Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    Il continuo c'è ora. ^^



    Quella era la fine.
    Ronnie si guardò intorno, cercando di scorgere qualcosa nel nulla.
    Yuma.
    Michel.
    Erano entrambi accanto a lui, insieme a lui sarebbero morti.
    Non importava sapere come: sarebbe accaduto, in ogni caso.
    Fuori da quella casa una Opel Tigra nera intestata a Gabriel Parker attendeva invano che qualcuno andasse a riprenderla.
    Era la fine, come lo era stata per Rick.
    Era la fine, come lo era stata per Margot.
    Era la fine, come lo era stata per Natascha.
    Era la fine, come lo era stata per Kenneth.
    Era la fine, come lo era stata per Dean.
    Era la fine, come lo era stata per Kelly.

    «È colpa mia, lo so.»
    La voce di Yuma era lontana, ma non abbastanza affinché Ronnie si sentisse totalmente estraniato dalla realtà circostante.
    “Non è colpa tua. Non lo è, e non lo sarà mai, qualunque cosa accada.”
    Se solo fosse stato in grado di dirglielo...

    Gabriel si fermò all’improvviso.
    «Avete sentito anche voi?»
    Naive si girò di scatto verso di lui.
    «Che cosa?»
    Gabriel scosse la testa.
    «Mi era parso di udire delle voci, ma devo essermi sbagliato.»
    Si era lasciato trascinare in una storia che non aveva né capo né coda. Qualunque cosa avesse in testa Patricia, non avrebbe dovuto darle credito. Era una sconosciuta: per quanto ne sapeva, avrebbe potuto essere proprio lei a trascinarlo nel baratro.
    Forse le lanciò un’occhiataccia senza volere, perché lei, che in apparenza si limitava a guardarlo con aria indifferente, si accorse che qualcosa non andava.
    «Se vuoi tornare a casa e sbattertene di tutto» disse, sprezzante, «Puoi ritenerti liberissimo di farlo. Io non trattengo nessuno.»
    Gabriel si sforzò di non perdere la calma.
    «Forse sei tu quella che potrebbe andare a casa.»
    «Non vedo perché dovrei.»
    «Beh, mi pare lampante» obiettò Gabriel. «Tu non c’entri niente con tutto questo.»
    Patricia rise. Sembrava incredula.
    «Io non c’entro niente? È proprio vero che tu non ne sai niente, Gabe.»
    Gabe.
    Era lo stesso nomignolo con cui Maya lo chiamava sempre.
    Gabriel si chiese cosa sarebbe accaduto. Come avrebbe spiegato a sua moglie quello che aveva fatto quel giorno?
    “Mi prenderà per pazzo.”
    O forse non sarebbe andata così: forse sarebbe morto, come moriva chiunque avesse avuto qualcosa a che vedere con Dean Tray, e non avrebbe mai scoperto che cosa ne pensava Maya.

    Lo sguardo di Melvin si fece penetrante.
    «C’è un solo modo in cui può andare a finire.»
    Michel lanciò un’occhiata a Yuma.
    “Qualunque modo sia”, avrebbe voluto dirle, “Ce la caveremo.”
    Non ne era davvero convinto, ma non voleva ammettere di non avere speranze: effettivamente ne aveva, ammettendo che Melvin potesse commettere un errore madornale.
    «Sai, Ronald» riprese Melvin, «Devi ringraziare tuo fratello, o chiunque sia stato a bruciare il bar di quella stronza della tua amica, per questo.»
    Ronnie non sembrò avere colto le parole di Melvin.
    Michel si accorse con orrore che la sua ferita continuava a sanguinare. Melvin doveva commettere un errore madornale, e doveva commetterlo subito, affinché per Ronnie non fosse troppo tardi per sopravvivere.
    «Falla finita» lo pregò Michel, sperando che metterlo sotto pressione fosse un buon modo per intaccare la sua sorprendente lucidità. «Più tempo passerai qui a parlare di nulla e più aumenteranno le probabilità che qualcuno si chieda dove siamo.»
    «Nessuno può scoprirlo» replicò Melvin. «Ho fatto tutto quello che dovevo fare per impedirlo.»
    Sembrava fin troppo sicuro di sé, e Michel si sentì rincuorato: era il tipo di situazione in cui era più verosimile un macroscopico errore di valutazione.
    «Forse nessuno ci cercherà, questo è vero» ammise, «Ma non è detto. Cos’accadrebbe se qualcuno si domandasse davvero che fine abbiamo fatto?»
    «Nessuno se lo chiederà» decretò Melvin. Spostò lo sguardo su sua figlia. «No, Yuma, non dire niente: nemmeno Heaven ne vorrà sapere. Più si allontana da te e più avrà prospettive. Non c’è da sorprendersi se sia riuscita a sedurre un ragazzo pieno di soldi come quell’Eric Mendez.»
    Michel abbassò gli occhi.
    “Sapeva anche questo.”
    Melvin sembrava informato di tutto ciò che poteva essergli utile. Le possibilità che commettesse un errore erano decisamente troppo basse.
    «Non hai nulla di preoccuparti, Yuma. Mi limiterò a lasciare Starlit Spring per sempre, senza fare nulla a Heaven. Sapere che voi tre brucerete vivi è già una notevole soddisfazione.»

