Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    Kelly riappese il telefono. Quando aveva udito la voce di Gabriel si era preparata a qualche confessione strana. Non si era aspettata, però, che in quel momento fosse a casa di Naive Doyle e che entrambi fossero intenzionati a raggiungerla a Starlit Spring. Soprattutto, però, non avrebbe mai potuto immaginare che Gabriel le ponesse la domanda che invece le aveva posto.
    «Quando Rick Craven morì, era lui a guidare o era Ronnie?»
    Kelly aveva preso a tremare.
    «Perché lo vuoi sapere?»
    «Perché qualcuno ha tentato di uccidere Ronnie di recente» le aveva risposto Gabriel. «Se era lui a guidare quella macchina, il motivo è quello.»
    Non aveva voluto aggiungere altro, con la promessa che le avrebbe comunicato di persona le proprie teorie non appena si fossero visti.
    Kelly guardò l’orologio appeso alla parete.
    Era passato ancora troppo poco tempo da quanto aveva ricevuto la chiamata di Gabriel, avrebbe dovuto attendere ancora a lungo prima di vedere arrivare lui e Naive.
    Quando la porta si aprì, il suo pensiero istintivo fu che si trattasse di uno dei soliti clienti arrivato un po’ in anticipo; magari qualcuno che, avendo litigato con la moglie a causa delle pietanze dietetiche che lei si ostinava a servirgli visti i suoi problemi di salute, aveva deciso di allontanarsi da lei in anticipo e di recarsi allo Starlit Cafè in anticipo.
    Non era uno di quei clienti.
    «Michel!» esclamò Kelly, con una certa eccitazione. «Che cosa ci fai da queste parti?» Gli corse incontro. «Devo forse pensare che tu sia ossessionato da me al punto tale da sentire la necessità di vedermi a ogni ora del giorno e della notte?»
    Michel rise.
    «Non penso proprio.»
    «Eppure sei venuto.»
    Lui le strizzò l’occhio, indicandole la porta della toilette.
    «Magari sono venuto per andare in bagno.»
    Kelly annuì.
    «Avrei dovuto aspettarmelo.»
    «In realtà, però, non sono venuto per questo. Diciamo semplicemente che mi faceva piacere vederti.»
    «Ma che gentile» ribatté Kelly. «E poi mio zio dice sempre che gli uomini mi evitano...»
    Michel ridacchiò.
    «Quelli che temono che tu abbia delle mire su di loro sicuramente.»
    «Che esagerato!»
    «Per fortuna, da quanto mi hai chiarito che amerai Ronnie Craven per tutto il resto dell’eternità, mi sento molto più tranquillo.»
    Kelly sospirò.
    «Hai intenzione di continuare ancora per molto con questa storia?»
    «Non mi pare di averne parlato più di tanto.»
    «Soltanto accennare a quello che ti ho confidato sarebbe parlarne troppo» lo avvertì Kelly. «Sei proprio così sicuro di non avere oltrepassato il limite?»
    «Che cosa c’è di male, in fondo?» insisté Michel. «Secondo me dovresti parlare a Ronnie dei tuoi veri sentimenti nei suoi confronti.»
    «Magari gli scriverò una lettera da consegnargli soltanto dopo la mia morte» azzardò Kelly. «È un buon metodo?»
    Michel scosse la testa.
    «Sinceramente non credo. Quello che è successo negli ultimi tempi mi porta a temere che Ronnie non morirà di morte naturale... È molto più probabile che tu sopravviva a lui, piuttosto che il contrario.»
    Kelly s’irrigidì.
    «Tu lo sai?»
    Michel spalancò gli occhi.
    «Che cosa?»
    «Perché Dean Tray vuole ucciderlo.»
    Michel abbassò lo sguardo.
    «No.»
    «Stai mentendo.»
    Michel scoppiò a ridere.
    «Perché lo pensi?»
    «Perché è la verità. C’entra l’incidente, non è vero?»
    Con aria innocente, Michel le domandò: «Quale incidente?»
    «Va bene, come ti pare» si arrese Kelly. «Ne riparleremo quando Ronnie sarà già morto. Ci stai?»
    «Ne riparleremo quando Dean non sarà più un problema» le promise Michel. «Ti prometto che ti racconterò tutto quello che so.»
