Anime di metallo

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  1. GÆBRIEL
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    :woot: Non puoi farmi questo! Non puoi lasciarmi così!


    Mia osservazione: Sbaglio o il personaggio di Ronnie è un po' più depresso? Lo dico perchè mi commuove, vorrei abbracciarlo e fargli capire che non è solo...
     
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    Cercherò di aggiornare presto. :D

    CITAZIONE
    Sbaglio o il personaggio di Ronnie è un po' più depresso?

    Sì, in effetti è meno tormentato ma più depresso rispetto a prima... cercherò comunque di farne venire fuori le ragioni. ;)

    CITAZIONE
    Lo dico perchè mi commuove, vorrei abbracciarlo e fargli capire che non è solo...

    Sei un caso patologico! :lol: :lol: :lol:
     
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  3. GÆBRIEL
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    CITAZIONE (»Milù Sunshine» @ 29/6/2013, 23:15) 
    Cercherò di aggiornare presto. :D

    Non vedo l'oraaa! :bounce.gif:

    CITAZIONE (»Milù Sunshine» @ 29/6/2013, 23:15) 
    CITAZIONE
    Sbaglio o il personaggio di Ronnie è un po' più depresso?

    Sì, in effetti è meno tormentato ma più depresso rispetto a prima... cercherò comunque di farne venire fuori le ragioni. ;)

    C'avevo visto giusto! :woot: E non vedo l'ora di scoprire queste ragioni!

    CITAZIONE (»Milù Sunshine» @ 29/6/2013, 23:15) 
    CITAZIONE
    Lo dico perchè mi commuove, vorrei abbracciarlo e fargli capire che non è solo...

    Sei un caso patologico! :lol: :lol: :lol:

    Lo so e ne vado fiera! :lol: :lol: :lol:
     
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    Ecco qui l'aggiornamento che aspettavi...



    Capitolo 36.
    Michel valutò la possibilità di telefonare a Tom Harvey, ma decise ben presto di lasciar perdere: non aveva nulla da riferirgli, se non che non aveva la minima idea di dove iniziare le ricerche. Si era aggrappato all’appiglio che, se Yuma sosteneva di non potere fare a meno di Ronnie al punto tale da lasciare Black Hill in fretta e furia, esistesse la concreta possibilità di trovarla a Starlit Spring insieme a lui.
    Fin da quella mattina, però, aveva iniziato ad essergli chiara un’amara verità: rintracciare Yuma Emerson, compito che aveva accettato senza nemmeno preoccuparsi del perché qualcuno avesse affidato a Tom Harvey l’incarico di trovarla, si stava rivelando molto più difficile del previsto. Kelly aveva chiesto proprio a lui informazioni su Yuma, senza un motivo apparente, dal momento che non aveva avuto notizie di lei fin dal giorno in cui era partita per andarsene insieme a Ronnie. Possibile che Kelly non ne fosse al corrente? Doveva essere stato proprio lo stesso Ronnie a parlarle di Yuma, non c’erano altri modi in cui poteva avere appreso della sua esistenza.
    Aveva naturalmente già tentato, prima di tornare a Starlit Spring, di mettersi in contatto con Naive, ma gli oltre sette anni trascorsi da quando Yuma se n’era andata avevano fatto sì che il mondo intorno a lei fosse cambiato: al numero che aveva chiamato aveva risposto una signora di mezza età che gli aveva confidato di non avere la benché minima idea di dove fossero andate a finire “Naive Doyle e la ragazzina” che si erano trasferite già da molti anni, prima di liquidarlo con una scusa. Soltanto a quel punto aveva deciso di recarsi nella città in cui, per quanto ne sapeva, esisteva una possibilità più concreta di rintracciare Yuma.
    La notizia che Ronnie avesse avuto una relazione con una certa Maya, con la quale aveva messo al mondo una figlia, era stata un fulmine a ciel sereno, anche se naturalmente non aveva potuto fare a meno di provare un minimo di soddisfazione quando aveva scoperto che Yuma aveva lasciato anche lui. Dal momento che, stando alle informazioni che gli aveva riferito Kelly, la storia tra Ronnie e Maya risaliva a sei o sette anni prima, esisteva la concreta possibilità che Yuma si fosse stancata di Ronnie poco tempo dopo averlo seguito a Starlit Spring.
    In ogni caso, Michel l’aveva capito subito dopo avere parlato con Kelly, quella mattina, soltanto Ronnie poteva dargli le risposte che cercava. Se solo avesse potuto chiedergli esplicitamente come stavano le cose, non avrebbe esitato a farlo, ma Harvey pretendeva la massima discrezione in proposito.
    «Nessuno deve sapere che sei andato in città soltanto per ficcanasare» aveva puntualizzato più di una volta. «Se qualcuno scoprisse che tu cerchi Yuma per conto di altri, finirebbe sicuramente per insospettirsi.»
    «Quindi c’è qualcosa di cui insospettirsi» aveva replicato Michel, la prima volta in cui aveva sentito quel discorso. «Il fatto che tu stia cercando proprio Yuma mi ha sempre lasciato un po’ perplesso, ma adesso...»
    Harvey si era affrettato a interromperlo: «Sono io a dettare le regole e ti assicuro che nessuno ha intenzione di fare niente di male a quella ragazza. Guarda al lato positivo: potrai addirittura cercare di riconquistarla.»
