Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    Capitolo 57.
    Il ticchettio dei tacchi di Patricia, che andava avanti e indietro nel corridoio, era insopportabile al punto tale che Pamela fu tentata di darle ragione, anche se sapeva di non poterlo fare.
    Irremovibile, sua sorella ribadì: «L’omicidio di Natascha Harris non può essere spiegato in altri modi.»
    Si voltò di scatto e fece qualche passo verso di lei, che era appoggiata al bordo del tavolo.
    «Ci sono infiniti modi in cui un omicidio potrebbe essere spiegato.»
    «Guarda caso, però, quella ragazza aveva avuto una storia con Dean.»
    Pamela sospirò.
    «Se ogni persona con cui siamo stati insieme dovesse ammazzarci...»
    Patricia lo interruppe: «Lo, se dovessi morire tu ci sarebbero moltissimi sospettati.»
    Pamela ignorò quel commento.
    «Ti dico che Dean Tray non è un assassino.»
    Patricia, immobile davanti a lei, le puntava addosso i suoi occhi resi azzurri dalle immancabili lenti a contatto.
    «Che cosa ne sai?»
    «Lo so e basta.»
    «Ci avrai parlato due volte al massimo, negli ultimi tempi.»
    «Due volte al massimo bastano per inquadrare una persona.» Pamela ne era tutt’altro che convinta, ma sperò che Patricia non se ne accorgesse. «Se ti dico che Dean Tray non è un assassino, devi credermi.»
    «Quel tipo aveva già qualcosa che non andava anche quando stavamo insieme» obiettò Patricia. «È evidente che il suo scopo è sempre stato quello di conquistare la fiducia di Melvin Emerson... anche se pare che adesso l’abbia persa definitivamente.»
    «Di quello che succede tra Dean e Melvin me ne sbatto le palle» replicò Pamela. «E - vuoi che ti dica la verità? - me ne frego anche di Natascha Harris!»
    «Non mi aspettavo altro.» Patricia sembrava molto seccata. «Tu te ne freghi di tutto e di tutti, anche quando la gente inizia a morire.»
    «Si è trattato di una coincidenza sfortunata» insisté Pamela. «Quella povera ragazza aveva incontrato Dean sulla propria strada, è vero, ma perché è necessario dare la colpa a lui? Piuttosto io terrei d’occhio il suo ragazzo ufficiale e tutti i suoi parenti.»
    Patricia spalancò gli occhi talmente tanto che Pamela si chiese se le lenti potessero rimanere ferme. In realtà non ne aveva idea: non aveva mai indossato lenti a contatto.
    «Ralph Craven?»
    «Pare che non sia mai stato in buoni rapporti con la barista dello Starlit Cafè, quella che non ti toglie gli occhi dalla scollatura quando entri nel bar.»
    «E allora?»
    «Si dice che ci sia una vecchia storia su un vecchio incidente stradale di mezzo» la informò Pamela. «Uno dei fratelli di Ralph è morto uscendo di strada, molti anni fa. L’altro suo fratello, invece, qualche anno più tardi ha tentato il suicidio.»
    Patricia le sembrò turbata.
    «Ronnie?»
    Pamela non rispose alla sua domanda.
    «Pensava di andarsene con un’overdose di farmaci, ma sua madre rientrò in casa in anticipo e lo portò in ospedale. E sai qual è la cosa strana?» Patricia rimase in silenzio, un silenzio che Pamela interpretò come un’autorizzazione ad andare avanti. «Poche ore dopo, durante la notte, lo Starlit Cafè venne distrutto da un incendio, naturalmente doloso. Il colpevole non venne mai identificato, ma mi sembra ovvio che...»
    Patricia la interruppe: «Troppe cose ti sono sempre sembrate ovvie.»
    «Devi ammettere che molte lo erano.»
    «Altre invece lo erano molto meno.»
    «Queste sono sottigliezze, Patty. Basta fare due più due, il risultato è lampante.»
    «Quale risultato?»
    «Ronnie Craven tenta il suicidio, qualcuno distrugge il bar dello zio di Kelly James, che un tempo stava insieme al ragazzo morto nell’incidente...»
    «Kelly James stava con un ragazzo?» si sorprese Patricia. «Ho sempre pensato che le piacessero le donne.»
