera dovrebbe lasciarmi sconcertata... Anzi, te lo dico: mi ha lasciata davvero sconcertata. Come hai potuto pensare che la tua vita non valesse la pena di essere vissuta?»
    Ronnie abbassò lo sguardo.
    «Parliamone un’altra volta. Mi stavi dicendo che hai accettato di incontrare Dean, o sbaglio?»
    «Non sbagli.»
    «È stata una pazzia.»
    Yuma rise.
    «Lo sai, sono sempre stata un po’ pazza. Non credo che sia un grosso problema: qualcuno ha detto che i pazzi sono sempre i migliori.»
    «Tu sei la migliore» replicò Ronnie, «E non m’interessa se tu sia pazza o meno. Quello che conta è che stai lontana da Dean, da tuo padre e da chiunque altro possa farti del male.»
    «Dean non voleva...» iniziò Yuma, ma s’interruppe. Non ne era davvero convinta. «Forse hai ragione, avrei dovuto evitarlo. Non l’ha presa molto bene quando gli ho detto che non ne voglio sapere di dare in adozione il mio bambino.»
    «Che cosa intendi quando dici che non l’ha presa bene?»
    «Non voleva lasciarmi andare. Uno sconosciuto mi ha difesa.»
    «Uno sconosciuto?»
    «Evidentemente ci sono sconosciuti a cui interessa la sorte di una povera ragazza in difficoltà» ribatté Yuma. «O forse voleva soltanto fermare Dean: mi è sembrato che lo conoscesse. Questo, però, non ha importanza: quello che conta è che io sia riuscita a sfuggirgli.»
    «Non prendere più certi rischi» la pregò Ronnie. «Non voglio che ti accada qualcosa di brutto... e sono convinto che non lo voglia nemmeno Ron.»
    Yuma sorrise.
    «Non prenderò più rischi.» Rifletté un istante. «O meglio, ti assicuro che non ne prenderò più, ma a una condizione.»
    Ronnie sembrò seriamente interessato alla sua proposta.
    «Quale?»
    «Non devi mai più pensare che la tua vita non debba essere vissuta fino in fondo. La prima volta ti sei fermato in tempo, ma...»
    «No, Yuma, non è così.»
    La voce di Ronnie era piatta, ma la colpì nel profondo.
    «Cosa vuoi dire?»
    «Ho davvero fatto quello che ti ho scritto» le confessò. «Non ci ho ripensato. Se mia madre non avesse anticipato il suo rientro a casa...»
    Ronnie non finì la frase, ma Yuma comprese perfettamente cosa intendeva dire.
    «Perché?»
    «Non c’è un motivo diverso da quelli che già sai.»
    «Ma quella lettera...»
    «Mia madre l’ha trovata» le spiegò Ronnie. «Doveva fartela avere, spedendola a Naive. Forse, se fossi davvero morto, l’avrebbe fatto.» Yuma rabbrividì. Non voleva nemmeno immaginare l’idea che Ronnie potesse non essere più accanto a lei. «Invece l’ha conservata lei e, stando a quanto mi ha riferito Ralph, su suo incarico, non l’ha mai letta.»
    «Le credi?»
    «Devo.»
    «E Ralph?» volle sapere Yuma. «Perché ha accettato di farle da portavoce? Mi risulta che i rapporti tra voi siano pessimi...»
    «Le cose sono cambiate molto, rispetto a quando l’hai conosciuto tu» ammise Ronnie. «Ralph non riusciva a capacitarsi di quello che avevo fatto. Ho come l’impressione che si sia sentito in parte colpevole.»
    «Perché avrebbe dovuto?»
    «Per le accuse che mi lanciava continuamente. Forse era convinto che, in qualche modo, il fatto che qualcuno sapesse com’erano andate le cose - come pensava che fossero andate le cose - mi impedisse di andare avanti.»
    «E adesso?»
    «Adesso... cosa?»
    «Adesso che cosa ne pensa?» specificò Yuma. «È ancora convinto che ci sia qualcosa di poco chiaro nella morte di vostro fratello?»
    Ronnie scosse la testa.
    «No, per niente.»
    «Ne sei sicuro?»