    Come al solito Tom Harvey era riuscito a sfoderare l’arte in cui riusciva al meglio: vedere un aspetto personale in tutto ciò che avrebbe dovuto essere soltanto professionale.
    «Posso avere tutte le donne che voglio» aveva obiettato Michel. «Perché dovrebbe interessarmi una ragazzina che mi ha lasciato molti anni fa senza nemmeno avere il coraggio di guardarmi negli occhi per dirmi che se ne andava?»
    «Tu puoi avere tutte le donne che vuoi?» Harvey non aveva cercato di nascondere di essere piuttosto divertito. «Dovresti smetterla di ritenerti il playboy più affascinante di Dark River. Ho seri dubbi che tu lo sia.»
    «Non è comunque un affare che ti riguardi.»
    «Su questo hai ragione. Per quanto riguarda Yuma Emerson, invece, proprio il fatto che lei ti abbia lasciato dovrebbe aprirti gli occhi.»
    «L’unica cosa che mi potrebbe aprire gli occhi sono i tuoi discorsi» aveva obiettato Michel, «Nel senso che me li fanno spalancare perché difficilmente capita di sentire assurdità del genere. Lei mi ha lasciato... e quindi?»
    «Un vero playboy come te non può accettare l’idea di essere stato piantato in asso» aveva precisato Harvey. «Trovala, torna insieme a lei in un modo o nell’altro... e dimmi dove si trova! Alla persona che la sta cercando basta sapere dov’è, niente di più. Guarda al lato positivo: in un colpo solo avrai la tua ex ragazza e ci guadagnerai anche una bella somma...»
    Michel aveva avvertito un brivido di eccitazione che lo attraversava, anche se aveva cercato di non farci caso. La prospettiva di ottenere un tornaconto economico non avrebbe dovuto attirarlo: da quando, diversi anni prima, aveva riallacciato i propri rapporti con suo padre non aveva sicuramente problemi di soldi. Anche la prospettiva di rivedere Yuma non avrebbe dovuto allettarlo: si era ritrovato a ripensare a lei, di tanto in tanto, ma era una storia conclusa.
    “Eppure non posso fare a meno di accettare la sua proposta” aveva realizzato. “Sento di dovere accettare la sua proposta.”
    «Quelli che saranno i lati positivi per me non sono affari tuoi» si era affrettato a concludere, «Ma ti assicuro che avrai ciò che desideri.»
    «Ottima idea.» Tom Harvey gli aveva mostrato un sorriso radioso, che gli dava un’aria da vero affarista. «Mi raccomando, però» aveva ripetuto, «Sii molto discreto e non farti scoprire per nessuna ragione.»
    Michel aveva cercato di attenersi alle sue disposizioni, anche se si rendeva conto, a posteriori, che forse non era stata una mossa molto intelligente quella di pedinare Ronnie Craven lungo le strade del centro. Si era rivelata ancora più avventata, però, la scelta di continuare a seguirlo anche quando, con sua estrema sorpresa, si era recato proprio a casa di Kelly James – sempre ammesso che la ragazza del bar risiedesse ancora nel vecchio palazzo in cui abitava quando si erano conosciuti – che sosteneva di non vederlo da mesi. Se lungo le vie principali era normale che passasse qualcuno, Ronnie si era naturalmente insospettito nel ritrovarselo alle proprie spalle. Aveva cercato di mantenere una certa distanza, ma in qualche modo non ne era stato capace. Tom Harvey, negli ultimi tempi della loro precedente collaborazione, l’aveva spesso definito un investigatore troppo maldestro; quella sera Michel si era reso conto che probabilmente non aveva tutti i torti.
    Mentre pensava di non essere vicino abbastanza per destare sospetti, all’improvviso Ronnie si era fermato e si era girato per guardare alle proprie spalle. Michel era certo che l’avesse individuato e non sapeva se fosse buio abbastanza per nascondere la propria identità. Se Ronnie non l’aveva riconosciuto poteva sempre fingere di essere un semplice passante, tornare indietro o attraversare la strada per allontanarsi, e abbandonare, almeno per quella sera, il proprio pedinamento. Ma se Ronnie si fosse accorto che si trattava di lui? Avrebbe sicuramente trovato molto strana la sua presenza.
    Aveva dovuto scegliere come comportarsi e, come spesso accadeva, aveva dovuto prendere quella decisione di punto in bianco – stavolta, però, non si riteneva troppo avventato: gli era capitato, in passato, di affrontare situazioni ben peggiori ritrovandosi a tu per tu con individui ben più pericolosi di Ronnie, inoltre Kelly avrebbe potuto informarlo, se non l’aveva già fatto, di averlo incontrato quella mattina stessa.
    Si era avvicinato a lui il più in fretta possibile e, prima che potesse sfuggirgli, si era affrettato ad afferrarlo per un braccio.
    Per un attimo che gli era sembrato eterno il suo ex coinquilino era rimasto immobile, come interrogandosi su che cosa stesse accadendo.
    «Sì» aveva precisato Michel, «Sto cercando proprio te.»
    La reazione di Ronnie l’aveva stupito: in un istante si era liberato della sua stretta e si era avventato contro di lui, mandandolo a sbattere contro una serranda abbassata. Doveva averlo scambiato per un malintenzionato.
     
