Anime di metallo

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    Credo che i presunti "scheletri nell'armadio" verranno svelati in seguito. :D
    Al momento verrà invece svelato qualcos'altro...



    Capitolo 45.
    Per quanto Ronnie non amasse fare calcoli temporali, quando si trattava del suo tentativo di suicidio, non poté evitare di osservare un’analogia tra la data in cui il fatto era capitato e quella in cui si ritrovava, dopo tanti anni, a rileggere la lettera che aveva scritto a Yuma. Era ancora una volta il ventinovesimo giorno del mese, fortunatamente un altro mese, fortunatamente di un altro anno, ma sfortunatamente non lontano abbastanza affinché potesse dimenticare totalmente quello che aveva cercato di fare.
    Erano passati ben cinque giorni da quando Ralph gli aveva restituito la lettera, cinque giorni nel corso dei quali aveva cercato di ignorarla. L’aveva infilata dentro a uno dei cassetti del comodino perché era l’unico modo che aveva per non distruggerla e, lo sapeva, se l’avesse distrutta prima o poi se ne sarebbe pentito.
    A cinque giorni di distanza aveva sentito finalmente di avere il coraggio di ripercorrere quelle parole. Se era stato in grado di ingurgitare un intero flacone di sonnifero, poteva essere capace anche di limitarsi a una semplice lettura.
    Si sedette quindi sul bordo del letto e si impose di non desistere dal proprio intento finché non fosse arrivato fino alla fine.

    Cara Yuma,
    dopo la nostra telefonata di stamattina ero seriamente intenzionato a lasciarti vivere la tua vita senza alcuna interferenza o intromissione, ma in questo momento ritengo che sia necessario metterti a conoscenza di una parte di verità che ancora ignori. Ti assicuro, in ogni caso, che questa sarà l’ultima volta in cui mi metterò in contatto con te; dopo avere letto questa lettera sarai finalmente libera dalla mia presenza e, ne sono sicuro, non potrai certo rimpiangermi. Ti chiedo solo di avere la forza di leggerla fino in fondo, con la consapevolezza che poi non sentirai mai più parlare di me.
    Credo che sia opportuno iniziare dall’inizio. Mi hai detto più di una volta che la morte di tua madre fu l’inizio delle tue disgrazie e che chi la uccise era, almeno in parte, responsabile di quello che stava accadendo con tuo padre. Credo fermamente che limitare a chi la uccise la responsabilità di quanto successe dopo non sia abbastanza: anche chi vide qualcosa, chi avrebbe potuto impedire che tua madre morisse, deve essere considerato ugualmente colpevole e deve pagare per il male che commise allora, quasi inconsciamente.
    Ti ho parlato dell’incidente in cui morì mio fratello, ti ho raccontato come io stesso abbia accettato di costruire un racconto falso ma credibile, in modo da evitare qualsiasi accusa... anzi, no, non è davvero così.
    Credo che sia opportuno fare un passo indietro. Prova a immaginarti una normale sera d’estate, in cui ti sembra di avere tutto quello che desideri. Io mi sentivo così: non c’era niente che non andava nella mia vita, pensavo che il mio avvenire potesse essere sereno tanto quanto lo era stato il mio passato. Mi sbagliavo. Mi sbagliavo profondamente e soltanto poche ore più tardi ciò che avevo tra le mani sarebbe definitivamente crollato una volta per tutte. La cosa più terribile da accettare è che sia successo solo ed esclusivamente per colpa mia.
    Io e Rick dovevamo uscire con degli amici, ci aspettavano in un locale. In teoria Rick aveva proposto anche a Ralph di venire con noi, ma naturalmente non andò così. Ralph era fissato con lo studio, così come lo è tuttora. Avevo cercato di fargli capire più di una volta che poteva essere uno studente diligente anche senza dover passare tutto il suo tempo sui libri, ma non c’era mai stato verso di convincerlo. Rick era più bravo di me a persuaderlo di fare qualcosa, si può dire che Ralph pendesse quasi dalle sue labbra... ma non quando si trattava di studio. Il massimo che Rick riuscì a estorcergli fu la promessa che avrebbe seriamente preso in considerazione l’idea di uscire di casa anche lui quella sera.
    Ralph prese in considerazione l’ipotesi, ma finì per scartarla. Rick lo accusò di non voler venire perché temeva di incontrare Kelly, ma Ralph negò che fosse quella la ragione.
    Ti chiederai, a questo punto, che cosa c’entrasse Kelly. Ti dirò la verità, non l’ho mai capito nemmeno io. Si conoscevano da molti anni, era stata una compagna di scuola di entrambi. Penso semplicemente che i secchioni non le ispirassero una particolare simpatia, specie quei secchioni che non hanno l’abitudine di aiutare i compagni di classe nei compiti, e che non fossero mai andati d’accordo per questo fin da ragazzini. Sarebbe finita lì se la situazione tra Kelly e Rick non fosse stata invece totalmente diversa. Presero a frequentarsi sempre più spesso e, prima della fine delle scuole superiori, erano quella che sembrava ormai una coppia inseparabile.
    Si trattava di apparenza, o almeno ne sono convinto. Quelli che durante l’adolescenza possono sembrare amori destinati a durare per tutta la vita spesso si rivelano qualcosa di diverso con il passaggio all’età adulta, quando si inizia fare il pensiero di costruire insieme il proprio futuro. Penso che sia così, almeno. Nessuna delle storie che ho avuto in giovane età ha mai significato abbastanza per me da poterla scambiare per amore eterno, nemmeno mentre la stavo vivendo.
    Per tornare a Kelly e Rick, sebbene non sia piacevole da ammettere, quando notai i primi segnali di qualcosa che non andava, finii per approfittarne. Kelly era una bella ragazza ed ero convinto che, se mi fossi dimostrato meno immaturo di Rick, avrei potuto avere qualche chance con lei. Fu proprio quello che accadde. Quando mi fu impossibile negare a me stesso che quello che c’era stato tra noi era profondamente sbagliato, cercai ugualmente di giustificarmi. Mi dicevo che a Kelly non importava niente di Rick e che tanto tra loro sarebbe finita lo stesso, che io non potevo ritenermi colpevole di nulla. Mi illudevo davvero che fosse così, ma in realtà la situazione era ben diversa: non solo Kelly non lasciò Rick, ma i sensi di colpa che provava per averlo tradito incrementarono la sua volontà di salvare la loro relazione a tutti i costi.
    Personalmente non credevo che Kelly volesse davvero stare con lui. Mi sembrava che il suo fosse il comportamento morboso di chi ha paura di perdere qualcosa non perché ci tenga davvero, ma perché se rimanesse senza si sentirebbe troppo spaesato. Forse era davvero così, ma in fondo chi ero io per giudicare? Era molto più semplice, per me, fingere che niente fosse successo. Kelly mi piaceva, ma non abbastanza da convincerla a chiudere con mio fratello. Lei, però, quando ci vedevamo, insisteva a dirmi che era intenzionata a farlo lo stesso: se da un lato si aggrappava morbosamente a ciò che aveva, dall’altro lato era convinta che liberarsene fosse la soluzione migliore per tutti.
    Non so dire che cosa fosse cambiato, di fatto, tra lei e Rick la sera in cui uscimmo. C’erano anche altri nostri amici insieme a noi, persone di cui non ti parlerò, per il semplice fatto che forse non li frequentavo per vera amicizia, ma solo perché era più semplice aggregarmi alle persone con cui usciva Rick piuttosto che ammettere con me stesso che non ero in grado di costruire alcun genere di legame.
    Non fu niente di che, quella sera. Avevo l’abitudine di lasciarmi andare un po’ troppo con l’alcool, qualche volta, e quella non fu un’eccezione. Non ero il solo, ma non per questo mi sento meno colpevole. Non condanno l’alcool, seppure non voglio averci più niente a che fare, e non condanno nemmeno chi beve responsabilmente, ma non posso fare a meno di ripetermi che, se fossi rimasto sobrio, niente di tutto quello che accadde sarebbe mai accaduto.
    Restammo nel locale fino alle prime ore della notte, poi io e Rick ce ne andammo, da soli. Lui aveva bevuto più di me.
    Una volta fuori dal locale successe un fatto che per lungo tempo, visto quello che successe dopo, mi parve totalmente irrilevante. C’erano tre uomini che infastidivano una donna, anche se forse dire che la infastidivano è poco. Lei era spaventata, invocò me e Rick di aiutarla. Non lo facemmo. Pensammo che fosse una donna ubriaca che aveva avuto una reazione eccessiva a qualcosa che non doveva essere poi così terribile. Se solo avessi potuto immaginare quali conseguenze devastanti avrebbe avuto andare avanti per la mia strada, avrei finito per fare tutto quello che mi avrebbe potuto chiedere. Purtroppo non lo feci e credo che troppe persone ne abbiano pagato le conseguenze.
    Potrei raccontarti fin da subito di questa donna e di ciò che ho scoperto, ma credo che sia il caso di approfondire quello che successe dopo. Ti prego quindi, ancora una volta, di continuare a leggere la mia lettera fino alla fine.
     