    «Sì. Ralph ha letto la lettera, prima di consegnarmela.» Ronnie la guardò negli occhi. «Per quanto possa sembrarti strano, non mi dà fastidio quanto credevo all’inizio. Quello che c’è scritto in quella lettera è una parte di me.»
    «È una parte di te che vorresti negare, però» osservò Yuma.
    «No» replicò Ronnie. «Non c’è niente che voglio negare. Preferirei che quella parte di me non esistesse, ma dal momento che esiste sono costretto ad accettarla, anche perché...»
    Rimase in silenzio per quello che a Yuma sembrò troppo tempo.
    «Continua» lo esortò.
    Ronnie abbassò lo sguardo.
    «Stavo per dire una cazzata.»
    «Dilla lo stesso» insisté Yuma. «Che cosa vuoi che me ne importi di quanto reputi o non reputi intelligente quello che stai per dire?»
    Ronnie sospirò.
    «Va bene, come vuoi. Se non fosse accaduto tutto quello che ti ho raccontato in quella lettera, probabilmente io e te non ci saremmo mai conosciuti.»
    Yuma annuì.
    «È proprio così.»
    «Lo so, è orribile a dirsi...»
    Yuma lo interruppe: «Non è così orribile. È vero, non faccio altro che chiedermi come sarebbe andata se mio padre... beh, se mio padre fosse stato un padre normale. Poi, però, mi dico che è una domanda che non ha molto senso: non posso cambiare quello che è successo, il mio passato ormai è già scritto. Perché devo logorarmi l’anima per quello che è già accaduto quando potrei limitarmi a godermi il presente e a fare progetti per il futuro? La mia vita senza mio figlio non avrebbe senso... così come non avrebbe senso la mia vita senza starti accanto.» Si chiese se si fosse spinta troppo oltre e si trovò a fare una precisazione: «Naturalmente, se tu non lo volessi...»
    Ronnie non la lasciò finire.
    «Come potrei non volerlo? Ho sperato per anni di poterti guardare negli occhi ancora una volta...»
    «Guardare negli occhi una persona non è così impegnativo» obiettò Yuma. «È tutto il resto che ti mette di fronte a dei dubbi.»
    Ronnie negò.
    «Non ho dubbi, Yuma. Io e te siamo nati per stare insieme.»
    «Ma la mia situazione è complicata» obiettò Yuma. «Sei davvero sicuro che potresti resistere? Starmi accanto potrebbe essere pericoloso.»
    Ronnie sospirò, con aria indifferente.
    «E che cos’è il pericolo, in confronto a una vita insieme a te?»
     
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    Capitolo 57.
    Il ticchettio dei tacchi di Patricia, che andava avanti e indietro nel corridoio, era insopportabile al punto tale che Pamela fu tentata di darle ragione, anche se sapeva di non poterlo fare.
    Irremovibile, sua sorella ribadì: «L’omicidio di Natascha Harris non può essere spiegato in altri modi.»
    Si voltò di scatto e fece qualche passo verso di lei, che era appoggiata al bordo del tavolo.
    «Ci sono infiniti modi in cui un omicidio potrebbe essere spiegato.»
    «Guarda caso, però, quella ragazza aveva avuto una storia con Dean.»
    Pamela sospirò.
    «Se ogni persona con cui siamo stati insieme dovesse ammazzarci...»
    Patricia lo interruppe: «Lo, se dovessi morire tu ci sarebbero moltissimi sospettati.»
    Pamela ignorò quel commento.
    «Ti dico che Dean Tray non è un assassino.»
    Patricia, immobile davanti a lei, le puntava addosso i suoi occhi resi azzurri dalle immancabili lenti a contatto.
    «Che cosa ne sai?»
    «Lo so e basta.»
    «Ci avrai parlato due volte al massimo, negli ultimi tempi.»
    «Due volte al massimo bastano per inquadrare una persona.» Pamela ne era tutt’altro che convinta, ma sperò che Patricia non se ne accorgesse. «Se ti dico che Dean Tray non è un assassino, devi credermi.»
    «Quel tipo aveva già qualcosa che non andava anche quando stavamo insieme» obiettò Patricia. «È evidente che il suo scopo è sempre stato quello di conquistare la fiducia di Melvin Emerson... anche se pare che adesso l’abbia persa definitivamente.»
    «Di quello che succede tra Dean e Melvin me ne sbatto le palle» replicò Pamela. «E - vuoi che ti dica la verità? - me ne frego anche di Natascha Harris!»