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    «Ehi, ti pare il modo di accogliere i vecchi amici?» aveva replicato Michel, più sconcertato che infastidito.
    Soltanto in quel momento Ronnie l’aveva riconosciuto.
    «Che cosa ci fai da queste parti?»
    «Forse dovresti essere tu a spiegarmi che cosa ci facevi qui» aveva obiettato Michel. «Ho avuto l’impressione che quasi ti aspettassi di essere aggredito alle spalle.»
    «Quello che mi aspettavo non ti riguarda.» Ronnie sembrava sconvolto, non tanto dall’averlo rivisto dopo tanti anni, ma da qualcosa che risaliva a prima. «Comunque ti ho fatto una domanda: cosa ci fai a Starlit Spring?»
    «Fai troppe domande.»
    «Non direi. Non ti vedo da secoli, tu compari all’improvviso quando dovresti essere altrove...»
    «Chi ha mai detto che dovrei essere altrove? Nel corso della vita si finisce per spostarsi da un luogo all’altro. Anche tu non hai trascorso tutta la tua vita in questa città.» Michel si era guardato intorno. «In effetti non avevi tutti i torti a volertene andare: questo posto è un mortorio.»
    «Dipende dai punti di vista.»
    «Suppongo di sì.»
    «Poco fa hai detto che mi stavi cercando» aveva osservato Ronnie a quel punto. «Che cosa vuoi da me?»
    «Non è proprio così» aveva mentito Michel. «Diciamo che sono venuto qui in città per esigenze professionali e che per caso mi è capitato di vederti. Non ero sicuro che fossi tu, quindi ti ho seguito per accertarmene.»
    «Molto interessante.»
    «Sembra quasi che tu non mi creda.»
    «È una spiegazione assurda. Perché dovrei?»
    «No, è piuttosto assurdo il modo in cui hai reagito!» aveva obiettato Michel. «Solo chi ha qualcosa da nascondere pensa di poter essere aggredito alle spalle.»
    «Questa teoria fa acqua da tutte le parti» aveva replicato Ronnie. «Considerando che mi è già capitato una volta di essere rapinato lungo queste strade...»
    «Quindi mi avevi scambiato per un rapinatore» aveva dedotto Michel. «Questo non me l’aspettavo!»
    «Non ho detto di averti scambiato per un rapinatore. Diciamo che non mi sentivo tranquillo, quando mi sono accorto che qualcuno mi pedinava. Per il resto non ho niente da nascondere... non a te, almeno.»
    Forse ad altri sì, si ritrovò a valutare Michel.
    “D’altronde anche una volta è sempre sembrato il classico ragazzo tormentato. Deve essere stata la sua aria da bello e dannato ad attrarre Yuma.”
    Doveva scoprire di cosa si trattasse.
    “Anzi, no, la sua vita personale non mi riguarda.”
    Una voce attirò la sua attenzione.
    «Ehi!»
    Michel alzò gli occhi, per vedere chi si stesse rivolgendo a lui mentre si trovava nella strada vuota dello Starlit Cafè, quando mancavano ancora molte ore all’apertura del bar alle prime luci dell’alba.
    «Pam?»
    Pamela Custer lo salutò con un cenno della mano.
    «Ci sono novità?»
    «C’è una novità colossale» confermò Michel. «Tu sei a Starlit Spring quando avresti dovuto essere a Dark River.»
    «Non sono qui per te» lo rassicurò Pamela.
    Doveva crederle?
    “No, non può essere così.”
    «Mi sembra molto strano» ammise. «Che cosa ti avrebbe portata a Starlit Spring?»
    «Mia sorella è in vacanza qui.»
    «In vacanza? Siamo già a fine settembre.»
    «È il 19 settembre, mancano ancora ben undici giorni prima che finisca.»
    «In ogni caso non è sicuramente la stagione che attira più turisti.»
    Pamela sospirò.
    «Sai dove sbagli? Nel credere che le abitudini di mia sorella siano per forza uguali a quelle di tutti gli altri turisti.»
    «Può darsi.»
    «Già» convenne Pamela. «Se ti può consolare, comunque, domani riparto per Dark River. Sono stata qui una settimana ed è già abbastanza.»
    «Ti capisco. Anch’io, se dovessi trascorrere una settimana intera a contatto con Marlene, probabilmente impazzirei.»
    «Non esagerare. Sono sicura che tua sorella sia una ragazza con la testa sulle spalle.»
    Michel annuì.
    «Forse sono io che non sono un ragazzo con la testa sulle spalle.»
    Pamela ridacchiò.
    «È proprio questo che mi piace di te.»
    All’improvviso gli voltò le spalle e fece per andarsene, senza nemmeno salutare. Non era un comportamento inusuale da parte di Pamela e Michel si ritrovò, per l’ennesima volta, a chiedersi come avesse fatto a lasciarsi sedurre da una come lei. Non somigliava per niente alle ragazze che aveva frequentato in passato. Non somigliava per niente a Yuma.
    A proposito di quest’ultima, la stessa Pamela, mentre si allontanava, gli ricordò: «Tienimi informata su tutto quello che scopri su di lei. Da domani sera in poi mi troverai senza problemi al telefono... o meglio, mi troverai quando non sono fuori casa, e il tempo che passo fuori casa di solito è parecchio.»
    Michel rabbrividì.
    C’era qualcosa di subdolo nella voce di Pamela, qualcosa di subdolo nelle sue parole, qualcosa di subdolo nel modo in cui lo teneva sotto controllo. Non si erano conosciuti per caso: Pamela l’aveva cercato per uno scopo ben preciso e quello scopo era trovare Yuma Emerson, per conto di qualcuno che pagava Tom Harvey per questo.
    “Non è una bella situazione” fu costretto ad ammettere.
    Soprattutto il fatto di non sapere chi ci fosse dietro lo infastidiva. Non solo non avrebbe dovuto fidarsi di Pamela, ma non avrebbe dovuto fidarsi nemmeno di Harvey.
    Si sentì quasi sollevato nel constatare di non avere fatto progressi.
    Non aveva posto domande dirette a Ronnie, per evitare che si insospettisse. Gli aveva chiesto come stava, di che cosa si occupava, e soltanto alla fine, quando si era accorto che non aveva alcun problema a parlare della sua vita privata, gli aveva chiesto, finalmente: «Hai notizie di Yuma? Sai per caso come sta?»
    Ronnie gli aveva lanciato un’occhiata quantomeno strana.
    «Dovrei saperlo?»
    Michel aveva preferito non indagare, almeno per il momento.
    «No, dicevo per dire. È da secoli che non sento parlare di lei.»
    «Anch’io non so che fine abbia fatto» aveva puntualizzato Ronnie. «Probabilmente avrà fatto la fine che fanno tutte le ragazze.»
    «Cioè?»
    «Avrà sposato un tizio noioso che ai suoi occhi sembra l’uomo più intrigante che sia mai comparso sulla faccia della Terra.»
    Michel aveva annuito.
    «Sì, probabilmente è così.»
    In realtà si rese conto di non esserne del tutto convinto: un cupo sospetto si faceva largo dentro di lui, e questo avrebbe potuto, per qualche verso, dare una spiegazione alla domanda che Kelly gli aveva posto.
    “Devo assolutamente saperne di più.”
     
