Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    Ronnie non poté fare a meno di ripensare alla donna che aveva conosciuto la sera prima. Non l’aveva mai vista a Starlit Spring, probabilmente non abitava in città. Gli aveva fatto una pessima impressione fin da subito, non tanto per l’aspetto quanto per l’atteggiamento: gli era sembrata più appiccicosa di una sanguisuga e, senza alcun motivo logico, sembrava interessata a scoprire tutto di lui.
    Era appena stato a riaccompagnare Kara a casa di Maya e stava per dirigersi verso il parcheggio in cui aveva lasciato l’automobile quando lei gli si era avvicinata, tenendo una sigaretta ancora spenta tra le dita.
    La scusa con cui gli aveva rivolto la parola era stata, ovviamente, la più banale che Ronnie avesse mai sentito.
    «Scusa, avresti un accendino?»
    Non c’era niente di più scontato e già questo aveva fatto salire in lui il desiderio di andarsene.
    «No» aveva risposto, preso alla sprovvista, sperando che questo la spingesse a non essere troppo insistente.
    Purtroppo per lui non era stata la soluzione migliore.
    «È bella questa città di sera» aveva osservato la sconosciuta.
    «Suppongo di sì» aveva detto Ronnie, poco entusiasta, «Per chi piace, almeno.»
    «Penso che piaccia a tutti» aveva ribadito la donna. «Sei d’accordo con me... ehm... posso sapere il tuo nome?»
    L’occhiata che lei gli aveva lanciato non gli era piaciuta per niente. Si era chiesto se non lo sapesse già e stesse soltanto cercando una conferma.
    «Mi chiamo Ronnie. È importante?»
    «Certo che è importante.»
    Non aveva aggiunto altro, forse sperando che fosse lui a dire qualcosa. Da parte sua, però, Ronnie non aveva proferito parola.
    «Non mi chiedi il mio?» gli aveva chiesto lei, a quel punto.
    «Non ho l’abitudine di chiedere il nome alle sconosciute.»
    Lei aveva sorriso.
    «Io non sono una sconosciuta; non lo sono più, almeno.»
    «Io direi di sì, invece.»
    «Mi chiamo Pamela.»
    «Bene.»
    «Ti ho visto insieme a una bambina, poco fa» gli aveva rivelato lei, subito dopo. «Tua figlia?»
    «Sì.»
    «Ha sei o sette anni, giusto?»
    «Ne ha sei.» Ronnie l’aveva fulminata con lo sguardo. «Perché tutte queste domande?»
    «Semplice curiosità.» Pamela aveva riso, imbarazzata; o meglio, aveva cercato, con scarso successo, di mostrarsi imbarazzata. «Dove la stavi portando?»
    «A casa della madre.»
    «Oh.» Pamela si era finta dispiaciuta. «Sei divorziato, quindi?»
    «No. Non sono mai stato sposato.»
    «E la madre...»
    «La madre di mia figlia è sposata» si era affrettato a rispondere Ronnie, «Ma non con me. Naturalmente non lo era quando nostra figlia è venuta al mondo.»
    «Mi dispiace.»
    «Che io non sia sposato?»
    «Che lei ti abbia lasciato.»
    Ronnie aveva alzato gli occhi al cielo.
    «Sembra una convinzione generale, questa.»
    «Cosa?»
    «Lascia stare. Tutti si sono messi in testa che sia stata lei a chiudere. Non è andata così, ci siamo lasciati di comune accordo.»
    «Quello è il modo migliore per lasciarsi» aveva osservato Pamela. «Evita un sacco di seccature... almeno credo. Io non ho mai fatto sul serio fino a quel punto con un uomo. Non penso di essere portata per mettere su famiglia.»
    «È una scelta tua e non mi riguarda.»
    «Beh, ovvio. Amavi la madre di tua figlia?»
    Ronnie l’aveva fulminata con lo sguardo.
    «Ti interessa?»
    «Dicevo così, per parlare.»
    «Se proprio lo vuoi sapere la amavo, ma l’amore da sé non basta... specie se sai di non amare una persona tanto quanto un’altra che non hai mai dimenticato.»
    «Quindi c’è un’altra nei tuoi pensieri...»
    «Sì, c’era, ma...»
    Ma non la vedeva da più di sette anni?
    Ma non c’era mai stata una vera relazione tra loro?
    Ma lei non si metteva in contatto con lui da secoli?
    Ma lei non ricambiava i suoi sentimenti?
    Ma non si sarebbero rivisti mai più?
    «...ma non vedo come questo possa riguardarti.» Era quello il giusto finale per l’affermazione che aveva lasciato in sospeso. «Se ci fai caso le persone non ti fermano per strada per farti domande di carattere privato, di solito.»
    «Hai ragione» aveva ammesso Pamela. «Credo di essere stata troppo invadente, non avrei dovuto permettermi di...»
    «Lo credi bene.»
    Pamela gli aveva lanciato una delle sue occhiate languide.
    «Forse è meglio se tolgo il disturbo.»
    «Non scomodarti» l’aveva rassicurata Ronnie, «Me ne stavo andando.»
    Le aveva lanciato un ultimo sguardo, poi era andato via, diretto verso la macchina. Non si aspettava che Pamela lo seguisse, ma lei l’aveva fatto.
    «Ehi, aspetta!» l’aveva pregato, mentre apriva la portiera.
    Ronnie si era girato verso di lei.
    «Cosa vuoi?»
    «Forse potremmo conoscerci meglio» gli aveva proposto Pamela. «Lo so, può sembrarti assurdo, ma...»
    «Infatti è assurdo.»
    Pamela gli aveva dato un foglietto.
    «Se ci ripensi, questo è il mio numero di telefono.»
    Ronnie l’aveva appallottolato e se l’era infilato in tasca mentre Pamela se ne andava, lasciandolo finalmente solo.
    Erano già passate quasi ventiquattro ore da quell’incontro, eppure ne era ancora stordito. Dentro di lui si era acceso un campanello d’allarme che gli suggeriva di fare attenzione. In pochi giorni gli strani incontri erano già due, per quanto quello con Michel non fosse stato così anomalo, e in occasione di entrambi gli erano state poste delle domande su Yuma. Istintivamente si ritrovò a chiedersi che fine avesse fatto quella ragazza. L’ultima volta in cui si erano sentiti, molti anni prima, lei stava per lasciare Black Hill e trasferirsi altrove insieme a Michel. Era chiaro, però, che non viveva più insieme a lui. Da quanto tempo si erano lasciati? E dove si trovava ora? Forse erano domande senza risposta che non aveva troppo senso porsi.
    “È meglio pensare al presente, invece di riaprire vecchie ferite.”
    Non aveva mai dimenticato Margot Emerson.
    Probabilmente la lettera che aveva scritto a Yuma era finita per errore nella spazzatura, la donna che faceva le pulizie a casa dei suoi genitori a quell’epoca talvolta era un po’ troppo distratta. Ronnie non sapeva se esserne sollevato.
     
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