Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    Prima parte del capitolo 43.



    Capitolo 43.
    Ronnie era al telefono con un cliente quando la porta si aprì. Non guardò chi fosse entrato finché, un istante più tardi, non si fu frettolosamente congedato dal suo interlocutore.
    Riattaccò e alzò gli occhi. Si sarebbe aspettato di vedere chiunque, ma non Michel Sallivan. Era passata una settimana da quando si erano incontrati e non sapeva che fosse ancora a Starlit Spring; in ogni caso, comunque, non riusciva a immaginare alcun motivo per cui avrebbe dovuto recarsi nello studio commerciale in cui lavorava.
    «Cosa ci fai da queste parti?» gli chiese. «Pensavo fossi tornato a Dark River.»
    Michel si avvicinò alla scrivania alla quale era seduto.
    «Dark River può aspettare» decretò. «Ho ancora parecchie cose da fare qui a Starlit Spring.»
    «Come mai sei qui?»
    «Semplice curiosità.»
    «Curiosità? E di che cosa dovresti essere curioso?»
    «Volevo vedere dove lavori» rispose Michel. «Kelly mi ha spiegato come trovarti.»
    Ronnie spalancò gli occhi.
    «Kelly?»
    «Kelly James, la ragazza dello Starlit Cafè» specificò Michel, come se davvero ci fosse bisogno di quella precisazione.
    «So di chi stai parlando» replicò Ronnie. «Non sapevo che tu la conoscessi.»
    «Lo Starlit Cafè è un luogo molto invitante.»
    «A me non pare.»
    Michel annuì.
    «Forse hai ragione. Kelly, comunque, è un pesce fuor d’acqua tra quelle quattro pareti. Se fossi al suo posto non esiterei ad andarmene. Si vede lontano un miglio che non è felice di rimanere a lavorare là. Se ci resta è soltanto perché suo zio è il proprietario del bar e lei non crede di avere altre prospettive.»
    «La tua analisi è molto interessante» osservò Ronnie. «Si potrebbe dire che tu conosca molto bene Kelly.»
    «Infatti la conosco bene» ammise Michel. «Mi sta ospitando a casa sua.»
    “Questa sì che è una novità!”
    Ronnie provò a immaginarsi Michel accanto a Kelly, ma non gli riuscì. Nella sua ottica appartenevano a mondi diversi: Kelly faceva parte di Starlit Spring, Michel apparteneva a tutto ciò che non era Starlit Spring. Si rese conto, però, che la sua visione delle cose stava iniziando a perdere valore: la presenza stessa di Michel in città, una presenza che si stava prolungando nel tempo, metteva in discussione la profonda spaccatura che vedeva tra le due diverse vite che aveva vissuto.
    “Due vite o tre?” si ritrovò a chiedersi.
    Non poté fare a meno di pensare ancora una volta al giorno in cui la sua vita era stata davvero sul punto di avere fine. Erano passati ormai due giorni da quando Ralph gli aveva restituito la lettera che aveva scritto a Yuma e ancora non aveva avuto il coraggio di leggerla. Gli riusciva molto difficile pensare di essere proprio lui la stessa persona che aveva preso un foglio e una penna per dare alla ragazza che amava il suo ultimo e definitivo addio.
    Ronnie si chiese cosa sarebbe successo se tutto fosse andato come aveva progettato. Sua madre, anziché conservare la lettera, per fargliela avere in un futuro molto lontano, l’avrebbe spedita a Naive? Forse non aveva così tanta importanza: non sarebbe mai venuto a saperlo e forse la stessa Yuma avrebbe preferito ignorare certi dettagli.
    Il giorno in cui aveva creduto che soltanto la morte potesse cancellare i suoi sensi di colpa gli sembrava sempre più lontano, ma era sicuro che non l’avrebbe mai dimenticato. Rivedeva davanti a sé il flacone di sonnifero che aveva rubato a sua madre, gli apparivano una ad una tutte le pillole che aveva ingurgitato, più in fretta che poteva, aspettando il momento di chiudere gli occhi per l’ultima volta...
    «Mi sembri sconvolto» osservò Michel.
    Ronnie gli lanciò un’occhiata carica di gratitudine. Quelle parole l’avevano fatto tornare alla realtà, dandogli la possibilità di rimettere da parte, per l’ennesima volta, uno dei ricordi più cupi della sua intera esistenza.
    «Non sono sconvolto.»
    «Va beh, ma forse un po’ sorpreso lo sarai» ribatté Michel. «Stando a quanto ho capito tra te e Kelly c’è sempre stato un rapporto un po’ particolare.»
    «Siamo amici» rispose Ronnie, senza chiedersi se fosse vero. «Cioè, forse lo siamo.»
    «So come stanno le cose tra te e lei» puntualizzò Michel. «Mi ha raccontato tutto.»
    Tutto.
    Ronnie si chiese quanto si fosse spinta oltre.
    Doveva sembrare di nuovo piuttosto sconcertato, dal momento che Michel gli chiese: «Non avrebbe dovuto farlo?»
    Ronnie preferì non rispondere a quella domanda così diretta. Gli chiese, piuttosto: «Che cosa ti ha detto esattamente?»
    «Lei stava insieme a tuo fratello, quello che è morto in un incidente» rispose Michel. «Le cose tra loro non andavano più tanto bene, però, e ha avuto una breve relazione con te. Quando tuo fratello è morto non è mai riuscita a perdonarsi quello che gli aveva fatto.»
    Tutto?
    Questo non era tutto.
    Era solo una minima parte del tutto.
    “Per fortuna.”
    Ronnie annuì.
    «È andata più o meno così.»
    «Toglimi una curiosità, Ronnie.» L’espressione di Michel gli parve piuttosto divertita. «Nel corso della tua vita hai mai avuto una relazione con una ragazza che non fosse impegnata con un altro quando l’hai conosciuta?»
    Quel riferimento non troppo velato non lo infastidì quanto avrebbe pensato.
    «Sì» rispose semplicemente, pensando a Maya.
    In quel momento il telefono riprese a squillare.