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  6. GÆBRIEL
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    Si, decisamente, Ronnie è dannatamente bellissimo! Lo adoro Michel, hai capito?

    Comunque, Milù, mi fai sudare 7 camicie ogni capitolo; mi tieni col fiato sul collo... è una cosa, che guarda, non si può spiegare....
     
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    Deve essere stata la sua aria da bello e dannato ad attrarre Yuma.

    e infatti, anche ad attirare Gab :B):...

    hmm... questa Pamela non mi convince mica tanto :unsure: non lo so, ma credo che abbia dei cadaveri nell'armadio

    finalmente Ronnie e Micheal cominciano a sospettare qualcosa :rolleyes:!! e SperoSperoSperoooo che Michel aiuti in un modo o nell'altro Yuma :sadangel:
     
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    CITAZIONE (GÆBRIEL @ 30/6/2013, 12:20) 
    Si, decisamente, Ronnie è dannatamente bellissimo! Lo adoro Michel, hai capito?

    Non credo che Michel abbia esattamente i tuoi gusti! :P
    Credo che sia più affascinato da Pamela che da Ronnie, per il momento. XD

    CITAZIONE
    Comunque, Milù, mi fai sudare 7 camicie ogni capitolo; mi tieni col fiato sul collo... è una cosa, che guarda, non si può spiegare....

    Ne sono felice! *-* Sono davvero felice che la storia ti prenda così tanto. ;)



    CITAZIONE (PÅvoneBiÅnco @ 30/6/2013, 14:44) 
    CITAZIONE
    Deve essere stata la sua aria da bello e dannato ad attrarre Yuma.

    e infatti, anche ad attirare Gab :B):...

    Sicuramente, giusta osservazione. XD

    CITAZIONE
    hmm... questa Pamela non mi convince mica tanto :unsure: non lo so, ma credo che abbia dei cadaveri nell'armadio

    Questo lo si scoprirà più avanti... :rolleyes:
    Il fatto che utilizzi un nome falso, comunque, potrebbe essere un buon indizio. XD

    CITAZIONE
    finalmente Ronnie e Micheal cominciano a sospettare qualcosa :rolleyes:!! e SperoSperoSperoooo che Michel aiuti in un modo o nell'altro Yuma :sadangel:

    Su questo non faccio alcuno spoiler. u.u
     
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    Direi che è arrivato il momento di postare la prima parte del 37° capitolo...



    Capitolo 37.
    «Vado a fare due passi.»
    Heaven, che stava leggendo un vecchio romanzo rosa che non attirava al cento per cento la sua attenzione, alzò gli occhi.
    «Come?»
    Yuma ripeté: «Vado a fare due passi.»
    Heaven, seduta sul bordo del letto, scattò in piedi.
    «Ma... che ore sono?»
    «È tardi.»
    «Appunto.»
    Yuma la rassicurò: «È meglio che io esca a quest’ora, piuttosto che di giorno.»
    «Ti fai troppe paranoie» ribatté Heaven. «Nessuno sa che sei qui. Hai a disposizione un nuovo nome...»
    Yuma la interruppe: «Non ho un nuovo nome.»
    «Solo perché ti ostini a non volerti liberare della tua vecchia identità» replicò Heaven. «Dovresti pensarci seriamente.»
    «Tu stessa non ci pensi seriamente.»
    Heaven chiuse il libro e lo gettò sul letto.
    «Nessuno mi sta cercando.»
    Yuma sorrise.
    «Che cosa ne dici di Naive?»
    «Ti dico che sono maggiorenne» replicò Heaven, seccata dalla precisazione della sorella. «Naive deve mettersi il cuore in pace.»
    «Naive non si metterà mai il cuore in pace, finché non ti degnerai di dirle dove sei e che cosa stai facendo.»
    Heaven sospirò.
    «Naive dovrebbe rendersi conto che sono cresciuta.»
    «Abbandonare gli studi senza una ragione ben precisa per tornare in questa fottuta città non mi sembra una grande manifestazione di maturità.»
    Heaven ridacchiò.
    «Ecco, questa è la dimostrazione che Naive non serve.»
    Yuma le lanciò un’occhiata perplessa.
    «Di cosa parli?»
    «Ci pensi già tu a farmi la predica. Sembra quasi che mi riteniate tutti quanti incapace di prendere delle decisioni.»
    «Nessuno ti ritiene incapace di decidere» obiettò Yuma. «È solo che ti converrebbe fare molta attenzione a quello che fai. Il mondo là fuori non è sempre roseo come l’hai visto tu.»
    «Stai cercando di dirmi che ho vissuto sotto una cappa di vetro?»
    «Sto cercando di dirti che vivere sotto una cappa di vetro sarebbe la cosa più normale, prima di raggiungere l’età della ragione. Purtroppo non sempre succede.»
    «Non succederà» la rassicurò Heaven. «Fidati. Siamo al sicuro tutte e due... anzi, tutti e tre.»
    Yuma trasalì.
    «Non è detto.»
    Heaven tornò a sedersi sul bordo del letto.
    «Ti ho detto di fidarti. Eric sa quello che fa.»
    Yuma annuì.
    «Anch’io so quello che faccio.» Guardò l’orologio che portava al polso. «È tardi, ma non mi succederà niente se esco a fare due passi.»
    Heaven alzò gli occhi al cielo.
    «Speriamo che tu abbia ragione.»
    Con sua sorpresa, Yuma ridacchiò.
    «Ehi, Heav, non te l’hanno mai detto qual è il principio universale su cui si basa l’esistenza umana?»
    Heaven spalancò gli occhi.
    «No.»
    «Bene, allora te lo dico io.» Yuma sorrise. «Le sorelle maggiori hanno sempre ragione.»
    Si girò e uscì dalla stanza.
    «Se lo dici tu» borbottò Heaven.
    «Certo che lo dico io» ribatté Yuma, mentre si allontanava.