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  2. GÆBRIEL
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    Io in questo momento: crying

    Dimmi un po': pretendere il continuo è chiedere troppo?
     
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    Non è troppo. u.u



    Ronnie sentì il bisogno di fare una pausa. Appoggiò la lettera e andò in cucina a bere un bicchiere d’acqua. Gli costò un notevole sforzo tornare nella sua stanza da letto, dove sapeva che l’avrebbe atteso la parte più difficile.
    Si sedette ancora una volta e riprese a leggere.

    Rick voleva guidare, ma glielo impedii. Da allora mi chiedo ogni giorno come sarebbero andate le cose se non avessi insistito per mettermi al volante. Aveva bevuto troppo anche lui, ma forse avrebbe reagito diversamente.
    Non so spiegarti bene quale sia stata la dinamica dell’incidente. So solo che prendemmo una via isolata, perché abitavamo dall’altra parte di Starlit Spring e quello era il percorso più breve. In aperta campagna ci ritrovammo fuori strada e fu un impatto violento. Credo che, se non avessi indossato la cintura di sicurezza, più per abitudine che per altro, avrebbe potuto essere fatale anche per me, che invece mi ritrovai soltanto qualche livido.
    Ero stordito, ma capii subito che Rick era morto. Scesi dalla macchina totalmente sotto shock. Fu lì che qualche minuto dopo mi trovò Kelly, che a differenza nostra con l’alcool non esagerava mai. Anche lei stava andando a casa e, avendo visto un’auto incidentata, si era fermata per controllare se fosse accaduto qualcosa di grave.
    Rimase ovviamente sconcertata, quando le raccontai quello che era successo e le spiegai che Rick era morto. Insisteva a dire che non era possibile e volle accertarsene lei stessa. Non poté fare a meno di constatare che avevo ragione.
    Mi diede del pazzo, mi fece notare che non solo la mia incoscienza aveva ucciso mio fratello, ma avrebbe distrutto la mia famiglia. Erano altri tempi, la gente faceva più caso a tutto. Mio padre è il titolare di uno studio commerciale, mia madre all’epoca possedeva una boutique di lusso. Mi chiese se volevo diffamarli al punto tale da far perdere loro tutti i clienti che li avrebbero abbandonati. Obiettai che quello era l’ultimo dei miei pensieri, ma non servì. Kelly mi disse che aveva una soluzione che avrebbe, almeno in parte, potuto alleggerire la situazione: fingere che fosse Rick a guidare. I vantaggi erano due, di cui uno strettamente legato a me: non avrei avuto conseguenze legali e la mia famiglia non mi avrebbe ritenuto responsabile della morte di Rick. Il secondo era relativo alla cosiddetta opinione pubblica: chi guida ubriaco e muore non è malvisto tanto quanto chi, guidando ubriaco, toglie la vita a un’altra persona e sopravvive.
    So che è stata una pazzia, ma accettai. La aiutai a sistemare Rick sul sedile di guida e, dal momento che la cintura di sicurezza che portavo s’era rotta, gliela allacciammo per rendere possibile la nostra messinscena nel caso in cui fosse stata esaminata l’automobile. Pensavo che fosse finita, ma Kelly specificò che, per cancellare eventuali prove, c’era un’altra cosa da fare. Mi convinsi che quello che proponeva fosse la soluzione migliore.
    Guardammo la macchina bruciare, guardammo le fiamme che noi stessi avevamo appiccato. Sapevamo entrambi di essere ugualmente colpevoli e questo era una garanzia per tutti e due: nessuno di noi avrebbe mai potuto fare nulla per accusare l’altro senza doversi prendere parte delle colpe.
    Immagino che a questo punto tu sia disgustata da me, che da anni convivo con questo peso sulla coscienza. Forse può sembrare una frase fatta, ma ti assicuro che, per quanto questo non mi assolva, da allora non ho più pace... e non sono il solo: nonostante la versione ufficiale sia che Rick fosse al volante, leggo negli occhi di tutti delle accuse non troppo velate. L’unica che non ha mai capito nulla è mia madre; è questa la ragione per cui mio padre e Ralph hanno sempre cercato di evitare le accuse troppo dirette. Per quanto riguarda mio fratello, però, le cose non stanno più così: non solo ha capito che io e Kelly abbiamo commesso qualcosa di illecito, ma addirittura è convinto che abbiamo ucciso Rick volontariamente.
    A questo punto, pregandoti per l’ennesima volta di resistere alla tentazione di distruggere questa lettera per allontanarmi da te, ti prego di continuare. Ti devo raccontare l’altra parte della storia, e ti assicuro che sarà questa la ragione per cui sarai felice di ciò che ho deciso di fare.
    Ricordi la donna che io e Rick incontrammo? Fino ad oggi avevo sempre ignorato la sua identità e il suo destino. Ero convinto che non le fosse successo niente di grave, che si fosse liberata di quegli uomini che la importunavano e che fosse tornata a casa.
    Non era così. A casa aveva due figlie che la aspettavano, destinate a non rivederla mai più. La donna che io e Rick ignorammo fu assassinata quella notte stessa, l’ho riconosciuta dalla fotografia che ho visto sulla sua tomba nel cimitero di Starlit Spring. Nella foto indossava lo stesso vestito che portava quando venne uccisa.
    Le due figlie che aspettavano invano eravate tu e Heaven, quella donna era tua madre. Va da sé che non mi sento colpevole soltanto della sua morte, ma anche di tutto quello che capitò in seguito. Se Margot non fosse morta, probabilmente la tua stessa vita sarebbe stata molto diversa.
    So che tutto questo sarebbe stato terribile anche se fosse successo a una perfetta sconosciuta, ma il fatto che sia accaduto proprio alla ragazza che amo è un pensiero insopportabile per me. Un tempo pensavo che fosse sempre necessario combattere contro le difficoltà, anziché permettere loro di schiacciarci, ma adesso è tutto diverso. Non credo che riuscirei a convivere nemmeno una sola notte con questa terribile consapevolezza e non posso fare altro che seguire la strada che mi sembra meno dolorosa.
    Davanti a me c’è un flacone di sonnifero che ho trovato nel cassetto di mia madre. Non ho competenze mediche, ma credo che la metà delle pillole che contiene potrebbero essere sufficienti a uccidermi. Per sicurezza non mi fermerò a metà. Quando Naive ti consegnerà questa lettera io sarò già morto. So che non mi rimpiangerai, così come so che non sarei mai più in grado di guardarti negli occhi e di accettare il tuo disprezzo.
    Ti ho amata come non ho mai amato nessuna e come, se la mia vita continuasse, non sarei in grado di amare nessun’altra, ma so che ormai tutto questo non conta più. Tra poco la mia vita avrà la sua giusta fine e mi auguro che almeno questo pensiero possa farti provare un minimo di sollievo. Non farti problemi per chi soffrirà per la mia morte: non penso che importerà davvero a qualcuno, anzi, credo che saranno in molti ad essere sollevati tanto quanto te.
    In questo momento sto fissando una tua fotografia. Credo che la terrò in mano e che continuerò a guardarla in attesa della fine.
    A questo punto mi sembra di immaginare la tua voce che mi chiede: “Non hai paura di perdere tutto?” È proprio quello che potresti domandarmi se fossi qui e la mia risposta è no, non ho paura: so che chi ha già perso tutto non ha più nulla di cui preoccuparsi.
    Un tempo speravo che le nostre anime di metallo potessero fondersi e diventare una cosa sola, ma...

    Il campanello suonò. Ronnie guardò la sveglia e si accorse che erano quasi le dieci. Si chiese chi potesse essere Di solito nessuno si presentava a casa sua a quell’ora della sera.
    Ripiegò la lettera in due parti e l’appoggiò sul comodino, poi si diresse verso la porta mentre il campanello trillava ancora una volta.
    «Arrivo!» annunciò.
    Ciò nonostante udì altri due squilli.
    «Sono qui» avvertì nuovamente, mentre si apprestava a spalancare la porta.
    Per un attimo non fu in grado di credere ai propri occhi. Nonostante i riflessi color mogano dei suoi capelli e il volto che non era più quello di una diciottenne, gli fu impossibile non riconoscere la ragazza che si ritrovò davanti.
    «Yuma» esclamò. «Yuma, sei davvero tu?»
    Lei gli sorrise.
    «Se non ho sbagliato i calcoli, credo di essere in ritardo di tremilasessantatre giorni rispetto a quanto avevo progettato inizialmente. Posso entrare lo stesso?
    Ronnie spalancò gli occhi.
    «Ovvio... ovvio che puoi entrare!»
     
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  4. GÆBRIEL
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    Io durante la lettura di questo pezzo: :cry: -> :crybaby: -> :woot: -> :bounce.gif:

    No no no... non puoi lasciarmi così! :bounce.gif:
     
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    Forse dopo aggiornerò! ;)
     
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    Prima parte del capitolo 46.