    «Non mi aspettavo altro.» Patricia sembrava molto seccata. «Tu te ne freghi di tutto e di tutti, anche quando la gente inizia a morire.»
    «Si è trattato di una coincidenza sfortunata» insisté Pamela. «Quella povera ragazza aveva incontrato Dean sulla propria strada, è vero, ma perché è necessario dare la colpa a lui? Piuttosto io terrei d’occhio il suo ragazzo ufficiale e tutti i suoi parenti.»
    Patricia spalancò gli occhi talmente tanto che Pamela si chiese se le lenti potessero rimanere ferme. In realtà non ne aveva idea: non aveva mai indossato lenti a contatto.
    «Ralph Craven?»
    «Pare che non sia mai stato in buoni rapporti con la barista dello Starlit Cafè, quella che non ti toglie gli occhi dalla scollatura quando entri nel bar.»
    «E allora?»
    «Si dice che ci sia una vecchia storia su un vecchio incidente stradale di mezzo» la informò Pamela. «Uno dei fratelli di Ralph è morto uscendo di strada, molti anni fa. L’altro suo fratello, invece, qualche anno più tardi ha tentato il suicidio.»
    Patricia le sembrò turbata.
    «Ronnie?»
    Pamela non rispose alla sua domanda.
    «Pensava di andarsene con un’overdose di farmaci, ma sua madre rientrò in casa in anticipo e lo portò in ospedale. E sai qual è la cosa strana?» Patricia rimase in silenzio, un silenzio che Pamela interpretò come un’autorizzazione ad andare avanti. «Poche ore dopo, durante la notte, lo Starlit Cafè venne distrutto da un incendio, naturalmente doloso. Il colpevole non venne mai identificato, ma mi sembra ovvio che...»
    Patricia la interruppe: «Troppe cose ti sono sempre sembrate ovvie.»
    «Devi ammettere che molte lo erano.»
    «Altre invece lo erano molto meno.»
    «Queste sono sottigliezze, Patty. Basta fare due più due, il risultato è lampante.»
    «Quale risultato?»
    «Ronnie Craven tenta il suicidio, qualcuno distrugge il bar dello zio di Kelly James, che un tempo stava insieme al ragazzo morto nell’incidente...»
    «Kelly James stava con un ragazzo?» si sorprese Patricia. «Ho sempre pensato che le piacessero le donne.»
    «Fingere che non fosse così probabilmente era la soluzione più semplice» suggerì Pamela. «O magari all’epoca pensava di avere conosciuto soltanto gli uomini sbagliati e credeva solo di non avere mai incontrato il suo tipo.»
    Patricia si girò e, con passo pesante, si diresse verso la finestra.
    «Ma l’incendio del bar cosa c’entra?»
    «È molto semplice» decretò Pamela. «Ralph Craven riteneva che Kelly James avesse qualcosa a che vedere non solo con l’incidente stradale, ma anche con il tentativo di avvelenamento di Ronnie. Forse pensava che l’avesse istigato al suicidio. Mi sembra ovvio che sia stato lui a dare fuoco al bar.»
    «Tu sei una visionaria» replicò Patricia, senza girarsi. «Le tue accuse non hanno senso.»
    «Sì, invece» ribadì Pamela. «Ralph Craven, il nostro caro piromane, potrebbe benissimo avere messo fine alla vita di Natascha, quando gli è stato chiaro che lei non ne voleva più sapere di lui. Che cosa ne dici?»
    In realtà non le importava davvero il parere di Patricia.
    “Mi sto davvero arrampicando sugli specchi per difendere Dean.”
    Si chiese perché lo facesse e non riuscì a trovare dentro di sé una sola risposta sensata. Era logico pensare che fosse stato Dean a uccidere Natascha, e quando aveva telefonato a Tom Harvey, soltanto un paio d’ore prima, non si era fatta scrupoli e gli aveva detto per filo e per segno che cosa pensava.
    «Non essere ridicola» aveva obiettato Tom. «Dean Tray è una brava persona.»
    «Le brave persone non vendono documenti falsi» aveva puntualizzato Pamela, «E non assillano ragazze indifese in difficoltà.»
    Tom si era subito allarmato.
