Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    «So che sei tu.»
    Quella era la voce inconfondibile di Michel.
    Yuma si girò lentamente.
    «T-tu... tu sei... sei a Starlit Spring?»
    «A meno che quella che vedi non sia una proiezione di me stesso» ribatté Michel, «Suppongo proprio di sì.»
    «Sì, è ovvio» asserì Yuma, «Ma non mi sarei mai aspettata di poterti incontrare qui.»
    «Il bello degli incontri casuali è che non c’è mai limite al caso.»
    «Hai proprio ragione...»
    «Tu, invece?» le chiese Michel. «Che cosa ci fai da queste parti?»
    Yuma rabbrividì.
    «Io...»
    Non riuscì a dire nulla che avesse un senso logico, pur rendendosi conto di quanto il suo silenzio potesse essere pericoloso.
    Michel avrebbe dovuto crederla a Starlit Spring insieme a Ronnie, o quantomeno doveva aspettarsi che ci avesse vissuto per un certo periodo.
    «Non c’è bisogno che tu me lo dica» la rassicurò Michel. «Sono stato davvero invadente.»
    Questa era un’ennesima conferma al suo sospetto: era molto plausibile che, in qualche modo, Michel fosse riuscito a scoprire che gli aveva mentito. Quando gli aveva telefonato per dirgli addio l’aveva pregato di non cercarla più, ma non poteva essere certa che lui avesse rispettato le sue “volontà”.
    «No, non sei stato invadente» si sforzò di replicare. «Dopotutto è normale fare domande di questo genere a chi si rivede dopo tanti anni in un luogo in cui non si pensava di poterlo incontrare. Anch’io, forse, dovrei chiederti perché sei qui.»
    Michel annuì.
    «Dovresti.»
    «E allora perché non rispondi?»
    Michel sorrise.
    «Perché hai valutato la possibilità di chiedermelo, ma di fatto non me l’hai chiesto.»
    «Ah, già. Allora fa’ come se ti avessi davvero fatto quella domanda.»
    Michel rimase sul vago, come era sua abitudine: «Sono qui per questioni di lavoro.»
    Era qualcosa su cui, se non era cambiato profondamente rispetto ai tempi in cui si frequentavano, non le avrebbe dato spiegazioni.
    «Capisco» si limitò a dire Yuma. «Ti fermerai per molto?»
    «Dipende tutto da come si evolverà la situazione. È un affare piuttosto ostico e non ho ancora capito quale sia il modo più opportuno di affrontarlo.» Non si spinse oltre e, anzi, passò subito ad altro. «È tua questa macchina?»
    «Non proprio» ammise Yuma. «Diciamo che appartiene a una persona di famiglia... o quasi.»
    «Questa persona di famiglia o quasi ha buon gusto in fatto di macchine.» Michel osservò attentamente l’auto. «Forse ha anche un discreto conto in banca.»
    «Direi di sì.»
    «È da molto che hai preso la patente?»
    Yuma lo fulminò con lo sguardo.
    «Non sono più la ragazzina che non sapeva guidare.»
    «Non ho mai insinuato che tu lo fossi.»
    «Eppure sei sorpreso.» Si vedeva così tanto che l’unico documento che la autorizzava a mettersi al volante era falso? Sperava ardentemente di no. «Per quanto ti possa sembrare strano, sono cambiata molto rispetto a una volta.»
    Michel ridacchiò.
    «Mi stai dicendo che, se potessi tornare indietro nel tempo, non mi lasceresti per inseguire Ronnie in capo al mondo?»
    Non parlava sul serio, ma Yuma si sentì ugualmente colpita nel profondo. Cercò di non mostrarlo a Michel, mentre puntualizzava: «Non sto dicendo niente di tutto questo.»
    «Allora questa è l’ennesima dimostrazione» ribatté lui, «Che Ronnie ha qualcosa in più. Tutte le donne che l’hanno conosciuto prima o poi sono state attratte da lui.»
    «Forse stai esagerando.»
    «O forse no.» Michel le indicò l’automobile. «Che cosa ne pensi di salire a fare quattro chiacchiere?»
    Yuma spalancò gli occhi.
    «Proprio in macchina?»
    «Ci sono meno orecchie indiscrete, a meno che qualcuno non abbia posizionato delle microspie sotto i sedili.»
    «Non credo che qualcuno possa averlo fatto.»
    «Allora saliamo» la esortò Michel. «Staremo molto più tranquilli.»
    Seppure riluttante, Yuma accettò.
    Non appena si furono sistemati sui sedili ed ebbero richiuso le portiere alle proprie spalle, Michel le pose la domanda che non avrebbe mai voluto sentire.
    «Ci sei rimasta poco insieme a Ronnie, non è vero?»
    Yuma abbassò lo sguardo.
    «Cosa te lo fa pensare?»
    «Quello che ho sentito dire.»
    Avrebbe dovuto capirlo. I pettegolezzi valevano più delle certezze: seppure spesso esagerassero, nella maggior parte dei casi contenevano una parte di verità.
    Decise di fidarsi di lui e di metterlo a conoscenza anche dalla gran parte che ignorava.
    «Non sono mai venuta a Starlit Spring insieme a Ronnie.»
    Michel rimase a lungo in silenzio.
    «Allora perché me l’hai fatto credere?» le chiese infine. «Perché mi hai lasciato con quella scusa?»
    «Non era una scusa» ammise Yuma.
    «Una cosa esclude l’altra» obiettò Michel. «Non puoi pretendere che creda a entrambe.»
    «Invece dovresti» insisté Yuma. «Che Ronnie si fosse innamorato di me non era falso e nemmeno che io ricambiassi quello che provava. Quando partì per tornare a casa mi chiese se volevo seguirlo. Non volle che lo facessi subito, ma mi chiese di pensarci.»
    «E tu?»
    «Ci pensai.»
    «Giungendo a che conclusione?»
    «Volevo farlo. Decisi di lasciarti, ti scrissi che stavo partendo e presi un taxi che mi portasse in stazione.»
    «Ma decidesti di non partire.»
    Yuma scosse la testa.
    «Qualcuno decise per me: mio padre aveva mandato un suo complice a tenermi d’occhio e sapeva che stavo scappando. Era riuscito a riprendersi mia sorella e mi minacciò di... di mettere lei al mio posto - e sai cosa intendo - se non avessi accettato di tornare a casa con lui. Stavolta, però, per tenermi maggiormente sotto controllo, le condizioni sarebbero state diverse. Per prima cosa dovevo chiudere definitivamente con te. Mi costrinse a chiamarti e a raccontarti della mia fuga insieme a Ronnie. Qualche tempo dopo, mi fece mettere in contatto anche con lui. Gli dissi che io e te ci stavamo per trasferire in un’altra città e che doveva dimenticarsi di me. Fu tutto molto semplice, mio padre aveva studiato un piano perfetto.»
    «Quell’uomo è un mostro» replicò Michel. «Come hai potuto sopportare di rimanere ancora accanto a lui?»
    «Non avevo scelta. Negli anni che sono seguiti le cose sono peggiorate. A volte ho creduto che volesse uccidermi e...»
    Michel la interruppe: «Anni? Ho sentito bene? Quanto tempo sei rimasta con lui?»
    Yuma fece un profondo respiro, prima di confidargli la verità.
    «Fino allo scorso marzo.»
    «Ti prego, dimmi che non è vero.»
    «Purtroppo lo è.»
    Michel si girò a guardarla.
    «Almeno ha avuto il coraggio di andartene. Alla fine ce l’hai fatta.»
    Yuma scosse la testa.
    «Non sarebbe accaduto, se la situazione non fosse cambiata. Ho avuto paura... e non solo per me.»
    «Parli di tua sorella?»
    Yuma abbassò gli occhi.
    «Anche, ma non solo. Diciamo che finalmente avevo intravisto uno spiraglio di luce e scappare era l’unico modo che avevo per non lasciarmelo sfuggire definitivamente.»