    «Fingere che non fosse così probabilmente era la soluzione più semplice» suggerì Pamela. «O magari all’epoca pensava di avere conosciuto soltanto gli uomini sbagliati e credeva solo di non avere mai incontrato il suo tipo.»
    Patricia si girò e, con passo pesante, si diresse verso la finestra.
    «Ma l’incendio del bar cosa c’entra?»
    «È molto semplice» decretò Pamela. «Ralph Craven riteneva che Kelly James avesse qualcosa a che vedere non solo con l’incidente stradale, ma anche con il tentativo di avvelenamento di Ronnie. Forse pensava che l’avesse istigato al suicidio. Mi sembra ovvio che sia stato lui a dare fuoco al bar.»
    «Tu sei una visionaria» replicò Patricia, senza girarsi. «Le tue accuse non hanno senso.»
    «Sì, invece» ribadì Pamela. «Ralph Craven, il nostro caro piromane, potrebbe benissimo avere messo fine alla vita di Natascha, quando gli è stato chiaro che lei non ne voleva più sapere di lui. Che cosa ne dici?»
    In realtà non le importava davvero il parere di Patricia.
    “Mi sto davvero arrampicando sugli specchi per difendere Dean.”
    Si chiese perché lo facesse e non riuscì a trovare dentro di sé una sola risposta sensata. Era logico pensare che fosse stato Dean a uccidere Natascha, e quando aveva telefonato a Tom Harvey, soltanto un paio d’ore prima, non si era fatta scrupoli e gli aveva detto per filo e per segno che cosa pensava.
    «Non essere ridicola» aveva obiettato Tom. «Dean Tray è una brava persona.»
    «Le brave persone non vendono documenti falsi» aveva puntualizzato Pamela, «E non assillano ragazze indifese in difficoltà.»
    Tom si era subito allarmato.
    «La ragazza indifesa in questione sarebbe quella che tu stessa stai cercando?»
    «Esatto.» A Pamela non interessava più stare al suo gioco. Le piacevano le fonti di guadagno facile, questo era vero, ma finché ne fossero esistite di relativamente indolori - come puntare a qualche uomo ricco, ad esempio, strada che l’avrebbe potuta addirittura salvare dalla non troppo remota possibilità di rimanere sola - non si sarebbe spinta a fare del male a una ragazza che nemmeno conosceva. «Per quanto mi riguarda, non lavorerò più per te finché non mi chiarirai alcune questioni rimaste insolute.»
    «Se mi stai chiedendo chi mi ha affidato questo incarico...»
    Pamela l’aveva subito interrotto: «Basta con la storia di Dean Tray, non ci crede più nessuno. A darti l’incarico è stato Melvin.»
    «Melvin?» aveva ripetuto Tom, con il più innocente dei toni, che avrebbe potuto ingannare chiunque ma non lei. «Naturalmente stai delirando, Pam.»
    «Nemmeno per idea» aveva concluso Pamela. «In ogni caso, se non vuoi dirmi nulla di più di quanto già so, credo proprio che io e te non abbiamo più niente da dirci.»
    Gli aveva sbattuto il telefono in faccia e si era preparata ad affrontare Patricia. Sapeva che prima o poi si sarebbe presentata da lei e le avrebbe confidato di nutrire dei sospetti nei confronti di quello che molti anni prima era stato il suo ragazzo.
    Pamela si domandò se le avesse mentito nella speranza che potesse ricominciare a illudersi che intorno a lei ci fosse ancora qualcuno che non indossava una maschera.
    “Povera Patty, non fa altro che sognare a occhi aperti. Tutti abbiamo qualcosa da nascondere...”
    «Me ne vado» le annunciò sua sorella.
    «Di già?»
    «Ho da fare.»
    Il ticchettio dei tacchi la accompagnò fino alla porta.
    «Qualunque cosa tu abbia da fare, stai attenta» la pregò Pamela. «Il mondo intorno a te potrebbe essere una trappola mortale.»
    «Fottiti, Pam.»
    Patricia spalancò la porta, uscì e poi la richiuse alle proprie spalle. Pamela udì il rumore inconfondibile dei suoi passi lungo le scale.
     
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