    «La ragazza indifesa in questione sarebbe quella che tu stessa stai cercando?»
    «Esatto.» A Pamela non interessava più stare al suo gioco. Le piacevano le fonti di guadagno facile, questo era vero, ma finché ne fossero esistite di relativamente indolori - come puntare a qualche uomo ricco, ad esempio, strada che l’avrebbe potuta addirittura salvare dalla non troppo remota possibilità di rimanere sola - non si sarebbe spinta a fare del male a una ragazza che nemmeno conosceva. «Per quanto mi riguarda, non lavorerò più per te finché non mi chiarirai alcune questioni rimaste insolute.»
    «Se mi stai chiedendo chi mi ha affidato questo incarico...»
    Pamela l’aveva subito interrotto: «Basta con la storia di Dean Tray, non ci crede più nessuno. A darti l’incarico è stato Melvin.»
    «Melvin?» aveva ripetuto Tom, con il più innocente dei toni, che avrebbe potuto ingannare chiunque ma non lei. «Naturalmente stai delirando, Pam.»
    «Nemmeno per idea» aveva concluso Pamela. «In ogni caso, se non vuoi dirmi nulla di più di quanto già so, credo proprio che io e te non abbiamo più niente da dirci.»
    Gli aveva sbattuto il telefono in faccia e si era preparata ad affrontare Patricia. Sapeva che prima o poi si sarebbe presentata da lei e le avrebbe confidato di nutrire dei sospetti nei confronti di quello che molti anni prima era stato il suo ragazzo.
    Pamela si domandò se le avesse mentito nella speranza che potesse ricominciare a illudersi che intorno a lei ci fosse ancora qualcuno che non indossava una maschera.
    “Povera Patty, non fa altro che sognare a occhi aperti. Tutti abbiamo qualcosa da nascondere...”
    «Me ne vado» le annunciò sua sorella.
    «Di già?»
    «Ho da fare.»
    Il ticchettio dei tacchi la accompagnò fino alla porta.
    «Qualunque cosa tu abbia da fare, stai attenta» la pregò Pamela. «Il mondo intorno a te potrebbe essere una trappola mortale.»
    «Fottiti, Pam.»
    Patricia spalancò la porta, uscì e poi la richiuse alle proprie spalle. Pamela udì il rumore inconfondibile dei suoi passi lungo le scale.
     
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    Patricia lesse il nome sul citofono.
    KELLY JAMES.
    Doveva suonare o faceva meglio ad andarsene? Non riusciva a deciderlo. Il modo in cui Kelly la guardava quando entrava allo Starlit Cafè la metteva in imbarazzo, ma d’altronde non aveva altri mezzi per vedere Michel, se non quello di attendere che uscisse. Da uno come lui, che non aveva orari fissi, si poteva aspettare che andasse fuori a qualsiasi ora della notte, ma era sicura che avrebbe perso la pazienza, se fosse rimasta lì davanti finché non fosse comparso. Questa, tra l’altro, era la migliore delle ipotesi: nella peggiore Dean Tray avrebbe potuto apparire quasi dal nulla e decidere che anche lei doveva fare la fine di Natascha Harris.
    Dentro di sé Patricia era sicura che le cose non potessero essere andate diversamente: era già passato parecchio tempo da quando si fidava di Dean e non voleva certo fare di nuovo lo stesso errore.
    Guardò ancora una volta il citofono.
    “Suona quel dannato campanello e falla finita” ordinò a se stessa.
    Eseguì.
    Attese.
    Sentì una voce.
    «Chi è a quest’ora?»
    Non era Kelly, era una voce maschile.
    «Sono Patricia, un’amica di Michel. È in casa?»
    Amica di Michel.
    Forse aveva esagerato.
    «Sì, sono io» rispose la stessa voce che le aveva parlato al citofono.
    «Tu? Non sembravi.»
    Lui le diede il tiro e Patricia iniziò a salire le scale. Faceva troppo rumore, avrebbe dovuto impegnarsi per evitarlo. In quel momento, però, non le importava nulla.
    «Kelly non c’è» l’avvertì Michel, non appena Patricia varcò la soglia dell’appartamento della barista. «Tornerà verso mezzanotte, credo.»
    «Bene.» Patricia avvampò, non appena si rese conto di quanto quell’osservazione potesse nascondere dei doppi sensi. «Ti devo parlare.»