    Lo sguardo di Dean era carico di significato, a Yuma era bastato poco per capire. Sapeva tutto e questo poteva avere conseguenze disastrose.
    «Ti aiuterò a liberartene» l’aveva rassicurata.
    Lei gli aveva puntato addosso i suoi occhi spaventati.
    «Lo scoprirà.»
    «No, penserò a tutto io» aveva insistito Dean. «Gli dirai che non ti sei sentita bene, ti inventerai qualche scusa. Io confermerò. La prossima settimana lui e Rachel saranno via per un paio di giorni. Ho delle conoscenze in una clinica...»
    Yuma l’aveva interrotto: «E se non fosse quello che voglio?»
    «È quello che vuoi» aveva replicato Dean. «Non ci sono altre soluzioni.»
    «Scappiamo» gli aveva proposto Yuma. «Andiamo dove Melvin non potrà trovarci.»
    Lui aveva scosso la testa, guardandola con disprezzo.
    «Non essere ridicola.»
    «Che cosa c’è di ridicolo in tutto questo?» aveva obiettato Yuma. «È molto più normale quello che c’è tra me e te e quello che c’è tra te e lui.»
    Dean era scoppiato a ridere.
    «Quello che c’è tra me e te?! Voi ragazze siete tutte sceme, basta farvi arrivare all’orgasmo una volta per spingervi credere che a un uomo importi veramente di voi! Tu sei solo una puttana e Melvin fa bene a trattarti come tale! Mi sono soltanto preso quello che mi spetta: doverti sorvegliare per anni chiedendomi se fossi davvero un pezzo così pregiato da meritare di essere seguita ovunque era stressante. Ho capito che avresti dato tutta te stessa a chiunque ti avesse illusa di portarti via da Melvin, o addirittura anche a chi ti avesse scopata senza prima incatenarti al letto! Come hai potuto essere così ingenua da credere che mi importi davvero di te?»
    Yuma aveva abbassato lo sguardo, senza osare replicare.
    «Alla fine ti sei rivelata soltanto un problema» aveva proseguito Dean. «Se tuo padre scoprisse la verità ucciderebbe entrambi. E sai cosa ti dico? Che sarei disposto ad ammazzarti io stesso, pur di tapparti la bocca! Ti basta questo per convincerti a fare come ho deciso? Quando tuo padre e quella stronza dai capelli tinti si leveranno di torno, tu andrai in quella fottuta clinica a fare quello che devi fare!»

    «Comunque sia andata» disse Michel, «Sono felice che tu abbia visto quello spiraglio di luce. Ho sempre pensato che fossi una ragazza determinata e, ancora una volta, l’hai dimostrato.»
    «Forse l’ho dimostrato solo stavolta» obiettò Yuma. «Credo che tu abbia un’opinione troppo elevata di me.»
    «Sono sicuro che non è così. Per quanto riguarda quello stronzo di Melvin, invece, che fine ha fatto? L’hai denunciato?»
    Yuma negò.
    «È in giro da qualche parte, sicuramente mi sta cercando. E non è il solo.»
    «Qualcuno lo sta aiutando?»
    Yuma scosse la testa.
    «Non credo. Di questo, però, preferirei non parlarne.»
     
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