    Seduta accanto su una panchina, Pamela rifletteva.
    Le parole di Michel Sallivan, dal quale si era frettolosamente allontanata non più di un quarto d’ora prima, le risuonarono in testa.
    «Forse sono io che non sono un ragazzo con la testa sulle spalle.»
    Si era sforzata di dargli una risposta decente, una di quelle che, di solito, facevano impazzire gli uomini.
    «È proprio questo che mi piace di te.»
    A Michel non avevano fatto alcun effetto. Non si era nemmeno sforzato di trattenerla - non che lei fosse pronta a farlo, anzi, tanto meglio se non era andata così - e questo l’aveva mandata in crisi.
    “O io non ho la minima idea di come rapportarmi con gli uomini” valutò, “o Michel è troppo scaltro per cascarci.”
    Tom l’aveva definito uno sprovveduto, ma Pamela era sempre più sicura che non fosse così, come a conferma delle prime avvisaglie che aveva avuto a Dark River.
    «Secondo me dovremmo fare attenzione» aveva precisato a Tom, poco prima della partenza. «Il nostro avversario è più pericoloso di quanto possiamo immaginare.»
    Tom aveva riso.
    «Avversario?»
    «Parlo di Michel.»
    «Non dovrebbe essere un nostro collaboratore?»
    Pamela aveva ritenuto opportuno precisargli che aveva già smesso da molto tempo di credere alle favole.
    «Gli nascondi troppe cose, per considerarlo un vero collaboratore.»
    «Anche a te sto nascondendo qualcosa» le aveva ricordato Tom. «Io nascondo qualcosa a tutti.»
    «Però non sono io quella che deve tirare fuori dal nulla una ragazza di cui non sappiamo niente» aveva precisato Pamela.
    «Invece potresti farlo anche tu» aveva replicato Tom. «Diciamo che Michel più che un collaboratore può essere considerato un’esca. Dobbiamo solo sperare che la ragazza decida di abboccare.»
    «È un po’ difficile, dato che non sappiamo nemmeno dove si trova.»
    «Non lo sappiamo per certo, ma abbiamo notevoli sospetti.»
    Pamela aveva tentato di trattenersi, ma non ce l’aveva fatta.
    «Siamo solo noi ad avere questi notevoli sospetti o ne è al corrente anche la persona che ti paga per cercarla?»
    «Segreto professionale.»
    Pamela si era impuntata: «Niente segreti di questo tipo; voglio sapere con chi abbiamo a che fare! Chi è che cerca Yuma Emerson... e soprattutto chi è Yuma Emerson? Intendo dire, che cosa rappresenta per noi?»
    Tom era stato in grado di sorprenderla.
    «All’ultima domanda posso rispondere senza problemi.»
    «Ah, sì?»
    «Dal nostro punto di vista Yuma Emerson è una ragazza insignificante: se non fosse per soldi, non mi sognerei mai di cercarla - e i soldi potrebbero addirittura aumentare se riuscissimo a rintracciare anche l’altra. Michel Sallivan ha avuto una relazione con lei molto tempo fa. È molto probabile che non si sentano più fin da quando si sono lasciati. Il problema, però, è che da un certo momento in poi le sue tracce sono sparite.»
    «Potrebbe essere morta» aveva osservato Pamela. «Ci hai mai pensato?»
    «La persona che mi ha incaricato di cercarla ha la certezza che sia viva...»
    «Perché dovrebbe essere a Starlit Spring?»
    «Probabilmente per due motivi» aveva concluso Tom, «Ma non ho intenzione di comunicarteli.»
    Non era riuscita a tirargli fuori altro, ma forse non importava. Era sempre stata abituata a non fare domande, fin dal primo giorno in cui era stata messa sulle tracce di Yuma...
    I pensieri di Pamela si persero non appena la vide. Valutò le probabilità di poter essere riconosciuta e realizzò che erano minime, forse inesistenti. Cambiare look e acconciatura - in modo radicale, non limitandosi a dare una sfumatura color mogano a dei capelli neri, come aveva preferito fare Yuma - le aveva garantito una certa protezione.
    Finse di essere una passante distratta, per quanto una passante distratta potesse camminare a quell’ora in una strada semideserta, avvicinandosi alla cabina telefonica in cui la ragazza si infilava. Yuma non badò a lei. Afferrò il ricevitore, infilò qualche moneta nel telefono e compose un numero, ancora una volta senza preoccuparsi di lei. Evidentemente chi faceva chiamate in tarda serata riteneva che lo facessero anche altri. Se si era accorta di lei, Yuma Emerson doveva aver pensato che stesse aspettando che arrivasse il suo turno.
     
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    mi è sfuggito questo Eric :huh: ... chi è??

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    e i soldi potrebbero addirittura aumentare se riuscissimo a rintracciare anche l’altra.

    "l'altra" sta forse parlando di Heaven?

    noooo :o: pamela l'ha scoperta :crybaby:

    non puoi lasciarci appese a un filo :( perfavore continuuuuaaa
     
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    Hai presente il capitolo in cui Michel uscendo dal bar ha visto un ragazzo e una ragazza entrare e mettersi a parlare con Kelly? Kelly si è rivolta a lui chiamandolo Eric. Per il momento non si è detto altro.

    Stasera aggiornerò.
     
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  12. GÆBRIEL
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    CITAZIONE (PÅvoneBiÅnco @ 1/7/2013, 15:10)
    non puoi lasciarci appese a un filo :( perfavore continuuuuaaa

    Concordo con Pavone! :bounce.gif:

    CITAZIONE (»Milù Sunshine» @ 1/7/2013, 19:41) 
    Stasera aggiornerò.

    Ottima cosa! :bounce.gif:
     
