Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    Ecco qui la prima parte del capitolo 31, penultimo capitolo della seconda parte del romanzo.
    A proposito, forse la terza parte sarà più lunga, rispetto alla seconda. ^^




    Capitolo 31.
    Kelly tolse dal piccolo vaso i fiori secchi. Era trascorso tanto tempo dall’ultima volta in cui li aveva portati, senza sentirsi colpevole per non essere tornata per mesi. Aveva sempre ritenuto inutile recarsi nei cimiteri: le spoglie mortali dei suoi cari ormai defunti non potevano vederla e, ne era sicura, nessuno aveva mai sperato che lei passasse le ore là dentro.
    Gettò i fiori nella spazzatura e sistemò i due mazzi di fiori finti, uguali, sia per suo nonno sia per sua nonna.
    Stava per andarsene quando udì dei passi dietro di lei. Non si sarebbe nemmeno girata, se non avesse udito una voce che conosceva bene.
    «Kelly.»
    Si voltò e vide Ronnie.
    «Allora le leggende metropolitane corrispondono a realtà.»
    Ronnie la guardò senza capire.
    «A cosa ti riferisci?»
    «Mi è giunta voce che tu sia tornato per rimanere qui in pianta stabile» gli comunicò Kelly. «Non pensavo che fosse vero, ma a quanto pare è così.»
    Ronnie annuì.
    «Black Hill non era il posto che faceva per me.»
    «È da molto che sei tornato?»
    «Pressappoco due settimane e mezzo.»
    «E Black Hill non ti manca?»
    Ronnie scosse la testa.
    «Perché dovrebbe?»
    «Ralph mi ha detto... Ehi, non guardarmi a quel modo! Le cose sono un po’ cambiate tra me e lui. Mi ha detto, comunque, che stavi insieme a una ragazza a Black Hill.»
    «Non è proprio così.»
    «Allora devo avere capito male.»
    Ronnie sorrise.
    «No, hai capito benissimo. Credo che sia stato Ralph a travisare le cose.»
    «Tu e lei, quindi, non state insieme?»
    «No.»
    «Allora potresti prendere in considerazione l’idea di uscire con Victoria» osservò Kelly. «Lei e Gabriel si sono lasciati.»
    Ronnie sembrò inorridito.
    «Victoria? Mhm... non mi pare proprio il caso!»
    «Cos’ha che non va?»
    «Non ha niente che non va, ma...»
    «Vi sentite ancora?» lo interruppe Kelly. «Tu e la ragazza di Black Hill, intendo.»
    Ronnie s’incupì.
    «L’ho sentita stamattina e ho l’impressione che non accadrà mai più.»
    Kelly cercò di mostrarsi ottimista.
    «Mai dire mai, non puoi sapere quello che accadrà in futuro.»
    «Diciamo che gli indizi di cui sono in possesso mi fanno pensare che non ci vedremo mai più» ammise Ronnie, «E che non ci sentiremo nemmeno al telefono.»
    «Mi dispiace, allora.»
    «E di cosa? Non sono certo fatti tuoi.»
    Kelly sbuffò.
    «Certo, tu ti difendi sempre così, dicendo agli altri che devono badare agli affari loro! Sei sempre stato così e...»
    Ronnie la interruppe: «Le persone non cambiano, per quanto possa piacerci pensarlo. Speravo che un giorno tu diventassi meno acida... ma a quanto pare non è stato così.»
    «Io non sono acida.»
    «L’importante è che tu ne sia convinta.»
    Kelly sospirò.
    «Ronnie, perché non ti togli dalle scatole? Capisco che chiederti di tornare a Black Hill possa essere troppo, ma almeno sparisci dalla mia vista.»
    «Sono lieto di poterti accontentare. Non sono venuto qui per parlare con te, ho una cosa molto più importante da fare.»
    Kelly lo guardò allontanarsi. Si chiese per un attimo che cosa ci fosse di importante da fare in un cimitero, ma si rese conto che la risposta non le interessava.

    «Mi dispiace se non mi sono fatta viva ultimamente» aveva esordito Yuma, nella telefonata che Ronnie aveva atteso per oltre due settimane. «Tu aspettavi di sapere...»
    «Non era necessario che tu mi chiamassi» l’aveva rassicurata Ronnie, «Se non avevi niente da dirmi.»
    «Il punto è che ho tante cose da dirti» aveva obiettato Yuma. «Non so nemmeno con che parole iniziare.»
    «Usa le più semplici che ti vengono in mente.»
    «Anche se dovessero ferirti?»
    «Anche se dovessero ferirmi» aveva confermato Ronnie. «Dubito, comunque, che tu possa riuscirci: sei sempre stata talmente diplomatica...»
    «Va beh, allora io te lo dico» aveva concluso Yuma. «Mi sbagliavo quando pensavo che io e Michel non potessimo essere felici insieme. Da quando sei partito, le cose sono cambiate radicalmente; stiamo addirittura per lasciare Black Hill e per trasferirci. Non so perché mi fossi messa in testa che mi trascurava...»
    «Forse perché era vero.»
    «Io non ero immune da errori, però» aveva puntualizzato Yuma. «Mi lamentavo che lui non parlava mai con me, ma io non facevo niente per spingerlo a farlo. Adesso sta andando tutto meglio.»
    «Sono felice per te.»
    «Ma non per te stesso, immagino...»
    «Purtroppo non sempre le cose possono andare bene per tutti. A Starlit Spring, comunque, non me la cavo male.»
    «Capisco. Mi dispiace per com’è andata, per averti illuso...»
    «Tu non mi hai mai illuso» aveva replicato Ronnie. «Sono stato io, forse, a farmi delle illusioni, e la colpa è solo mia.»
    Si chiese ancora una volta se ne era davvero convinto. Sì, non poteva essere che così: tra lui e Yuma non c’era futuro, ma si era ostinato a vederne uno fino al momento del loro addio definitivo, soltanto poche ore prima.
    Non si sarebbe mai dimenticato di lei, ma doveva comunque archiviarla come parte di un passato che non poteva più tornare. L’avrebbe fatto di lì a pochi minuti: non riusciva a capirne la ragione, ma sentiva la necessità interiore di vedere la tomba della signora Emerson. Da quando quella donna era stata assassinata, la vita di Yuma era cambiata radicalmente. Doveva essere stata sempre molto determinata, se era riuscita fino all’ultimo a impedire che Melvin potesse fare del male alla figlia.
    Ronnie non aveva idea di dove fosse sepolta, ma non si scoraggiò e continuò a cercarla. Si fermò soltanto quando, dieci minuti più tardi, lesse il suo nome su una lapide. Margot Doyle Emerson. Nata nel 1944, era morta il 28 agosto 1986.
    Ronnie rabbrividì. Conosceva quella data.
    Dalla fotografia sulla lapide, alla quale non aveva ancora prestato attenzione, Margot sembrava fissarlo.
    Se fino a un attimo prima Ronnie si era chiesto se Margot somigliasse a Yuma, o magari a Naive, in quel momento notò una somiglianza ancora maggiore con la donna dei suoi incubi.
    I lineamenti, lo sguardo quasi spaventato, perfino l’abito che indossava. Non era una somiglianza: Margot Emerson era la donna che aveva chiesto aiuto a lui e a Rick la notte dell’incidente.
     
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