    Capitolo 46.
    Yuma richiuse senza fare rumore la porta alle proprie spalle, prima di scendere le scale. Piano dopo piano si sentì sempre più lontana da Ronnie e questa consapevolezza sembrò rendere tutto più semplice. Giunta al piano terra aprì la porta d’ingresso e uscì.
    Aveva lasciato la macchina poco lontano, in un parcheggio pubblico che distava appena un paio di isolati. Le sarebbero bastati pochi minuti per raggiungerla.
    In strada non riuscì a liberarsi dalla sensazione di udire la voce di Ronnie risuonarle in testa.
    «Ovvio» aveva mormorato, quasi incredulo di fronte all’idea di rivederla dopo così tanto tempo. «Ovvio che puoi entrare.»
    Yuma gli aveva regalato il migliore dei propri sorrisi, oltrepassando la soglia. Aveva creduto che l’incanto che aveva avvertito tante volte in presenza di Ronnie, molti anni prima, non si fosse mai davvero spezzato.
    “Un giorno lo rivedrò” si era detta, giorno dopo giorno, da quando suo padre le aveva impedito di fuggire a Starlit Spring insieme a lui.
    Questa certezza, che per tanto tempo aveva ritenuto inviolabile, era crollata poco a poco, specie quando giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno, si era accorta di non avere vie di fuga.
    Non c’era niente di più bello di una speranza morta che ritornava a vivere, se n’era accorta mentre gli occhi grigi di Ronnie la fissavano dolcemente.
    «Mi sei mancato» gli aveva confidato. «Mi sei mancato come mai mi è mancato nessun altro. Ci sono stati giorni in cui ho creduto di morire, senza di te.»
    «Anche tu mi sei mancata» aveva risposto Ronnie. «Ci sono stati giorni in cui ho creduto che non avrei mai più avuto tue notizie.»
    Come al solito Yuma si era sentita colpevole. Da quando si era liberata da quello che aveva ritenuto un destino a cui non poteva sfuggire si chiedeva come avesse potuto sopportare tutto quello che aveva dovuto subire.
    “Avrei dovuto trovare il coraggio di andarmene” si ripeté. “Heaven se la sarebbe cavata: lei riesce sempre a cavarsela, in qualche modo.”
    Non sapeva se ne era davvero convinta, ma ci sperava: avrebbe significato non essere più la ragazza arrendevole e malleabile che Melvin Emerson aveva avuto tra le mani per anni e che probabilmente stava ancora cercando.
    Melvin l’avrebbe trovata, prima o poi.
    Se non ci fosse riuscito lui, l’avrebbe fatto Dean.
    Yuma si chiese quale delle due alternative fosse la peggiore.
    Era una di quelle domande a cui era impossibile dare una risposta univoca.
    “Dipende tutto dalle circostanze.”
    C’era qualcosa che Melvin non doveva sapere.
    C’era qualcosa che Dean non doveva sapere.
    Bastava che uno dei due intuisse la parte di verità che Yuma stava proteggendo e per lei avrebbe potuto essere la fine.
    Prima o poi avrebbe dovuto decidersi e accettare la proposta che Heaven le aveva fatto: assumere in via definitiva l’identità di Oona Craven e trasferirsi laddove né suo padre né Dean avrebbero mai potuto risalire a lei.
    “In quel modo potrei davvero smettere di vivere nell’ombra.”
    Forse si sarebbe sentita spaesata, senza il suo vero nome, ma che cos’era un nome dopotutto? Perché chiamarsi Yuma Emerson avrebbe dovuto farla sentire meglio? Portare il cognome di suo padre, utilizzare lo stesso nome con cui l’aveva sempre chiamata lui, non era così fondamentale. Eppure non riusciva a convincersene.
    Sua madre l’aveva conosciuta come Yuma Emerson.
    Naive l’aveva conosciuta come Yuma Emerson.
    Heaven l’aveva conosciuta come Yuma Emerson.
    Ronnie l’aveva conosciuta come Yuma Emerson.
    Lei stessa si era sempre conosciuta come Yuma Emerson.
    Doversi nascondere poteva essere un giusto prezzo da pagare per potere rimanere aggrappata a quei pochi raggi di luce che aveva visto nel corso della vita.
    Si fermò un attimo, guardandosi intorno. Stava camminando lungo una strada come tutte le altre, non c’era nessuno che la volesse fermare... E se quella fosse stata una dimostrazione che poteva continuare ad essere Yuma?
    Riprese a camminare per raggiungere la macchina. Era già nel suo campo visivo quando udì dei passi alle sue spalle.
    Stava forse crollando tutto?
    «Yuma?» la chiamò una voce.
    Non si girò, continuò a camminare.
    «Yuma!» ripeté colui che si era appena rivolto a lei.
    Stavolta il tono non era più interrogativo e questo la spaventò: chiunque fosse, l’aveva riconosciuta. Non poteva far altro che tentare di fuggire.
    Corse verso la macchina, rovistando intanto nella borsa alla disperata ricerca delle chiavi. Dove le aveva cacciate? Se non le avesse trovate, sarebbe stata la fine.
    Non fu la fine.
    «Yuma, fermati. So che sei tu.»
    Yuma si fermò. Conosceva quella voce e, per quanto le sembrasse molto strano udirla proprio in quel momento, non poté fare a meno di sentirsi al sicuro.

    Nel momento stesso in cui Ronnie aprì gli occhi, si domandò se si fosse trattato di un sogno. Non c’era nessuno accanto a lui. Guardò la sveglia. Era mezzanotte e cinque: erano trascorse poco più di due ore da quando il campanello aveva suonato e, nell’aprire la porta, si era ritrovato davanti Yuma, che adesso però non c’era più.
    I suoi vestiti gettati alla rinfusa sul pavimento gli lasciarono ipotizzare che ciò che ricordava fosse stato reale.
    Si alzò e chiamò il nome di Yuma, sperando di ricevere una risposta. Dalle stanze vuote, però, non emerse alcun suono. Probabilmente se n’era andata senza dirgli nulla, e Ronnie si ritrovò a chiedersi se l’avrebbe mai rivista. L’idea di perderla di nuovo, proprio quando l’aveva appena ritrovata, gli sembrava insopportabile; in apparenza non poteva esserci niente di peggiore.
    I suoi occhi, però, si posarono sul comodino e si rese conto che al peggio non c’era limite: la lettera che aveva lasciato lì, piegata in due parti, prima di andare ad aprire la porta, non c’era più. Questo poteva avere una sola spiegazione: se lui non l’aveva spostata - e non ricordava di averlo fatto - a toglierla da là doveva essere stata Yuma.
    Ronnie si aggrappò alla folle speranza che non fosse così, mentre notava che la luce, in cucina, era accesa.
    Si diresse verso quella stanza e, come temeva, trovò la lettera sul tavolo. Yuma l’aveva letta. Accanto ad essa c’era un biglietto.

    Mi sei mancato in questi anni e non avrei potuto immaginare niente di più bello che poterti rivedere, ma ho capito che se il passato ci distrugge non dobbiamo continuare a inseguirlo.
    Per quanto mi riguarda tenterò di dimenticarmi di te una volta per tutte, e ti prego, nel limite del possibile, di fare altrettanto. È meglio per tutti e due, non possiamo negarlo.
    Hai sempre avuto ragione tu: le nostre anime sono di metallo, ma entrambi siamo stati troppo feriti dal fuoco per permettergli di fonderci.
    Mi chiedo soltanto una cosa: come hai potuto pensare che sarei stata sollevata, o addirittura felice, della tua morte? Comunque sia andata, in ogni caso, sono contenta che tu ci abbia ripensato prima che fosse troppo tardi.

    Non cercarmi più.
    Addio, stavolta per sempre.

    Yuma

    Ronnie non si sentì particolarmente ferito da quelle parole. Si sarebbe aspettato accuse talmente pesanti da non riuscire nemmeno a sopportare di leggerle, mentre in realtà non vi era alcun accenno a ciò che aveva preceduto l’incidente nel quale Rick aveva perso la vita. Secondo Yuma entrambi erano destinati a soccombere di fronte a un passato troppo doloroso, ma potevano ancora avere una via d’uscita, separando le loro strade. Il messaggio di fondo non era terribile tanto quanto aveva temuto inizialmente.
    L’idea di avere perso Yuma per sempre non poteva certo renderlo felice, ma dentro di sé sentiva che quell’abbandono era più spontaneo e naturale rispetto al primo.
    Avrebbe soltanto voluto dirle che non ci aveva ripensato, che quelle pillole l’avevano quasi ucciso e che, se sua madre non fosse rincasata in anticipo, tutto sarebbe andato a compimento esattamente come lui aveva programmato. Avrebbe voluto aggiungere che un tentativo di suicidio gli era bastato per comprendere che la sua condanna era quella di vivere e di continuare a tormentarsi ancora per molti anni. Da allora non era più riuscito a uscire da una malinconia perenne che, anziché rovinare la sua esistenza, in qualche modo era riuscita ad alleggerirgli la coscienza.
     