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    La voce di Naive era più assonnata di quanto Yuma avesse immaginato.
    «Pronto?»
    «Disturbo?»
    «Sì... cioè, volevo dire, chi parla?»
    «Sono io.»
    Naive sembrò riconoscerla dalla voce.
    «Yuma?»
    «Sì.»
    «Dove sei.»
    «Non posso dirtelo, ma...»
    «Come sarebbe che non puoi dirmelo?» replicò Naive. «Le notizie corrono.»
    «Appunto perché le notizie corrono non posso dirtelo» puntualizzò Yuma. «Mio padre ti ha cercata?»
    «Più di una volta.»
    «Cosa gli hai detto di Heaven?»
    «Ho mentito sull’università che frequenta. Melvin non ha fatto domande, anzi, non sembrava tanto interessato.»
    «Lo so.»
    «Come fai a saperlo?»
    «Adesso gli interesso solo io.»
    «Spero che tu non abbia intenzione di consegnarti a lui.»
    Yuma rabbrividì di fronte a quella prospettiva.
    «Nemmeno per idea.»
    «Non farlo» la pregò Naive, come se non fosse abbastanza convinta delle sue parole. «Credo che Heaven sia davvero al sicuro, ovunque sia.»
    «Heaven è al sicuro» precisò Yuma.
    «Ne sembri molto convinta.»
    «Non ne sono convinta: ne sono certa.»
    «L’hai... l’hai incontrata?»
    «Sì.»
    «Non sei di molte parole stasera.»
    «Non posso essere di molte parole» replicò Yuma. «Heav non sa che sono venuta a telefonarti, pensa che sia uscita a fare un giro.»
    «Lei... lei è con te... di solito, intendo?»
    «Diciamo che abitiamo sotto lo stesso tetto, almeno per ora.»
    «Da quanto tempo?» La voce di Naive era un sibilo. «Sono mesi che mi chiedo che fine abbiate fatto. Ci siamo sentite altre volte, eppure non mi hai detto niente.»
    «È da poco che l’ho raggiunta, poco più di due settimane» la rassicurò Yuma. «Prima ho dovuto... come dire, ho dovuto cambiare posto abbastanza spesso. Per un certo motivo che preferisco sorvolare era abbastanza facile che qualcuno si ricordasse di me, soprattutto negli ultimi tempi prima di... prima che mi fosse più facile confondermi tra la gente.»
    «Di cosa parli?» le chiese Naive. «Devo preoccuparmi per te?»
    «No, per niente.»
    «E per Yuma?»
    «Ancora meno» si affrettò a rispondere Yuma. «Frequenta un ragazzo bello, ricco e con la testa sulle spalle.»
    «Spero che tu sappia valutare bene i ragazzi.»
    «Diciamo che ci provo.» Yuma lanciò un’occhiata alle proprie spalle. «Senti, c’è una donna che aspetta di telefonare...»
    «Mi stai chiamando da una cabina?»
    «Sì.»
    «Nel posto in cui stai non c’è un telefono?»
    «C’è, ma non c’è riservatezza: non volevo che Heav sapesse che ti ho contattata.»
    «Cosa s’è messa in testa, esattamente?» volle sapere Naive, a quel punto. «Ti ha detto perché è scappata di casa?»
    «Non è scappata, se n’è semplicemente andata.»
    «Era quello che pensavo anch’io.»
    «Cerca di ricominciare a pensarlo.»
    «Ci proverò. Tu, però, rispondi alla mia domanda: per caso ti ha detto perché se n’è andata via da casa?»
    «Purtroppo no» ammise Yuma, «Ma sono convinta che, qualunque fosse la ragione, non le interessi più.»
    Naive le sembrò sollevata, quando concluse: «Vorrei tanto che fosse così.»
    Yuma non le chiese a cosa si riferisse. Il tempo per le domande era scaduto, almeno per quella sera. Si affrettò a salutare Naive e qualche istante più tardi uscì dalla cabina.
    Il suo sguardo s’incrociò per un attimo con quello della donna in attesa.
    Un flash le attraversò la mente.
    Allora, ragazzina? Hai intenzione di stare qui dentro in eterno?»
    La sconosciuta la buttò letteralmente fuori dalla cabina.
    «Ehi, ma è impazzita? Devo ancora recuperare il resto.»
    «Me ne sbatto del tuo resto. Sparisci!»
    «Invece non sparisco. Devo recuperare i miei soldi.»
    «Eccoli qui.» Le lanciò addosso alcune monete. «Ora vattene. Sparisci e non farti più vedere.»

    Era davvero possibile? Quante erano le probabilità di incontrare la stessa persona in due città diverse a distanza di tanti anni, in una circostanza molto simile, se si escludeva l’assenza di reazioni isteriche da parte della donna che Yuma si ritrovava di fronte in quel momento?
    “È assurdo” si disse, mentre si allontanava più in fretta che poteva.
    Rimpianse di non avere chiesto a Eric di prestarle la sua auto. D’altronde, però, perché avrebbe dovuto? Ufficialmente era uscita per fare una passeggiata.
    La donna di Black Hill non aveva i capelli biondo platino e non era vestita in maniera appariscente...
    “Ma lo sguardo è il suo, è inconfondibile.”
    Il pensiero che seguì fu contrastante. Come poteva ricordarsene? Aveva incontrato quella donna ben otto anni prima, il pomeriggio che aveva preceduto la sua prima fuga da Black Hill.
    “Il 19 settembre... proprio otto anni fa.”
    Ad un tratto tutte le riflessioni sparirono, lasciando spazio a una consapevolezza diversa: era di nuovo il 19 settembre... ed era il compleanno di Ronnie. Yuma non poté fare a meno di chiedersi che fine avesse fatto e se si sarebbero rivisti. In fondo al cuore sperava ancora che fosse possibile.
     
