Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    No, Pavone, non c'è tanto da aspettare! :D




    Capitolo 65.
    Quando Yuma rinvenne si accorse di essere legata a una sedia. Aveva un forte dolore alla testa. Udì dei passi alle proprie spalle e temette che si trattasse di Dean.
    «Bentornata tra i vivi, Yuma» la accolse una voce. «Per un attimo avevo temuto che non saresti rinvenuta.»
    Non era Dean, ma Melvin.
    Le sue intenzioni non potevano essere migliori di quelle di Dean.
    «Dove siamo?» gli chiese Yuma.
    C'erano tante altre domande che avrebbe voluto porgli, per esempio perché delle corde fissassero il suo corpo a una sedia, ma non ne aveva il coraggio.
    Abbassò gli occhi sulle caviglie.
    Non erano corde, ma nastro isolante.
    «Dove mi hai portata?» ripeté. «Cosa speri di ottenere?»
    «Siamo in un vecchio casolare» la informò suo padre. «Una coppia di anziani ci passa i mesi estivi. Credo che fino al prossimo giugno non si faranno vedere.»
    «Perché mi hai portata qui?» insisté Yuma. «Vorrei che tu me lo spiegassi.»
    Melvin rise.
    «Davvero non l'hai ancora capito?»
    Le si avvicinò.
    Yuma sussultò al contatto con la sua mano che le sfiorava una guancia.
    «Vuoi che torni da te, vero?»
    «Come potrei pretenderlo?» replicò suo padre. «Ormai Heaven è grande abbastanza da difendersi da sola e, ne sono certo, se osassi avvicinarsi a lei, mi farebbe fare una brutta fine.»
    «Allora cosa vuoi?»
    «Parlare.»
    Yuma non prese nemmeno in considerazione l'idea di credergli.
    «Di solito chi vuole parlare con una persona evita di assalirla e di sequestrarla.»
    Melvin annuì.
    «Vedo che la botta in testa non ha fatto molto effetto, riesci ancora a capire tutto al volo.»
    «Falla finita» lo pregò Yuma. «Dimmi cosa vuoi e possiamo discuterne. Posso arrivare a farti un regalo di addio.»
    Lo sguardo che le lanciò suo padre la raggelò.
    «È troppo tardi, ormai. Come pensi che possa perdonarti dopo quello che hai fatto?»
    Yuma fu scossa da un fremito. Non poteva sapere la verità, era un segreto che lei e Dean avevano deciso di condividere al fine di tutelare la loro incolumità.
    «Ti stai chiedendo come faccio a saperlo» dedusse Melvin.
    Yuma tacque.
    «Sai, le persone diventano piuttosto loquaci quando vedono la loro vita in serio pericolo» le spiegò suo padre. «Dean non fa eccezione. Mi è bastato promettergli che, in nome della nostra vecchia amicizia, l'avrei risparmiato se mi avesse riferito per filo e per segno tutto quello che era successo tra di voi.»
    Quella era la fine, Yuma lo sapeva. Se aveva risparmiato la vita al suo complice, a lei non avrebbe riservato la stessa cortesia.
    «Dean dov'è?»
    La risposta la lasciò spiazzata.
    «Dentro un sacco di plastica, con la gola tagliata.»
    Yuma si sentì mancare.
    Suo padre se ne accorse.
    «Non dirmi che ne sentirai la mancanza.»
    Yuma abbassò lo sguardo.
    Era assurdo, ma era così. Dean si era divertito con lei finché gli era stato possibile, ma almeno quello che c'era stato tra loro non le era mai stato imposto.
    Tra Dean e Melvin c'era un abisso.
    «È assurdo» osservò suo padre. «Non mi dire che lo amavi.»
    Yuma non lo smentì. Per quanto la riguardava era libero di pensarlo. Anzi, era molto meglio così. Cos'altro avrebbe fatto se avesse scoperto quello che c'era stato tra lei e Ronnie? Cosa sarebbe successo se avesse scoperto che era Ronnie Craven l'uomo che amava?
    «Lui non ha mai amato te» la avvertì Melvin. «Eri solo un giocattolo per lui. Sono io l'unico che ti abbia mai amata davvero.»
    Yuma non disse nulla.
    Diede una veloce occhiata intorno a sé. Dall'arredamento, quella in cui si trovava sembrava una sala da pranzo. Si chiese se sarebbe riuscita a vedere altro prima di morire o se la sua vita avrebbe avuto fine lì, in quella casa.
    «Quanto mi resta da vivere?» gli chiese a quel punto.
    Melvin sorrise.
    «Abbastanza per scoprire cos'è successo veramente a tua madre.»
    «A... a mia madre?»
    «Non dirmi che non lo sai» ribatté Melvin. «Stando a quanto mi risulta, quella stronza di tua sorella è qui per incastrarmi.»
    «Non capisco di cosa parli» mentì Yuma.
    «Allora sarò più chiaro. È stato Dean a tagliare la gola a Margot. Prova a indovinare chi gliel’ha ordinato...»

