Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    Va bene, aggiorno. :D
    Purtroppo in questo capitolo non ci saranno altri baci. u.u
    In ogni caso ecco la prima parte del 27!



    Capitolo 27.
    Erano già arrivati alla macchina quando Rick osservò: «Avremmo davvero dovuto tornare indietro.»
    Ronnie non si preoccupò del suggerimento del fratello.
    Ripensò alla donna che avevano incrociato uscendo dal locale. Tre uomini in lontananza, fino a quel momento impegnati a ridere tra di loro, avevano urlato qualcosa di incomprensibile.
    La donna si era girata per un istante, Ronnie ricordava che l’aveva fissato. Si era girato verso Rick, infastidito dal fatto che si fosse fermato a guardare cosa succedeva.
    «E che diamine, sbrigati!»
    Rick aveva annuito e aveva fatto per raggiungerlo, per poi arrestarsi di scatto: la donna gli stava andando incontro.
    Anche Ronnie l’aveva fissata: doveva essere vicina ai quaranta, se non li aveva già superati, e aveva capelli neri. Seppure non giovanissima, considerò, il suo aspetto non era male e l’abito a fiori che portava sembrava fatto su misura per lei.
    «Devi aiutarmi» aveva sibilato, rivolgendosi a Rick. «Ti prego.»
    Rick non aveva potuto fare a meno di sorridere.
    «Aiutarti? Non vedo cosa potrei fare.»
    Ronnie gli si era avvicinato di scatto.
    «Allora? Ti dai una mossa?» aveva sbottato, afferrandolo per un braccio. «Sono le due passate, te ne sei dimenticato?»
    Rick aveva lanciato un’ultima occhiata alla donna e finalmente gli aveva dato ascolto.
    «Ti prego» aveva invocato lei. «Vi prego...»
    Ronnie si era girato di scatto.
    «Non abbiamo tempo da perdere, tornatene dai tuoi amici.» Aveva indicato gli uomini che schiamazzavano ancora in fondo alla via. «È la soluzione migliore.»
    «Vi prego» aveva ripetuto la donna, per poi abbassare lo sguardo. «Solo voi potete aiutarmi.»
    Ronnie aveva fatto qualche passo verso di lei.
    «Hai qualche problema?» le aveva chiesto, con palese freddezza.
    Lei aveva replicato, sprezzante: «Non credo che ti interessi davvero.»
    «Certo che no.» Ronnie aveva riso. «Sarai soltanto una sfigata che ha bevuto troppo e non sa come
    fare per non farsi vedere dai suoi familiari, una volta che rientrerà a casa.»
    La donna aveva obiettato: «Forse non sono io quella che ha bevuto troppo.»
    «Sì, su questo hai ragione» aveva ammesso Ronnie, «Ma si vive una volta sola e non ho intenzione di sprecare del tempo a casa a dormire, come fa tutta la gente che, come te, non ha uno scopo nella vita.»
    Davvero aveva pronunciato quelle parole? Non riusciva a capacitarsene.
    «Andiamo, Ron?» gli chiese Rick. «Sei stato tu a dire che era tardi.»
    Ronnie annuì.
    «Hai ragione, è meglio andare.»
    Aprì la portiera e si sedette al posto di guida.

    Per un attimo Ronnie ebbe serie difficoltà a rendersi conto di che giorno fosse. Era nuovamente tornato indietro di tre anni e mezzo, dopo qualche notte priva di sogni.
    Rick.
    La donna col vestito a fiori.
    Rick.
    La donna col vestito a fiori.
    Rick.
    La donna col vestito a fiori.

    L’immagine di uno si sovrapponeva a quella dell’altro, come in un interminabile incubo che l’avrebbe accompagnato ancora per molto tempo – per tutta la vita, non si faceva illusioni, e anche dopo qualora avesse trovato qualcosa ad attenderlo dopo la morte.
    Gli servirono un paio di minuti, più tempo del necessario, per rendersi conto di essere a Starlit Spring, nell’appartamento che condivideva con Michel e Yuma, e che era meglio sorvolare su quello che era successo pochi giorni prima tra lui e quest’ultima.
    “È la notte tra lunedì e martedì” realizzò.
    Guardò la sveglia che teneva sul comodino e si rese conto di avere ancora a disposizione un paio di ore di sonno.
    Sperò di essere in grado di riaddormentarsi e, nell’improbabile caso in cui ci fosse riuscito, di non sognare ancora una volta la notte dell’incidente in cui Rick aveva perso la vita.
    Trascorrere le due ore successive a rigirarsi nel letto non gli parve, a posteriori, tanto fastidioso quanto sarebbe stato un nuovo incubo.