    «C’è qualcuno» sibilò Patricia. «State indietro!»
    Gabriel e Naive si bloccarono all’istante.
    “È Melvin.”
    Patricia scattò verso un cespuglio, dietro al quale si nascose. Purtroppo stava già perdendo le foglie, non la copriva tanto quanto avrebbe voluto.
    Melvin, che rovistava dentro una tasca del giubbotto tenendo gli occhi fissi sull’automobile di Gabriel, si girò a guardarla.
    “Merda! Siamo finiti!”
    Con sua sorpresa, però, Melvin non la degnò di uno sguardo e s’incamminò verso la direzione in cui era parcheggiata la macchina di Dean Tray.
    Patricia sgusciò fuori dal proprio nascondiglio e corse verso Gabriel e Naive.
    «Forse ce l’abbiamo fatta!»
    Naive le lanciò un’occhiata interrogativa.
    «Cos’è successo?»
    «Melvin se n’è andato.»
    Naive scosse la testa.
    «Questo significa che è andato tutto a rotoli, forse.»
    «Non essere così pessimista» la esortò Gabriel. «Può darsi che tutto si sistemi.»
    «No, niente affatto. Se Melvin se n’è andato, significa una cosa sola: mia nipote è morta.»
    Per un attimo Patricia si sentì sopraffatta dal pessimismo di Naive.
    Yuma poteva essere morta.
    Ronnie poteva essere morto.
    Michel...

    “No, non può essere andata così. Michel non può essere morto.”
    Sostenendo lo sguardo penetrante di Naive, puntualizzò: «Tu dici che tua nipote è morta... Bene, abbiamo solo un modo per scoprirlo: entrare in quella casa.»
    Senza aspettare Gabriel e Naive si avviò verso l’ingresso.

    Melvin avviò il motore con un certo grado di sicurezza. Le cose non erano andate esattamente secondo i piani, ma per quella stronza di Yuma e quegli impiccioni dei suoi amici era ormai giunta la fine.
    “Chissà se stanno aspettando di essere divorati dalle fiamme...”
    Purtroppo un incendio avrebbe destato troppi sospetti. Quando aveva formulato quell’ipotesi - un'ipotesi che gli sarebbe piaciuto moltissimo mettere in pratica - non sapeva ancora niente di quella Tigra nera parcheggiata poco lontano dal casolare.
    «Probabilmente è di una coppietta che ha deciso di appartarsi in mezzo ai campi qui intorno» aveva borbottato. «Dannati guastafeste!»
    Avrebbe potuto aspettare che se ne andassero, ma più tempo trascorreva lì e più il suo futuro era a rischio.
    Finché si era trattato di uccidere Dean, che non aveva nessuno a cercarlo, si era potuto permettere di non tenere d’occhio l’orologio, ma adesso un solo minuto in più avrebbe potuto essergli fatale.
    Naive, Heaven e il suo ragazzo avrebbero potuto cercare Yuma.
    I genitori, il fratello e l’ex compagna di Ronald Craven avrebbero potuto chiedersi che fine avesse fatto.
    “Devo andare via da qui” si era detto. “Vorrà dire che moriranno più lentamente.”
    Probabilmente Craven sarebbe morto per le ferite che gli aveva inferto, mentre per Yuma e Michel ci sarebbe stato da aspettare un po’ di più. Melvin si domandò quanto fosse possibile vivere senza bere. Qualche giorno, probabilmente, ma non abbastanza perché qualcuno si accorgesse che in quel casolare era accaduto qualcosa.
    “Per fortuna mi è venuto in mente di tappare la bocca col nastro isolante a tutti e tre, prima di andarmene.”
    Se si fossero messi a urlare, la presunta coppietta della Tigra, di cui non aveva previsto la presenza, avrebbe potuto sentirli.
    In ogni caso, ne era certo, quei due, chiunque fossero, non gli avrebbero dato problemi.
    “E poi me ne sto andando.”
    Aumentò la velocità, per andarsene il più in fretta possibile da quel luogo isolato. Presto sarebbe stato libero una volta per tutte e Melvin Emerson sarebbe stato soltanto un ricordo. Era pronto per iniziare una seconda vita.
    Le sue convinzioni si interruppero nel momento in cui prese una curva troppo velocemente.
    Frenò, ma non servì.
    “Regola numero uno: se Dean sa che vuoi ucciderlo, poi non andartene con la sua macchina” fu il suo ultimo pensiero prima dello schianto.

    Fine quarta parte

     
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