Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    Non vi tengo più sulle spine, almeno per quanto riguarda la sorte di Ronnie. :D



    Capitolo 52.
    Undici anni fa.
    Undici anni fa.
    Undici anni fa.

    Il primo pensiero che Ronnie riuscì a formulare fu che non erano affatto trascorsi undici anni dalla notte della rapina.
    «Ehi, Ronnie, sei ancora vivo?»
    Era una voce che conosceva, ma non quella del rapinatore. Cercò di alzarsi, chiedendosi se fosse qualcosa di positivo.
    «Sì, sei vivo» concluse l’altro, vedendolo muoversi.
    Soltanto a quel punto Ronnie ne riconobbe la voce.
    «Michel?»
    Si aggrappò a lui per alzarsi. Voleva chiedergli che cosa ci facesse lì, ma era troppo stordito per farlo. Doveva avere battuto la testa cadendo a terra.
    Qualcun altro si avvicinò.
    «Come sta?»
    Era una donna; anche quella voce aveva qualcosa di familiare.
    «Poteva andargli peggio, ma anche molto meglio» rispose Michel. «Tu ti sei liberata di Dean?»
    «Gli avrei sfondato le palle a calci se fosse stato necessario - a proposito, non puoi immaginare quanto i tacchi a spillo siano l’ideale in queste situazioni - ma ha preferito andarsene senza dovermi costringere a farlo. Credo che gli prema ancora l’anonimato.»
    A Ronnie parve impossibile, ma quella era la voce di Patricia Spencer, la segretaria del suo datore di lavoro a Black Hill, tanti anni prima, che l’aveva fatto licenziare quando si era resa conto che lui non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti.
    «Patricia» mormorò, «Cosa ci fai qui insieme a Michel?»
    «Te lo spiegheremo mentre ti accompagniamo a casa» lo rassicurò quest’ultimo. «Credo, anzi, che ci saranno parecchie cose di cui dovremo parlarti.»
    «Non se ne parla» replicò Ronnie. «Non voglio avere niente a che fare con voi; non dopo quello che avete fatto a Yuma.»
    «Michel, sei sicuro che sia stata una buona idea quella di fermare Dean prima che gli fracassasse il cranio?» sbottò Patricia. «O Ronnie soffre di manie di persecuzione, oppure si diverte a infamare gli altri con accuse che non stanno né in cielo né in terra.»
    «È vero» ammise Ronnie. «Non sei tu quella che ha cercato di vendere Yuma al migliore offerente.»
    «Nemmeno io ho cercato di farlo» puntualizzò Michel. «Vieni con noi. Parleremo anche di questo.»
    Ronnie tentò di ribadire: «Non ho intenzione di...»
    Patricia non lo lasciò finire.
    «Qualunque cosa tu abbia o non abbia intenzione di fare non ha importanza. Dal momento che, quando te ne vai in giro per i fatti tuoi, rischi di farti ammazzare, adesso ci fai il piacere di lasciarti accompagnare a casa.»
    «Non ho bisogno di due bodyguard» obiettò Ronnie.
    Michel ridacchiò.
    «Credo invece che tu ne abbia bisogno. Saresti morto senza di noi.»
    Ronnie fu tentato di replicare, ma si accorse che Michel aveva maledettamente ragione. Se Maya non fosse intervenuta, quel tale - Dean, stando a come l’aveva chiamato Patricia - l’avrebbe ucciso già diversi anni prima. Era una fortuna che andava oltre ogni immaginazione quella che si fosse verificata una circostanza simile anche oltre sette anni dopo.
    Undici anni.
    Ronnie si chiese se Dean si riferisse davvero alla rapina nel vicolo.
    «Finiscila di rimanere lì a guardare per aria» lo ammonì Patricia. «Andiamo.»
    Controvoglia, finì per seguirli.
    L’auto di Michel era parcheggiata poco lontana. Patricia si infilò sul sedile posteriore e Ronnie si sedette davanti, accanto a Michel.
    Si chiese se fosse presto per fare domande, ma decise di non attendere oltre.
    «Cosa sapete del tizio che voleva uccidermi?»
    «È una testa di cazzo come pochi» rispose Michel.
    Patricia, nello stesso momento, aggiunse: «Si chiama Dean Tray.»
    Dean Tray.
    Tray.