    «Lo sospettavo.» Michel ridacchiò. «Quando ho sentito la tua voce al citofono ho pensato che potessero esserci soltanto due motivi che ti portavano qui: quello che dovessi parlarmi mi sembrava il più probabile.»
    «E l’altro?»
    Patricia si stupì di se stessa. Come le veniva in mente di fare una domanda del genere? Sapeva perfettamente a che cosa potesse riferirsi Michel.
    «L’altro non ha importanza.»
    Michel rise.
    «Potrebbe averne, dato che Kelly non è in casa.»
    «Non so che cosa tu ti sia messo in testa, ma...»
    Non riuscì a finire la frase, poiché la bocca di Michel ora premeva sulla sua.
    Lo sentì, nel frattempo, richiudere la porta, che lei aveva lasciato aperta.
    Fu tentata di tirarsi indietro, ma non lo fece, così come non oppose resistenza quando la lingua di Michel s’insinuò tra le sue labbra.
    Un uomo la stava baciando con vera avidità. Da quanto tempo non succedeva? Lo lasciò continuare, sperando che durasse il più a lungo possibile.
    “Sei qui per dirgli che pensi che Dean abbia ucciso Natascha” le ricordò la voce della sua coscienza.
    Patricia la ignorò.
    Michel la stava baciando.
    Le sue mani le sfioravano i fianchi e la sua leggera pressione, attraverso la sottile camicia di raso che indossava, era una delle sensazioni più belle che Patricia avesse mai provato.
    Natascha era morta, non poteva più fare niente per lei.
    Per il momento Dean non stava uccidendo nessun altro, o almeno così sperava.
    Le mani di Michel adesso erano al di sotto della sua camicia, e la sensazione che avvertiva era ancora più deliziosa.
    Si chiese per un attimo se ciò che c’era stato in passato tra lui e Yuma Emerson avesse ancora qualche influenza sul presente e sul futuro, ma l’assenza di risposte non la spaventò. Ovunque fosse Yuma, in quel momento con Michel c’era lei e questo contava molto di più di mille risposte.

    Yuma guardò il bambino che dormiva. Era impossibile, ma ebbe l’impressione che le stesse sorridendo.
    «Credo che tutto si sistemerà» gli sussurrò. «Un giorno saremo liberi di vivere la nostra vita, questo già lo sai, ma credo che questo giorno arriverà molto presto.»
    Fino a poche ore prima le era sembrato impossibile, ma dopo avere incontrato Ronnie quella sera qualcosa si era mosso una volta per tutte.
    Desiderava con tutta se stessa che il piccolo Ron fosse in realtà figlio di Ronnie.
    Purtroppo non era possibile.
    Desiderava con tutta se stessa trascorrere il resto della propria vita accanto a Ronnie.
    Questo era possibile, Yuma decise che se lo sarebbe fatto bastare.
    Fu tentata di alzare il telefono e di chiamare Ronnie, per poter sentire un’altra volta la sua voce. Non era sicura di riuscire ad arrivare al giorno successivo senza di lui.
    «Non essere ridicola» borbottò, rivolta a se stessa. «Non morirai stanotte, quindi lo rivedrai. E poi questa non è certo l’ora più adatta per telefonare.»
    Era mezzanotte passata da un paio di minuti. Forse Ronnie stava già dormendo. Yuma sperò che in quel momento stesse sognando il loro futuro insieme.

    Erano ormai a pochi passi dal locale. Ronnie sapeva che presto avrebbe visto Kelly e sperava soltanto che il loro incontro potesse essere meno imbarazzante di quanto pensava.
    Ad un tratto Rick si fermò.
    Prese a rovistarsi nelle tasche dei pantaloni, aveva l’aria allarmata.
    «Maledizione!» esclamò. «Le chiavi!»
    «Non ti ricordi dove le hai messe?» gli chiese Ronnie, piuttosto perplesso. Erano scesi dall’auto da non più di cinque minuti.
    «Lo so benissimo, è questo il problema» replicò Rick. «Devo essermi scordato di chiudere la macchina a chiave. Le avevo appoggiate sul sedile e là devono essere rimaste.»
    «Torno a prenderle» propose Ronnie.
    «No, lascia stare, ci vado io.»