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    «So che sei tu.»
    Quella era la voce inconfondibile di Michel.
    Yuma si girò lentamente.
    «T-tu... tu sei... sei a Starlit Spring?»
    «A meno che quella che vedi non sia una proiezione di me stesso» ribatté Michel, «Suppongo proprio di sì.»
    «Sì, è ovvio» asserì Yuma, «Ma non mi sarei mai aspettata di poterti incontrare qui.»
    «Il bello degli incontri casuali è che non c’è mai limite al caso.»
    «Hai proprio ragione...»
    «Tu, invece?» le chiese Michel. «Che cosa ci fai da queste parti?»
    Yuma rabbrividì.
    «Io...»
    Non riuscì a dire nulla che avesse un senso logico, pur rendendosi conto di quanto il suo silenzio potesse essere pericoloso.
    Michel avrebbe dovuto crederla a Starlit Spring insieme a Ronnie, o quantomeno doveva aspettarsi che ci avesse vissuto per un certo periodo.
    «Non c’è bisogno che tu me lo dica» la rassicurò Michel. «Sono stato davvero invadente.»
    Questa era un’ennesima conferma al suo sospetto: era molto plausibile che, in qualche modo, Michel fosse riuscito a scoprire che gli aveva mentito. Quando gli aveva telefonato per dirgli addio l’aveva pregato di non cercarla più, ma non poteva essere certa che lui avesse rispettato le sue “volontà”.
    «No, non sei stato invadente» si sforzò di replicare. «Dopotutto è normale fare domande di questo genere a chi si rivede dopo tanti anni in un luogo in cui non si pensava di poterlo incontrare. Anch’io, forse, dovrei chiederti perché sei qui.»
    Michel annuì.
    «Dovresti.»
    «E allora perché non rispondi?»
    Michel sorrise.
    «Perché hai valutato la possibilità di chiedermelo, ma di fatto non me l’hai chiesto.»
    «Ah, già. Allora fa’ come se ti avessi davvero fatto quella domanda.»
    Michel rimase sul vago, come era sua abitudine: «Sono qui per questioni di lavoro.»
    Era qualcosa su cui, se non era cambiato profondamente rispetto ai tempi in cui si frequentavano, non le avrebbe dato spiegazioni.
    «Capisco» si limitò a dire Yuma. «Ti fermerai per molto?»
    «Dipende tutto da come si evolverà la situazione. È un affare piuttosto ostico e non ho ancora capito quale sia il modo più opportuno di affrontarlo.» Non si spinse oltre e, anzi, passò subito ad altro. «È tua questa macchina?»
    «Non proprio» ammise Yuma. «Diciamo che appartiene a una persona di famiglia... o quasi.»
    «Questa persona di famiglia o quasi ha buon gusto in fatto di macchine.» Michel osservò attentamente l’auto. «Forse ha anche un discreto conto in banca.»
    «Direi di sì.»
    «È da molto che hai preso la patente?»
    Yuma lo fulminò con lo sguardo.
    «Non sono più la ragazzina che non sapeva guidare.»
    «Non ho mai insinuato che tu lo fossi.»
    «Eppure sei sorpreso.» Si vedeva così tanto che l’unico documento che la autorizzava a mettersi al volante era falso? Sperava ardentemente di no. «Per quanto ti possa sembrare strano, sono cambiata molto rispetto a una volta.»
    Michel ridacchiò.
    «Mi stai dicendo che, se potessi tornare indietro nel tempo, non mi lasceresti per inseguire Ronnie in capo al mondo?»
    Non parlava sul serio, ma Yuma si sentì ugualmente colpita nel profondo. Cercò di non mostrarlo a Michel, mentre puntualizzava: «Non sto dicendo niente di tutto questo.»
    «Allora questa è l’ennesima dimostrazione» ribatté lui, «Che Ronnie ha qualcosa in più. Tutte le donne che l’hanno conosciuto prima o poi sono state attratte da lui.»
    «Forse stai esagerando.»
    «O forse no.» Michel le indicò l’automobile. «Che cosa ne pensi di salire a fare quattro chiacchiere?»
    Yuma spalancò gli occhi.
    «Proprio in macchina?»
    «Ci sono meno orecchie indiscrete, a meno che qualcuno non abbia posizionato delle microspie sotto i sedili.»
    «Non credo che qualcuno possa averlo fatto.»
    «Allora saliamo» la esortò Michel. «Staremo molto più tranquilli.»
    Seppure riluttante, Yuma accettò.
    Non appena si furono sistemati sui sedili ed ebbero richiuso le portiere alle proprie spalle, Michel le pose la domanda che non avrebbe mai voluto sentire.
    «Ci sei rimasta poco insieme a Ronnie, non è vero?»
    Yuma abbassò lo sguardo.
    «Cosa te lo fa pensare?»
    «Quello che ho sentito dire.»
    Avrebbe dovuto capirlo. I pettegolezzi valevano più delle certezze: seppure spesso esagerassero, nella maggior parte dei casi contenevano una parte di verità.
    Decise di fidarsi di lui e di metterlo a conoscenza anche dalla gran parte che ignorava.
    «Non sono mai venuta a Starlit Spring insieme a Ronnie.»
    Michel rimase a lungo in silenzio.
    «Allora perché me l’hai fatto credere?» le chiese infine. «Perché mi hai lasciato con quella scusa?»
    «Non era una scusa» ammise Yuma.
    «Una cosa esclude l’altra» obiettò Michel. «Non puoi pretendere che creda a entrambe.»
    «Invece dovresti» insisté Yuma. «Che Ronnie si fosse innamorato di me non era falso e nemmeno che io ricambiassi quello che provava. Quando partì per tornare a casa mi chiese se volevo seguirlo. Non volle che lo facessi subito, ma mi chiese di pensarci.»
    «E tu?»
    «Ci pensai.»
    «Giungendo a che conclusione?»
    «Volevo farlo. Decisi di lasciarti, ti scrissi che stavo partendo e presi un taxi che mi portasse in stazione.»
    «Ma decidesti di non partire.»
    Yuma scosse la testa.
    «Qualcuno decise per me: mio padre aveva mandato un suo complice a tenermi d’occhio e sapeva che stavo scappando. Era riuscito a riprendersi mia sorella e mi minacciò di... di mettere lei al mio posto - e sai cosa intendo - se non avessi accettato di tornare a casa con lui. Stavolta, però, per tenermi maggiormente sotto controllo, le condizioni sarebbero state diverse. Per prima cosa dovevo chiudere definitivamente con te. Mi costrinse a chiamarti e a raccontarti della mia fuga insieme a Ronnie. Qualche tempo dopo, mi fece mettere in contatto anche con lui. Gli dissi che io e te ci stavamo per trasferire in un’altra città e che doveva dimenticarsi di me. Fu tutto molto semplice, mio padre aveva studiato un piano perfetto.»
    «Quell’uomo è un mostro» replicò Michel. «Come hai potuto sopportare di rimanere ancora accanto a lui?»
    «Non avevo scelta. Negli anni che sono seguiti le cose sono peggiorate. A volte ho creduto che volesse uccidermi e...»
    Michel la interruppe: «Anni? Ho sentito bene? Quanto tempo sei rimasta con lui?»
    Yuma fece un profondo respiro, prima di confidargli la verità.
    «Fino allo scorso marzo.»
    «Ti prego, dimmi che non è vero.»
    «Purtroppo lo è.»
    Michel si girò a guardarla.
    «Almeno ha avuto il coraggio di andartene. Alla fine ce l’hai fatta.»
    Yuma scosse la testa.
    «Non sarebbe accaduto, se la situazione non fosse cambiata. Ho avuto paura... e non solo per me.»
    «Parli di tua sorella?»
    Yuma abbassò gli occhi.
    «Anche, ma non solo. Diciamo che finalmente avevo intravisto uno spiraglio di luce e scappare era l’unico modo che avevo per non lasciarmelo sfuggire definitivamente.»

    Lo sguardo di Dean era carico di significato, a Yuma era bastato poco per capire. Sapeva tutto e questo poteva avere conseguenze disastrose.
    «Ti aiuterò a liberartene» l’aveva rassicurata.
    Lei gli aveva puntato addosso i suoi occhi spaventati.
    «Lo scoprirà.»
    «No, penserò a tutto io» aveva insistito Dean. «Gli dirai che non ti sei sentita bene, ti inventerai qualche scusa. Io confermerò. La prossima settimana lui e Rachel saranno via per un paio di giorni. Ho delle conoscenze in una clinica...»
    Yuma l’aveva interrotto: «E se non fosse quello che voglio?»
    «È quello che vuoi» aveva replicato Dean. «Non ci sono altre soluzioni.»
    «Scappiamo» gli aveva proposto Yuma. «Andiamo dove Melvin non potrà trovarci.»
    Lui aveva scosso la testa, guardandola con disprezzo.
    «Non essere ridicola.»
    «Che cosa c’è di ridicolo in tutto questo?» aveva obiettato Yuma. «È molto più normale quello che c’è tra me e te e quello che c’è tra te e lui.»
    Dean era scoppiato a ridere.
    «Quello che c’è tra me e te?! Voi ragazze siete tutte sceme, basta farvi arrivare all’orgasmo una volta per spingervi credere che a un uomo importi veramente di voi! Tu sei solo una puttana e Melvin fa bene a trattarti come tale! Mi sono soltanto preso quello che mi spetta: doverti sorvegliare per anni chiedendomi se fossi davvero un pezzo così pregiato da meritare di essere seguita ovunque era stressante. Ho capito che avresti dato tutta te stessa a chiunque ti avesse illusa di portarti via da Melvin, o addirittura anche a chi ti avesse scopata senza prima incatenarti al letto! Come hai potuto essere così ingenua da credere che mi importi davvero di te?»
    Yuma aveva abbassato lo sguardo, senza osare replicare.
    «Alla fine ti sei rivelata soltanto un problema» aveva proseguito Dean. «Se tuo padre scoprisse la verità ucciderebbe entrambi. E sai cosa ti dico? Che sarei disposto ad ammazzarti io stesso, pur di tapparti la bocca! Ti basta questo per convincerti a fare come ho deciso? Quando tuo padre e quella stronza dai capelli tinti si leveranno di torno, tu andrai in quella fottuta clinica a fare quello che devi fare!»