    Michel iniziò: «In passato abbiamo...»
    Ronnie lo interruppe: «Tray, avete detto?»
    «Sì, Tray» confermò Michel. «Il suo nome, però, non mi pare così importante.»
    «Invece lo è» replicò Ronnie. «Per caso ha qualche legame di parentela con un certo Kenneth Tray?»
    «Ricordo di avere conosciuto un cugino di Dean che si chiamava Kenny» rispose Patricia. «Penso che possa essere lui.»
    Ronnie annuì.
    «Probabilmente è lui.»
    Un’immagine di tanti anni prima riprese a farsi largo nella sua memoria. C’erano Gabriel, Kenneth e uno sconosciuto che somigliava a Dean. Doveva essere Dean.
    «Conoscevi quel Kenneth?» chiese Michel.
    A Ronnie non sfuggì che aveva parlato al passato.
    «Come lo sai?»
    «Cosa?»
    «Che è morto.»
    «Immagino che l’abbia informato la sua amica barista» intervenne Patricia. «Quella ragazza è il gazzettino ufficiale di Starlit Spring.»
    «Quanto sei esagerata!» ribatté Michel. «Non mi sembra che...»
    «No, non sono esagerata. Quando si tratta di donne, tu vai in giro con il paraocchi! Questo spiega come tu ti sia fatto abbindolare da una certa Pamela.»
    «Un giorno mi spiegherai che cosa sai di Pamela.»
    «So tante cose di lei. Se inizio adesso, forse faccio in tempo a finire prima di morire di vecchiaia.»
    Ronnie s’intromise: «Pamela, avete detto?»
    «Sì» confermò Michel. «È una mia amica di Dark River.»
    «Più che amica la definirei compagna di letto» puntualizzò Pamela. «Insomma, non è una come Kelly.»
    «Non sono affari che ti riguardano.»
    «Mi riguardano eccome, invece. Ogni volta che vado al bar, Kelly mi guarda con la bava alla bocca. Considerando anche il fatto che non ti ha ancora portato a letto, inizio a nutrire seri dubbi sul suo effettivo orientamento sessuale.»
    «Fatti i cazzi tuoi» la ammonì Michel. «Che cosa te ne importa delle preferenze sessuali di Kelly?»
    «Niente. Dovrebbe importare a te, forse. Tu ti sei fatto delle fantasie...»
    «Non mi sono fatto nessuna fantasia!»
    Ronnie sospirò.
    «La piantate di litigare come due sposini che festeggiano i cinquant’anni di matrimonio e non sanno in che altro modo far passare il tempo?»
    Le sue parole non vennero ascoltate. Finché non arrivarono sotto casa sua, Michel e Patricia continuarono a discutere di Kelly.
    Soltanto quando Michel accostò per parcheggiare Patricia si rivolse a Ronnie: «Possiamo salire da te, non è vero?»
    «Se proprio è necessario.»
    «Sì, è necessario» intervenne Michel, «Anche perché non abbiamo ancora finito il nostro discorso. Anzi, non l’abbiamo nemmeno iniziato.»
    «E quella Pamela?»
    «Quella Pamela non ha importanza.»
    Patricia si schiarì la voce per attirare l’attenzione su di sé.
    «Cosa vuoi?» le chiese Michel.
    «Non sono sicura che Pam non abbia importanza.»
    «Adesso è a Dark River.»
    «Non ne sarei così tanto sicura, se fossi al posto tuo.»
    «Quella Pamela» riprese Ronnie, spalancando la portiera, «Che tipo è?»
    «Ha i capelli biondo platino e si veste in modo bizzarro.»
    La risposta di Michel non avrebbe potuto essere più chiara.
    «Penso di conoscerla» ammise. «Mi ha fermato per strada già due volte, l’ultima delle quali oggi stesso, e mi ha fatto domande sulla mia vita privata.»
    Scesero dall’auto e Ronnie li condusse all’interno del palazzo.
    Mentre salivano le scale, Michel volle sapere: «Che cosa ti ha chiesto esattamente?»
    «In particolare se ho una donna o se sono innamorata di qualcuno.»
    «Sospettavo che ti avrebbe fatto qualche domanda simile» osservò Patricia. «È proprio nel suo stile. Le hai parlato di quella maledetta Yuma Emerson?»
    «Piano con le parole» la ammonì Michel. «Yuma è una mia amica, cerca di portarle rispetto.»
    Ronnie si girò e lo fulminò con lo sguardo.
    «Con quale coraggio dici che è una tua amica, dopo quello che le hai fatto?»
    Michel alzò gli occhi al cielo.
    «Non eravamo rimasti d’accordo che ti avrei spiegato come sono andate davvero le cose?»
    «Non sono sicuro di volerlo sapere.»
    «Questo non mi riguarda, tanto te lo spiegherò lo stesso» concluse Michel. «Per quanto riguarda Pamela, che cosa le hai detto esattamente di Yuma?»
    «Non ho l’abitudine di parlare di questioni personali con una perfetta sconosciuta.»
    Michel parve soddisfatto.
    «Bene. Se non altro un po’ di cervello ce l’hai.»
     
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