Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    Nel finale di capitolo scoprirai che cosa può lasciare l'amaro in bocca. u.u
    Per quanto riguarda la sorpresa... Attendo! :woot: :woot: :woot:




    Quando il campanello suonò, Patricia si fiondò ad aprire la porta.
    «Ti aspettavo.»
    Michel la fissò duramente.
    «Che cosa vuoi?»
    «Entra» lo invitò Patricia. «Ti offro un caffè.»
    «Per quanto possa sembrarti strano, non ho l’abitudine di bere caffè.»
    «Allora qualcos’altro.»
    «Spero che tu non mi abbia chiamato qui solo per offrirmi da bere» tagliò corto Michel. «Non ho intenzione di perdere altro tempo.»
    «Devo ricordarti che sono in possesso di informazioni che potrebbero esserti molto utili, se tu ti decidessi a starmi a sentire?»
    «Non ce n’è bisogno.»
    «Allora entra» ripeté Patricia.
    Finalmente Michel varcò la soglia.
    Patricia si affrettò a richiudere la porta, prima che potesse cambiare idea.
    «Vieni con me.»
    Lo condusse in soggiorno e lo invitò a sedersi. Seppure controvoglia, Michel accettò proprio mentre lei faceva lo stesso.
    «Allora?» la esortò. «Ti sei resa conto che la tua proposta non aveva senso e hai deciso di mettermi al corrente di quello che sai anche senza ricorrere a sotterfugi che per una donna della tua età sarebbero totalmente inadeguati?»
    Patricia s’irrigidì.
    «Perché dobbiamo parlare della mia età?»
    «Hai ragione, perché dovremmo parlarne?» ribatté Michel. «Dopotutto ci sono argomenti molto più interessanti. Uno di questi è: chi ha ucciso Margot Emerson?»
    Patricia si sentì più sollevata.
    «Pensi davvero che non voglia niente in cambio?»
    «Quello che vuoi, non sono disposto a dartelo» replicò Michel. «Tra l’altro mi risulta che Ronnie sia stato licenziato e che tu c’entri qualcosa.»
    Patricia annuì.
    «Non ho potuto evitarlo.»
    «Mi è permesso dirti che non ti capisco?»
    «Ti è permesso eccome, ma se ti ho chiamato qui è proprio per permetterti di capire.»
    Michel scosse la testa.
    «Non m’interessa.»
    Fece per alzarsi in piedi, ma Patricia lo trattenne.
    «No, non puoi andartene.»
    «Sì che posso.»
    «No, Michel, non puoi: siamo coinvolti entrambi» insisté Patricia. «Il tuo aiuto potrebbe essermi fondamentale.»
    «Non c’è nessun motivo per cui dovrei immischiarmi nelle tue faccende private» obiettò Michel, ancora riluttante. «Se vuoi conquistare Ronnie, pensaci tu!»
    Patricia sapeva come convincerlo.
    «Sono stata la confidente di Ronnie, negli ultimi tempi.»
    «E allora?»
    «Mi ha raccontato che lui e Yuma si amano platonicamente. Ma, come tu stesso ben saprai, l’amore difficilmente rimane platonico molto a lungo...» Patricia andò a cercare lo sguardo di Michel. «E difficilmente lo rimane quando una ragazza si sente trascurata dal suo ragazzo ufficiale...» Fu in quel momento che si accorse che Michel iniziava a crederle – e se si fosse fidato di lei, ne era certa, l’avrebbe aiutata a realizzare il suo piano. «Rifletti: se io riuscissi ad avere Ronnie, tu non avresti problemi a riconquistare Yuma.»

    Ronnie se n’era andato davvero, Yuma non riusciva a crederci. Era partito da meno di un’ora, lasciando in una busta la sua quota dell’affitto e un biglietto dove comunicava a Michel che se ne stava andando in via definitiva. Si chiese quanto tempo sarebbe passato prima che Michel lo leggesse. Forse ore, probabilmente era fuori ancora una volta per motivi di lavoro e chissà quando sarebbe rientrato.
    Per la prima volta dopo tanto tempo, Yuma sentì di non avere bisogno della sua presenza. Le bastò un istante per rendersi conto di quale fosse la cosa giusta da fare.
    «Se davvero mi ami» le aveva detto Ronnie, «Sai dove trovarmi.»
    Lo sapeva perfettamente, così come sapeva che il suo futuro era accanto a lui.
    Di certo Ronnie non si aspettava che lo raggiungesse a Starlit Spring immediatamente, ma l’avrebbe fatto.
    Andò a infilare in uno zaino tutto ciò che le premeva portare con sé e, quando fu colmo, iniziò a riempirne un altro.
    Fece più in fretta che poté, in modo da non fare in tempo a pentirsi di quella scelta in apparenza avventata. Non appena terminò chiamò un taxi, sul quale salì nemmeno un quarto d’ora dopo avere riappeso il ricevitore ed essersi allontanata dal telefono.
    Si fece scaricare di fronte alla stazione. Sarebbe corsa all’istante dall’altra parte della strada nonostante il semaforo rosso, se non avesse corso il rischio di essere investita dalle lunghe colonne di automobili in transito.
    Non appena scattò il verde attraversò la via senza più preoccuparsi di nulla. Per la prima volta dopo tanto tempo si sentì sicura di sé, certa di avere preso la decisione migliore.
    Il tempo che impiegò per raggiungere la biglietteria le sembrò infinito. Si mise in coda, senza notare l’uomo che aspettava dietro di lei finché non udì la sua voce.
    «Dove pensi di andare?»
    Yuma sussultò, prima di girarsi molto lentamente.
    «Che cosa ci fai qui?»
    «Pensavi davvero che avrei rinunciato a te?» sibilò Melvin. «Sono stato meno pressante che potevo, ma quando Dean mi ha confermato che stavi lasciando la città non ho potuto fare a meno di venire a raggiungerti.»
    Yuma lo guardò con fermezza.
    «Cosa vuoi ancora?»
    «Se vieni a casa mia lo scoprirai» la informò suo padre. «Sicuramente Heaven sarà molto felice di rivederti.»
    Yuma raggelò.
    «Heaven?»
    «È tornata da me» le spiegò Melvin.
    «Non ti credo. Naive me l’avrebbe detto.»
    «Ti sbagli. Le ho promesso che, se avesse tenuto la bocca chiusa, non avrei fatto niente di male alla ragazzina.»
    «Continuo a non crederti» ribadì Yuma.
    «Allora forse crederai a questa.» Suo padre prese fuori una fotografia che teneva in tasca. «Ne sei convinta, adesso?»
    Scattata con una Polaroid, la foto ritraeva Melvin insieme alla figlia minore. I capelli della ragazzina, lunghi l’ultima volta in cui Yuma l’aveva vista, erano tagliati a caschetto.
    «Come hai fatto a portarla via?»
    Melvin ridacchiò.
    «Qualcuno potrebbe chiamarlo rapimento. Io preferisco usare altri termini: dopotutto Heaven è mia figlia ed è giusto che rimanga con me.»
    «Tu sei pazzo» replicò Yuma. «Sei completamente pazzo.»
    «Forse hai ragione» ammise suo padre, «Ma dal momento che ho avuto la fortuna di riuscire a trovarti prima che decidessi di salire su un treno e andartene, potresti fermarti ancora un po’. Sono sicuro che troveremo un accordo che possa accontentarci tutti e due... anzi, tutti e tre, dal momento che sei sempre stata molto interessata al futuro di tua sorella.»
     
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