    Heaven notò Michel sussultare nel momento in cui lei faceva la propria comparsa nel suo campo visivo.
    «Sei sorpreso di vedermi?» gli chiese, ridacchiando.
    «Abbastanza» ammise Michel. «Quanto tempo è passato dall’ultima volta? Non più di tre quarti d’ora, immagino.»
    Heaven guardò attentamente l’orologio.
    «Poco di più, credo. Oscilliamo tra i quarantasette e i quarantotto minuti.»
    Michel alzò gli occhi al cielo.
    «Quanta precisione.»
    «Diciamo che mi piace tenere d’occhio il tempo che scorre.»
    «E immagino che ti piaccia tenere d’occhio anche quello che faccio io.»
    Heaven scosse la testa.
    «Non mi piace, ma è un male necessario.»
    «Non lo vedo affatto necessario» obiettò Michel. «Non sei obbligata.»
    «È un’imposizione che io stessa mi sono data e che intendo portare a termine. È un po’ come quando, alla fine di dicembre, si compila una lista di buoni propositi per l’anno che verrà.»
    Michel le lanciò un’occhiata divertita.
    «Lo fai anche tu?»
    «Mi è capitato» ammise Heaven. «Sono quasi sempre riuscita a realizzare tutti gli obiettivi che mi ponevo.»
    «Io non ci sono mai riuscito. Come hai fatto?»
    «Mi sono data obiettivi realistici.»
    «Anch’io. O meglio, ero convinto che lo fossero.»
    «Forse ti sei sopravvalutato.»
    «Forse sì» convenne Michel. «Ora, però, potresti cortesemente spiegarmi che intenzioni hai? Vuoi perseguitarmi finché resterò in città?»
    «Potrebbe essere un’idea, ma non è questo che ho in mente.»
    «Cosa, allora?»
    «Te l’ho detto, voglio scoprire che intenzione avete tu e i tuoi amici.»
    «I miei... amici?» Michel sembrava perplesso. «Di chi parli?»
    «Tom Harvey, Dean Tray...»
    «Quelli non sono miei amici» puntualizzò Michel. «Harvey è uno che mi paga per raccogliere informazioni, mentre Tray... Beh, quello è un perfetto idiota.»
    Heaven gli indicò lo studio commerciale da cui era appena uscito.
    «Ronnie Craven invece che ruolo occupa?»
    «Non occupa nessun ruolo.»
    «Mi è difficile crederlo» insisté Heaven. «Non mi sembri il tipo che fa qualcosa per caso.»
    «Non ho fatto niente per caso» replicò Michel. «Sono semplicemente stato a salutare un mio vecchio amico.»
    «Che stranamente» concluse Heaven, «Ha avuto qualcosa a che vedere con mia sorella.»
    «Tu guardi troppi film gialli» ribatté Michel. «Non ho chiesto a Ronnie niente che abbia a che vedere con Yuma.»
    Heaven gli puntò gli occhi addosso.
    «Ci credo che non gliel’hai chiesto... come di sicuro non gli hai chiesto se potevi prendere quel mazzo di chiavi che ti sei infilato in tasca mentre lui parlava al telefono.»
    Michel s’irrigidì.
    «Di cosa parli?»
    «Ti ho visto» precisò Heaven. «Ti stavo tenendo sotto controllo.»
    «Forse hai visto male.»
    «No» ribadì Heaven. «Tu hai rubato a Ronnie delle chiavi, e ora mi fai il piacere di spiegarmi il motivo!»
    Michel scosse la testa.
    «Tu sei pazza. Non so cosa tu abbia visto, ma ti sbagli.»
    Le voltò le spalle, intenzionato ad andarsene.
    «Continuerò a tenerti d’occhio» lo avvertì Heaven. «Stai attento a tutto quello che fai, mi raccomando. Soprattutto cerca di non usare quelle chiavi, se non vuoi che Ronnie venga informato di quello che hai fatto.»
    Valutò se fosse opportuno continuare a seguirlo, ma poi preferì lasciar perdere, almeno per quel giorno.
    “È meglio lasciarlo respirare un po’. Più gli sto col fiato sul collo e meno è probabile che faccia qualche passo falso.”
     
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