    Kelly sorrise.
    «Bene. Così mi piaci.»
    «Anche tu mi piaci quando non hai la solita aria da zitella incazzata» ribatté Michel. «Ora scusami, ma è meglio che vada.»
    «Di già? Devo pensare che anche quando non ho l’aria da zitella incazzata la mia presenza sia irritante?»
    Michel la rassicurò: «Niente affatto, solo che devo incontrare Heaven. Ci sono alcune cose di cui vorrei parlare con lei.»
    Kelly annuì.
    «Capisco.»
    «Vedi, lei è coinvolta direttamente...»
    Kelly non lo lasciò finire: «Ho detto che ti capisco, non c’è bisogno che tu mi dia altre spiegazioni. Vai da lei, prima che sia troppo tardi.»
    «Adesso non esagerare» replicò Michel, serio. «Non credo che ci sia questo rischio.»
    «È sempre meglio stare sicuri» obiettò Kelly. «Prima arrivi e meno è probabile che sia troppo tardi.»
    Michel sembrò apprezzare le sue parole.
    I loro sguardi si incrociarono per un attimo, prima che lui si girasse e si dirigesse verso la porta. Soltanto un attimo prima di uscire si fermò e tornò a voltarsi.
    «Kelly?»
    «Dimmi.»
    «Vorrei solo che, se qualcosa dovesse andare storto, tu sapessi che ti voglio bene.»
    Kelly si sentì come trafitta da una moltitudine di lame.
    «È un addio?»
    Michel sorrise, ma era un sorriso carico di tristezza.
    «Spero di no.»
    Non aggiunse altro e se ne andò.
    Kelly tenne gli occhi fissi sulla porta che si richiudeva, domandandosi quanto tempo avrebbe impiegato prima di riuscire a distogliere lo sguardo.

    Era passato parecchio tempo, ormai, da quando Michel era sparito, ma mancava ancora un po’ all’ora di punta in cui i frequentatori abituali dello Starlit Cafè decidevano di accorrere in massa per metterla a conoscenza delle proprie opinioni sul senso dell’esistenza umana.
    L’uomo che entrò non evocò in Kelly alcun ricordo. Lo scrutò con attenzione. Era intorno alla cinquantina, con occhi chiari e i capelli brizzolati dai quali si intravedeva ancora qualche sfumatura ramata.
    «Buon pomeriggio» lo accolse, con uno dei classici sorrisi radiosi e palesemente finti che i suoi clienti erano abituati a conoscere.
    «Buon pomeriggio a lei, signorina.» Lo sconosciuto prese a guardarsi intorno. «È proprio un bel locale questo.»
    Il sorriso di Kelly si fece più spontaneo.
    «Sono felice che le piaccia. Sa, il titolare è mio zio, ma sono stata io a scegliere l’arredamento.»
    «Questa è la prova che lei ha buon gusto, signorina...» La guardò con aria interrogativa. «Posso avere l’onore di sapere il suo nome?»
    «Kelly» si ritrovò a rispondere, senza pensarci troppo. «Kelly James.»
    D’altronde non c’era modo di tenere segreta quell’informazione: a Starlit Spring tutti sapevano come si chiamasse.
    L’uomo annuì.
    «Non le spiace, vero, se non le dico il mio?»
    “In realtà non me ne frega un accidente.”
    Kelly fece una risatina, finta tanto quanto il sorriso raggiante con cui aveva accolto quello strano cliente.
    «No, non mi dispiace, dato che non ho l’abitudine di chiedere i dati personali a chiunque entri nel bar» rispose, con prontezza. «A proposito, che cosa posso servirle?»
    Lui non rispose alla sua domanda.
    «Fa bene a non chiedere il nome a chi entra. Alcuni, come me, ad esempio, dopo averglielo detto sarebbero costretti ad ucciderla.»
    Kelly sospirò.
    «Capisco. È un agente segreto o qualcosa del genere?»
    «No» si affrettò a rispondere lui. «Però ho cambiato idea: il mio nome glielo posso dire ugualmente.»
    «Anche se dopo dovrà uccidermi?»
    L’uomo rise.
    «Mi chiamo Melvin Emerson, signorina, e se glielo dico è proprio perché sono qui per ucciderla.»
     
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