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    Capitolo 38.
    Allo Starlit Cafè i giorni si susseguivano identici gli uni agli altri: non importava che fosse sabato, i clienti erano sempre gli stessi, raccontavano le stesse cose, spingevano Kelly a sforzarsi di sorridere al solo scopo di compiacerli e non si rendevano conto di quanto lei li trovasse insistenti o, almeno talvolta, addirittura volgari e fuori luogo.
    Qualche ora a contatto con quel genere di clientela generalmente riusciva ad assuefarla al punto tale da riuscire ad adeguarsi senza problemi a ciò che avrebbe dovuto sopportare nelle ore successive, qualora non ci fosse stato un diversivo.
    In novantanove casi su cento il diversivo non c’era.
    “Questo, però, potrebbe essere il centesimo caso” fu costretta ad ammettere nel momento in cui la porta si aprì e ne entrò una ragazza che aveva già avuto modo di vedere il giorno precedente.
    Aveva i capelli chiari che contrastavano con gli occhi dal taglio orientale; Kelly l’avrebbe riconosciuta tra mille.
    «Heaven» osservò, con un certo stupore. «Come mai da queste parti?»
    L’altra rimase immobile per un lungo istante.
    Era strano vederla senza Eric. Soltanto per seguire lui avrebbe potuto recarsi in un luogo tanto squallido quanto quel localetto per uomini di mezza età. Anche Eric si faceva vedere molto raramente.
    «Kerry, vero?» le chiese la ragazza. «Non sono sicura di ricordare il tuo nome.»
    «Infatti non te lo ricordi» puntualizzò Kelly. «Non è Kerry, ma Kelly. K. E. L. L...»
    Heaven la interruppe: «Ho capito.»
    «Vorrei sperarlo» ribatté Kelly, più acida di quanto avrebbe desiderato. «Dal momento che non hai altro da fare, a parte farti mantenere da Eric, potresti almeno degnarti di imparare i nomi delle persone che incontri.»
    «Non sono una mantenuta» precisò Heaven. «Nei primi tempi in cui ci siamo conosciuti lavoravo a casa sua come donna delle pulizie.»
    Kelly annuì.
    «Mi ha raccontato questa storia strappalacrime, ma non gli ho creduto nemmeno per un attimo. Quante diciottenni di bell’aspetto ci sono che lavorano come donne delle pulizie?»
    «Quelle che non hanno alternative migliori, suppongo» rispose Heaven. «Quando sono arrivata a Starlit Spring, diversi mesi fa, non c’era nient’altro che potessi fare.»
    «E casualmente ti sei fatta assumere da un ragazzo ricco, non da un poveraccio.»
    Heaven alzò gli occhi al cielo.
    «Non sapevo che quelli che tu chiami poveracci potessero permettersi di pagare qualcuno per fare i lavori di casa al posto loro.»
    «Anche questo è vero» fu costretta ad ammettere Kelly.
    «Tra l’altro non vedo perché dovrebbe interessarti» aggiunse Heaven. «Tu ed Eric non siete nemmeno parenti di sangue.»
    Heaven aveva ragione. Non era affare suo come Eric decideva di spendere i propri soldi – o meglio, quelli di suo padre – e, per quanto la riguardava, era liberissimo di accogliere in casa qualsiasi ragazza desiderasse.
    «Non dici più niente?» le chiese Heaven. «Devo sospettare che Eric abbia ragione quando dice che tu non hai mai accettato che suo padre abbia sposato tua madre?»
    Kelly sospirò.
    «Pensi davvero che me ne importi qualcosa di Eric, di suo padre e di mia madre?»
    «Non lo so. Non so niente di te.»
    «Ed è meglio per te continuare a non saperne niente: la mia vita non è affatto interessante.»
    Heaven si guardò intorno.
    «In effetti dando un’occhiata a questo posto lo si può intuire.»
    Kelly la fulminò con lo sguardo.
    «Se questo posto ti fa così tanto schifo, sai benissimo dov’è la porta!»
    «Non ti scaldare così tanto» le suggerì Heaven. «Adesso magari non ti dà problemi, ma se ti accadesse tra una trentina d’anni potrebbe venirti un attacco di cuore.»
    Kelly cercò di contenersi: lavorava pur sempre in un locale pubblico, in cui doveva conservare un certo autocontrollo.
    «Senti, Heaven, non capisco che cosa tu possa volere da me...»
    «Se me lo lasci spiegare...»
    «È da quando sei entrata che, di proposito, cerchi di parlare d’altro.»
    «Di proposito?» Heaven ridacchiò. «Bene, a quanto pare sei in grado di leggermi nella mente. È una qualità che potrebbe essere molto utile, facendo il tuo lavoro.»
    «Può darsi. Adesso, però, dimmi cosa vuoi.»
    «Hai presente ieri, quando sono entrata insieme ad Eric?»
    «Come potrei non ricordarmene?»
    Heaven annuì.
    «Appunto.»
    «Hai perso qualcosa?» le chiese Kelly. «In tal caso non cercarlo qui: io non ho trovato niente che possa essere tuo.»
    «Non ho perso niente, infatti» la rassicurò Heaven. «Ho solo visto una persona su cui vorrei chiederti alcune informazioni.»
    «Non faccio pettegolezzi sui miei clienti» si affrettò ad affermare Kelly, seppure non seguisse sempre quel principio fondamentale. «Non sono un’impicciona.»
    «Non ho detto che tu lo sia» precisò Heaven, «E non ti chiedo nemmeno informazioni troppo riservate. Ricordi, però, che mentre sono entrata stava uscendo un uomo sui trent’anni, con i capelli biondi e vestito di nero?»
    «Ah, Michel...»
    Heaven la guardò con un’espressione di trionfo.
    «Michel.»
    «Si chiama così» confermò Kelly, chiedendosi se fosse stata un’idea così positiva quella di non mordersi la lingua prima di essersi lasciata scappare il suo nome. «Per caso lo conosci?»
    «No.»
    Kelly la fulminò con lo sguardo.
    «E allora che cosa vuoi da lui?»
    «Non voglio niente.» Heaven le mostrò un sorriso da ragazzina innocente – il più falso dei sorrisi da ragazzina innocente che Kelly avesse mai avuto modo di vedere – e la rassicurò: «Era soltanto semplice curiosità, tutto qui.»
    «Cerca di riservare la tua curiosità a qualcos’altro» le suggerì Kelly. «I miei clienti non hanno niente a che vedere con te.»
    «Lo so» confermò Heaven. «Infatti adesso sto per fare quello che fanno tutte le brave ragazze.»
    «Cioè?»
    «Andarmene e badare ai cazzi miei.»
    Kelly annuì.
    «Ottimo.»
    Heaven si allontanò senza dire nulla.
    «Ehi, aspetta!» la trattenne Kelly.
    Heaven si girò lentamente.
    «Cosa vuoi?»
    «Cerca di moderare il linguaggio» le suggerì Kelly. «Le brave ragazze di solito evitano certe espressioni.»
    «Lo farò.» Heaven sorrise. «Ti assicurò che lo farò. Ti chiedo scusa per il disturbo, inoltre. Devo ammettere che a volte dovrei davvero tenere a freno la mia curiosità.»
    Kelly la guardò mentre se ne andava e decise che quella ragazza era una persona di cui era meglio – molto meglio – non fidarsi affatto. Si chiese se fosse opportuno mettere in guardia Eric, ma optò per evitare intromissioni: il suo fratellastro, se così lo poteva definire, non sembrava molto interessato al suo parere...
    “Inoltre è talmente pieno di soldi da potersi permettere di mantenerne a decine, di quelle ragazzine impiccione.”
     