    Fin dalle prime ore del mattino Patricia si sforzò di cogliere più dettagli che poteva a proposito di Ronnie, che più che mai stava diventando l’oggetto dei suoi desideri. Attese con ansia che arrivasse il momento di poterlo raggiungere e le sembrò che il tempo non passasse mai.
    Finalmente, a pomeriggio inoltrato, poté dirigersi verso il suo ufficio. Si sforzò di avere un passo felpato: per quanto avesse sempre ritenuto offensivi coloro che paragonavano la sua camminata a quella di un rinoceronte, aveva iniziato a porsi delle domande e aveva realizzato che, se il mondo non si era coalizzato contro di lei allo scopo per denigrarla, probabilmente avevano ragione.
    Quando aprì la porta Ronnie alzò lo sguardo.
    «Non ti avevo sentita arrivare.»
    Patricia sorrise, compiaciuta.
    «Meglio così.»
    Lui le lanciò una strana occhiata.
    «In che senso?»
    Patricia ridacchiò.
    «Lascia stare.»
    Metterlo al corrente dei suoi tentativi di sembrare più interessante ai suoi occhi non era certo un’ottima idea.
    Si avvicinò a lui e, come al solito, andò a sedersi sul bordo della sua scrivania.
    «Sono nata il 10 aprile» lo informò.
    «E io il 19 settembre» ribatté Ronnie. «Ma cosa c’entra?»
    Patricia s’irrigidì.
    «Niente, appunto.»
    Ronnie impiegò qualche istante per comprendere il suo messaggio.
    «Auguri. Oggi compi quarant’anni, no?»
    Quarant’anni.
    Detto in maniera così esplicita l’effetto non era certo dei migliori. Forse, realizzò, sarebbe stato meglio non dire a Ronnie che era il suo compleanno.
    Il peggio, comunque, doveva ancora venire.
    «Complimenti, te li porti benissimo. Puoi tranquillamente dimostrarne dieci anni di meno.»
    Patricia strinse i denti per non mettersi a urlare.
    “Certo, posso dimostrarne dieci di meno, e questo significa che forse troverò un uomo disposto a venire a letto con me, prima o poi” valutò. “Peccato che sia troppo tardi per trovare qualcuno che voglia anche costruire qualcosa insieme a me! E peccato soprattutto che il ragazzo che ho davanti non ne voglia sapere di me.”
    Si impose di sorridere, mentre mormorava: «Grazie.»
    Ronnie non aggiunse altro e, ovviamente, non si rese conto di averla infastidita. Era normale, d’altronde, che non se ne accorgesse: che cosa poteva saperne lui di come si sentiva una donna di quarant’anni che non aveva un marito e non aveva figli, che desiderava entrambi e che molto probabilmente non li avrebbe avuti mai?
    Se gliene avesse parlato, le avrebbe risposto, probabilmente, che poteva pensarci prima.
    “Proprio come fa sempre mia madre.”
    Era vero, realizzò Patricia mentre scendeva dalla scrivania, per l’ennesima volta, avrebbe dovuto pensarci prima. Quando aveva conosciuto Ronnie non era ancora troppo tardi, ma poi si era lasciata prendere dall’ossessione che aveva maturato nei suoi confronti.
    «Senti, Ronnie» tentò di cambiare discorso, «Oggi ti vedo un po’ strano. Per caso è successo qualcosa?»
    Lui parve incuriosito.
    “Bene. Se non altro quando si parla di lui esiste la possibilità di non scambiare le sue parole per un insulto.”
    «Oggi mi vedi strano?»
    «Più del solito, in realtà» ammise Patricia, «Perché anche ieri mi sembravi un po’ pensieroso.» Sorrise. «In realtà sei sempre abbastanza pensieroso, ma ieri mi hai dato questa impressione molto più del solito.»
    Ronnie annuì.
    «Forse sì, in effetti qualcosa è capitato.»
    Patricia cercò di non parlare con un tono invadente nel domandargli: «Qualcosa di bello o qualcosa di brutto?»
    «Dipende da come la vedi» rispose Ronnie, quasi distrattamente. «Sabato ho baciato Yuma... o meglio, è stata lei a baciare me.»
    Patricia si sentì come se mille lame l’avessero trafitta tutte in una volta.
    «Ha-hai b-baciato Yuma?»
    Ronnie confermò: «È andata proprio così.»
    «E ne sei soddisfatto?»
    «Dovrei?»
    «Non spetta a me dirlo.»
    «Penso di sì.»
    Patricia gli lanciò un’occhiata penetrante.
    «Anche se quello che è successo non dovesse avere seguito?»
    «Quello che è successo non avrà seguito» puntualizzò Ronnie. «È stato solo un momento di debolezza.»
    «Tuo o suo?»
    «Mhm... direi di entrambi.»
    «Sapevo che mi avresti dato una risposta del genere» concluse Patricia, acida. «In realtà tu non aspettavi altro!»
    «Non sai quello che dici» obiettò Ronnie. «Io non...»
    «Vuoi forse negare che Yuma ti è piaciuta fin da subito? Tu hai approfittato di un suo momento di debolezza per fare ciò che tu desideravi.»
    «Veramente...»
    Patricia preferì non ascoltare quello che Ronnie aveva da dire e si avviò verso la porta.
    «Hai ragione, non sono affari miei» affermò prima di uscire.
     
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