    «Comunque sia andata» disse Michel, «Sono felice che tu abbia visto quello spiraglio di luce. Ho sempre pensato che fossi una ragazza determinata e, ancora una volta, l’hai dimostrato.»
    «Forse l’ho dimostrato solo stavolta» obiettò Yuma. «Credo che tu abbia un’opinione troppo elevata di me.»
    «Sono sicuro che non è così. Per quanto riguarda quello stronzo di Melvin, invece, che fine ha fatto? L’hai denunciato?»
    Yuma negò.
    «È in giro da qualche parte, sicuramente mi sta cercando. E non è il solo.»
    «Qualcuno lo sta aiutando?»
    Yuma scosse la testa.
    «Non credo. Di questo, però, preferirei non parlarne.»
     
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    Capitolo 47.
    “È tutto regolare, per ora.”
    La radio diffondeva una vecchia canzone. Il sole filtrava oltre la tenda. Sembrava un giorno normale, ma Michel aveva il presentimento che non lo sarebbe stato.
    Nel momento in cui udì il campanello squillare comprese che era proprio così. Pensò immediatamente a un'altra visita di Heaven Emerson e decise di ignorare quel suono. Non aveva alcuna intenzione di avere di nuovo a che fare con lei, che aveva mandato a monte i suoi progetti. Il giorno in cui aveva rubato le chiavi a Ronnie non aveva potuto fare a meno di restituirgliele indirettamente, lasciandole vicino alla porta di casa.
    Per sicurezza ne aveva fatto fare una copia. Non era convinto che potessero davvero servirgli, ma sapeva di non potere prevedere in anticipo ciò che avrebbe potuto rivelarsi davvero utile.
    Il campanello suonò una seconda volta. Si arrese all'evidenza, ma sollevando il citofono si ritrovò ad avvertire: «In questo momento Kelly non è in casa. È al lavoro, tornerà tra qualche ora.» «Meglio così» gli rispose una voce, «perché non è lei che sto cercando.»
    Era un uomo.
    "Se non altro non è Heaven."
    Dentro di sé non poté però fare a meno di chiedersi se non si sarebbe ritrovato a rimpiangere il fatto che a suonare alla porta non fosse stata proprio la giovane sorella di Yuma.
    «Chi è?» domandò, almeno in parte preoccupato dalla possibile risposta.
    «Sono Dean.»
    Michel si sentì spaesato.
    «Dean?»
    «Chi non muore si rivede» ribatté l'altro. «Ci scommetto che non vedi l'ora di scoprire che cosa voglio da te.»
    «Ne farei volentieri a meno» gli assicurò Michel. «Per quanto tu abbia sempre pensato di meritare la mia attenzione, io non sono mai stato del tuo stesso parere.»
    «Non ho intenzione di parlarne al citofono» precisò Dean. «Perché non mi fai salire?»
    «Neanche per sogno. Non sono a casa mia.»
    «Sono sicuro che la tua ragazza non avrà niente in contrario.»
    «Non è...»
    Michel s'interruppe.
    Perché avrebbe dovuto spiegare a Dean che Kelly non era la sua ragazza?"
    La mia vita privata non lo riguarda."
    «Allora, Sallivan?» insisté Dean. «Mi fai salire?»
    «No.»
    «Non era quello che volevo sentirti dire. Potremmo desiderare la stessa cosa. Sarebbe un errore, da parte tua, non volermi nemmeno ascoltare.»
    Sebbene Michel ne dubitasse fortemente non poté negare che in quelle parole potesse nascondersi un fondamento di verità.
    «Scendo tra due minuti» concesse. «Aspettami lì.»
    «Vedo che inizi a ragionare.»
    Michel non rispose.
    Prese le chiavi e si avviò giù per le scale.
    Fuori dall'edificio Dean lo aspettava. Stavolta indossava di nuovo una giacca di pelle.
    «È un piacere rivederti, Sallivan» lo accolse. «Sapevo che non ti saresti fatto pregare troppo a lungo.»
    «Vieni al dunque» tagliò corto Michel. «Che cosa vuoi da me?»
    Dean si guardò intorno.
    Non c'era nessuno nei paraggi, se non una donna dai lunghi capelli corvini, dall'altra parte della strada. Portava un ampio paio di occhiali da sole e per Michel aveva un'aria vagamente familiare. Era ovvio che a Dean non aveva fatto lo stesso effetto, dal momento che non esitò a ignorarla, affrettandosi a comunicargli: «Si tratta di Yuma Emerson. Ho l'impressione che suo padre abbia messo qualcuno sulle sue tracce.»
    «Lo sospetto anch'io.»
    Michel non gli disse che era convinto che quell'incarico,a sua insaputa, fosse stato attribuito proprio a lui grazie alla mediazione di Tom Harvey, ma Dean sembrò averlo capito da solo.
    «Sei tu che devi riportargliela.»
    «Non ti riguarda.»
    «Sì, invece. Ho lavorato per anni per Melvin Emerson...»
    Michel lo interruppe: «Se fossi al tuo posto non ne andrei tanto fiero.»
    «Infatti sono convinto che sia stato l'errore più grande della mia vita.»
    «Quanto tempo ti è servito prima di convincertene?»
    «Una volta che ho scoperto che cos'è il vero amore, mi è stato tutto dannatamente chiaro.»
    «Ma non è chiaro a me» replicò Michel. «Che cosa c'entra l'amore con tutto questo?»
    «Una donna mi ha cambiato.»
    «E io cosa c'entro?»
    «Quella donna è Yuma.»
    Michel valutò quanto quell'opzione forse credibile. Se lui e Yuma si amavano come diceva, perché lei avrebbe dovuto uscire dal palazzo in cui abitava Ronnie Craven, soltanto tre giorni prima?
    Dean parve accorgersi di quanto poco ne fosse convinto.
    «Lo so, ti sembra strano» ammise. «Ti assicuro, però, che io e Yuma piano stati molto felici insieme, prima che Mel iniziasse a intuire quello che c'era tra noi. A quel punto Yuma ha deciso di scappare. Non posso biasimarla per questo... e poi ha sempre avuto l'abitudine di farlo.»
    «Quindi sei qui per cercarla.»
    «È così.»
    «Mi è difficile pensare a una ragazza come Yuma accanto a un imbecille come te, in tutta sincerità.»
    Se quelle parole offesero Dean, lui non lo diede a vedere.
    «Le donne hanno gusti improbabili in fatto di uomini. Per quanto possiamo sforzarci di capirle, non ne saremo mai capaci.»
    «Specie uno come te.»
    «Tu mi sottovaluti.»
    «O forse Yuma ti sopravvaluta.»
    «In effetti non mi stupirebbe» ammise Dean. «Penso che Yuma abbia già ampiamente dimostrato di avere pessimo gusto in fatto di uomini. Tra te e il contabile depresso non saprei dire chi sia il peggiore.»
    «A proposito del contabile depresso, come mai allora Yuma mi ha parlato di lui e non di te, quando l'ho vista pochi giorni fa?»
    Michel non si aspettava che Dean avesse la risposta pronta. Non lo soddisfò affatto sentirlo replicare: «Yuma ha sempre cercato di mescolare le carte per non far vedere cos'aveva in mente. Mi sorprende che tu non ti sia posto nemmeno una domanda su di lei. Devo dedurre che tu ne sia ancora attratto, nonostante la tua relazione con la ragazza del bar, e che quindi tu abbia la tendenza a giudicarla migliore di quanto non sia?»
    Relazione?
    Che assurdità.
    Attratto da Yuma?
    Quella era un'assurdità ancora peggiore.
    «Credo che tu stia delirando, Dean.»
    «Forse sì, altrimenti non si spiegherebbe perché tu voglia venderla a Melvin.»
    «Io non...»
    Le sue proteste furono subito interrotte: «Non sono nato ieri, posso capire che tu sia disposto a trattare con il migliore offerente...»
    «Risparmiati qualsiasi tentativo di corruzione» replicò Michel. «Non hai speranze.»
    «Come devo spiegarti che non voglio fare del male a Yuma» insisté Dean, «Ma solo proteggerla da un maniaco che non merita nemmeno di starle vicino?»
    «Dovrebbe essere lei stessa a dirmelo. In tal caso sarei disposto a crederti o, per meglio dire, a crederle.»
    «Sai bene che ci sono degli impedimenti.»
    «No, ti sbagli, non lo so. Yuma non mi ha parlato di te, ma era spaventata all'idea che qualcuno potesse trovarla.»
    Dean annuì.
    «Mel.»
    «Il problema non era solo quel fottuto maniaco» obiettò Michel. «Era come se Yuma vedesse un'altra minaccia, forse ancora più pericolosa.»
    «Te l'ho già detto» ribadì Dean. «Il vero problema è che non ti sei ancora accorto che stare a sentire Yuma equivale a perdere tempo.»
    «Anche ascoltare te mi sta facendo perdere tempo» ribatté Michel. «Forse dovrei occuparmi di cose più importanti.»
    «Va bene, come vuoi» concesse Dean. «Ti lascio un po' di tempo per pensarci. Vediamoci stasera alle otto al bar della tua ragazza. Se dovessi pensare che Yuma possa avere bisogno della protezione di un uomo che la ama davvero, mi dirai come rintracciarla.»
    «Ci penserò.»
    Michel rientrò io casa. Al momento aveva alcuna intenzione di presentarsi all'appuntamento, ma prima di prendere una decisione definitiva avrebbe potuto cambiare idea.
     
