Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    Prima parte del capitolo 28.




    Capitolo 28.
    Michel si avviò verso la porta.
    «Harvey mi ha telefonato prima, ci sono novità importanti.»
    Ronnie si chiese per quanto tempo ancora avrebbe continuato a dare importanza alle chiamate di quel tale.
    «A che ora torni?»
    «Non lo so.»
    «Ricordati cos’hai promesso a Yuma» gli ricordò Ronnie, mentre Michel apriva la porta. «Potrebbe restarci molto male se te ne dimenticassi.»
    «Non me ne dimenticherò» gli assicurò Michel. «Salutala da parte mia, quando tornerà a casa.»
    «Quindi ne avrai per molto.»
    «È probabile.»
    «Le avevi detto che, entro la fine di aprile, questa storia sarebbe finita» puntualizzò Ronnie. «Perché non suggerisci a Harvey di sbrigarsela da solo?»
    Michel sorrise, sfuggente, mentre apriva la porta.
    «Aprile non è ancora finito.»
    «Non ancora, ma manca soltanto un’ora.»
    Michel alzò gli occhi al cielo.
    «Se Yuma non si lamenta, perché dovresti lamentarti tu?»
    «Yuma non si lamenta perché non ti vede mai, ma non credere che le faccia piacere non sapere nemmeno di cosa ti occupi.»
    «Invece ci vediamo eccome» ribatté Michel. «E poi lo sai come sono le donne: preferiscono non doversi immischiare in affari che non le riguardano.»
    «Dai troppe cose per scontate.»
    «Forse... ma un giorno Yuma capirà. Quello che faccio, lo faccio anche per lei.»
    «Un giorno si stancherà» insisté Ronnie. «Hai mai pensato che potrebbe lasciarti e andarsene?»
    «Non credo che lo farà» rispose Michel, sicuro di sé. «Rimanere qui è l’alternativa migliore che ha.»
    Oltrepassò la porta senza aggiungere altro e se la richiuse alle spalle, mentre Ronnie si chiedeva quali parole avrebbe utilizzato per informare Yuma che Michel era uscito ancora una volta per questioni di lavoro, in merito alle quali non aveva fornito alcuna spiegazione, e che sarebbe probabilmente rincasato a notte inoltrata.