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    Appostato dall’altro lato della strada Michel finse di non fare caso alla ragazza appena uscita dallo Starlit Cafè. In realtà era stato tentato, almeno per un attimo, di avvicinarsi a lei e di parlarle con una scusa, ma avrebbe potuto rivelarsi una pessima idea. Era la stessa che aveva visto il giorno precedente mentre usciva dal bar e, seppure non avesse idea di chi fosse, non poteva fare a meno di pensare che avesse un’aria familiare.
    “O sto impazzendo o è così” valutò.
    Forse stava davvero diventando pazzo. Ammesso che quella ragazza fosse cresciuta a Starlit Spring, non doveva avere più di dieci o undici anni la prima volta in cui si era recato in quel luogo. Se anche l’avesse vista allora, difficilmente avrebbe potuto riconoscerla.
    Il fatto che fosse entrata per ben due volte allo Starlit Cafè, però, non lo rendeva tranquillo. Non era certo improbabile che una volta si fosse trovata a passare per caso da quelle parti quando c’era anche lui, ma era possibile che una simile circostanza capitasse per ben due volte in due giorni consecutivi?
    “Sì, è possibile.”
    Doveva essere meno paranoico. Negli ultimi tempi si stava mettendo in testa che tutto ciò che accadeva intorno a lui dovesse essere necessariamente legato alle sue ricerche. Naturalmente non poteva essere così.
    Lasciò che passasse qualche minuto e, quando fu sicuro che la ragazza non sarebbe tornata indietro, decise di attraversare la strada e di entrare al bar.
    Trovò Kelly immersa in una conversazione in apparenza interminabile con un uomo sulla settantina che teneva davanti a sé un giornale spiegazzato. Probabilmente stavano commentando – o meglio, lui stava commentando, mentre Kelly non vedeva l’ora che la smettesse – qualcuna delle notizie principali della giornata.
    La barista sembrò illuminarsi nel vederlo.
    «Michel!»
    Il settantenne interruppe per qualche istante quello che sembrava sempre più simile a un monologo e, si girò verso di lui e gli lanciò un’occhiata infastidita.
    Michel se lo immaginò a casa insieme alla moglie – probabilmente una sua coetanea appassionata di teleromanzi argentini – mentre si lamentava dell’insistenza delle nuove generazioni.
    «Pensa, mia cara, mentre parlavo con la cameriera dello Starlit Cafè un giovane cliente si è permesso di interromperci!»
    La moglie, a quel punto, avrebbe probabilmente finto di essere d’accordo con lui, poi si sarebbe nuovamente concentrata sulla sua telenovela preferita.
    «Michel, come stai?» gli chiese Kelly, a quel punto, distogliendolo dai suoi assurdi pensieri. «Tutto bene, spero.»
    «Sì, tutto bene» confermò Michel. «Non peggio di ieri, almeno.»
    «Ne sono felice.»
    «E tu?»
    Kelly sorrise.
    «Nemmeno io sto peggio di ieri.»
    «Allora si può davvero dire che stia andando tutto per il verso giusto.»
    «Sì, forse.»
    Trascorsero i dieci minuti che seguirono a chiacchierare tra di loro, sotto il vigile e infastidito sguardo del settantenne appassionato di monologhi sull’attualità.
    Quando Michel le spiegò dove alloggiava in quei giorni, Kelly gli lanciò infine un’occhiata disgustata.
    «Sei proprio sicuro di non avere alternative migliori?»
    «Finora non ho ancora visto un soldo» le spiegò Michel. «Probabilmente verrò pagato, ma solo se riuscirò a portare a termine un certo incarico. Non credo di potermi permettere di meglio.»
    Kelly sorrise per l’ennesima volta.
    «Potrei sempre ospitarti io. Ho una stanza libera a casa.»
    Michel si chiese che intenzioni avesse quella ragazza.
    «Finirei per disturbare.»
    «Sono sicura che non è così. Ti prego, Michel, non dire di no!»
    Le bastarono pochi minuti per convincerlo ad accettare quella strana proposta. Probabilmente era solo una questione di solitudine: nella vita di Kelly James non c’era nessuno, tranne gli uomini che frequentavano il bar, e considerando quanto era scontrosa di solito non si poteva certo dire che fosse molto soddisfatta della loro presenza.
    Quando le disse che le andava bene trasferirsi da lei per qualche giorno – sperando davvero che si trattasse solo di qualche giorno – i suoi occhi si illuminarono.
    «Grazie mille, Michel.»
    Fu in quel momento che il settantenne tornò alla carica.
    «Scusi, signorina, io e lei avevamo un discorso in sospeso. Quello che è successo a quella povera signora...»
    Michel non poté trattenere una risatina, mentre lanciava un’occhiata a Kelly.
    «Senti, io e te ci vediamo più tardi!»
    Kelly annuì.
    «Lo spero.»
    L’uomo, imperturbabile, continuava a parlare.
    Michel uscì dal bar in fretta e per poco non rischiò di scontrarsi con una donna ferma a pochi metri di distanza dalla porta.
    «Mi scusi, non l’avevo vista, mi...» Michel la guardò e spalancò gli occhi di colpo. «Ehi, io e te ci conosciamo!»
    Gli parve che la donna non fosse troppo sorpresa di vederlo, mentre rispondeva: «Già. È davvero strano ritrovarci qui.»
    «Come mai sei qui?» volle sapere Michel. «Non mi sembra che...»
    Lei lo interruppe: «Non ti sembra che io abbia qualcosa da fare da queste parti? Ammetto che in apparenza potrei dare questa impressione.»
    «È già un passo avanti.»
    «Anche tu, però, non dovresti essere qui.»
    «Chi te lo dice? In fondo potrei essere qui per lavoro.»
    La donna annuì.
    «Giusto, per lavoro...»
    Michel sorrise.
    «Non vorrai farmi credere che sei qui per questioni professionali anche tu, spero.»
    «Non ti sto facendo credere niente» precisò lei. «Sei tu, piuttosto, che stai saltando alle conclusioni senza che nessuno te l’abbia chiesto.»
    «Non sono saltato alle conclusioni.»
    «Non esplicitamente.»
    Michel annuì.
    «Forse hai ragione: non esplicitamente. Devi ammettere, però, che è molto strano ritrovarci qui, dopo tanti anni che non ci vediamo.»
    Lei non lo contraddisse.
    «È una coincidenza molto curiosa.»
    «Io non sono convinto che si tratti di una coincidenza, però» puntualizzò Michel. «Sono passati tanti anni, ma... Niente, lasciamo stare. Tutto sommato non abbiamo poi così tanto da dirci. Spero solo che tu sia riuscita a realizzare gli obiettivi che ti eri posta.»
    Lei lo fulminò con lo sguardo.
    «Sai bene che non era possibile.»
    «Sono tante le cose impossibili» obiettò Michel. «Osservando tutto più attentamente, però, si può notare come molte di queste siano soltanto improbabili
     
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