    Michel abbassò il volume della radio mentre prendeva una strada secondaria.
    «Quanto manca?» gli domandò Ronnie.
    «Sei o sette chilometri, non di più.»
    Li percorsero nel silenzio più totale.
    Soltanto dopo essersi fermato accanto a un campo incolto, a qualche centinaio di metri da una vecchia casa colonica, Michel osservò: «Se le indicazioni di Pat sono esatte, dovremmo essere molto vicini a Melvin.»
    «E a Yuma» mormorò Ronnie.
    Michel si pentì di averlo coinvolto.
    «Aspettami qui» lo pregò.
    Fece per scendere, ma Ronnie lo trattenne.
    «Non ci penso nemmeno. Non ho intenzione di abbandonare Yuma a se stessa!»
    «Non siamo sicuri che Yuma sia qui» gli ricordò Michel.
    «Ma è molto probabile.»
    Michel alzò gli occhi al cielo.
    «È più sicuro se rimani qui, credimi.»
    Scese dall’auto e richiuse la portiera, sperando che Ronnie non lo imitasse.
    Non andò come sperava.
    «Rimanere qui?! Non ci penso nemmeno! Non quando la vita di Yuma è appesa a un filo...»
    «Anche la tua vita potrebbe essere appesa a un filo, se tu venissi con me» puntualizzò Michel. «Ne vale davvero la pena?»
    «Per Yuma farei questo e altro» replicò Ronnie. «E poi perché tu potresti rischiare la vita e io no?»
    «Perché ho più speranze di cavarmela, rispetto a quante ne hai tu. Io ho sempre avuto a che fare con certa gente...»
    «Io invece sto imparando ad averci a che fare» insisté Ronnie. «Non c’è motivo per cui dovrei rimanere qui ad aspettare... ad aspettare che cosa, poi?»
    Michel sospirò.
    «Va bene, come ti pare. Se dovesse capitarti di morire, però, non prendertela con me!»
    «Non preoccuparti» lo rassicurò Ronnie. «Si dice che i morti non abbiano l’abitudine di accusare chi sopravvive.»
    «Sei ottimista sulle mie speranze di uscirne vivo» osservò Michel. «Cerca di sperare anche per te stesso, già che ci sei!»

    «Io amavo Margot» dichiarò Melvin, «Ma non sopportavo l’idea che potesse mettersi tra di noi. Lo sai, Yuma, io non ho mai amato nessuna tanto quanto te...»
    Yuma scosse la testa.
    «Tu non mi hai mai amata. Non hai mai amato nemmeno mia madre, né nessuna delle tue amanti. Tu non sai che cosa significhi amare.»
    Melvin rise.
    «Quella è una frase fatta.»
    «E di che cosa ti lamenti? Tu sei uno specialista, nelle frasi fatte. La verità è una sola: tu sei un maniaco, e quando mia madre se n’è resa conto e ha deciso di portare via me e mia sorella hai pensato che ucciderla fosse la soluzione migliore.»
    Melvin sorrise.
    «Se questa fosse la realtà ti farebbe differenza?»
    Yuma scosse la testa.
    «No, mi faresti schifo ugualmente.»
    «Allora, se il risultato non cambia, non ha più senso indossare una maschera. Io non ho amato né te né lei, siete solo due puttane da quattro soldi, senza alcun valore. Tua madre, almeno, se la cavava con le auto. Tu che cos’hai fatto nella tua vita, a parte servire caffè o pulire cessi?»
    «Mi sembrano entrambe prospettive migliori rispetto a quelle che avresti potuto offrirmi tu. Non voglio avere a che fare con il tuo schifoso mondo.»
    «Peggio per te.» Melvin sorrise. «In ogni caso sarebbe troppo tardi, ormai mi hai già dimostrato che non posso fidarmi di te.»
    «Allora uccidimi» lo pregò Yuma. «Non ha senso continuare così.»
    «Lo farei subito, se non avessi una cosa importante da dirti.»
    Yuma vide gli occhi di suo padre che la scrutavano.
    «U-una cosa importante?»
    «Riguarda l’ultimo lavoro che ha fatto tua madre prima di morire. Vuoi sapere di che cosa si è occupata?»
    Yuma fu tentata di negare, ma finì per fare l’esatto contrario.
    «Dimmi.»
    «Margot ha manomesso una macchina, su richiesta di Dean, per permettergli di sbarazzarsi di un tizio che secondo lui doveva morire» la informò Melvin. «Purtroppo ha sbagliato macchina.»
    «No» mormorò Yuma. «Non può essere vero.»
    «Che ha sbagliato macchina?»
    «Che ha aiutato Dean a commettere un omicidio.»
    «Rilassati, Yuma» la pregò Melvin. «Margot non aveva speranze. Ha fatto quello che Dean le ha ordinato, sperando che lo spargimento di sangue fosse il più piccolo possibile. È stata fortunata, tutto sommato.»
    «Non è morto nessuno?»
    «C’erano due ragazzi su quell’auto. È morto soltanto uno dei due, mentre l’altro è sopravvissuto. Si dice che tra i due, non sia morto quello che guidava. Una certa Kelly James mi ha indirettamente confermato che è proprio così.»
    Yuma si sentì raggelare.
    «No...»
    «Sì, sto parlando proprio di chi pensi» replicò suo padre, confermando i suoi sospetti. «Immagino che tu sappia bene quanto me che chi è sopravvissuto a un tentativo di omicidio prima o poi parlerà, se qualcuno non gli chiude la bocca per sempre.»
    Yuma cercò di ribattere, ma non riuscì a pronunciare alcun suono.
    Melvin le aveva appena detto che Ronnie doveva morire. Non poteva permettere che accadesse.
    Si sforzò di trovare un appiglio al quale aggrapparsi per impedire che succedesse, ma i suoi sforzi furono interrotti quando udì dei passi nel corridoio ubicato oltre la stanza in cui Melvin l’aveva condotta.
    Suo padre si girò in quella direzione e Yuma immaginò che non avrebbe riservato un’accoglienza molto cordiale all’intruso. Sentì un tuffo al cuore non appena lo vide: si trattava proprio di Ronnie.
     
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