    Ronnie lo guardò per un istante mentre si allontanava, poi distolse lo sguardo.
    Si accese una sigaretta e scambiò due parole con una ragazza sconosciuta che poi si avviò verso l’ingresso del locale.
    Quando Rick tornò, Ronnie guardò l’orologio. Erano trascorsi almeno dieci minuti da quando si era allontanato.
    «Hai trovato le chiavi?»
    Rick annuì. Sembrava pensieroso.
    «Ci hai messo tanto tempo» osservò Ronnie.
    «Già.» Rick abbassò lo sguardo. «Ho visto Kenneth.»
    «Chi?»
    «Kenneth Tray, il fratello dell’amico di Ralph.»
    «Lo conosci?»
    «L’avevo visto in foto, ma ho riconosciuto subito che era lui.»
    Questo, da sé, non dava alcuna spiegazione al ritardo di Rick.
    «Dove sei stato finora?» gli chiese Ronnie.
    «Ho visto che Kenneth guardava verso la mia macchina. Non riuscivo a capirne il motivo. Dato che Ralph mi ha detto che non è esattamente un tipo affidabile, ho preferito rimanere là qualche minuto, per accertarmi che non avesse strane idee.»
    «Strane idee? Che cosa intendi dire?»
    «Graffiare la carrozzeria con una chiave o qualche stronzata del genere. Da un tipo come lui ci si potrebbe aspettare questo e altro.»
    «E adesso dov’è?»
    «L’ho visto mentre si allontanava, e a quel punto ho pensato che potevo tornare. Non c’è...»

    Il telefono squillò.
    Ronnie spalancò gli occhi.
    Di solito nessuno lo chiamava a quell’ora, perciò il primo pensiero che formulò fu che fosse accaduta qualche disgrazia.
    Si alzò in piedi di scatto e corse a rispondere.
    Non era capitato niente di terribile.
    Era Yuma.
    «Scusami per il disturbo» sussurrò lei, «Ma avevo bisogno di chiederti una cosa.»
    «Non mi hai disturbato» rispose Ronnie. Era sincero. Yuma avrebbe potuto telefonargli a qualsiasi ora del giorno e della notte, per lui sarebbe sempre stato un piacere. «Dimmi.»
    «Ho voglia di rivederti. Ti va di venire a trovarmi domani?»
    Sarebbe stato stupendo, ma c’era Kara.
    «Non so se posso» ammise. «Mia figlia sarà a casa mia...»
    «Porta anche lei» lo interruppe Yuma. «Mi farebbe piacere conoscerla!»
    «Ne sei sicura?»
    «Ovvio che ne sono sicura.» Yuma sembrava davvero soddisfatta. «Prima, magari, chiedile se è d’accordo.»
    «Se conosco mia figlia, non avrà niente in contrario.»
    «Ottimo. Hai qualcosa dove segnare l’indirizzo?»
    «Lo prendo subito.»
    Si lasciò dettare il nome della via nella quale abitava Eric, il ragazzo di Heaven, poi continuò a parlare con Yuma ancora qualche minuto.
    «Credo che sia meglio se ti lascio andare a dormire» concluse lei, infine.
    Ronnie non le disse che era quello che stava facendo prima di ricevere la sua chiamata. In fondo Yuma non aveva interrotto nulla, soltanto uno stupido sogno.
    “O magari qualcosa di più.”
    Negli ultimi anni gli era capitato sempre più di rado di sognare la sera in cui lui e Rick avevano avuto l’incidente. Quella volta, però, le cose erano andate un po’ diversamente: di solito la sua mente richiamava le scene dell’incidente e di ciò che era successo prima o dopo, ma mai il modo in cui era iniziata la serata.
    Mentre tornava a sdraiarsi Ronnie si ritrovò a domandarsi se per caso il suo inconscio non stesse cercando di comunicargli qualcosa che gli era sfuggito undici anni prima e a cui non aveva mai prestato la dovuta attenzione.
     
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    Mi sto ancora chiedendo che cosa la protagonista del tuo romanzo non si dimenticherà più per tutta la vita! XD

    scusami se sto facendo attendere così tanto :(... ma non ci dovrei mettere molto;)!

    scusa ma ora non ho tempo, più tardi passo a leggere gli ultimi aggiornamenti ;)
     
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