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    Patricia si tolse gli occhiali da sole, mentre si avvicinava a Dean.
    «È da molto che non ci vediamo.»
    Lui sussultò nell'udire la sua voce.
    «Patty?»
    «Vedo che mi hai riconosciuta, nonostante tutto il tempo che è passato.»
    Dean la fissò con attenzione.
    «Sei ben conservata.»
    «Grazie.»
    «Di nulla, ho solo detto la verità. Piuttosto che farci complimenti a vicenda, però...»
    Patricia lo interruppe: «Io non te ne ho fatti.»
    «Non cambiare discorso.»
    «Non sto cambiando...»
    «Taci, pupa!» la zittì Dean. «Dobbiamo parlare di cose serie.»
    «Giusto, parlare di cose serie. Cosa volevi da Michel?»
    Dean la fulminò con lo sguardo.
    «Come mai ti interessa così tanto? Non dirmi che siete amici.»
    «Siamo semplici conoscenti.»
    «E, se non sono indiscreto, come vi siete conosciuti?» volle sapere Dean.
    Patricia gli spiegò: «Amicizie comuni, in un certo senso.»
    Lui le sembrò incuriosito.
    «Una certa ragazza scomparsa?»
    Patricia scosse la testa.
    «Un mio ex collega per cui un tempo mi ero presa una cotta.»
    «Un contabile depresso, per caso?»
    Patricia s'irrigidì. Non solo non le piaceva quella definizione, ma non le garbavano nemmeno le domande troppo personali.
    «Non sono affari che ti riguardano» si affrettò a precisare.
    «Ronald Craven abita da queste parti» insisté Dean. «Sei venuta per lui?»
    Patricia resisté alla tentazione di scoppiare a ridere.
    Perché gli uomini dovevano necessariamente pensare che, dietro qualunque azione compiuta da una donna, ci fosse un interesse di natura romantica?
    Da parte di uno come Dean, tra l'altro, un commento del genere le pareva davvero ridicolo. L'aveva conosciuta bene, sapeva che era sempre stata pragmatica e determinata. Doveva per forza spiegargli esplicitamente la ragione per cui si trovava a Starlit Spring? Così sembrava.
    «Sono qui per tenervi d'occhio» lo informò, quindi. «Diciamo che, pur non conoscendo una certa ragazza scomparsa, mi rispecchio molto in quello che le è successo e che potrebbe continuare a capitarle se finisse nelle vostre mani.»
    «Tenerci d’occhio?» replicò Dean. «Io non ho nulla a che fare con tua madre e Mel.»
    Patricia scosse la testa.
    «Inventatene una migliore.»
    Dean si corresse: «Non più.»
    «Non ti credo.»
    «Conoscendoti, non ne avrei dubitato.»
    «Fai attenzione» gli suggerì quindi Patricia. «Ti tengo d'occhio.»
    «Anch'io terrò d'occhio te» la avvertì Dean. «Sto correndo il rischio di mettermi contro Melvin e, se la situazione con lui dovesse peggiorare a causa tua, ti assicuro che non esiterei a fartene pentire amaramente.»

    Quando Eric mostrò chiaramente di non avere alcun interesse a prendere parte alla discussione, Heaven rinunciò ad aspettarsi un aiuto da parte sua.
    «Lo vedi?» ribadì Yuma. «Sei tu l’unica a pensare che dovrei...»
    Heaven la interruppe: «Eric preferisce non immischiarsi. Questo non significa che non sappia che ho ragione.»
    «Non hai ragione» insisté Yuma. «Tu pretendi di poter scegliere per me.»
    Heaven alzò gli occhi al cielo e si aggrappò all'unico appiglio che ancora le rimaneva.
    «Ma allora proprio non capisci? Vuole eliminare le prove di quello che c'è stato tra voi! Non hai altre speranze, Yuma, se non quella di prendere quei dannati documenti e di sparire per sempre!» Fece una breve pausa prima di premere un tasto dolente. «Hai detto tu stessa che Ronnie non può condizionare la tua vita. Perché non agisci di conseguenza, allora? Hai ancora una soluzione... Avete ancora una soluzione.» Andò a cercare lo sguardo della sorella. «Dici di non volerlo fare, ma quanto potrà durare?» Non avrebbe cercato di spaventarla, se non fosse stata l'unica alternativa possibile, ma stavolta non poteva optare per altre possibilità. Far capire a Yuma che tutto poteva finire da un momento all’altro era l’unico modo che aveva per farla ragionare; o meglio, l’unico modo in cui poteva avere ancora una minima speranza di successo. «Hai dimostrato, in tutti questi mesi, di essere capace di cavartela da sola. Che cosa ti spaventa?»
    La risposta di Yuma la traumatizzò.
    «Resto qui perché non sopporto l'idea di andare via un'altra volta senza sapere chi ha ucciso nostra madre.»
    Di colpo Heaven comprese ciò che si era sforzata di negare.
    «Lo sai anche tu, non è vero?»
    «Diciamo che l'ho capito.»
    «Allora cosa cerchi ancora?»
    «La persona che l'ha pugnalata. Non può essere stato lui.»
    «Ha davvero importanza?»
    «Ovvio che ne ha.»
    Heaven scosse la testa.
    «Non per te.»
    «Ha importanza soprattutto per me» la corresse Yuma. «Voglio sapere fino a che punto s'è spinto quel...»
    Heaven la interruppe: «Lascia stare, Yuma. Hai già sofferto abbastanza a causa loro.»
    Sapeva che le sue parole non sarebbero servite, ma sperava che, almeno per una volta, sua sorella potesse darle ascolto.
    Yuma, però, non cambiò la propria posizione nemmeno di una virgola.
    «Non lascerò la città. Non gliela darò vinta. E soprattutto non permetterò a Dean di sbarazzarsi di mio figlio.»
     
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  10. GÆBRIEL
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    Wooooow sono sconvolta!

    Innanzitutto è bello leggere 2 capitoli tutti insieme! Non credo di essere riuscita a fermarmi per tutta il tempo. XD

    Poi poi poi... anche Yuma ha un figlio? E da chi? Come, quando e perchè?

    Ed è davvero Dean che ha ucciso la madre di Yuma?

    Ma poi dico io... ma perchè mi chiamano Ronnie il contabile depresso? Ma uffa!

    Coomunque... a proposito di Ronnie, cioè aveva ritrovato Yuma e ora mi sa che l'ha persa per sempre, ma domanda: perchè Yuma è andata a trovarlo? Mistero.

    Ci sarebbe davvero troppo da dire... ma penso che l'unica soluzione sia leggere... U.U
     
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    Gaaaaaaab! *-* Sono felice che la lettura di quei due capitoli ti abbia fatto questo effetto... sul 47 ero convinta, tra l'altro, che risultasse abbastanza noioso. Sono soddisfatta di scoprire che, a quanto pare, non è stato così.
    Come vedo ti stai facendo delle domande interessanti anche se alla prima di queste forse la risposta c'è già stata (anche se non esplicitamente) nel capitolo 46. ^^ Su chi abbia ucciso la madre di Yuma... non faccio spoiler, anche se dico fin da subito che nella quarta parte si faranno scoperte abbastanza inattese sulla madre di Yuma (inattese perché, fino all'altro ieri, quella parte di trama ancora non mi era venuta in mente XD)...
    L'unica soluzione, appunto, è continuare a leggere... Ecco qui la prima parte del capitolo 48 (penultimo capitolo della terza parte).