    Michel guardò a lungo la donna seduta in disparte. Aveva lunghi capelli corvini e il suo corpo era fasciato da un abito nero.
    «Patricia Spencer?» le domandò, dopo essersi avvicinato.
    La donna annuì.
    «Così pare.»
    Si sedette di fronte a lei e le sorrise.
    «Io sono Michel, piacere di conoscerti.»
    «Non sono qui per fare conversazione» replicò Patricia, torva. «Per quanto mi riguarda sarei molto felice di essere altrove.»
    Michel annuì.
    «Certo, hai ragione. Mi chiami per invitarmi nel locale più malfamato di tutta la città, mi costringi a inventarmi un impegno di lavoro... È chiaro che deve esserci qualcosa sotto. A proposito, Ronnie non mi ha mai detto che frequenti certi posti.»
    «Ti ho detto che non sono qui per fare conversazione» ribadì Patricia. «E poi non ho l’abitudine di parlare con Ronnie dei locali che frequento.»
    «Hai ragione, non siamo qui per parlare del più e del meno... ma allora perché siamo qui? Credo di meritarmi una spiegazione.»
    «Suppongo di sì» convenne Patricia. «Mi è giunta voce che tu stia indagando sull’omicidio di Margot Emerson.»
    «Ronnie ti ha detto questo?»
    Michel non ebbe bisogno di attendere la risposta della donna che aveva di fronte per capire che non poteva essere così: nemmeno a Ronnie aveva spiegato che cosa lo tenesse così impegnato in quel periodo.
    «Ronnie non ha l’abitudine di raccontarmi gli affari tuoi, se è questo che ti spaventa.»
    «No, non mi spaventa.»
    «In verità mi racconta ben poco...»
    «Questo non m’interessa» precisò Michel. «So soltanto che lavorate insieme e che lui non deve sapere che ci siamo incontrati stasera.»
    «È già un buon punto di partenza.»
    «Può darsi.»
    Patricia sorrise.
    «Chissà, magari potrebbe essere un buon punto d’arrivo...»
    «Non capisco che cosa intendi.»
    «È impossibile che tu capisca così, senza che te lo spieghi.»
    «Allora cosa ne diresti di darmi qualche spiegazione?» le propose Michel. «Sto sprecando il mio tempo per te...»
    Patricia lo interruppe: «No, non stai sprecando il tuo tempo. Ti ho chiamato qui per aprirti gli occhi a proposito di Tom Harvey.»
    Michel spalancò gli occhi.
    «Anche tu?! Guarda, mi bastano i commenti della mia ragazza...»
    «La tua ragazza, quindi, pensa che ci sia qualcosa di poco chiaro nell’incarico che ti ha assegnato quell’uomo?»
    «La mia ragazza non sa niente del mio incarico» puntualizzò Michel. «Non voglio illuderla: soltanto se dovessi venire a scoprire qualcosa d’importante la metterei al corrente.»
    «Fammi indovinare» ribatté Patricia. «È stata una condizione che Harvey ti ha imposto?»
    «No.»
    «Mi è molto difficile crederlo.»
    «Non m’interessa che tu mi creda.»
    «Va bene, qualunque sia la ragione per cui la tua ragazza non sa niente, non mi riguarda» riprese Patricia. «Vorrei soltanto chiederti se per caso sai chi abbia commissionato l’indagine che Harvey ti ha affidato.»
    Michel la guardò negli occhi.
    «Se ti dicessi che non ne ho idea cosa faresti?»
    «Scoppierei a ridere e ti pregherei di non mentire.»
    «E se fosse la verità?»
    «Ti direi che sei il peggiore dei coglioni: ti fanno fare ricerche a proposito di una persona che è stata assassinata, ricerche che potrebbero metterti in pericolo... e tu non ti degni nemmeno di informarti su chi stia pagando affinché tu lo faccia!»
    «Harvey è il mio datore di lavoro, spetta a lui decidere che cosa devo e che cosa non devo sapere» le spiegò Michel. «È sempre stato così.»
    «Le altre volte, però, non ti aveva chiesto di scoprire chi avesse ucciso la madre della tua ragazza.»
    «No.»
    «Eppure tu hai ritenuto che non ci fosse niente che non quadrava.»
    «Di cose che non quadrano ce ne sono sempre» replicò Michel. «Sarebbe piuttosto un’eccezione se tutti i conti tornassero al primo tentativo.»
    Patricia annuì.
    «Certo, è la cosa migliore da credere.»
    «Non capisco dove tu voglia arrivare.»
    «Non c’è peggior cieco di chi non vuole vedere, dopotutto...»
    «E non c’è tempo più sprecato di quello trascorso ad ascoltarti, a quanto pare.» Michel soffocò una risata. «Ti dispiacerebbe tanto se adesso me ne andassi?»
    «Come ti pare» concesse Patricia. «Vorrà dire che non ti racconterò la parte più interessante della storia.»
    «Non sapevo che ci fosse anche una parte più interessante» ribatté Michel, «Ma soprattutto non mi ero accorto che tu mi stessi raccontando qualcosa.»
    «Te l’ho detto, appunto, non c’è peggior cieco di chi non vuole vedere» ribadì Patricia. «Che cosa faresti se ti dicessi che so chi ha ucciso Margaret Emerson?»
    «Ti direi che si chiamava Margot.»
    «Giusto, Margot Emerson.»
    «E non ti crederei.»
    «Mi aspettavo una simile risposta» ammise Patricia. «Nessuno vuole mai credere a niente, è la regola da seguire specie quando è meglio chiudere gli occhi e fingere di non sapere.»
    «Ti assicuro che non ho nessuna intenzione di proteggere nessuno» replicò Michel. «Il punto è che non ho la più pallida idea di chi abbia assassinato Margot Emerson.»
    «Appunto per questo ti ho chiamato.»
     
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