Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    La voce di Rachel s’abbassò al punto tale che Heaven non riuscì più a sentirla.
    «Cosa sta dicendo?»
    «Non sento nemmeno io» ammise Naive. «Comunque non ha importanza. Devi andartene da qui il prima possibile, senza farti vedere da tuo padre.»
    «Dobbiamo andarcene» la corresse Heaven.»
    «Vai via da sola» la pregò Naive.
    Heaven spalancò gli occhi.
    «Perché?»
    «Potrebbe vedermi e riconoscermi» rispose Naive, con prontezza. «Se ti vedesse con me, non esiterebbe a riconoscere anche te.»
    Heaven si domandò se sua zia le stesse dicendo la verità. Se da un lato il suo ragionamento non faceva una piega, dall’altro il suo sguardo colpevole sembrava suggerire che ci fosse anche dell’altro.
    «Mi raggiungerai dopo?»
    Naive annuì.
    «Tu vai, intanto. Corri da Yuma, avvertila che l’hai visto e dille che se ne deve andare il prima possibile.»
    Heaven scosse la testa.
    «Non accetterà mai.»
    «Sì, invece, quando avrà le prove che suo padre è davvero a Starlit Spring.»

    Non appena Heaven fu sparita, Naive tornò a concentrarsi su Melvin e Rachel.
    «Non ho più intenzione di starti a sentire» stava urlando quest’ultima. «Ne ho avuto abbastanza di te!»
    Naive si domandò se quella donna avesse davvero trovato il coraggio di ribellarsi a Melvin o se si trattasse soltanto di un bluff. Fu sorpresa, almeno un po’, nel vederla allontanarsi. Ciò che la stupì maggiormente, comunque, fu il fatto che lui non la seguisse.
    “È il mio momento” pensò Naive.
    Uscì dal proprio nascondiglio e si diresse verso Melvin, che le voltava le spalle.
    «Che sorpresa vederti da queste parti» mormorò, quando gli fu ben poco distante.
    Melvin si girò.
    «Cosa ci fai tu da queste parti?» replicò. «Qui non c’è posto per le puttane.»
    «Allora è davvero strano che tu sia qui» ribatté Naive, «Dato che tutte le donne con cui hai avuto a che fare le hai sempre trattate come tali!»
    «Taci, stronza! Tu non hai il diritto di giudicarmi; non dopo avermi portato via la meno corrotta delle mie bambine.»
    «Volevo evitare, appunto, che facesse la fine di Yuma.»
    «Yuma era felice con me» rispose Melvin, con convinzione. «Lo era davvero, proprio come lo era Margot a suo tempo.»
    «Non dovresti nemmeno pronunciare il nome di mia sorella.»
    «Era mia moglie, nel caso tu te ne sia dimenticata.»
    «L’hai uccisa, nel caso tu te ne sia dimenticato.»
    Melvin scosse la testa.
    «Quella sera ero in casa con le mie figlie.»
    «Sì, e lei era fuori per saldare un tuo debito» ripeté Naive. «Conosco questa storia a memoria.»
    «Allora perché vuoi per forza vederci dell’altro?»
    «Perché c’è dell’altro. Margot si è fidata di te, è andata a incontrare qualcuno a cui dovevi quei soldi, stando a quanto le avevi detto... ma questo era un tuo complice, e l’ha uccisa!»
    «Tu viaggi molto con la fantasia» osservò Melvin. «Ti sei lasciata influenzare troppo da quella nullità di Yuma.»
    «La nullità non mi ha raccontato niente di tutto ciò. Ci sono arrivata da sola.»
    «Tu hai dei pregiudizi su di me...»
    Naive lo interruppe: «Io non ho alcun pregiudizio su di te. Per un certo periodo ho addirittura pensato che, pur essendo un delinquente, potessi riuscire a comportarti da padre. Purtroppo mi sbagliavo e, come hai rovinato la vita di Yuma, eri pronto a rovinare anche quella di Heaven. Adesso, però, hai finito di divertirti.»
    Melvin le strizzò un occhio.
    «Questo è da vedere.»
    Contrariamente a quanto Naive si aspettava, le voltò le spalle e se ne andò. Decise di lasciarlo andare via, avrebbe potuto essere la soluzione più sicura per lei e per le sue nipoti.

    Heaven agitò le braccia per attirare l’attenzione del conducente dell’automobile che procedeva verso di lei.
    Michel si fermò, abbassò il finestrino e si affacciò.
    «Che cosa vuoi?»
    «Avrei bisogno di un passaggio.»
    «Ed eri disposta a chiederlo al primo venuto?»
    Heaven alzò gli occhi al cielo.
    «Ovviamente no.»
    «Mi hai riconosciuto, quindi?»
    «Se non è un caso, è per forza quell’altro.»
    Michel la invitò: «Sali.»
    Heaven non se lo fece ripetere una seconda volta e si affrettò ad approfittare della disponibilità di Michel.
    «Portami a casa.»
    «Ai tuoi ordini» ribatté Michel. «Stavolta non ti va di fartela a piedi?»
    «Stavolta è una questione di vita o di morte» lo avvertì Heaven. «Ho visto mio padre.»
    «Cosa vi siete detti?»
    Heaven si allacciò la cintura di sicurezza.
    «Capisco che potrei non sembrarti tanto sana di mente, ma non sono pazza al punto tale da farmi vedere da lui.»
    «Se non altro è positivo.»
    «Invece tutto il resto non lo è affatto» precisò Heaven. «Devo convincere Yuma a lasciare la città il prima possibile... e tu devi aiutarmi!»
    «Non vedo cosa potrei fare» obiettò Michel.
    «Intanto portami a casa» rispose Heaven. «Entrerai con me e, quando se lo sentirà dire anche da te, vedrai che si convincerà che è la soluzione migliore.»
    Michel la guardò, scettico.
    «Sei sicura che funzionerà?»
    «Non ne sono affatto sicura» ammise Heaven, «Ma la speranza è l’ultima a morire... o almeno così dicono.»
    “Di questo passo” aggiunse, soltanto mentalmente, “Probabilmente moriremo prima noi.”
     
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