    Capitolo 48.
    «Alle otto?» borbottò Kelly, dando un’occhiata all’enorme orologio appeso alla parete. «Come ti è venuto in mente di dargli appuntamento...»
    Michel si affrettò a interromperla: «Non sono stato io a proporgli di trovarci qui.»
    «Però avresti potuto dirgli che, di solito, alle otto sto già chiudendo.»
    Michel annuì.
    «Hai ragione, non ci avevo pensato. Il problema è che non credevo che ci sarei davvero venuto. Dean è un tipo che non mi convince.»
    Kelly lo guardò con gli occhi spalancati.
    «Che cosa c’è?» le chiese Michel. «Che cos’ho detto di così sconveniente?»
    «No, nulla.»
    «Dalla tua reazione non si direbbe.»
    «Lo so. È che...» Kelly abbassò lo sguardo. «Lascia stare, non è niente di importante: immagino che il mondo sia pieno di uomini che si chiamano Dean.»
    «Suppongo che ce ne sia più di uno.»
    «Spero solo che questo non somigli al tizio da cui è ossessionata Natascha.»
    «Natascha?»
    Kelly confermò il suo sospetto: «Natascha Harris, la mia amica, quella che non fa altro che pensare a un uomo che non vede dal 1989.»
    Michel si chiese se fosse il caso di informare Kelly che con tutta probabilità si trattava proprio dello stesso uomo.
    “Meglio di no.”
    «Speriamo che il tuo amico si sbrighi ad arrivare.» Kelly gli indicò l’orologio. «Sono già le otto e cinque.»
    Michel preferì non parlare delle ore di ritardo con cui si era presentato in occasione del loro primo incontro, la prima volta in cui si erano visti a Starlit Spring.
    «Di solito è un tipo puntuale» mentì, invece. «Sono sicuro che tra poco sarà qui. Avrà avuto qualche contrattempo.»
    Kelly alzò gli occhi al cielo, poco convinta.
    «Speriamo solo che non mi faccia perdere tanto tempo... La gente sembra essere convinta che io debba rimanere qui ventiquattro ore su ventiquattro.»
    «Ventiquattro non sono sufficienti» ribatté Michel. «Come minimo dovresti trascorrerne qui venticinque.»
    Kelly non rise della sua battuta. Sembrò comunque leggermente più distesa nel momento in cui la porta si aprì.
    Michel si girò.
    Per un attimo fu tentato di chiedere a Dean dove avesse lasciato la sua giacca di pelle sintetica, ma preferì evitare.
    «Sapevo che saresti venuto» esordì quest’ultimo. «Alla fine hai capito che la soluzione migliore è dirmi tutto quello che sai.»
    «Diciamo che ho rivalutato la tua proposta» ammise Michel. «Sono convinto che potremmo giungere a un accordo.»
    Dean annuì.
    «Ne ero sicuro. Sapevo che avresti capito.»
    «Sediamoci» lo invitò Michel, indicandogli un tavolino. «Credo che...»
    Dean lo interruppe: «Preferirei che rimanessimo da soli. Parlare di certe cose davanti a una donna non è mai opportuno.»
    «Sono una persona discreta» s’intromise Kelly. «Sono molto meno pettegola rispetto a certi uomini che ho avuto modo di conoscere.»
    «Stai zitta» le ordinò Dean. «Quelle come te sono venute al mondo solo per cucinare, stirare e lavare pavimenti, non per fare da testimoni alle nostre trattative.» Si avviò verso la porta. «Vieni con me, Sallivan.»
    Michel non si mosse.
    «Kelly non è...»
    La ragazza lo interruppe: «Non ho bisogno di un portavoce, sono capace di dirgli da sola che cosa ne penso di lui.»
    Dean si girò verso di lei.
    «Hai mai pensato che potrebbe non interessarmi affatto?»
    «Sì, ci ho pensato» ribatté Kelly, «Ma nemmeno a me importa niente di te.»
    Dean si rivolse a Michel: «Ho sentito dire che le donne poco soddisfatte dalla loro vita sessuale diventano acide e invadenti.» Kelly fece per protestare, ma Dean non le lasciò il tempo di formulare una frase di senso compiuto. «Potresti cortesemente cercare di impegnarti di più, d’ora in avanti? Sono sicuro che anche tu ne trarresti giovamento: non deve essere molto piacevole sorbirsi tutto il giorno una come lei.»
    Michel ignorò quel commento, mentre Kelly lanciava a Dean un’occhiata furente.
    «Forse è meglio se usciamo.»
    Dean gli sembrò soddisfatto.
    «Ottima idea.» Contraccambiò lo sguardo di Kelly. «Tu aspettaci qui, sono sicuro che quando arriverete a casa sarai ricompensata per questo.»
    Michel si chiese come Kelly potesse resistere senza fracassargli la testa con una bottiglia di vetro. Era sicuro che quella ragazza non avesse mai avuto a che fare con gente altrettanto insopportabile, prima di quel momento.
    Dean si avviò verso l’uscita e Michel lo seguì.
    «Allora?» gli domandò, non appena la porta si fu richiusa alle loro spalle. «Cos’è tutta questa segretezza?»
    «Quanto vuoi?» gli chiese Dean. «Qui non c’è nessuno, possiamo parlarne tranquillamente.»
    «Q-quanto...»
    «Parlo di soldi» puntualizzò Dean. «Immagino che Melvin ti abbia promesso una cifra discreta. Io posso fare di meglio.»
    «Non m’interessano i tuoi soldi» replicò Michel. «Mi basta solo che tu porti Yuma il più lontano possibile da suo padre.»
    «Vorresti dire che saresti disposto a dirmi tutto quello che sai senza chiedermi un solo centesimo in cambio?» Il tono di Dean era palesemente perplesso. «Stai cercando di fregarmi, Sallivan?»
    «Niente affatto» rispose Michel. «Si tratta della felicità di una mia amica, per la quale sono disposto a sacrificare il mio potenziale incasso.»
    «Detto da uno che lavora per Melvin Emerson, non mi sembra molto credibile.»
    «Non lavoro per Melvin Emerson» ribadì Michel. «O meglio, probabilmente sto lavorando per lui, ma sono stato raggirato.»
    «Va bene» concluse Dean. «Dimmi tutto quello che sai di Yuma e, se la troverò, ti assicuro che non sentirai mai più parlare di me.»
    Michel non poté fare a meno di considerare che quest’ultima parte dell’accordo era decisamente soddisfacente.
    «Non so darti un indirizzo preciso, dato che io e lei ci siamo incontrati soltanto per strada» ammise, «Ma sono sicuro che con un po’ di ricerche potrai trovarla senza eccessive difficoltà.»
    In quel momento Michel udì un fruscio alle proprie spalle.
    Si girò istintivamente.
    Non vide nulla.
    Era possibile che non ci fosse nessuno, ma non era da escludere che qualcuno si nascondesse nell’ombra di quella strada poco illuminata.
    Dean si schiarì la voce per attirare la sua attenzione.
    «Hai intenzione di dirmi da dove devo iniziare o ci hai ripensato?»
    «Non ci ho ripensato.»
    Nel buio non udì più alcun suono.
     
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  12. GÆBRIEL
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    Dean è il padre del figlio di Yuma? Oddei, non l'avrei mai immaginato! :woot:

    Coomunque... adesso sono confusa... cioè, Yuma si può dire che odia Dean, però Michel lo contatta per "salvarla da suo padre"! C'è qualcosa che non mi quadra... mhmmm
     
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    A quanto pare è stato un colpo di scena. u.u
    Bene! :D
    Facciamo che inserisco la parte conclusiva del capitolo... il fatto che Ronnie farà la sua apparizione probabilmente ti piacerà. :P




    Ronnie spalancò la porta. Michel era seduto sul bordo di un tavolino, parlottava insieme a Kelly, che era a pochi passi da lui, come se niente fosse accaduto.
    Non si accorsero di lui, almeno finché non fu vicino a loro.
    Afferrò Michel per un braccio e lo tirò giù dal tavolo.
    «Mi spieghi come cazzo ti è venuto in mente?»
    Michel gli parve perplesso.
    «Di cosa parli?»
    Evidentemente non si era accorto di lui; anzi, sicuramente non se n’era accorto, altrimenti non avrebbe continuato a passare informazioni a quell’individuo.
    «Sei venuto in città per trovare Yuma e consegnarla a suo padre» lo accusò Ronnie. «Quello non poteva essere altro che un suo complice!»
    Prima che Michel potesse replicare, Kelly intervenne: «Ti consiglio di calmarti, Ron, se non vuoi che ti sbatta fuori a calci!»
    Ron.
    Ron.
    Ron.

    In quel momento non gli importava niente del diminutivo col quale Kelly si era rivolta a lui.
    «Te lo consiglio anch’io» aggiunse Michel, «Perché sarei ben lieto di aiutarla.»
    «Siete d’accordo tutti e due, non è vero?» Ronnie lanciò uno sguardo pieno d’accusa anche a Kelly, stavolta. «Avete contattato quel tizio e...»
    «Quello che abbiamo fatto non ti riguarda» replicò Michel. «Yuma è grande abbastanza per difendersi da sola, se proprio sei convinto che sia in pericolo!»
    «Yuma è in pericolo perché si è fidata di te. La responsabilità è solo tua.»
    «Yuma non è in pericolo» insisté Michel. «Quell’uomo non vuole farle del male, vuole solo proteggerla.»
    «E immagino che tu, a parole, voglia fare lo stesso.»
    «È per proteggerla da suo padre, appunto, che ho deciso di aiutare Dean a trovarla.»
    Kelly s’irrigidì palesemente nel momento in cui Michel pronunciò il nome del suo presunto complice.
    «Tu non ne sei convinta, non è vero?» le chiese Ronnie. «È stato Michel a corromperti, ma non avresti voluto aiutarlo, in realtà.»
    «Tu sei pazzo!» replicò la barista. «Io non sto aiutando nessuno a fare un bel nulla! Non so nemmeno che cazzo sia successo a questa Yuma! Il mondo ruota forse intorno a lei? Oggi non ho sentito parlare d’altro, ma la verità è che non me ne importa un accidente!»
    «A te magari non importa niente» concesse Ronnie, «Ma a me sì, e dovrete passare sul mio cadavere prima di consegnarla a Dean.»
    «Vattene» lo pregò Kelly. «Ammazzati, come avresti dovuto fare molto tempo fa, e suggerisci a quella dannata ragazza di fare lo stesso! E, se proprio non vuoi farlo, almeno sparisci una volta per tutte!»
    «Non...»
    Michel lo interruppe: «Kelly ha ragione, faresti meglio ad andartene e a non impicciarti nelle mie questioni professionali.»
    «Se rovinare la vita di Yuma può chiamarsi questione professionale...»
    «Tu non sai niente di quello che è successo, Ron. Non impicciarti.»
    Ron.
    Ron.

    Ancora una volta non gliene importava niente. Il suo unico desiderio era proteggere Yuma, proteggerla da chiunque potesse farle del male.
    Melvin.
    Dean.
    Michel.
    Kelly.
    Lui stesso.

    «Pagherai per quello che hai fatto.» Si era rivolto a Michel, ma forse avrebbe dovuto prendere in considerazione anche Kelly. «Pagherete per quello che avete fatto.»
    Finalmente se ne andò, era quello che Michel e Kelly desideravano, ed era quello che voleva più di ogni altra cosa anche lui stesso.
    Intravide una ragazza che lo fissava, a pochi passi dalla porta, ma non si curò di lei, tanto con tutta probabilità non l’avrebbe vista mai più.

    Si rincontrarono poco meno di ventiquattro ore più tardi, quando Ronnie uscì dal lavoro. Lei lo stava aspettando e, ora che non era più protetta dal buio, non esitò a riconoscerla, anche se l’ultima volta in cui l’aveva vista era soltanto una bambina.
    Le andò incontro.
    «Heaven, sei proprio tu!»
    La sorella minore di Yuma sorrideva, sembrava felice che si fosse accorto di lei e che fosse riuscito a intuire la sua identità.
    «Non pensavo che ci saremmo mai rivisti, fino a qualche tempo fa» ammise Heaven, «Ma adesso che tutto è cambiato...» S’interruppe. «Ti ho visto ieri sera, allo Starlit Cafè.»
    «Anch’io ti ho notata, quando me ne sono andato, ma non ti avevo riconosciuta.»
    «Yuma è fortunata ad avere incontrato un uomo come te.»
    Ronnie rabbrividì. Tutto si aspettava, tranne che Heaven pronunciasse quelle parole. Yuma non gli aveva riferito il contenuto della lettera?
    «Perché dici questo?»
    «Perché nessun altro, dopo così tanti anni, avrebbe fatto nulla per difenderla» rispose Heaven. «Ti ho visto entrare al bar. Eri incazzato nero. Per un attimo ho temuto che volessi uccidere Michel.»
    «Ammetto di averci pensato.»
    «Hai fatto bene a non farlo. Se proprio devi ammazzare qualcuno, riserva questa cortesia a Dean.»
    Ronnie la guardò negli occhi.
    «Che tipo è?»
    «Se la domanda fosse questa, ti risponderei che è un coglione pieno di sé, che crede che qualsiasi donna cada ai suoi piedi. Alcune si lasciano incantare dalle sue parole. La tua domanda, però, non è questa. Tu, in realtà, vuoi sapere se può essere pericoloso per Yuma.»
    Ronnie annuì.
    «Lo è?»
    «A parte nostro padre, non c’è nessuno che possa essere più pericoloso di lui.»
    «Nemmeno Michel?»
    Heaven rise.
    «Pensi davvero che voglia fare del male a Yuma?»
    «Se così non fosse, perché avrebbe spiegato a Dean come trovarla?»
    «Ho accennato, poco fa, al fatto che alcune donne si lascino incantare da quello che dice Dean» gli spiegò Heaven. «Forse avrei dovuto specificare che anche alcuni uomini credono alle stronzate che va raccontando.»
    «Conosco bene Michel, e ti assicuro che non è un tipo del genere.»
    «Credo che lo sia, invece» obiettò Heaven. «Ho l’impressione che si sia messo sulle tracce di Yuma... Penso che volesse cercarla a casa tua.»
    Ronnie spalancò gli occhi.
    «A casa mia?»
    «Ti ha rubato un mazzo di chiavi, quando è venuto a trovarti al lavoro» lo informò Heaven. «Gli ho impedito di usarle.»
    Ronnie s’irrigidì.
    «Quel maledetto figlio di puttana...»
    «Te le ha restituite, vero?»
    «Ho ritrovato un mio mazzo di chiavi, senza essermi mai accorto di averle perse» ammise Ronnie. «Suppongo di sì. In ogni caso non troverà Yuma a casa mia.»
    Heaven sorrise.
    «Mai dire mai. Potrei convincerla a incontrarti.»
    Ronnie scosse la testa.
    «Non mi pare il caso.»
    «Invece...»
    «No, Heaven, davvero, non...»
    «Finiscila di interrompermi e stammi a sentire!» replicò la ragazza. «So per quale motivo hai deciso di non cercarla: Yuma mi ha raccontato tutto... e per tutto intendo proprio tutto.»
    «Vedo che anche tu sai...»
    «Ti avevo detto di non interrompermi o sbaglio?»
    «Sì, in effetti hai ragione.»
    «Almeno te ne rendi conto, è già un passo avanti.»
    «Se sai tutto, comunque, saprai anche che Yuma non vuole più vedermi.»
    Heaven non gli sembrò convinta.
    «Non penso che sia proprio così. Le ho parlato, e...»
    «Non m’importa quello che vi siete dette» concluse Ronnie. «Preferisco non saperlo. Se vuoi dire a Yuma che ci siamo incontrati, riferiscile che sono d’accordo con quello che mi ha scritto nel biglietto che mi ha lasciato quando se n’è andata. È molto meglio per entrambi se io e lei non ci vediamo più.»
     
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    Per quanto riguarda quello stronzo di Melvin, invece, che fine ha fatto?

    te lo dico io che fine ha fatto... s'è fatto ficcare uno spiedino -di metallo- su per il cu*o e ora vagabonda su una delle cime sperdute della catene dell' Himalaia :shifty:

    eccomi, dopo una lunga pausa :D però è bello leggere tanti capitoli insieme :) anche se alla fine ho confuso un po' le cose :rolleyes:

    una cosa non mi sarei mai aspettata: che Yuma avesse un figlio, e poi da quel pezzo di M. di Dean :linguacc:!!!

    Michel... qua gatta ci cova :unsure:!! non sono sicura che voglia aiutare al 100% Yuma

    :bounce.gif: :bounce.gif: :bounce.gif: (avrai già capito il perchè di questi emoction...)
     
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  15. GÆBRIEL
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    CITAZIONE (PÅvoneBiÅnco @ 8/7/2013, 20:23) 
    CITAZIONE
    Per quanto riguarda quello stronzo di Melvin, invece, che fine ha fatto?

    te lo dico io che fine ha fatto... s'è fatto ficcare uno spiedino -di metallo- su per il cu*o e ora vagabonda su una delle cime sperdute della catene dell' Himalaia :shifty:

    Ahahahah! :lol: Questa si che è bella!

    Questa ragazza è uno spasso! :lol:


    CITAZIONE (PÅvoneBiÅnco @ 8/7/2013, 20:23) 
    Michel... qua gatta ci cova :unsure:!! non sono sicura che voglia aiutare al 100% Yuma

    La penso così anche io! :unsure:

    CITAZIONE (PÅvoneBiÅnco @ 8/7/2013, 20:23) 
    :bounce.gif: :bounce.gif: :bounce.gif: (avrai già capito il perchè di questi emoction...)

    Ehiii... questa era una mia esclusiva! Ahahahah! :lol:

    Scherzo, ovviamente!

    Comunque, questo è per Milù: :bounce.gif: :bounce.gif: :bounce.gif: :bounce.gif:

    @Ronnie: sei mitico! Ti mancava solo un bazuka! :shifty:
     
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